Sull’origine della variante omicron di SARS-CoV-2

covid-19Mentre i casi documentati d’infezione da SARS-CoV-2 ammontano a circa 300 milioni su scala planetaria, con oltre 5 milioni e mezzo degli stessi ad esito infausto (poco meno di 140.000 dei quali in Italia), la contagiosissima variante “Omicron” (alias “B.1.1.529”) impazza nei due Emisferi e nei cinque Continenti, preceduta dalla “Delta” ed affiancata dalle neogenite varianti “Deltaomicron” ed “Omicron 2” appena identificate, rispettivamente, a Cipro e in Danimarca.

Secondo uno studio recentemente pubblicato da ricercatori cinesi sul “Journal of Genetics and Genomics” (Wei et al., 2021), la variante omicron costituirebbe il frutto di un “progenitore” della stessa, che dall’uomo si sarebbe trasferito al topo (“spillover”), che avrebbe a sua volta ritrasmesso il virus mutato in guisa di omicron all’uomo stesso (“spillback”).

Per quanto suggestiva ed affascinante – e nella pur totale consapevolezza dei molteplici salti di specie e delle innumerevoli traiettorie evolutive che SARS-CoV-2 potrebbe aver compiuto dalla sua origine fino ai giorni nostri -, l’ipotesi anzidetta (che per gli Autori dello studio in oggetto corrisponde quasi ad una certezza!), non sembra poggiare su solide basi scientifiche.

Se andiamo infatti ad analizzare, dal punto di vista comparativo, il grado di omologia di sequenza esistente fra il recettore virale ACE-2 umano ed il suo analogo murino, saltano subito agli occhi le eccessive differenze caratterizzanti la molecola in questione nelle due specie in esame, con particolare riferimento alla regione di ACE-2 specificamente coinvolta nell’interazione con il cosiddetto “receptor-binding domain” di SARS-CoV-2, una sequenza di 25 aminoacidi di rilevanza cruciale ai fini dell’adesione e del successivo ingresso del virus nelle cellule ospiti.

Si tratta, pertanto, di una teoria che, pur nel fascino e nella suggestione che la stessa sarebbe in grado di evocare, non sembra godere al momento di sufficiente plausibilita’ biologica, cosicche’ ulteriori studi si rendono necessari per definire con maggior solidita’ e precisione l’origine della variante omicron e, piu’ in generale, del virus SARS-CoV-2.

Giovanni Di Guardo

Gia’ Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria
presso l’Universita’ degli Studi di Teramo

 




IZS Venezie. Omicron, i test sierologici attuali non sono indicativi

A un anno dall’inoculazione del primo vaccino anti Covid-19, sono ancora numerose le domande senza risposta contro la malattia. Soprattutto a causa delle varianti del virus. Per provare a dare qualche risposta i ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie hanno condotto uno studio sulla mutazione Omicron, presentato durante una conferenza stampa del Governatore del Veneto Luca Zaia. Ricerca che mostrerebbe come il test sierologico per la conta degli anticorpi non avrebbe più lo stesso valore di prima.

A dirlo è Francesco Bonfante responsabile del Laboratorio ricerca modelli animali presso la SCS6 – Virologia speciale e sperimentazione dell’Istituto Zoprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), che ha condotto lo studio.

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Di Guardo: animali a rischio contagio, prevenire la catena di trasmissione

Il Prof. Giovanni Di Guardo, gia’ Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria all’Universita’ di Teramo, è stato intervistato da “Il Mattino” sulla relazione uomo-animale ai tempi della pandemia da SARS-CoV-2




OIE e IIZZSS, firmato accordo strategico su One Health

OIE – World Organisation For Animal Health -, Ministero della Salute e la rete degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IIZZSS) hanno siglato un accordo per unire le forze e affrontare le sfide su One Health.

L’intesa è finalizzata allo sviluppo nel prossimo quadriennio di attività progettuali a supporto degli obiettivi globali dell’OIE e di una collaborazione sinergica in ambito One Health, che sia duratura e sostenibile.

Gli IIZZSS contribuiranno proponendo progetti di ricerca che riguarderanno la sorveglianza epidemiologica delle malattie, le strategie per la salvaguardia della fauna selvatica e dell’habitat marino, la tutela del benessere animale; e il contrasto alle malattie trasmesse da vettori.

L’accordo fornirà alle parti coinvolte l’opportunità di collaborare alla promozione di programmi di ricerca comuni che permettano di unire gli sforzi in modo da costruire sistemi sanitari resilienti e coordinati.

I progetti si allineeranno con il mandato dell’OIE e dimostreranno tangibilmente come azioni comuni possano contribuire al raggiungimento di una strategia condivisa in ambito sanitario globale.

Fonte: IZSPLV




«Serve un veterinario nel Cts»

L’identificazione della variante Omicron, recentemente avvenuta in Botswana e in Sudafrica—sebbene la stessa fosse già presente da diversi giorni nei Paesi Bassi e negli Usa —, ha reso ancor più esiguo il numero delle lettere dell’alfabeto greco non ancora
utilizzate per designare le varianti di Sars-Cov-2 progressivamente emergenti sulla scena epidemiologica mondiale.

È in graduale aumento, al contempo, il numero delle specie animali suscettibili al betacoronavirus responsabile del Covid-19, come
chiaramente testimoniano i casi d’infezione descritti fra i cervi a coda bianca statunitensi e canadesi e, ancor più di recente, quelli segnalati in due esemplari d’ippopotamo (madre e figlia) custoditi all’interno dello zoo di Anversa, in Belgio.

In alcuni animali (gatto, cane, cervo a coda bianca) è stata altresì segnalata la presenza di varianti (Alfa, B.1.2, B.1.311 ed altre ancora), verosimilmente acquisite da nostri conspecifici Sars-Cov-2 infetti. Particolarmente degna di attenzione, in proposito, la
variante «cluster 5», sviluppatasi oltre un anno fa negli allevamenti di visoni olandesi e danesi e quindi ritrasmessa dai visoni stessi all’uomo.

Ciononostante, un solo medico veterinario non siede ancora nel Cts, a dispetto dei quasi due anni oramai trascorsi dalla sua istituzione!

Giovanni Di Guardo
Gia’ Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria all’Universita’ di Teramo

Lettera pubblicata su Il Corriere della Sera  – 20 dicembre 2022




Veterinari Senza Frontiere VSF – Italia – VACCINATE FOR AFRICA

La campagna VACCINATE FOR AFRICA (V4A) è una raccolta fondi internazionale organizzata da VSF International. Si tratta di una campagna internazionale congiunta, realizzata in 9 Paesi del Network e che coinvolge le cliniche veterinarie a sostegno degli allevatori africani.

Veterinari Senza Frontiere VSF – Italia partecipa anche quest’anno alla campagna di raccolta fondi: nel corso della settimana 13-19 Dicembre 2021, i veterinari e le strutture aderenti raccolgono i proventi ottenuti dalle vaccinazioni e dalle prestazioni effettuate e ne donano una parte a VSF Italia.

Le donazioni andranno a sostegno degli allevatori che conferiscono il latte alla latteria di Ndiao Bambaly, in Senegal, realizzata anche grazie alla precedente campagna.

Scopri di più sulla pagina web della campagna e aderisci compilando il form on-line: https://www.vsf-italia.it/vaccinate-for-africa/.

 




Nuova delibera CNCF sull’assolvimento dell’obbligo formativo

EcmLa Commissione nazionale per la formazione continua, nel corso della riunione del 9 dicembre 2021, ha adottato una delibera  in materia di assolvimento dell’obbligo formativo secondo la quale:

1. Ai fini del recupero del debito formativo pregresso relativo ai trienni 2014-2016 e 2017-2019 è consentito ai professionisti sanitari di effettuare sul portale Co.Ge.A.P.S. lo spostamento dei crediti acquisiti tramite la partecipazione ad eventi con “data fine evento” al 31 dicembre 2021 entro il 30 giugno 2022. Restano fermi eventuali limiti previsti da specifiche disposizioni normative vigenti.

2. Per i professionisti che non si sono avvalsi per il recupero del debito formativo relativo al triennio 2014-2016 della facoltà di cui al par. 3.7 del Manuale sulla formazione continua del professionista sanitario, il Co.Ge.A.P.S. procede d’ufficio a trasferire i crediti utili al raggiungimento della certificabilità nel triennio 2014-2016, esclusivamente nel caso in cui per il triennio 2017-2019 i professionisti interessati abbiano conseguito crediti in eccedenza rispetto a quelli necessari all’assolvimento dell’obbligo formativo individuale del triennio 2017-2019.

3. Per i professionisti che hanno compiuto il settantesimo anno d’età il Co.Ge.A.P.S. riconosce in modo automatico l’esenzione di cui alla lettera o) del par. 4. del Manuale sulla formazione continua del professionista sanitario. Rimane fermo l’obbligo del singolo professionista di comunicare l’esercizio non saltuario dell’attività professionale tramite il portale Co.Ge.A.P.S, essendo in tal caso soggetto all’obbligo formativo ECM. Tale comunicazione equivale a rinuncia dell’esenzione.

4. La segnalazione di partecipazioni non trasmesse dai Provider e ancora mancanti sul portarle Co.Ge.A.P.S. può essere effettuato, dai professionisti sanitari, solo una volta decorso il termine di 90 giorni dalla data di fine evento pianificata dal Provider. Il riconoscimento dei crediti ECM per partecipazioni mancanti, segnalate manualmente dai professionisti sul portale Co.Ge.A.P.S., è comunque subordinato all’autorizzazione da parte dell’ente accreditante, ai sensi del par. 1.13 del Manuale sulla formazione continua del professionista sanitario.

Il testo integrale della delibera




Animali e varianti di SARS-CoV-2, tutto è connesso!

L’identificazione della temibile variante “omicron”, alias “B.1.1.529”, recentemente avvenuta in Botswana ed in Sudafrica – sebbene la stessa fosse gia’ presente e circolante da diversi giorni sia nei Paesi Bassi che negli USA -, ha reso ancora piu’ esiguo il numero delle lettere dell’alfabeto greco non ancora utilizzate per designare le varianti di SARS-CoV-2 via via emergenti sulla scena epidemiologica globale. In un siffatto contesto si sta contemporaneamente assistendo ad un graduale aumento del numero delle specie domestiche e selvatiche naturalmente e/o sperimentalmente suscettibili nei confronti del betacoronavirus responsabile della CoViD-19, che nel mondo ha sinora provocato più di 5.300.000 decessi, 135.000 dei quali in Italia.

L’ultima specie che si è aggiunta, in ordine di tempo, al già corposo elenco di quelle sensibili al virus è rappresentata dall’ippopotamo, con due esemplari (madre e figlia, rispettivamente di 41 e 14 anni) mantenuti all’interno dello zoo di Anversa, in Belgio, risultati entrambi SARS-CoV-2-infetti.

Di particolare interesse risulta, altresì, il comportamento  di due distinte specie animali – il visone e il cervo a coda bianca – nei confronti dell’infezione virale.

Negli allevamenti intensivi di visoni olandesi e danesi è stata infatti segnalata, oltre un anno fa, la presenza della variante “cluster 5” (recante la mutazione Y453F a livello del gene codificante per la proteina “spike“, grazie alla quale il virus è in grado di penetrare nelle cellule umane ed animali, previa interazione col recettore ACE2 posizionato sulla loro superficie), che si sarebbe sviluppata negli stessi a seguito di una pregressa acquisizione dell’infezione ad opera di allevatori SARS-CoV-2-infetti. I visoni avrebbero quindi ritrasmesso il virus mutato (“cluster 5“) all’uomo, fattispecie quest’ultima che ha provocato l’abbattimento/eutanasia, in Danimarca, di ben 17 milioni di esemplari mantenuti all’interno dei suddetti allevamenti!

Per quanto attiene ai cervi a coda bianca, una specie la cui suscettibilità nei riguardi dell’infezione sperimentale da SARS-CoV-2 era già stata resa nota da un precedente studio pubblicato nel Marzo 2021, desta fondati motivi di allarme l’elevata percentuale di esemplari sieropositivi, pari a circa il 40%, riscontrati fra la popolazione residente nella regione nord-orientale degli USA. Una successiva indagine condotta sui cervi a coda bianca dell’Iowa ha altresì consentito di dimostrare la presenza di anticorpi anti-SARS-CoV-2 in una percentuale superiore all’80% degli individui testati, un terzo dei quali avrebbe parimenti fornito esito positivo alle relative analisi biomolecolari (RT-PCR) eseguite sui linfonodi retrofaringei. Gli studi di sequenziamento genomico effettuati sugli esemplari risultati positivi alle indagini biomolecolari avrebbero quindi permesso di documentare la circolazione, nei cervidi in questione, di numerose varianti virali già descritte nella nostra specie, prime fra tutte la “B.1.2” e “B.1.311”. E, mentre l’infezione da SARS-CoV-2 si sta diffondendo anche tra i cervi a coda bianca del Canada, la presenza della variante “alfa” (alias “B.1.1.7”) è stata recentemente riportata in Francia in un cane e in due gatti con miocardite, i cui proprietari erano affetti da CoViD-19. Un analogo caso d’infezione sostenuta dalla variante “alfa” di SARS-CoV-2 era già stato accertato qualche mese prima, in Piemonte, in un gatto i cui proprietari erano risultati parimenti affetti da CoViD-19.

E’ oramai acclarato che SARS-CoV-2 è un agente patogeno dotato di notevole “plasticità”, come eloquentemente testimoniano le numerose varianti virali (“variants of concern” e “variants of interest“) comparse e circolanti in ogni angolo del Pianeta. Queste sono il frutto, a loro volta, dei cicli replicativi che il virus compie all’interno sia delle nostre cellule sia di quelle delle numerose specie animali domestiche e selvatiche che a SARS-CoV-2 risultano sensibili, fattispecie quest’ultima alla quale non si presta la dovuta attenzione, secondo l’opinione di chi scrive.

Il genoma di SARS-CoV-2 consta di circa 30.000 nucleotidi e si stima che, ad ogni replicazione coinvolgente 10.000 delle succitate basi azotate, possa corrispondere la comparsa di una mutazione genetica. Ovviamente esistono varie tipologie di mutazione e solo un ridotto numero di esse permetterà al virus di acquisire “nuove” caratteristiche fenotipiche (la cosiddetta “gain of function“), quali ad esempio una più spiccata virulenza e/o un’accresciuta capacità di diffusione/trasmissione interumana e di colonizzazione delle nostre cellule, se non addirittura di elusione della risposta immunitaria indotta dall’infezione o dalla vaccinazione, caratteristiche che la ben nota variante “delta” e, presumibilmente – sulla base dei dati sin qui acquisiti -, anche la “new entry omicron (che presenta almeno 32 mutazioni a livello del gene codificante per la glicoproteina “spike“, il doppio rispetto a quelle caratterizzanti la variante “delta”) sembrano ricapitolare in maniera quantomai efficace.

In considerazione degli elementi sopra esposti e, nondimeno, in una salutare quanto opportuna prospettiva di One Health – la “salute unica di uomo, animali ed ambiente” -, sarebbe a dir poco miope e riduttivo considerare Homo sapiens sapiens quale “unico attore” coinvolto nelle intricate e complesse dinamiche d’interazione virus-ospite, tanto piu’ alla luce della probabile origine di SARS-CoV-2 dal mondo animale, come già dimostrato per i suoi due “predecessori” rappresentati dai betacoronavirus della SARS e della MERS e, più in generale, per almeno il 70% degli agenti responsabili delle cosiddette “malattie infettive emergenti”.

In un siffatto contesto spiace molto a chi scrive dover sottolineare che, a dispetto dei quasi due anni oramai trascorsi dalla sua istituzione, un solo Collega Veterinario non sieda ancora nel “Comitato Tecnico-Scientifico”, popolarmente noto con l’acronimo “CTS”.
Per dirla con Sant’Agostino, Errare humanum est, perseverare autem diabolicum!

Giovanni Di Guardo
Gia’ Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria all’Universita’ di Teramo




Nuova definizione One Health promossa dal tripartito e l’ UNEP

L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), l’Organizzazione mondiale per la salute animale (OIE), il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) e l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), collaborano da tempo  per essere pronti nel  prevenire, prevedere, rilevare e rispondere alle minacce per la salute globale e promuovere uno  sviluppo sostenibile.

In quest’ ottica di  integrazione raccolgono  la nuova definizione operativa di ONE HEALTH proposta dal loro comitato consultivo  OHHLEP (One Health High Level Expert Panel), costituito da esperti di alto livello  nei diversi settori politici e scientifici mondiali  inerenti il tema del ONE HEALTH.

Questa la definizione elaborata dal gruppo di esperti:

One Health è un approccio integrato e unificante che mira a bilanciare e ottimizzare in modo sostenibile la salute di persone, animali ed ecosistemi. Riconosce che la salute degli esseri umani, degli animali domestici e selvatici, delle piante e dell’ambiente in generale (compresi gli ecosistemi) sono strettamente collegati e interdipendenti. L’approccio mobilita più settori, discipline e comunità a vari livelli della società per lavorare insieme per promuovere il bene -essere e affrontare le minacce alla salute e agli ecosistemi, affrontando nel contempo la necessità collettiva di acqua, energia e aria pulite, cibo sicuro e nutriente, intervenendo sui cambiamenti climatici e contribuendo allo sviluppo sostenibile.

L’ OHHLEP ha sollevato per primo l’ importanza di introdurre una definizione completa di One Health, allo scopo di promuovere una comune  comprensione di quello che concerne l’ applicazione del suo approccio in tutti i settori e aree di competenza.

Il proseguio di attività specialistiche previste nei settori come salute, cibo, acqua, energia e ambiente si assocerà ad una  collaborazione tra le diverse  discipline al fine di proteggere la salute globale,  affrontando sfide sanitarie come la diffusione di zoonosi emergenti  e della resistenza antimicrobica,  promuovendo nel contempo la conservazione e la tutela  dell’ ecosistema.

L’ approccio adottato si può applicare su più livelli (regionale, nazionale, comunitario, globale) e si basa su più elementi come governance, comunicazione, collaborazione e coordinamento condivisi ed efficaci.

Come riportato sul sito dell’ OIE, il  Tripartito ( FAO, OIE, OMS) e l’UNEP continueranno a coordinare e implementare le attività in linea con lo spirito della nuova definizione OHHLEP di One Health.

Fonte: IZS Lazio e Toscana




Rapporto One Health dell’UE: calo nel 2020 dei casi di malattie zoonotiche riferite nell’uomo e delle infezioni veicolate da alimenti

Nel 2020 è stata la campilobatteriosi la zoonosi maggiormente segnalata nell’UE, con 120 946 casi contro gli oltre 220 000 dell’anno precedente, seguita poi dalla salmonellosi, che ha interessato 52 702 individui contro gli 88 000 dell’anno precedente. Il numero di infezioni veicolate da alimenti ha registrato un calo del 47%. Queste risultanze si basano sulle cifre contenute nell’annuale rapporto “One Health” (salute unica globale) dell’UE sulle zoonosi, curato dall’EFSA e dall’ECDC.

Per spiegare il notevole calo dei casi di malattie zoonotiche riferiti nell’uomo e di infezioni alimentari (tra il 7% e il 53% a seconda della malattia riferita), gli esperti hanno riconosciuto il ruolo determinante svolto in Europa dalla pandemia da COVID-19.

Tra i fattori che possono aver causato il calo nelle segnalazioni: i mutamenti avvenuti nel ricorso all’assistenza sanitaria, le limitazioni a viaggi ed eventi, le chiusure dei ristoranti, la quarantena e altre misure di contenimento come l’uso di mascherine, il distanziamento sociale e la frequente disinfezione delle mani.

Di seguito le malattie più segnalate sono state la yersiniosi (con 5 668 casi) e le infezioni causate da E.coli produttore di Shigatoxina (con 4 446 casi). La listeriosi è stata la quinta zoonosi più segnalata (con 1 876 casi) e ha colpito soprattutto persone di età superiore a 64 anni.

La listeriosi e le infezioni da virus del Nilo occidentale sono state le due malattie con i più alti tassi di mortalità e ricoveri ospedalieri. La maggior parte delle infezioni da virus del Nilo occidentale contratte in loco sono state riferite in Grecia, Spagna e Italia.

Il rapporto esamina anche le infezioni veicolate da alimenti, ovvero eventi durante i quali almeno due persone contraggono la stessa malattia consumando il medesimo cibo contaminato. Un totale di 3 086 focolai infettivi di origine alimentare sono stati segnalati nel 2020. Salmonella è rimasta l’agente infettivo più frequentemente rilevato, causa del 23% dei focolai. Le più comuni fonti di salmonellosi sono state uova, ovoprodotti e carne di maiale.

Si riportano anche dati su Mycobacterium bovis/caprae, Brucella, Yersinia, Trichinella, Echinococcus, Toxoplasma gondii, rabbia, febbre Q e tularemia.

L’EFSA pubblica quest’oggi anche due pagine web per comunicare in maniera interattiva sulle infezioni veicolate da alimenti: una story map e un dashboard. La story map fornisce informazioni generali sulle infezioni alimentari, i loro agenti causali e gli alimenti che fungono da loro veicolo. Il dashboard consente agli utenti di cercare e interrogare la gran mole di dati sulle infezioni alimentari collazionati dall’EFSA e trasmessi da Stati membri dell’UE e altri Paesi dichiaranti sin dal 2015.

Fonte: EFSA