OMS, FAO, OIE: monitoraggio dell’infezione da SARS CoV 2 nella fauna selvatica e prevenzione della formazione di serbatoi animali

OIE OMS FAOL’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) e l’Organizzazione mondiale per la salute animale (OIE) hanno diffuso una dichiarazione congiunta sulla priorità del monitoraggio dell’infezione da SARS CoV 2 nella fauna selvatica e sulla prevenzione della formazione di serbatoi animali.

“Mentre entriamo nel terzo anno di pandemia, SARS-CoV-2, il virus che causa COVID-19, si sta diffondendo intensamente tra le persone a livello globale. Ci sono molti fattori che alimentano la trasmissione. Uno di questi è l’emergere di varianti VOC altamente trasmissibili, l’ultima è Omicron. Il virus continua ad evolversi e il rischio della comparsa di varianti nel futuro è elevato.

Sebbene la pandemia di COVID-19 sia sostenuta dalla trasmissione da uomo a uomo, è noto che il virus SARS-CoV-2 infetta anche le specie animali. Le attuali conoscenze indicano che la fauna selvatica non svolge un ruolo significativo nella diffusione di SARS-CoV-2 negli esseri umani, ma la diffusione nelle popolazioni animali può influire sula salute di queste popolazioni e può facilitare l’emergere di nuove varianti del virus.

Oltre agli animali domestici, sono stati infettati da SARS-CoV-2 anche animali selvatici – in libertà, in cattività o d’allevamento – come grandi felini, visoni, furetti, cervi dalla coda bianca nordamericani e grandi scimmie. Ad oggi, visoni d’allevamento e criceti da compagnia hanno dimostrato di essere in grado di infettare gli esseri umani con il virus SARS-CoV-2, mentre è allo studio un potenziale caso di trasmissione tra un cervo dalla coda bianca e un essere umano.

L’introduzione di SARS-CoV-2 nella fauna selvatica potrebbe portare alla formazione di animali serbatoio. Ad esempio, è emerso che circa un terzo dei cervi dalla coda bianca selvatici negli Stati Uniti d’America è stato infettato da SARS-CoV-2, inizialmente tramite vari eventi di trasmissione uomo-cervo. I lineage rilevati nei cervi dalla coda bianca stanno circolando anche nelle popolazioni umane vicine. È stato dimostrato che i cervi dalla coda bianca diffondono il virus e lo trasmettono tra loro.

La FAO, l’OIE e l’OMS chiedono a tutti i paesi di adottare misure per ridurre il rischio di trasmissione di SARS-CoV-2 tra uomo e fauna selvatica, con l’obiettivo di ridurre il rischio di comparsa di varianti e di proteggere sia l’uomo che la fauna selvatica. Esortiamo le autorità ad adottare le normative pertinenti e a diffondere le raccomandazioni precedentemente rilasciate da FAO, OIE e OMS alle persone che lavorano a stretto contatto o manipolano la fauna selvatica, inclusi cacciatori e macellai, e al pubblico.

Il personale che lavora a stretto contatto con la fauna selvatica dovrebbe essere formato per mettere in atto misure che riducano il rischio di trasmissione tra persone e tra persone e animali, utilizzando i consigli dell’OMS su come proteggersi e prevenire la diffusione del COVID-19 e le Linee guida OIE e FAO sull’uso dei dispositivi di protezione individuale (DPI) e delle buone pratiche igieniche relative agli animali, comprese le buone pratiche igieniche per cacciatori e macellai.

Le prove attuali suggeriscono che gli esseri umani non vengono infettati dal virus SARS-CoV-2 mangiando carne. Tuttavia, i cacciatori non dovrebbero rintracciare gli animali che sembrano malati o raccogliere quelli che vengono trovati morti. Appropriate tecniche di macellazione e preparazione degli alimenti, comprese appropriate pratiche igieniche, possono limitare la trasmissione di coronavirus, incluso SARS-CoV-2, e altri agenti patogeni zoonotici.

FAO, OIE e OMS sottolineano che il pubblico dovrebbe essere educato al contatto con la fauna selvatica. Alcuni animali selvatici possono avvicinarsi agli insediamenti umani e alle aree residenziali. Come precauzione generale, le persone non dovrebbero avvicinarsi o nutrire animali selvatici o toccare o mangiare coloro che sono malati o trovati morti (comprese le vittime di incidenti stradali). Dovrebbero invece contattare le autorità locali per la fauna selvatica o professionisti della salute della fauna selvatica.

È anche fondamentale smaltire in sicurezza il cibo non consumato, le mascherine, i tessuti e qualsiasi altro rifiuto umano per evitare di attirare la fauna selvatica, in particolare nelle aree urbane e, se possibile, tenere gli animali domestici lontani dalla fauna selvatica e dai loro escrementi.

Esortiamo inoltre i servizi nazionali per la salute degli animali e dell’uomo dei paesi ad adottare le seguenti misure:

– Incoraggiare la collaborazione tra i servizi veterinari nazionali e le autorità nazionali per la fauna selvatica, la cui partnership è fondamentale per promuovere la salute degli animali e salvaguardare la salute umana e ambientale.

– Promuovere il monitoraggio della fauna selvatica e incoraggiare il campionamento di animali selvatici noti per essere potenzialmente suscettibili a SARS-CoV-2.

– Condividere tutti i dati sul sequenziamento genetico provenienti dagli studi sulla sorveglianza degli animali attraverso le banche dati pubbliche disponibili.

– Segnalare casi animali confermati di SARS-CoV-2 all’OIE tramite il sistema mondiale di informazione sulla salute degli animali (OIE-WAHIS).

– Creare con attenzione i messaggi su SARS-CoV-2 negli animali in modo che percezioni pubbliche imprecise non influiscano negativamente sugli sforzi per la conservazione degli animali. Nessun animale trovato infetto da SARS-CoV-2 dovrebbe essere abbandonato, rifiutato o ucciso senza fornire una giustificazione basata su una valutazione del rischio specifica per paese o evento.

Come misura di emergenza, sospendere la vendita nei mercati alimentari di mammiferi selvatici vivi catturati.

Le nostre organizzazioni sottolineano l’importanza del monitoraggio dell’infezione da SARS-CoV-2 nelle popolazioni di mammiferi selvatici, riportando i risultati ai servizi veterinari nazionali (che segnalano i risultati all’OIE) e condividendo i dati di sequenziamento genomico su database pubblicamente disponibili. I paesi dovrebbero anche adottare precauzioni per ridurre il rischio di formazione di serbatoi animali e la potenziale accelerazione dell’evoluzione del virus in nuovi ospiti, che potrebbero portare all’emergere di nuove varianti del virus. Tali misure preserveranno la salute della preziosa fauna selvatica così come degli esseri umani.

Invitiamo i governi e gli altri soggetti interessati a portare i contenuti di questa dichiarazione congiunta all’attenzione delle autorità competenti e di tutte le parti interessate”.

Traduzione a cura della segreteria SIMeVeP




Crisi umanitaria e CoViD-19 in Ucraina

L’immane catastrofe umanitaria vissuta dall’Ucraina e dal suo fiero popolo per via della scellerata invasione perpetrata dal folle leader russo Vladimir Putin andrebbe letta e narrata tenendo in debito conto anche la pandemia da SARS-CoV-2, il famigerato betacoronavirus responsabile della CoViD-19.

A tal proposito, le oltre 100.000 morti provocate in due anni dal virus in quel Paese fanno il paio con un esiguo tasso di vaccinazione anti-SARS-CoV-2 della popolazione ucraina, che si attesterebbe intorno al 35%.

La verosimile conseguenza di tutto cio’ sara’ un consistente aumento dei casi d’infezione da SARS-CoV-2, tanto piu’ a motivo dei frequenti e prolungati assembramenti di quella martoriata popolazione (spesso in assenza di adeguati dispositivi di protezione individuale) nei bunker piuttosto che nei sotterranei della metropolitana e degli ospedali, nonche’ nelle stazioni ferroviarie, assembramenti resi inevitabili dagli incessanti quanto drammatici bombardamenti non solo di obiettivi militari, ma anche civili da parte delle forze armate russe.

In un siffatto scenario, che a dire il vero sembra esser rimasto “un po’ in disparte” nella narrazione dell’immane tragedia umanitaria vissuta dalla gente ucraina, l’emergenza e la successiva diffusione di nuove varianti di SARS-CoV-2 dotate di elevata trasmissibilita’ (vedi “omicron”) o, peggio ancora, di marcata patogenicita’ (vedi “delta”) appare un’evenienza probabile oltre che biologicamente plausibile ed, in quanto tale, una sorta di “dramma nella catastrofe”!

Giovanni Di Guardo, gia’ Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria all’Universita’ di Teramo.




Encefalite da zecche: primo caso diagnosticato in un capriolo

Ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) hanno diagnosticato il primo caso di encefalite da zecca (TBE, Tick Borne Encephalitis) in un capriolo, in provincia di Belluno, area in cui la malattia è endemica. Finora non erano mai stati segnalati casi clinici di virus TBE nei cervidi. Questo caso, oltre all’interesse in termini di diagnosi differenziale, riporta l’attenzione sull’importanza della sorveglianza epidemiologica delle zoonosi in un ambiente in costante trasformazione. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica Viruses.

Ricercatori dell’IZSVe hanno diagnosticato il primo caso di encefalite da zecca (TBE) in un capriolo in provincia di Belluno, area in cui la malattia è endemica. Finora non erano mai stati segnalati casi clinici di virus TBE nei cervidi. I ricercatori, con un approccio metagenomico, sono riusciti a sequenziare il genoma virale del caso in questione, confermando una stretta correlazione con il sottotipo europeo del virus.

La TBE, o meningoencefalite primaverile-estiva, è una zoonosi virale acuta del sistema nervoso centrale, trasmessa principalmente attraverso morsi di zecche infette a diversi mammiferi, compreso l’uomo. I vettori della malattia in Europa sono principalmente le zecche Ixodes ricinus. Ad oggi sono noti cinque sottotipi virali, filogeneticamente classificati e caratterizzati per diversa distribuzione geografica e gravità della patologia indotta nell’uomo. In Europa occidentale è prevalente il sottotipo europeo, che presenta un tasso di mortalità inferiore al 2%. I ricercatori, con un approccio metagenomico, sono riusciti a sequenziare il genoma virale del caso in questione, confermando una stretta correlazione con questo sottotipo.

In Italia la presenza del virus è attualmente limitata alla parte nord-orientale. In particolare nella provincia di Belluno, area di provenienza del giovane capriolo, si rilevano circa il 40% di tutti i casi umani di TBE nel nostro paese. L’animale, di un anno d’età, è stato individuato grazie al costante e attento monitoraggio nella zona effettuato dalla Polizia Provinciale, con cui da anni l’IZSVe ha un rapporto di stretta collaborazione. La presenza di gravi sintomi neurologici, in particolare atassia, movimenti barcollanti ed equilibrio precario, tremori muscolari, movimenti ripetitivi della testa, digrignamento dei denti, ipersalivazione e decubito prolungato, ha indotto gli agenti sul campo a considerare prontamente il soggetto per gli accertamenti sanitari.

Il ciclo della TBE dipende da diversi fattori interconnessi tra loro come il clima, la tipologia di territorio e la densità di zecche e degli animali ospite in cui si nutrono. Giocano un ruolo chiave sia gli animali competenti nella trasmissione del virus alle zecche, come i piccoli roditori, sia altri animali come gli ungulati selvatici. Infatti questi ultimi, anche se non competenti nella trasmissione del virus, svolgono un ruolo rilevante nel garantire la sopravvivenza e l’abbondanza delle popolazioni di zecche. Per questo i focolai di TBE hanno una distribuzione irregolare, che va da pochi metri quadrati a diversi chilometri quadrati.

Il caso descritto non è naturalmente da interpretare come un’allerta, in quanto l’area di provenienza era già notoriamente endemica per la malattia, e anche in caso di espansione in un nuovo territorio sarebbe molto più probabile osservare casi prima nell’uomo che negli animali. Questo studio piuttosto, sebbene limitato ad un singolo caso, mette in luce l’importanza della sorveglianza sanitaria sulla fauna e del suo inquadramento nel contesto ecologico, poiché evidenzia per la prima volta la possibilità di un impatto clinico dell’infezione nei ruminanti selvatici.

È importante mantenere alta l’attenzione sulle variazioni imprevedibili nell’epidemiologia delle malattie che possono far aumentare il rischio di infezione per l’uomo.

Fonte: IZS Venezie




Trattamento ad alta pressione: sicurezza degli alimenti senza comprometterne la qualità

logo-efsaIl trattamento degli alimenti ad alta pressione (HPP) è efficace nel distruggere i microrganismi nocivi e non pone maggiori problemi di sicurezza alimentare rispetto ad altri trattamenti. Sono queste due delle conclusioni di un parere scientifico pubblicato dall’EFSA quest’oggi.

Gli esperti dell’EFSA hanno valutato la sicurezza e l’efficacia del processo HPP sugli alimenti e, più specificamente, se possa essere usato per limitare la proliferazione di Listeria monocytogenes negli alimenti pronti al consumo (RTE) e come alternativa alla pastorizzazione termica del latte crudo.

L’HPP è una tecnica di conservazione degli alimenti non termica che elimina i microorganismi responsabili di  malattie o che possono avariare i cibi. Utilizza una pressione intensa per un dato periodo di tempo senza alterare gusto, consistenza, aspetto e valori nutrizionali.

L’HPP può essere usato in diverse fasi della filiera di produzione degli alimenti, di solito su prodotti preconfezionati. Può venire applicato a materie prime come il latte, i succhi di frutta e i frappé, ma anche a prodotti che sono già stati lavorati come la carne cotta affettata e i prodotti alimentari RTE. In quest’ultimo caso riduce in essi la contaminazione proveniente dall’ambiente di produzione, per esempio durante l’affettatura e la manipolazione.

Questo metodo di trasformazione degli alimenti riduce i livelli di Listeria monocytogenes nei prodotti alimentati RTE a base di carne, a determinate combinazioni tempo-pressione specificate nel parere scientifico. In generale più lunga è la durata e l’intensità della pressione, maggior riduzione si ottiene. Si tratta di un risultato importante perché la contaminazione da L. monocytogenes degli alimenti RTE è motivo di preoccupazione per la salute pubblica nell’UE. L’HPP si è rivelato efficace anche nel diminuire i livelli di altri agenti patogeni come Salmonella ed E. coli.

Per il latte crudo gli esperti hanno individuato le combinazioni tempo-pressione che in termini di effetti possono essere considerate equivalenti  alla pastorizzazione termica. Queste variano a seconda dell’agente patogeno in questione.

A livello UE il processo HPP non è disciplinato in modo specifico e la consulenza dell’EFSA fungerà da base per future decisioni dei gestori del rischio in materia.

Fonte: EFSA




L’EFSA valuta ex novo la sicurezza dell’etossichina, un additivo per mangimi

L’EFSA ha valutato nuovamente l’additivo per mangimi etossichina senza poter giungere a conclusioni circa la sua sicurezza per alcuni gruppi di animali, per i consumatori e l’ambiente.

L’etossichina era autorizzata fino al 2017 nell’UE per le sue proprietà antiossidanti come additivo per mangimi destinati a tutte le specie e categorie animali. L’etossichina è usata anche per prevenire la combustione spontanea della farina di pesce durante il trasporto via mare.

La presenza della p-fenetidina, un’impurità che resta nell’additivo dopo il processo produttivo ed è un possibile agente mutageno (cioè può provocare mutazioni nel materiale genetico degli animali e dell’uomo), ha fatto sì che gli esperti del gruppo scientifico dell’EFSA sugli additivi e i prodotti o le sostanze usati nei mangimi non potessero escludere rischi per gli animali con lunga aspettativa di vita né per quelli destinati alla riproduzione. Al contrario l’additivo è considerato sicuro per gli animali allevati per la produzione di carne quali polli, maiali, bovini, conigli e pesci.

A causa della mancanza di dati sulla presenza di p-fenetidina nei tessuti e nei prodotti alimentari di origine animale, gli esperti non hanno potuto trarre conclusioni nemmeno per la salute dei consumatori.

Il gruppo di esperti ha tuttavia evidenziato la necessità di ridurre al minimo l’esposizione degli utenti tramite inalazione a causa della presenza di questa impurità nell’additivo.

Gli esperti non hanno potuto giungere a conclusioni circa la sicurezza dell’etossichina per gli ecosistemi terrestri e acquatici quando l’additivo viene usato negli animali terrestri. Non si può inoltre escludere un rischio di contaminazione tramite la catena alimentare acquatica né un rischio per gli organismi marini esposti ai sedimenti contenenti etossichina usata nelle gabbie per acquacoltura.

La Commissione europea e gli Stati membri, in qualità di gestori del rischio, terranno conto del parere dell’EFSA al momento di riesaminare la sospensiva dell’autorizzazione dell’additivo.

Antecedenti

Nel giugno 2017 la Commissione europea ha sospeso l’autorizzazione dell’etossichina come additivo nei mangimi per tutte le specie animali. La sospensione è seguita a un parere dell’EFSA pubblicato nel 2015, in cui gli esperti dichiaravano di non poter giungere a conclusioni circa la sicurezza dell’additivo a causa di una carenza generale di dati e della presenza di p-fenetidina.

Fonte: EFSA




CovidZoo. Gli umani restano i suoi ospiti preferiti, ma il Sars-CoV-2 si diffonde sempre più tra numerose specie animali

E’ pubblicato sul numero di Panorama del 2 febbraio 2022 un contributo di Massimo Ciccozzi, direttore dell’Unità di Statistica medica ed epidemiologia molecolare all’Università Campus Biomedico di Roma e Giovanni Di Guardo, patologo veterinario, già professore di Patologia generale e Fisiopatologia veterinaria all’Università di Teramo dal titolo CovidZoo.

Gli umani restano i suoi ospiti preferiti, ma il Sars-CoV-2 si diffonde sempre più tra numerose specie animali. L’ultimo caso: un negozio cinese di criceti. Il rischio (assai reale) è che
il coronavirus si ricombini e ci ritorni mutato. Troppo per essere riconosciuto da questi vaccini.

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Animali e varianti di SARS-CoV-2, quali incognite?

covid-19Mentre il numero delle lettere dell’alfabeto greco non ancora utilizzate per designare le varianti di SARS-CoV-2 si assottiglia vieppiù, i dati che vanno emergendo dalla sorveglianza epidemiologica e dagli studi condotti sugli animali documentano un progressivo ampliamento del “range” delle specie sensibili nei confronti dell’infezione naturale, così come di quella sperimentalmente indotta.

Fra queste rientrano, seppur con differenti livelli di suscettibilità, cani, gatti, furetti, criceti, maiali, conigli, leoni, tigri, leopardi delle nevi, puma, iene, cani procione, visoni, cervi a coda bianca, gorilla, ippopotami, otarie ed altre specie ancora.

Di particolare interesse risulta, altresi’, la piu’ o meno recente identificazione in Cina e nel Laos, in pipistrelli del genere Rinolophus, di una serie di sarbecovirus geneticamente correlati (grado di omologia pari se non addirittura superiore al 96%) a SARS-CoV-2 (“Ra-TG13”, “Rm-YN02”, “BANAL-52”, “BANAL-103”, “BANAL-236”), fattispecie quest’ultima che avvalorerebbe in maniera significativa l’origine naturale dell’agente responsabile della CoViD-19, che ha sinora mietuto – dati ufficiali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – ben 6 milioni di vittime su scala globale!

In un siffatto contesto, gli elementi qui di seguito elencati appaiono particolarmente degni di nota:

1) Negli allevamenti intensivi di visoni dei Paesi Bassi e della Danimarca e’ stata segnalata, oltre un anno fa, la comparsa di una peculiare variante di SARS-CoV-2 denominata “cluster 5”, che si sarebbe selezionata nell’organismo dei visoni previa acquisizione del virus dall’uomo (“viral spillover”), al quale lo stesso sarebbe stato quindi “restituito” in forma mutata dai visoni stessi (“viral spillback”).

2) Tassi di sieroprevalenza particolarmente elevati nei confronti di SARS-CoV-2 sono stati recentemente documentati fra i cervi a coda bianca (Odocoileus virginianus) popolanti la regione nord-orientale degli USA (40%) e lo Stato dell’Iowa (80%). Le indagini biomolecolari effettuate su questi ultimi hanno altresi’ consentito di amplificare sequenze genomiche virus-specifiche a livello dei linfonodi retrofaringei in circa un terzo degli esemplari nel cui emosiero erano presenti anticorpi anti-SARS-CoV-2.

3) La notevole omologia di sequenza esistente, a livello della regione specificamente interagente con il “receptor binding domain” (RBD) della glicoproteina “spike” (S) di SARS-CoV-2, fra il recettore virale ACE-2 dell’uomo e quello del cervo a coda bianca accrediterebbe quest’ultimo come una specie di mammifero particolarmente sensibile nei confronti del betacoronavirus responsabile della CoViD-19.

Cio’ e’ stato definitivamente acclarato grazie a due distinti lavori sperimentali, il piu’ recente dei quali ha peraltro documentato la trasmissione diaplacentare dell’infezione nei cervi a coda bianca, unitamente ad una maggior suscettibilita’ degli stessi alla variante “alfa” (alias “B.1.1.7”) di SARS-CoV-2.

4) Casi d’infezione sostenuti dalla variante “alfa” di SARS-CoV-2 sono stati documentati, abbastanza di recente, in un cane e in due gatti di proprieta’ con sospetta miocardite in Francia, dopo che un analogo caso d’infezione era stato segnalato in Piemonte in un altro gatto i cui proprietari erano risultati affetti da CoViD-19.

5) La temibile variante “delta” di SARS-CoV-2 (alias “B.1.617.2”) e’ stata segnalata, alcune settimane fa, in criceti “d’affezione” destinati alla vendita all’interno di appositi negozi per animali in quel di Hong Kong, ove si sarebbero successivamente verificati casi d’infezione sostenuti dalla medesima variante in persone frequentanti i succitati esercizi commerciali.

Ove confermato, quest’ultimo rappresenterebbe il secondo caso documentato di “spillback” di SARS-CoV-2 animale (criceto)-uomo, dopo quanto avvenuto poco piu’ di un anno fa negli allevamenti intensivi di visoni dei Paesi Bassi e della Danimarca (ove sono stati abbattuti ben 17 milioni di esemplari!).

6) La presenza della contagiosissima variante “omicron” (alias “B.1.529”) di SARS-CoV-2 e’ stata appena segnalata fra i cervi a coda bianca residenti nello Stato di New York, cosi’ come in Ohio.

Quali spunti, riflessioni e considerazioni e’ possibile desumere da quanto sin qui esposto?

Una premessa appare indispensabile al riguardo: SARS-CoV-2, il cui genoma consta di circa 30.000 nucleotidi, e’ un RNA-virus e soggiace, come tale, ad un serie di eventi mutazionali la cui frequenza risulta strettamente correlata all’attivita’ replicativa dell’agente patogeno. Detto altrimenti, più il virus si riproduce all’interno delle cellule-ospiti umane e/o animali, piu’ il genoma virale subirà mutazioni.

Ovviamente c’e’ mutazione e mutazione (guai a fare di ogni erba un fascio!), cosicché ad eventi mutazionali “silenti” o “sinonimi” (vale a dire che non producono conseguenze sulla sintesi delle proteine virali) se ne affiacheranno altri di segno opposto, definiti appunto “non silenti” o “non sinonimi”, mentre gli “errori replicativi” potranno esser corretti grazie alla cosiddetta “selezione negativa” o “purificante”, il cui “alter ego” sarebbe costituito dalla “selezione positiva” o “darwiniana”. E proprio quest’ultima sarebbe in grado di permettere al virus di acquisire una serie di caratteri “favorevoli” allo stesso, quali una maggior  trasmissibilita’/contagiosita’ e/o una piu’ spiccata propensione ad eludere la risposta immunitaria indotta da una pregressa infezione e/o dalla vaccinazione, dando cosi’ luogo alla comparsa di reinfezioni da SARS-CoV-2.

La variante “omicron”, albergante in seno al proprio genoma una serie incredibile di mutazioni – cui si aggiungono quelle recentemente identificate nella sotto-variante “BA.2″ della medesima -, sembra ricapitolare tutto ciò in maniera quantomai tangibile ed eloquente, se e’ vero come e’ vero che l'”indice di trasmissibilita’” (il famoso “indice RT”) della stessa sarebbe pari se non addirittura superiore a quello del virus del morbillo (il cui “indice RT” oscillerebbe perlappunto fra 15 e 18), sin qui ritenuto l’agente più diffusivo e contagioso rispetto ai virus noti.

Si calcola che, di pari passo con ogni evento replicativo coinvolgente 10.000 delle 30.000 basi azotate componenti il genoma di SARS-CoV-2, si verificherebbe uno degli eventi mutazionali anzidetti.

In un siffatto scenario, appare oltremodo logico e sensato continuare ad operare e a concentrare i massimi sforzi sullo strategico obiettivo di una quanto più ampia e capillare copertura vaccinale dell’intera popolazione globale, a motivo delle abissali differenze tuttora esistenti, purtroppo, fra Paesi come il nostro e numerosi Paesi africani ed asiatici.

E’ a dir poco sorprendente, di contro, che gli animali – nei cui confronti la vaccinazione anti-CoViD-19 non e’ praticata, fatte salve alcune eccezioni -, così come l’andamento dell’infezione da SARS-CoV-2 fra gli animali – ivi compresa la dianzi ricordata presenza e circolazione, fra gli stessi, di alcune temibili varianti virali -, godano di una considerazione che non esiterei a definire trascurabile, nella migliore delle ipotesi.

Se a tutto ciò si aggiunge, inoltre, l’ancor più sorprendente assenza dei Medici Veterinari dal “Comitato Tecnico-Scientifico” (alias “CTS”), a dispetto degli oltre due anni oramai trascorsi dalla sua istituzione (incredibile visu et auditu!), risulta ben più agevole comprendere, a questo punto, la scarsa considerazione di cui beneficiano – quantomeno nel nostro Paese –  gli animali (e non certo da parte delle Istituzioni Veterinarie nonché dei miei Colleghi Veterinari!) nel disegnare e nel prevedere le future traiettorie evolutive dell’infezione da SARS-CoV-2.

Sic est, ahime/ahinoi e per buona pace della “One Health”, la “salute unica di uomo, animali ed ambiente”, di cui con somma ipocrisia ci si continua a riempire la bocca ad ogni pie’ sospinto!

L’ultimo pensiero di questo mio articolo desidero riservarlo al fiero Popolo Ucraino che, gia’ duramente provato dalla pandemia da SARS-CoV-2 (che in quel Paese ha gia’ fatto oltre 100.000 vittime!), si trova a vivere in queste drammatiche giornate la tragica condizione di una guerra assurda, che sta producendo e, temo, produrra’ nefaste conseguenze non solo su quella Nazione, ma anche sull’intera Europa.

Giovanni Di Guardo

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria nella Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 




Residui di farmaci veterinari negli alimenti: da una decade altissimo il rispetto dei limiti di sicurezza

logo-efsaI residui di farmaci veterinari e di altre sostanze in  animali e alimenti di origine animale nell’Unione europea continuano a diminuire, secondo gli ultimi dati.

I dati di monitoraggio elaborati dall’EFSA per il 2020 sono tratti da 620 758  campioni raccolti dagli  Stati membri dell’UE, da Islanda e da Norvegia. La percentuale di campioni che ha scavalcato i tenori massimi di legge è stata dello 0,19%. Si tratta del dato più basso degli ultimi 11 anni (periodo in cui la non conformità rispetto ai limiti di legge si è attestata tra lo 0,25% e lo 0,37%). La percentuale per il 2019 è stata dello 0,30%.

Rispetto al 2017, 2018 e 2019, nel 2020 i tassi di conformità sono aumentati per agenti antitiroidei, steroidi e lattoni dell’acido resorcilico.

Rispetto al 2017, 2018 e 2019 è stato osservato un aumento della conformità anche per gli antielmintici, i composti organoclorurati, i composti organofosforici, i coloranti e “altre sostanze”.

È possibile consultare tali risultati in modo più particolareggiato e interattivo utilizzando la nostra nuova pagina di visualizzazione dei dati.

Tutti i dati, che racchiudono circa 13 milioni di risultanze, sono disponibili su Knowledge Junction, piattaforma online di libero accesso creata e curata dell’EFSA per migliorare la trasparenza, la riproducibilità e la riusabilità delle evidenze scientifiche nella valutazione dei rischi per la sicurezza di alimenti e mangimi.




Omicron: non è colpa dei topi

Mentre i casi documentati d’infezione da SARS-CoV-2 ammontano a circa 350 milioni su scala mondiale, con poco meno di sei milioni degli stessi a esito infausto (145.000 e più dei quali in Italia), la contagiosissima variante “Omicron” sta imperversando nei due emisferi e nei cinque continenti, preceduta dalla “Delta” ed affiancata dalla neo genita “Omicron 2”, appena identificata in Danimarca.

Secondo uno studio recentemente pubblicato da ricercatori cinesi su Journal of Genetics and Genomics, la variante omicron costituirebbe il frutto di un “progenitore” della stessa, che dall’uomo si sarebbe trasferito al topo (spillover), che avrebbe ritrasmesso il virus mutato in guisa di omicron all’uomo stesso (spillback). Per quanto suggestiva ed affascinante – e nella pur totale consapevolezza dei molteplici salti di specie e delle innumerevoli traiettorie evolutive che SARS-CoV-2 potrebbe aver compiuto dalla sua origine fino ai giorni nostri – l’ipotesi anzidetta (che per gli Autori dello studio in oggetto corrisponde quasi ad una certezza!), non sembra poggiare su solide basi scientifiche.

Da un punto di vista comparativo, il grado di omologia di sequenza esistente fra il recettore virale ACE-2 umano e quello murino, saltano subito agli occhi le eccessive differenze caratterizzanti la molecola in questione nelle due specie, con particolare riferimento alla regione di ACE-2 specificamente coinvolta nell’interazione con il receptor-binding domain della glicoproteina Spike (S) di SARS-CoV-2, una sequenza di 25 aminoacidi di rilevanza cruciale ai fini dell’adesione e del successivo ingresso del virus nelle cellule ospiti. Si tratta, pertanto, di una teoria che, pur nel fascino e nella suggestione che la stessa sarebbe in grado di evocare, non sembra godere al momento di sufficiente plausibilità biologica.

Inoltre, la diffusione “virale” di tale notizia può mettere in allarme i proprietari di cani e gatti indotti a credere che i loro beniamini potrebbero dare origine a varianti contagiosissime. Le persone infette o sofferenti per COVID-19 che convivono con cani, gatti o altri animali in casa devono sapere, infatti, che il virus può “trasferirsi” soprattutto ai gatti, i quali possono manifestare una patologia respiratoria. Dunque, meglio evitare contatti stretti. Infine, al momento non ci sono ancora evidenze scientifiche che dimostrano un qualche ruolo dei nostri amati amici a quattro zampe nella trasmissione del coronavirus. Sono pertanto auspicabili ulteriori studi – condotti, si spera, in ossequio al principio della One Health – per meglio definire la relazione tra potenziali serbatoi animali di coronavirus e la possibilità di spillback animale-uomo.

Giuseppe Borzacchiello* e Giovanni Di Guardo**

*Professore di patologia generale e anatomia patologica veterinaria  – Dipartimento di Medicina Veterinaria Università degli Studi di Napoli
** Già professore di Patologia generale e Fisiopatologia generale Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Teramo

 




Borsa di studio Olivia Bessi a laureato in Medicina veterinaria

Per onorare la memoria della Dr.ssa Olivia Bessi, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ha indetto una Selezione pubblica per titoli ed eventuale colloquio, per il conferimento di una borsa di studio a laureato in Medicina Veterinaria autore di tesi di laurea e/o pubblicazioni in cui sia stato sviluppato il tema dell’Influenza aviaria oppure delle malattie infettive e sanità pubblica.

La borsa di studio è da usufruirsi nell’ambito del progetto “Aggiornamento dello stato delle conoscenze in merito all’efficacia protettiva dei vaccini contro il virus del sottotipo H5 del clade 2.3.4.4b” presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro (PD).

Il progetto ha l’obiettivo di aggiornare lo stato delle conoscenze in merito all’efficacia protettiva dei vaccini attualmente registrati in Europa contro virus del sottotipo H5 del clade 2.3.4.4b.
La borsa di studio avrà la durata di 12 mesi, eventualmente prorogabili in conformità a quanto previsto dal vigente Regolamento per il conferimento di borse di studio.

Tutte le informazioni sul sito dell’Izs delle Venezie