Trichinella in una lupa in provincia di Arezzo

I laboratori della sezione di Arezzo dell’IZS Lazio e Toscana hanno riscontrato larve di Trichinella britovi (come da conferma del Laboratorio nazionale di Riferimento presso l’Istituto Superiore di Sanità) nel muscolo tibiale anteriore di una lupa trovata morta nel comune di Subbiano, probabilmente a seguito di trauma stradale.

Nelle regioni Toscana e Lazio vi sono state altre segnalazioni del parassita negli scorsi anni:

  • marzo 2013: riscontro di larve Trichinella in una volpe ancora in provincia di Arezzo
  • gennaio 2013: ventisei persone, tra cacciatori e loro familiari, sono state colpite da trichinellosi nell’Alta Val del Serchio a seguito dell’ ingestione di salsicce di cinghiale crude contaminate;
  • Nella stagione venatoria 2019-2020 la sezione di Latina dell’IZS Lazio e Toscana ha identificato larve di Trichinella nelle carni di cinghiali abbattuti a caccia, poi identificate come appartenenti alla specie Trichinella britovi

Tutte le informazioni sulla trichinellosi sul sito dell’IZS LT




SARS-CoV-2, aumenta il numero delle specie animali sensibili

E’ di poche settimane fa la notizia relativa alla presenza di anticorpi anti-SARS-CoV-2 – il famigerato coronavirus responsabile della CoViD-19 – in un’elevata percentuale (40%) di “cervi a coda bianca” popolanti la regione nord-orientale degli USA.

Ciò desta preoccupazione per una serie di motivi, come ho anche riferito in una mia “Lettera all’Editore” pubblicata sulla prestigiosa Rivista BMJ .

Degna della massima considerazione sarebbe, in primo luogo, l’avvenuta esposizione al virus della succitata popolazione di cervidi, ai quali lo stesso sarebbe stato trasmesso, con ogni probabilità, da uno o più individui SARS-CoV-2-infetti. In secundis, la propagazione dell’infezione ad un così ingente numero di esemplari suggerisce che il virus si sarebbe trasmesso all’interno della specie, il cui comportamento gregario ne avrebbe favorito la diffusione.

Numerose sono, altresì, le specie animali domestiche e selvatiche già dichiarate suscettibili nei confronti dell’infezione (naturale e/o sperimentale) da SARS-CoV-2. Fra queste si annoverano gatto, cane, criceto, furetto, leone, tigre, leopardo delle nevi, puma, gorilla, lontra e visone: elenco tutt’altro che esaustivo, ma che già di suo denota la notevole “plasticità” del virus, presumibilmente originatosi da uno o più “serbatoi” animali e capace d’infettare specie filogeneticamente assai distanti fra loro.

Un discorso a parte in tale ambito lo merita il visone, in cui SARS-CoV-2, una volta acquisito dall’uomo, sarebbe evoluto in una temibile “variante” (“cluster 5) per esser quindi “restituito” all’uomo in forma mutata, come è stato dimostrato un anno fa in numerosi allevamenti di visoni olandesi e danesi.

La comprovata capacità d’infettare in condizioni naturali un crescente numero di specie animali domestiche e selvatiche andrebbe pertanto considerata ai fini sia della loro salute e conservazione sia del potenziale sviluppo di nuove varianti di SARS-CoV-2, nella sana ottica della “One Health“, alias la “salute unica” di uomo, animali ed ambiente.

Giovanni Di Guardo
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 




Usda conferma la positività di alcuni cervi a SARS-CoV-2

Il 27  agosto 2021 i National Veterinary Services Laboratories (NVSL) del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) hanno confermato il rilevamento di SARS-CoV-2 in alcuni cervi selvatici dalla coda bianca in Ohio.

Si tratta del primo caso di confermato in tutto il mondo. Studi precedenti avevano dimostrato che i cervi possono essere infettati sperimentalmente dal virus  e che alcuni cervi selvatici avevano anticorpi contro il virus.

Il comunicato integrale, in inglese, sul sito USA




Metà delle specie aliene marine arrivano in Ue via nave

Il trasporto marittimo svolge e continuerà a svolgere un ruolo essenziale nel commercio e nell’economia mondiale ed europea. Negli ultimi anni, il settore marittimo ha adottato misure significative per alleviare il proprio impatto ambientale.

In vista di un atteso aumento dei trasporti via mare a livello globale, con riferimento all’UE la relazione sull’impatto ambientale del trasporto marittimo europeo, presentata dall’Agenzia europea dell’ambiente e dall’Agenzia europea per la sicurezza marittima,  rivela per la prima volta la piena portata dell’impatto di tale settore sull’ambiente e individua le problematiche da risolvere per conseguire uno sviluppo sostenibile.

Dalla relazione emerge che nel complesso, dal 1949, il settore del trasporto marittimo è il principale responsabile dell’introduzione di specie non indigene nei mari dell’UE (circa il 50%), la maggior parte delle quali è stata rilevata nel Mediterraneo. Si tratta di un totale di 51 specie, tutte classificate ad alto impatto, perché possono incidere sugli ecosistemi e sulle specie autoctone. La relazione segnala anche che i dati disponibili per valutare l’impatto complessivo sugli habitat e sulle specie sono limitati.

Secondo il rapporto le navi che fanno scalo nei porti dell’Ue e dello Spazio economico europeo hanno generato circa 140 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 nel 2018, il 18% delle emissioni da trasporto marittimo su scala mondiale.

Migliora la situazione delle perdite di petrolio. Nonostante i volumi trasportati via mare siano aumentati negli ultimi 30 anni, su un totale di 18 grandi fuoriuscite accidentali di petrolio nel mondo dal 2010, solo tre sono state localizzate nell’Ue (17%).

A cura della segreteria SIMeVeP




Il Rapporto ISPRA sulla biodiversità in Italia

Ancora a rischio specie e habitat marini e terrestri. Necessari interventi di contrasto per il 35% delle specie esotiche piu’ pericolose

Situazione critica per le specie e gli habitat che popolano il nostro Paese: seppur tutelati ormai da decenni, sono in stato di conservazione sfavorevole il 54% della flora e il 53% della fauna terrestre, il 22% delle specie marine e l’89% degli habitat terrestri, mentre gli habitat marini mostrano status favorevole nel 63% dei casi e sconosciuto nel restante 37%.

E’ quanto emerge dal Rapporto ISPRA sulla biodiversità in Italia, disponibile on line sul sito dell’Istituto, che presenta il quadro aggiornato dello stato di conservazione delle specie animali e vegetali e degli habitat tutelati a livello comunitario presenti nel nostro Paese in ambito sia marino che terrestre. Il volume fornisce una sintesi commentata dei risultati che emergono dai dati italiani prodotti in risposta a direttive e regolamenti europei in materia di biodiversità e presenta i risultati emersi dalle tre rendicontazioni trasmesse dall’Italia alla Commissione
Europea nel 2019 nell’ambito delle Direttive Habitat e Uccelli e del Regolamento per il contrasto alle specie esotiche invasive.

L’Italia è tra i Paesi europei con maggior ricchezza di specie e habitat e con i più alti tassi di specie esclusive del proprio territorio; i dati presentati nel Rapporto, infatti, riguardano 336 specie di uccelli, 349 specie animali e vegetali e 132 habitat presenti nel nostro territorio e nei nostri mari, oltre che 31 specie esotiche invasive.

I risultati relativi all’avifauna mostrano che nonostante il 47% delle specie nidificanti presenti un incremento di popolazione o una stabilità demografica, il 23% delle specie risulta in decremento e il 37% è stato inserito nelle principali categorie di rischio di estinzione.

Inoltre il 35% delle specie esotiche invasive individuate come le più pericolose a scala europea presenti in Italia, non è stato ancora oggetto di alcun intervento gestionale finalizzato al contrasto. Ricchezza di specie e habitat sono accompagnati in Italia da elevata densità di
popolazione, forte pressione antropica e inarrestabile consumo di suolo.

In ambito terrestre tra le pressioni che minacciano la nostra biodiversità l’agricoltura è la principale causa di deterioramento per specie e habitat, seguita dallo sviluppo di infrastrutture e dall’urbanizzazione.

Tali pressioni sono tra le più ricorrenti anche per l’avifauna; in particolare le minacce connesse alle moderne pratiche agricole si ritiene abbiano inciso in modo determinante sulla drastica diminuzione delle popolazioni di specie tipiche degli ambienti agricoli, soprattutto in pianura e dove c’è maggiore utilizzo delle colture intensive.

In ambito marino il Rapporto mostra invece che le attività di prelievo e le catture accidentali rappresentano le maggiori fonti di pressione sulle specie di interesse comunitario, accompagnate dall’inquinamento, dai trasporti marittimi e dalla costruzione di infrastrutture, che insistono anche sulla maggioranza degli habitat marini, insieme alle attività con attrezzi da pesca che interagiscono fisicamente con i
fondali.

I risultati fanno emergere l’urgente necessità di un maggiore impegno nella conservazione e gestione di specie e habitat in Italia, anche in riferimento agli obiettivi della nuova Strategia Europea sulla Biodiversità per il 2030. È anche essenziale rafforzare gli sforzi di monitoraggio, perché le norme comunitarie impongono un salto di qualità nei dati che dovranno essere trasmessi nei prossimi anni.

Fonte: ISPRA




Vespa velutina: sempre più apiari positivi in provincia di Massa-Carrara

Vespa VelutinaAumentano le segnalazioni da parte degli apicoltori della provincia di Massa-Carrara per la presenza di Vespa velutina presso i loro apiari.

Dopo la provincia di Imperia, fortemente colpita ormai da diversi anni, quelle di La Spezia e Massa-Carrara appaiono le provincie più problematiche per numero di nuove segnalazioni.

Alcune segnalazioni provengono anche dalla Lunigiana (Mulazzo MS e Castelnuovo Magra SP), mentre nei giorni scorsi un primo nido è stato trovato e neutralizzato nella zona di Riccò del Golfo, dove nel 2020 ne era già stato neutralizzato un altro

Fonte: stopvelutina.it




Procedure operative per prevenire l’infestazione da Baylisascaris procyonis

Baylisascaris procyonis è un nematode endemico del Nordamerica e sporadicamente segnalato in altri Paesi: in Italia è stato segnalato per la prima volta nel 2021 da 5 procioni abbattuti nel territorio del  Casentino (AR).

L’infestazione è tipica del procione (ospite definitivo) e occasionalmente di altri carnivori, tra cui il cane, nei quali decorre in modo asintomatico con lo sviluppo di nematodi adulti  nell’intestino tenue (20-22 cm le femmine e 9-11 cm i maschi).

Numerosi ospiti paratenici (principalmente roditori, lagomorfi e uccelli selvatici) possono infestarsi sporadicamente attraverso l’ingestione di feci contenenti uova infettanti.

Operatori che a vario titolo manipolano procioni ed i soggetti di età pediatrica possono contagiarsi attraverso l’ingestione accidentale di feci o di materiale fecalizzato.

La maggior parte dei casi di contagio umano è stata riportata negli Stati Uniti.

Nonostante la baylisascariasi sia una rara zoonosi, la malattia nell’uomo è caratterizzata da evoluzione clinica molto grave legata alla migrazione larvale.

Sintomi aspecifici come: febbre, letargia e nausea possono svilupparsi già una settimana dall’esposizione. Le larve migrano attraverso una grande varietà di tessuti (fegato, cuore, polmoni, cervello, occhi) producendo una sindrome da larva migrans viscerale e larva migrans oculare, simili alla toxocariasi. Tuttavia, prediligendo il sistema nervoso centrale, a differenza delle larve di Toxocara, quelle di Baylisascaris si sviluppano fino a grandi dimensioni determinando gravi lesioni. Le anomalie neurologiche tendono a comparire da 2 a 4 settimane dopo l’ingestione di uova infettanti, come esito della meningoencefalite eosinofila, e comprendono alterazione dello stato mentale, irritabilità, anomalie cerebellari, atassia, stupor e coma. I trattamenti elminticidi sono spesso inefficaci a causa dei ritardi nella diagnosi e della scarsa attività larvicida nei confronti delle larve a localizzazione encefalica.

Pertanto, l’informazione e la prevenzione sono strumenti necessari per limitare il contagio.

L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana ha elaborato per la Regione Toscana delle Procedure operative per la manipolazione dei procioni e delle carcasse durante le fasi di abbattimento e cattura per prevenire il rischio di trasmissione all’uomo.




IZS Ve identifica una nuova specie di stafilococco proveniente dall’aria: Staphylococcus caeli

Il Laboratorio di batteriologia speciale della sezione di Treviso dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) ha identificato e dato il nome a una nuova specie di stafilococco.

Il genere stafilococco è costituito da diverse specie di batteri Gram positivi ampiamente diffusi in natura. Alcune di queste specie sono comuni abitanti della pelle e delle mucose sia di animali che dell’uomo, altre invece sono patogene. Tra le specie patogene più famose c’è sicuramente lo Staphylococcus aureus soprattutto a causa della comparsa di ceppi resistenti agli antibiotici ed in particolare alla meticillina.

Tali ceppi indicati con la sigla MRSA (Meticillin Resistant S. aureus) presentano resistenza agli antibiotici appartenenti alla famiglia delle penicilline e delle cefalosporine, e complicano quindi considerevolmente le possibilità terapeutiche e ne riducono le probabilità di successo. Questo tipo di resistenza è tipicamente conferita dal gene mecA; tale gene assieme alle sue varianti mecB e mecC sono stati isolati in varie specie di animali e nell’uomo.

L’isolamento di questo ceppo insolito e nominato inizialmente 82B è avvenuto durante le attività svolte per una ricerca finanziata dal Ministero della Salute (RC IZSVE 01/09 “Applicazione della PFGE, ricerca dei geni di virulenza e analisi del polimorfismo della proteina A in ceppi di S. aureus isolati da conigli da carne, con finalità epidemiologiche e diagnostiche”) che ha portato al primo isolamento di un clone MRSA ST398 nei conigli da carne, e i cui risultati sono stati pubblicati su International Journal of Systematic and Evolutionary Microbiology).

In particolare l’82B è stato isolato nel 2013 da un campionamento dell’aria di un allevamento da reddito della provincia di Padova. Il ceppo è parso subito anomalo in quanto si presentava resistente alla meticillina, quindi un potenziale MRSA, ma non era possibile arrivare a un’affidabile identificazione di specie, sia mediante prove biochimiche e molecolari che mediante spettrometria di massa. Inoltre, le prove di biologia molecolare eseguite per la rilevazione dei geni noti causa della resistenza alla meticillina, ossia il gene MecA e le varianti MecB e MecC, davano anch’esse risultati non conformi ai controlli utilizzati.

Leggi l’articolo integrale sul sito dell’IZS delle Venezie




Locusta migratoria: il parere dell’Efsa per consumarla come ingrediente alimentare sotto forma di snack

InsettiA seguito di una richiesta della Commissione europea, è stato chiesto al gruppo di esperti scientifici dell’Aurità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) sulla nutrizione, i nuovi alimenti e gli allergeni alimentari (NDA) di esprimere un parere sulla sicurezza delle formulazioni congelate ed essiccate della locusta migratoria (Locusta migratoria) come nuovo alimento ai sensi del regolamento (UE) 2015/2283.

Il termine locusta migratoria si riferisce all’adulto della specie di insetti Locusta migratoria.

Il Novel Food (NF) ​​è proposto in tre formulazioni

  1. surgelato senza zampe e senza ali;
  2. essiccato senza zampe e ali;
  3. terra con zampe e ali.

I componenti principali del NF sono proteine, grassi e fibre (chitina) nella forma essiccata del NF e acqua, proteine, grassi e fibre (chitina) nella forma congelata del NF.

Il gruppo di esperti scientifici ha affermato che la concentrazione di contaminanti nel NF dipende dai livelli di presenza di queste sostanze nel mangime per insetti e non vi sono problemi di sicurezza per quanto riguarda la stabilità del NF se il NF è conforme ai limiti delle specifiche proposte durante l’intera durata di conservazione.

Il NF ​​ha un alto contenuto proteico, sebbene i veri livelli proteici nel NF siano sovrastimati quando si utilizza il fattore di conversione azoto-proteina di 6,25, a causa della presenza di azoto non proteico dalla chitina. Il richiedente ha proposto di utilizzare l’NF come congelato, essiccato e macinato sotto forma di snack e come ingrediente alimentare in una serie di prodotti alimentari. Il target di riferimento del richiedente è la popolazione generale.

I gruppo di esperti osserva che, considerando la composizione del NF e le condizioni d’uso proposte, il consumo del NF non è svantaggioso dal punto di vista nutrizionale. La storia dell’uso e gli studi sulla tossicità presentati dalla letteratura non hanno sollevato problemi di sicurezza. Il gruppo di esperti scientifici ritiene che il consumo di NF potrebbe innescare una sensibilizzazione primaria alle proteine ​​di L. migratoria e causare reazioni allergiche in soggetti con allergia a crostacei, acari e molluschi. Inoltre, gli allergeni del mangime possono finire nel NF. Il gruppo di esperti conclude che l’NF è sicuro in base agli usi e ai livelli d’uso proposti.




Appunti di scienza: medicina forense veterinaria

Nuova uscita per “Appunti di scienza”, la collana di materiali editoriali realizzata dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) per la divulgazione di temi di sanità animale e sicurezza alimentare.

Il nuovo numero vuole informare i lettori sulla medicina forense veterinaria, ripercorrendo la storia e l’evoluzione di questa disciplina e introducendo ai principali riferimenti della legislazione italiana che tutela gli animali. L’opuscolo presenta inoltre gli obiettivi e le attività del Centro specialistico dipartimentale di medicina forense veterinaria dell’IZSVe.

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Fonte: IZS Venezie