Verso l’identificazione in silico del sierotipo di Salmonella

Ricercatori del Centro di referenza nazione per le salmonellosi dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) hanno messo a punto un nuovo protocollo basato sul sequenziamento dell’intero genoma batterico (Whole Genome Sequencing, WGS), per l’identificazione in silico – ovvero attraverso una simulazione informatica – dei più frequenti sierotipi di Salmonella circolanti in Italia. Il metodo è stato ottimizzato per identificare il pannello più ampio possibile di sierotipi.

La ricerca di metodi per sierotipizzare Salmonella enterica

Salmonella enterica rappresenta una delle principali cause di gastroenteriti in molti Paesi. Nella sola Unione Europea nel 2020, sono stati riportati un totale di 87.923 casi umani di salmonellosi. La tipizzazione di Salmonella si basa sull’identificazione del sierotipo, di cui ne sono stati censiti più di 2.600, che rappresenta uno strumento essenziale per la classificazione epidemiologica degli isolati.

Il metodo universalmente accettato per l’identificazione dei sierotipi di Salmonella è storicamente lo schema di Kauffmann-White, un test fenotipico che si basa sull’identificazione di antigeni presenti sulla parete batterica, la cui combinazione è specifica per ogni sierotipo. Nonostante l’utilità della sierotipizzazione tradizionale, questo metodo presenta molte limitazioni: richiede notevole esperienza da parte degli operatori, necessita di tempi di analisi variabili dipendenti dalle caratteristiche dell’isolato, e non sempre consente di ottenere un risultato soddisfacente in termini di completezza, dal momento che i batteri esprimono gli antigeni in risposta a specifiche situazioni ambientali, che non sempre possono essere controllate in condizioni di laboratorio.

Ricercatori del Centro di referenza nazione per le salmonellosi dell’IZSVe hanno messo a punto un nuovo protocollo basato sul sequenziamento dell’intero genoma batterico (WGS), per l’identificazione in silico – ovvero attraverso una simulazione informatica – dei più frequenti sierotipi di Salmonella circolanti in Italia. Lo studio rappresenta un’evidenza a supporto della fattibilità di sostituire i metodi tradizionali di tipizzazione con metodi basati sul sequenziamento del genoma.

A causa di queste evidenti criticità la comunità scientifica è impegnata da anni nella ricerca di metodi alternativi basati su caratteristiche batteriche meno soggette all’influenza dell’ambiente esterno. L’implementazione di metodiche basate sul sequenziamento dell’intero genoma batterico risponde pienamente a questa esigenza, dal momento che la composizione del DNA è geneticamente definita e non modificabile a seguito di esposizione a condizioni ambientali differenti, consentendo ai laboratori di eseguire in prima istanza la sub-tipizzazione e, contemporaneamente, di capitalizzare il dato prodotto per ulteriori  caratterizzazioni degli isolati (es. Multilocus Sequence Typing, identificazione di plasmidi e di geni di antibiotico resistenza, filogenesi).

Lo studio dell’IZSVe

Lo studio condotto dai ricercatori dell’IZSVe, finanziato dal Ministero della Salute (RC 13/17), ha evidenziato una ottima concordanza tra il metodo considerato gold standard (sierotipizzazione tradizionale) e la sierotipizzazione ottenibile in silico a partire da dati di WGS su 28 sierotipi diversi, che sono stati identificati con il 100% di accuratezza. Inoltre le caratteristiche di sensibilità e specificità, ovvero inclusività ed esclusività, del nuovo metodo sono risultate adatte ad essere applicate anche a campioni contaminati.

In una fase – come quella attuale- di transizione verso l’utilizzo sempre più diffuso di analisi molecolari e/o genotipiche per la caratterizzazione di ceppi rilevanti di Salmonella, lo studio condotto dal CRN per le salmonellosi costituisce un’evidenza a supporto della fattibilità di sostituire metodi tradizionali con metodi basati sul sequenziamento dell’intero genoma batterico, anche alla luce della possibilità di capitalizzare il dato prodotto per ottenere ulteriori caratterizzazione degli isolati in un’unica sessione sperimentale.

Inoltre l’uso di metodi di sierotipizzazione basati sul sequenziamento del genoma sembra essere una strada promettente al fine di garantire continuità e retrocompatibilità con la sierotipizzazione tradizionale, da anni pietra miliare nell’ambito della sicurezza alimentare e delle azioni di sanità pubblica volte a contenere e ridurre l’impatto della Salmonellosi.

Tuttavia, prima che il WGS possa essere utilizzato per la sierotipizzazione di Salmonella, è necessaria una rigorosa fase di validazione e una valutazione attenta dei piani di transizione metodologica, che assicurino che i dati a disposizione siano appropriati per sostituire la sierotipizzazione tradizionale senza interrompere gli attuali programmi di sorveglianza. Il presente studio costituisce un passo in tale direzione, avendo dimostrato la possibilità di mantenere la compatibilità con i dati storici di sierotipizzazione, con i sistemi di sorveglianza e le strutture di prevenzione.

 Fonte: IZS delle Venezie



Parere CNSA – Echinococcosi cistica: conoscenze attuali e suggerimenti per la prevenzione e il controllo della diffusione

L’Echinococcosi cistica (EC) è una malattia cronica disabilitante di origine parassitaria, diffusa in tutto il mondo e storicamente endemica in Italia, che costituisce un caso esemplare di one-health, coinvolgendo l’uomo, i cani, gli animali da reddito, l’ambiente e i prodotti alimentari.

Su scala internazionale, nonostante lo svolgimento di importanti programmi di ricerca, sussistono ancora numerose incertezze scientifiche e diverse criticità che non consentono di delineare un preciso quadro epidemiologico, sia per l’uomo che per gli animali. Nonostante, quindi, sia difficile calcolare con precisione l’onere sanitario ed economico dell’echinococcosi, si stima che tale patologia sia responsabile di perdite economiche significative nel settore della sanità pubblica. A livello globale, uno studio del 2006 ha stimato costo di almeno 760 milioni di dollari di perdite per l’infezione umana e di almeno 140 milioni di dollari per le perdite annuali di produzione degli animali da reddito. Per quanto riguarda l’Italia, l’EC risulta essere la seconda zoonosi per ospedalizzazione, e sono stati stimati un onere finanziario medio nazionale di circa 4.000.000 di euro l’anno per l’infezione umana e notevoli perdite economiche per la riduzione della produzione lattea negli animali da reddito.

La Sezione per la Sicurezza Alimentare del CNSA evidenzia la necessità di sensibilizzare ed informare cittadini ed operatori sanitari, al fine di assicurare il contenimento della parassitosi, ed auspica lo svolgimento di studi scientifici che possano contribuire alla conoscenza delle fonti di infezione e delle abitudini socioculturali coinvolte nella trasmissione della patologia nelle aree endemiche.

Parere CNSA – Echinococcosi cistica: conoscenze attuali e suggerimenti per la prevenzione e il controllo della diffusione




Omicron: per quanto tempo ancora l’alfabeto greco designera’ le varianti di SARS-CoV-2?

L’identificazione della variante “omicron”, alias “B.1.1.529”, recentemente avvenuta in Sudafrica – sebbene la stessa fosse gia’ presente nei Paesi Bassi -, ha reso ancora piu’ esiguo il numero delle lettere dell’alfabeto greco non ancora utilizzate per designare le varianti di SARS-CoV-2 che progressivamente emergono sulla scena epidemiologica mondiale. Contemporaneamente si accresce, altresì, il numero delle specie animali suscettibili al betacoronavirus responsabile della CoViD-19.

In alcune di queste (gatto, cane, cervo a coda bianca) e’ stata parimenti segnalata la presenza di varianti (“alfa”, “B.1.2”, “B.1.311” ed altre ancora), verosimilmente acquisite da nostri conspecifici SARS-CoV-2-infetti.

In un siffatto contesto, risulta particolarmente degna di attenzione la variante “cluster 5”, comparsa oltre un anno fa negli allevamenti intensivi di visoni olandesi e danesi, per esser quindi ritrasmessa dai visoni stessi all’uomo.

In considerazione di quanto sopra esposto e, nondimeno, in una quantomai opportuna prospettiva di “One Health” – la “salute unica di uomo, animali ed ambiente” -, sarebbe a dir poco miope e riduttivo considerare Homo sapiens sapiens quale “unico attore” coinvolto nelle intricate e complesse dinamiche d’interazione virus-ospite, tanto piu’ alla luce della probabile quanto plausibile origine di SARS-CoV-2 dal mondo animale.

Giovanni Di Guardo
Gia’ Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria
all’Universita’ di Teramo




Cibo sovrano. Le guerre alimentari globali al tempo del virus

Sarà presentato il 6 dicembre 2021 a Perugia il libro di Maurizio Martina, vicedirettore generale della FAO, “Cibo sovrano. Le guerre alimentari globali al tempo del virus”

Ore 14,30 – Saluti istituzionali
Amedeo Bianco, Presidente della Fondazione Onaosi
Aldo Grasselli, vice Presidente della Fondazione Onaosi
Giorgio Eduardo Montanari, Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche
Fabrizio Rueca, Direttore del Dipartimento di Medicina Veterinaria
Maurizio Oliviero, Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Perugia

Tavola rotonda per la presentazione del volume
Chairman: Maurizio Monaci, Professore dell’Università degli Studi di Perugia
Coordina: Margherita D’Amico, Scrittrice e Giornalista
Nicola Bertinelli, vice Presidente Coldiretti, Presidente del Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano
Beniamino Cenci Goga, Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare
Alessandro Fantini, Direttore Ruminantia
Maurizio Martina, vice Direttore Generale “Food and Agriculture Organizationof the United Nations”
Maurizio Oliviero, Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Perugia
Lorella Tosone, Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Perugia

Ore 16,30 – L’impatto della pandemia sulla sicurezza alimentare nel mondo
Luca Pieroni e Lorella Tosone dialogano con Maurizio Martina a partire dal rapporto “The state of food security and nutrition in the world, 2021” (Fao, Ifad,Unicef, Wfp, Who).

E’ possibile partecipare all’evento anche attraverso la piattaforma Zoom

Locandina




FVE: ONE HEALTH ruolo dei veterinari e sostenibilità della produzione alimentare

FVE – Federazione dei veterinari europei è impegnata in una campagna di informazione sul ruolo e l’impegno dei medici veterinari per la sostenibilità dei sistemi alimentari attraverso attraverso la promozione della salute, del benessere e della salute pubblica degli animali nell’ottica dell’approccio One health.

• Documento di sintesi FVE https://bit.ly/3I2J1r6

• Il ruolo dei veterinari nella promozione di One Health – un bene pubblico globale – https://bit.ly/3riLMhX

• #Whylivestockmatter – Campagna ILRI – https://whylivestockmatter.org/livestock-pathways-2030-one-health

 




Long CoViD e anticorpi anti-idiotipo

Le sequele dell’infezione da SARS-CoV-2, efficacemente riassunte dall’espressione “long CoViD“, interesserebbero su scala globale circa 100 dei 260 milioni di individui virus-infetti, 5.200.000 dei quali hanno sinora sviluppato forme di malattia ad esito letale (con oltre 130.000 decessi segnalati in Italia).

Secondo uno studio appena pubblicato sul New England Journal of Medicine, gli anticorpi anti-idiotipo potrebbero rappresentare una rilevante componente implicata nella dibattuta quanto intricata e, per molti aspetti, ancora misteriosa patogenesi della “long CoViD“.

Gli anticorpi anti-idiotipo, descritti per la prima volta nel 1974 da Niels Jerne*, verrebbero prodotti dall’ospite in risposta alle immunoglobuline primariamente/originariamente elaborate dalle plasmacellule nei confronti di qualsivoglia antigene, interagendo quindi con queste ultime e dando cosi’ vita ad un “complesso antigene-anticorpi primari-anticorpi anti-idiotipo”.

La principale caratteristica degli anticorpi anti-idiotipo risiede nella loro stretta somiglianza, per non dire pressoche’ completa identita’, nei confronti dell’antigene, il cui mosaico “not-self” sarebbe fedelmente ricapitolato dagli stessi.

Trasferendo ora queste nozioni sull’accidentato terreno della patogenesi della “long CoViD” e, nondimeno, delle forme gravi di malattia e delle pur rare reazioni avverse osservate a seguito della vaccinazione anti-SARS-CoV-2 – fattispecie accomunate tutte, verosimilmente, da meccanismi patogenetici immuno-mediati -, alla produzione di immunoglobuline primarie anti-SARS-CoV-2 potrebbe far seguito l’elaborazione, da parte dell’ospite, di una conseguente “ondata” di anticorpi anti-idiotipo.

E poiche’ questi ultimi, come piu’ sopra richiamato, sarebbero a loro volta contraddistinti da una “specularita’ antigenica” nei confronti dei diversi epitopi virali (a cominciare, ovviamente, dalla glicoproteina “spike“), ecco che il sistema immunitario si troverebbe nuovamente esposto ai medesimi stimoli antigenici che aveva dovuto fronteggiare in risposta alla primitiva infezione naturale e/o alla vaccinazione. Si metterebbe dunque in moto una sorta di circolo vizioso, progressivamente alimentato dalle anzidette “cicliche” ondate di anticorpi anti-SARS-CoV-2 e di anticorpi anti-idiotipo rivolti verso questi ultimi.

Un siffatto meccanismo patogenetico, suggestivo ed intrigante al contempo, potrebbe fare il paio e risultare complementare o, al contrario, alternativo rispetto a quello inerente la prolungata e reiterata persistenza di SARS-CoV-2 in uno o piu’ distretti tissutali dell’ospite in corso di “long CoViD“, come riferisco in una “Letter to the Editor” appena pubblicata sul BMJ. Quest’ultima ipotesi patogenetica muove le sue premesse da quanto chiaramente documentato in materia d’infezione da “Human Immunodeficiency Virus” (HIV), la cui grande variabilita’ antigenica (cd “antigenic drift”) coinciderebbe con la produzione di ondate consecutive di anticorpi da parte dell’ospite nei confronti del complesso quanto mutevole mosaico di epitopi progressivamente caratterizzanti l’agente virale nel contesto di un’infezione, quella da HIV perlappunto, che per sua intrinseca natura risulta cronica e protratta.

Qualora una sequenza di eventi piu’ o meno sovrapponibile a quella registrata in corso d’infezione da HIV dovesse verificarsi anche in corso di “long CoViD”, cio’ potrebbe rappresentare un ulteriore “prerequisito” ai fini della comparsa di addizionali varianti (“variants of concern” e “variants of interest”) di SARS-CoV-2, la cui ultima incombente minaccia sarebbe giustappunto costituita da quella denominata “omicron” e nota con la sigla “B.1.1.529”, che e’ stata recentemente identificata in Sudafrica ed in altri Stati limitrofi.

Giovanni Di Guardo
Gia’ Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria
all’Universita’ di Teramo

*Jerne NK. Towards a network theory of the immune system. Ann Immunol (Paris) 1974;125C:373-389

 




3 Premi per giovani ricercatori al WAHVM International Congress

La WAHVM  – World Association for the History of Veterinary Medicine – mette a disposizione tre premi per i migliori lavori prodotti da giovani ricercatori. Data di scadenza del bando il 31 gennaio 2022. I lavori possono essere presentati anche in italiano, il testo del lavoro non dovrà superare le 10.000 parole.

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Covid: gli animali più a rischio? Quelli che frequentano l’uomo

Mucche, gorilla e orsi sono a più alto rischio di contagiarsi di di SARS-CoV-2. Più in generale, tutte le specie a stretto contatto con l’uomo.  A scoprirlo, lo studio del Cary Institute of Ecosystem Studies, pubblicato su Proceedings of the Royal Society B. Per arrivare a questi risultati, i ricercatori hanno utilizzato un nuovo approccio con un modello computerizzato in grado di prevedere la capacità di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2 di 5.400 specie di mammiferi ed estendendo la capacità predittiva di rischio Covid-19 di vari ordini di grandezza.

Delle specie ad alto rischio segnalate, secondo lo studio, molte vivono vicino alle persone e negli hotspot Covid-19.

Secondo i ricercatori, un importante ostacolo alla previsione delle specie di mammiferi ad alto rischio sono i dati limitati su ACE2, il recettore cellulare a cui si lega SARS-CoV-2 negli animali. ACE2 consente a SARS-CoV-2 di entrare nelle cellule ospiti e si trova in tutti i principali gruppi di vertebrati. È probabile che tutti i vertebrati abbiano recettori ACE2, ma le sequenze erano disponibili solo per 326 specie. Per superare questo ostacolo, il team ha sviluppato un modello di apprendimento automatico che combinava i dati sui tratti biologici di 5.400 specie di mammiferi con i dati disponibili su ACE2.

L’obiettivo: identificare le specie di mammiferi con un’elevata “capacità zoonotica” – la capacità di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2 e trasmetterla ad altri animali e persone. Il metodo che hanno sviluppato potrebbe aiutare a estendere la capacità predittiva per i sistemi di malattie oltre il Covid-19.

“Il SARS-CoV-2 ha avuto origine in un animale prima di fare il salto alle persone” – commenta l’autore Ilya Fischhoff, del Cary Institute of Ecosystem Studies – “Ora, le persone hanno causato infezioni in una varietà di mammiferi, principalmente quelli tenuti nelle fattorie, negli zoo e persino nelle nostre case. Sapere quali mammiferi sono in grado di reinfettarci è fondamentale per prevenire le infezioni da spillback e nuove varianti pericolose”, conclude. Quando un virus passa dalle persone agli animali e di nuovo alle persone si parla di spillover secondario. Questo fenomeno può accelerare la creazione di nuove varianti nell’uomo che sono più virulente e meno reattive ai vaccini.

La ricaduta secondaria di SARS-CoV-2 è già stata segnalata tra i visoni d’allevamento in Danimarca e nei Paesi Bassi, dove ha portato ad almeno una nuova variante di SARS-CoV-2.

Questo modello matematico ha previsto la capacità zoonotica delle specie di mammiferi con una precisione del 72% e ha identificato numerose altre specie di mammiferi con il potenziale di trasmettere SARS-CoV-2.

Le previsioni corrispondevano ai risultati osservati per cervi dalla coda bianca, visoni, cani procioni, leopardi delle nevi e altri. Il modello ha rilevato che le specie di mammiferi più rischiose erano spesso quelle che vivono in paesaggi disturbati e in prossimità delle persone, inclusi animali domestici, bestiame e animali che vengono scambiati e cacciati. Si prevedeva che i primati avessero la più alta capacità zoonotica e il più forte legame virale tra i gruppi di mammiferi. Il bufalo d’acqua, allevato per il latte e l’allevamento, aveva il rischio più alto tra il bestiame. Il modello ha anche previsto un elevato potenziale zoonotico tra i mammiferi commerciati vivi, tra cui macachi, orsi neri asiatici, giaguari e pangolini, evidenziando i rischi posti dai mercati vivi e dal commercio di animali selvatici. SARS-CoV-2 presenta anche sfide per la conservazione della fauna selvatica.

L’infezione è già stata confermata nei gorilla di pianura occidentale. Per le specie ad alto rischio come i gorilla di montagna, l’infezione da spillback potrebbe verificarsi attraverso l’ecoturismo. Gli orsi grizzly, gli orsi polari e i lupi, tutti nel 90esimo percentile per la capacità zoonotica prevista, sono spesso gestiti dai biologi per la ricerca e la gestione. Han spiega: “Il nostro modello è l’unico che è stato in grado di fare previsioni sui rischi per quasi tutte le specie di mammiferi. Ogni volta che sentiamo parlare di una nuova specie che è stata trovata positiva al SARS-CoV-2, rivisitiamo la nostra lista e scopriamo che è classificata in alto. I leopardi delle nevi avevano un punteggio di rischio intorno all’80° percentile. Ora sappiamo che sono una delle specie selvatiche che potrebbero morire di Covid-19″.

Le persone che lavorano a stretto contatto con mammiferi ad alto rischio dovrebbero prendere ulteriori precauzioni per prevenire la diffusione di SARS-CoV-2. Tra questi, la priorità delle vaccinazioni tra veterinari, guardiani dello zoo, allevatori di bestiame e altre persone in contatto costante con gli animali. I risultati possono anche guidare strategie di vaccinazione mirate per i mammiferi a rischio. Un’iterazione più efficiente tra previsioni computazionali, analisi di laboratorio e sorveglianza degli animali ci aiuterà ad ottenere informazioni necessarie per guidare la risposta alla pandemia zoonotica ora e in futuro, concludono gli autori.

Fonte: AGI




La Vespa velutina, una piaga per api e apicoltori

vespa velutinaIl Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ha approvato e finanzierà con 150.000 euro il progetto “L’avanguardia tecnologica difende le api da Vespa velutina”, presentato dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta (IZSPLV), che ha l’obiettivo di sperimentare in campo una tecnica innovativa per contrastare la proliferazione dell’imenottero detto anche calabrone dalle zampe gialle.

Il Progetto nasce dalla fattiva collaborazione tra l’IZSPLV e il gruppo di ricerca in apidologia del Centro di ricerca Agricoltura e Ambiente del CREA – Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria -, l’ente di sviluppo tecnologico Mohos-Zagni, e le Associazioni di Apicoltori ApiLiguria e Alpa Miele.

Fondamentale per la sua nascita è stato il ruolo della Regione Liguria, da sempre vicina al mondo dell’apicoltura, che ha richiamato l’attenzione e attivato la programmazione per arginare la dilagante diffusione della Vespa vellutina.

La Vespa velutina è un predatore delle api, introdotta involontariamente in Europa dal sud est asiatico nel 2004. Le prime segnalazioni della sua presenza in Italia risalgono al 2013.

Il calabrone dalle zampe gialle si sta diffondendo rapidamente in tutta Italia. Molto colpita dall’invasione è la Liguria, in particolare le province di Savona e Imperia. È stata individuata la sua presenza anche nella provincia di La Spezia.

Il Progetto, sostenuto dal Ministero dell’Agricoltura, prevede la sperimentazione del “Metodo-Z”, un sistema brevettato dall’ente di sviluppo tecnologico Mohos-Zagni, che permette di neutralizzare i nidi delle Vespe, utilizzando come vettori gli stessi imenotteri. Il “Metodo” annienta il predatore, senza la necessità, da parte dell’uomo, di ricercare e distruggere fisicamente i nidi attraverso complessi, pericolosi e costosi interventi.

La Vespa velutina ha un impatto devastante sugli apiari con un effetto fortemente negativo sul settore economico apistico nazionale. Gli apicoltori, infatti, hanno subito gravi perdite, valutate tra il cinquanta e l’ottanta per cento degli alveari.

Una piaga che colpisce in particolare il sistema economico della Liguria dove ci sono 2.648 apicoltori, che gestiscono 29.206 alveari. Le api “liguri” producono 643.000 chilogrammi di miele per un giro d’affari dell’intero settore apistico di circa 7.710.000 euro.

Un problema che necessita di essere affrontato con decisione e tempestività.

Non solo per le perdite economiche che può causare ma anche per salvaguardare biodiversità ed ecosistemi. Le api, infatti, hanno una funzione fondamentale per la flora; proteggerle dalla Vespa velutina significa salvaguardare il nostro habitat.

Il rapporto FAO 2019 stima che dall’impollinazione dipenda il novanta per cento di tutte le piante da fiore del nostro pianeta. Mentre oltre il 75% delle colture alimentari è dipendente dall’impollinazione. Senza le api, dunque, non esisterebbero le mele, le ciliegie, il caffè, le fragole e via discorrendo.

Il Progetto, della durata di due anni, permetterà l’ottimizzazione e la validazione del metodo rispetto ai reali bisogni degli apicoltori, e l’impostazione di un metodo basato sulle evidenze scientifiche per contrastare efficacemente la proliferazione del calabrone asiatico dalle zampe gialle. Il metodo sarà applicato nel Ponente ligure. E nelle province di La Spezia e Massa Carrara per valutare se il Metodo Z possa permetterebbe di arginare l’avanzata nelle aree di espansione dell’imenottero.

Fonte: IZS Piemonte, Liguria e Valle D’Aosta




La scienza alla base della profilazione nutrizionale: al via consultazione pubblica

Nutrizionisti e altri esperti hanno la possibilità di aiutare l’EFSA a dare gli ultimi ritocchi a un parere scientifico. Questo costituirà la base sulla quale i politici svilupperanno il futuro sistema UE di etichettatura dei nutrienti da apporre sulla parte anteriore delle confezioni alimentari. Il parere preciserà inoltre le condizioni in base alle quali limitare le indicazioni nutrizionali e sulla salute apposte sui prodotti alimentari.

Nell’ambito della strategia “dal produttore al consumatore” la Commissione europea ha chiesto all’EFSA all’inizio del 2021 di fornire consulenza scientifica sulle sostanze nutritive e sui componenti non nutritivi negli alimenti di rilevanza per la salute pubblica degli europei, sui gruppi alimentari con incidenza rilevante nelle diete europee e sui criteri scientifici per orientare la scelta dei nutrienti a fini di profilazione nutrizionale. La Commissione ha in programma di proporre una nuova legislazione in materia alla fine del 2022.

Una base scientifica per assistere i decisori politici dell’UE

Valeriu Curtui, a capo dell’Unità di “Nutrizione umana ” dell’EFSA, ha così commentato: “Abbiamo indetto una consultazione pubblica per raccogliere contributi scientifici sulla versione provvisoria del parere da altri esperti, partner istituzionali e portatori di interesse.

“Ricordiamo a tutti gli interessati a tale argomento che la nostra consulenza mira a fornire il supporto scientifico per elaborare i modelli di profilazione dei nutrienti e limitare le pretese salutistiche sulle etichette da apporre sulla parte anteriore delle confezioni. Questa stesura preliminare del parere, tuttavia, non esprime una valutazione né propone un modello particolare di profilazione nutrizionale per l’etichettatura dei nutrienti sulla parte anteriore delle confezioni”.

Quali gli elementi di rilievo in questa bozza di parere?

Il dottor Alfonso Siani presiede il gruppo di lavoro di esperti EFSA che ha contribuito alla stesura del parere scientifico. “Nella bozza diamo indicazioni ai responsabili politici su quali nutrienti e componenti non nutritivi degli alimenti considerare ai fini di una loro inclusione in modelli di profilazione nutrizionali ove apporti eccessivi o inadeguati siano associati a rischi di malattia a lungo termine”.

La bozza di parere conclude, tra l’altro, che nei modelli di profilazione nutrizionale si potrebbe tener conto dei seguenti elementi:

  • considerata l’alta prevalenza di sovrappeso e obesità in Europa, è importante prevedere una diminuzione dell’assunzione di energia per la salute pubblica delle popolazioni europee;
  • nella maggior parte delle popolazioni europee l’assunzione di grassi saturi, sodio, zuccheri aggiunti/liberi supera i limiti raccomandati e un’assunzione eccessiva si  associa a effetti negativi sulla salute;
  • nella maggior parte delle popolazioni adulte europee l’assunzione di fibre e potassio tramite la dieta è inadeguata e assunzioni inadeguate si associano a effetti negativi sulla salute.

La bozza osserva anche che, in specifiche sotto-popolazioni, l’assunzione di ferro, calcio, vitamina D, folato e iodio è inadeguata ma affrontata solitamente da politiche nazionali e/o raccomandazioni individuali.

“Sebbene la scelta dei nutrienti e dei non-nutrienti in un modello di profilazione dei nutrienti dovrebbe essere guidata principalmente dalla loro rilevanza per la salute pubblica”, ha aggiunto il dottor Siani, “essi possono venire inclusi anche per altre motivazioni, ad esempio l’esigenza di dare priorità ad alcuni alimenti anche quando la scienza non abbia chiarito al 100% che è necessario un aumento del loro consumo per motivi di salute pubblica. Per esempio i gestori del rischio possono decidere di includere alcuni omega-3 nei modelli di profilazione dei nutrienti per incoraggiare il consumo di pesce grasso in linea con le loro raccomandazioni nutrizionali, anche se i dati sull’assunzione di tali acidi grassi sono insufficienti a concludere se il consumo sia  quantitativamente  adeguate o meno.”

Gruppi alimentari nelle diete degli europei e raccomandazioni a livello nazionale

“Il nostro parere include anche considerazioni scientifiche riguardo ai gruppi di alimenti che hanno un ruolo importante nelle diete degli europei”, ha affermato il dottor Siani.

Questi gruppi comprendono cibi amidacei (soprattutto cereali e patate), frutta e verdura, legumi e legumi, latte e latticini, carne e prodotti a base di carne, pesce e crostacei, noci e semi, e bevande non alcoliche, come riconosciuto dalle linee guida nutrizionali nazionali basate sugli alimenti negli Stati membri. Il loro ruolo nella dieta  e relativi contributi variano da un Paese all’altro a causa delle diverse abitudini e tradizioni alimentari.

Il dr Siani ha poi aggiunto: “Le linee guida nazionali incoraggiano il consumo di cereali integrali, frutta e verdura, noci e semi, latte e latticini a basso contenuto di grassi, pesce e acqua. Invece i prodotti alimentari che a causa di trasformazioni alimentari hanno un alto contenuto di grassi saturi, zuccheri e/o sodio vengono scoraggiati, anche all’interno di tali categorie alimentari.

“Le linee guida promuovono anche il regolare consumo di legumi e legumi al posto della carne (in particolare carni rosse e carni lavorate), e di oli vegetali ricchi di grassi monoinsaturi e polinsaturi invece di quelli ricchi di grassi saturi”.

Fonte: EFSA