L’ostracismo verso la Scienza, cifra distintiva del Governo Trump

Non ancora appagato dai rimpatri forzatamente imposti agli immigrati sudamericani, l’ostracismo di Donald Trump e della sua Amministrazione si rivolge adesso all’immigrazione intellettuale, quella “forza lavoro” che ha contribuito a rendere grande l’America!

Brillano per numerosita’ ed operosità, al suo interno, i nostri connazionali, con ben 2.500 fra studenti, ricercatori e professori popolanti la comunità accademica di Harvard, la più prestigiosa Università statunitense, verso cui puntano vieppiu’ gli acuminati strali scagliati dalla Ministra Kristi Noem.

Si tratta di un allarmante ostracismo nei confronti della Scienza, che a mo’ di beffa del destino sta affliggendo quella stessa Nazione che intere schiere e moltitudini di scienziate e di scienziati, me compreso, da tempo immemore considerano un vero eproprio “Eden della Scienza”!

In tali incomprensibili dinamiche s’inserisce pure il manifesto atteggiamento “no vax” del Ministro della Salute Robert Kennedy Jr., che fa il paio sia con l’incomprensibile fuoriuscita degli USA dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sia con l’insofferenza verso la Comunità Scientifica di cui Donald Trump aveva già offerto eloquenti testimonianze nel corso della drammatica pandemia da CoViD-19.

Errare humanum est perseverare autem diabolicum!

 

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 

 




Resistenza all’amitraz nella varroa: uno studio pubblicato dal Centro di referenza nazionale per l’apicoltura fa il punto a livello globale

apicolturaLe api da miele (Apis mellifera) svolgono un ruolo cruciale nell’impollinazione delle colture agricole e nella conservazione degli ecosistemi naturali. Tuttavia, la sopravvivenza delle colonie è sempre più minacciata da numerosi fattori, tra cui l’infestazione da Varroa destructor, un acaro parassita considerato tra le principali cause di perdita delle colonie.

Per contrastare la varroa, gli apicoltori utilizzano strategie integrate, tra cui trattamenti chimici a base di acaricidi. Tra questi, l’amitraz è da anni uno dei principi attivi più utilizzati, considerato efficace e con basso rischio di sviluppo di resistenza.

Tuttavia, un recente studio realizzato dal Centro di referenza nazionale per l’apicoltura dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), pubblicato sulla rivista scientifica Insects, evidenzia come anche l’uso diffuso dell’amitraz stia selezionando popolazioni resistenti di varroa.

Attraverso una revisione sistematica della letteratura, sono stati selezionati 74 studi globali riguardanti l’efficacia e la resistenza all’amitraz. I risultati mostrano che solo il 31,7% dei test in laboratorio raggiunge un’efficacia superiore al 95%, valore considerato ottimale. Inoltre, test condotti in diversi Paesi – inclusi Francia, Repubblica Ceca, USA e Argentina – segnalano un aumento progressivo dei livelli di resistenza.

Lo studio sottolinea la necessità urgente di programmi di monitoraggio a livello nazionale e strategie di gestione più consapevoli. In particolare, è fondamentale evitare un uso improprio degli acaricidi, promuovere la rotazione dei principi attivi nei trattamenti e investire nella ricerca su nuovi metodi di controllo.

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Fonte: IZS Venezie




Dati e intelligenza artificiale in medicina veterinaria: dall’Ema il piano europeo per il futuro della salute pubblica

datiIn un’epoca in cui l’intelligenza artificiale e i big data stanno rivoluzionando ogni settore, anche la salute animale difende oggetto di innovazione.

L’Agenzia europea per i medicinali (Ema) ha infatti presentato – insieme al network dei responsabili delle agenzie regolatorie nazionali (Hma) – un piano strategico che punta a trasformare la gestione regolatoria dei farmaci veterinari attraverso l’uso intelligente dei dati.

L’obiettivo: migliorare la salute animale e pubblica in tutta l’Unione europea entro il 2028, ottimizzando ogni fase della regolazione. Dalla sperimentazione clinica alla sorveglianza post-marketing.

Un piano per il futuro: dati e intelligenza artificiale fino al 2028

Il documento programmatico, intitolato Data and AI in Medicines Regulation to 2028”, si inserisce nella cornice più ampia della trasformazione digitale delle istituzioni europee. La strategia si basa su tre assi portanti:

  1. Governance dei dati: definizione di standard etici e normativi per il trattamento delle informazioni;

  2. Capacità analitica: rafforzamento delle competenze nella gestione di dati complessi e non strutturati;

  3. Innovazione regolatoria: uso di tecnologie predittive e machine learning per guidare le decisioni.

Perché i Big Data sono cruciali per la salute animale?

Tutti i dati – provenienti da studi clinici, pratiche veterinarie, allevamenti e farmacovigilanza – contengono informazioni preziose che possono prevedere l’insorgenza di epidemie zoonotiche, monitorare l’efficacia e la sicurezza dei farmaci veterinari, supportare lo sviluppo di nuovi trattamenti e prevenire fenomeni di resistenza antimicrobica.

Attraverso la rete Darwin Eu, l’Ema mira a integrare questi dati in tempo reale, creando un ecosistema europeo di sorveglianza sanitaria digitale.

Una strategia che già oggi si concretizza attraverso diversi progetti pilotta: dall’analisi dei dati individuali riportati negli studi clinici per valutare i benefici dell’accesso granulare alla sperimentazione di modelli di intelligenza artificiale per identificare segnali di rischio precoce nei trattamenti veterinari, fino al coinvolgimento di partner pubblici e privati per condividere infrastrutture tecnologiche e modelli predittivi.

In parallelo, si sta lavorando a un ampliamento della rete Darwin Eu per estendere la raccolta e l’elaborazione di real world data anche al settore veterinario.

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Fonte: aboutpharma.com




T-Racing, la tecnologia che aiuta a tracciare le malattie negli allevamenti

L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise ha sviluppato T-Racing, una nuova applicazione che consente di seguire con precisione la diffusione delle malattie negli allevamenti animali. Questo strumento innovativo, recentemente descritto sulla rivista scientifica PLOS ONE, è stato progettato per facilitare le indagini epidemiologiche, rendendo più semplice e immediata l’identificazione degli allevamenti esposti a infezioni.

Il funzionamento di T-Racing si basa su un metodo chiamato “analisi delle reti di spostamento”, che permette di visualizzare gli spostamenti degli animali come una rete dinamica di collegamenti tra allevamenti, incorporando anche la dimensione temporale. Grazie a questa rappresentazione, diventa più semplice identificare i percorsi delle infezioni e gli allevamenti maggiormente a rischio. Inoltre, la trasformazione automatica di dati complessi in informazioni operative rende più immediata l’azione delle autorità sanitarie. “Abbiamo progettato T-Racing – spiega il dottor Luca Candeloro, primo nome della ricerca – per rendere queste analisi accessibili a chi lavora sul campo, senza bisogno di conoscenze informatiche avanzate. L’applicazione integra dati ufficiali e li trasforma in uno strumento operativo per il contenimento delle malattie”.

L’efficacia di T-Racing è stata dimostrata tramite l’applicazione su focolai di brucellosi e tubercolosi bovina, due malattie che richiedono un monitoraggio rigoroso degli animali. Tradizionalmente questo tipo di analisi richiede un lungo processo manuale di raccolta e incrocio di dati provenienti da diverse fonti. T-Racing semplifica invece il processo rendendolo rapido e intuitivo, consentendo di identificare rapidamente le vie più probabili di trasmissione e gli allevamenti coinvolti. Inoltre, permette di integrare ulteriori informazioni, come dati provenienti da analisi genetiche dei patogeni, che ne potenziano ulteriormente le capacità operative.

Si tratta di un concreto esempio di come la tecnologia possa supportare la sanità pubblica veterinaria, migliorando le strategie di contenimento delle infezioni negli allevamenti e contribuendo alla prevenzione delle zoonosi, cioè quelle infezioni che possono essere trasmesse anche agli esseri umani. “Tracciare rapidamente la diffusione delle malattie – dice la dottoressa Lara Savini, secondo autore dello studio – è essenziale sia per la salute animale che per quella umana, in una prospettiva pienamente aderente al concetto di One Health”.

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Fonte: IZS Teramo




Report ECVAM 2024 sui metodi alternativi all’utilizzo di animali

Report ECVAM 2024 sui metodi alternativi all’utilizzo di animali

E’ stato pubblicato il Report EURL (European Union Reference Laboratory) -ECVAM (European Centre for the Validation of Alternative Methods), un documento sui metodi alternativi all’utilizzo degli animali nella ricerca scientifica prodotto dai Laboratori di Referenza Nazionali per i Metodi Alternativi. Il rapporto evidenzia i progressi nel contribuire agli sforzi dell’UE al fine ridurre e infine eliminare l’uso di animali nei test e nella ricerca.

Alcune conclusioni chiave:

– Boom della biotecnologia: una crescita senza precedenti nel settore biotecnologico sta guidando l’innovazione e trasformando molti settori, tra cui la ricerca biomedica, lo sviluppo di medicinali e i test in vitro.

– Standard per l’innovazione biotecnologica in vitro: il lavoro dell’ECVAM è stato determinante nel guidare gli sforzi di standardizzazione nel settore biotecnologico in vitro, incluso il contributo a una tabella di marcia di standardizzazione prodotta dal CEN-CENELEC Focus Group on Organ on Chip.

– Migliore protezione dei lavoratori e dei consumatori dalle sostanze chimiche mutagene: l’ECVAM sta guidando un gruppo di lavoro informale presso l’ONU per aggiornare i criteri di classificazione GHS per migliorare l’identificazione delle sostanze chimiche mutagene e fare un uso migliore dei dati sui pericoli non animali.

– Roadmap per eliminare gradualmente la sperimentazione sugli animali: stiamo supportando attivamente la preparazione della roadmap della Commissione per accelerare la sostituzione della sperimentazione sugli animali nelle valutazioni della sicurezza chimica.

Leggendo il rapporto completo (Report EURL-ECVM 2024) si possono approfondire i diversi punti citati e prendere visione dei progetti in atto per la sostituzione degli animali nella ricerca

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FONTE: IZS Lombardia ed Emilia Romagna




Residui di pesticidi negli alimenti: com’è la situazione nell’UE?

Il rischio per la salute umana da residui di pesticidi rimane basso, in linea con i dati degli anni precedenti, ha dichiarato l’EFSA nel suo nuovo rapporto annuale. L’EFSA ha analizzato migliaia di campioni da prodotti di consumo comune raccolti nel 2023.

Il rapporto analizza le informazioni sui residui di pesticidi raccolte tramite programmi di monitoraggio sia casuali che mirati. L’EFSA pubblica inoltre uno strumento interattivo che permette agli utenti di consultare i dati tramite grafici e diagrammi.

Il campionamento casuale mostra risultati costanti

Nell’ambito del programma di controllo coordinato dall’UE (EU MACP) l’EFSA ha analizzato i risultati di 13 246 campioni casuali prelevati dagli Stati membri dell’UE, da Norvegia e da Islanda da  12 prodotti alimentari di maggior consumo nell’UE.

Questo programma campiona ogni tre anni gli stessi prodotti allo scopo di monitorare le tendenze. Per il 2023 sono stati considerati: carote, cavolfiori, kiwi (verde, rosso e giallo), cipolle, arance, pere, patate, fagioli secchi, riso integrale, segale, fegato bovino e grasso di pollame.

Da questo sottoinsieme di campioni analizzati nell’ambito del programma il 99% è risultato conforme alla legislazione europea. Tale risultato è coerente con i risultati ricavati nel 2020 (99,1%), quando fu campionata la stessa selezione di prodotti.

Dei campioni del 2023 il 70% non presentava livelli quantificabili di residui, mentre il 28% conteneva uno o più residui entro i limiti di legge. I livelli massimi di residui (LMR) sono stati superati nel 2% dei campioni, di cui l’1% non era conforme considerando l’incertezza di misura.

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Fonte: EFSA




Diminuiscono i focolai di peste suina africana nei suini dell’UE

Lo scorso anno i focolai di peste suina africana (PSA) nei suini domestici sono diminuiti dell’83% rispetto al 2023 (da 1929 a 333),  si apprende dall’ultimo rapporto epidemiologico annuale dell’EFSA. Il calo è dovuto principalmente alla diminuzione di focolai in Romania e Croazia e rappresenta il numero totale annuale più basso di focolai nell’UE dal 2017.

Il rapporto evidenzia anche che il numero di Stati membri dell’UE interessati dalla PSA è diminuito per la prima volta dal 2014, passando da 14 a 13, con la Svezia ora indenne dalla malattia e nessun nuovo Paese che abbia segnalato infezioni.

In un’ottica più ampia, la maggior parte degli Stati membri è stata interessata da focolai sporadici di PSA, mentre è la Romania ad aver avuto il 66% del numero totale di focolai nell’UE. La maggior parte di essi (il 78%) si è verificata in allevamenti con meno di 100 suini.

Il numero di focolai nei cinghiali selvatici è rimasto stabile dal 2022. Il rapporto EFSA indica anche che il 30% di tutti i focolai nei cinghiali selvatici è stato segnalato dalla Polonia.

Nel 2024 gli Stati membri interessati hanno analizzato un numero crescente di campioni di suini domestici provenienti da attività di sorveglianza passiva. Questo tipo di sorveglianza consiste nell’indagare i casi sospetti di malattia e ha permesso di individuare l’80% circa dei focolai di PSA tra i suini domestici e il 70% dei focolai tra i cinghiali selvatici dell’UE.

Gli scienziati dell’EFSA raccomandano agli Stati membri interessati di continuare a mirare le misure di monitoraggio alla sorveglianza passiva. Raccomandano inoltre di continuare a eseguire, nelle aree e nei periodi considerati a rischio, il campionamento sistematico dei suini morti (sorveglianza passiva rafforzata) onde garantire l’individuazione precoce della malattia.

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Fonte: EFSA




Economia circolare: dalla terra al mare più spazio alle PAT

Al convegno organizzato a Roma, Assograssi ha chiesto di rimuovere le restrizioni all’utilizzo in acquacoltura delle Proteine Animali Trasformate da ruminante, e, in generale, di rivedere i vincoli al loro impiego nella nutrizione animale, legati alla crisi della “mucca pazza” di oltre vent’anni fa.

Costi di produzione decisamente inferiori, prodotti migliori dal punto di vista nutrizionale, sostenibilità per l’intera filiera e minore dipendenza dall’import: ampliare l’impiego delle Proteine Animali Trasformate (PAT), in particolare da ruminante, avrebbe un impatto molto positivo sull’acquacoltura italiana. Inoltre, allargarne l’utilizzo a tutti i segmenti della nutrizione animale, superando finalmente i divieti legati alla crisi della BSE (la cosiddetta “mucca pazza”) di oltre vent’anni fa, significherebbe rendere più efficienti i processi produttivi e accrescere la competitività di tutta la filiera italiana delle carni. Lo ha ribadito Assograssi, in occasione del convegno “Dalla terra al mare: le proteine animali come risorsa per un’acquacoltura efficiente e sostenibile”, svoltosi oggi a Roma alla presenza dei rappresentanti del mondo associativo e istituzionale.

Assograssi, è socio aggregato di ASSITOL, l’Associazione italiana dell’industria olearia aderente a Confindustria, e rappresenta circa l’80% del rendering in Italia, settore che dà una seconda vita ai residui della lavorazione delle carni, all’insegna del “no waste”, valorizzandoli per poi mettere sul mercato detergenti, fertilizzanti, petfood, mangimi per animali da allevamento.

I dati del 2024 descrivono un comparto solido: le imprese del rendering hanno trasformato 1.427.000 tonnellate di sottoprodotti di orIgine animale, per un fatturato di oltre 700 milioni di euro. Tuttavia, il settore potrebbe guadagnare in sostenibilità e redditività, se l’Unione Europea alleggerisse i divieti, ancora in vigore, sull’impiego delle PAT nell’alimentazione degli animali da allevamento.

“Grazie all’esperienza e al know-how delle nostre aziende – ha sottolineato Paolo Valugani, presidente di Assograssi -, le Proteine Animali Trasformate sono di alta qualità, frutto al 100% di un sistema consolidato di economia circolare, che mette sul mercato materie prime per mangimi sottoposte a controlli severi. Eppure, proprio in Europa, dove le proteine animali trasformate sono molto più sicure dal punto di vista sanitario che altrove, le restrizioni sul loro impiego, imposte ai tempi della BSE, sono persino più dure di quelle imposte dalla WOAH, l’Organizzazione mondiale per la sanità animale”. Un vero paradosso se si pensa che, oggi, il rischio “mucca pazza” sul territorio UE è considerato trascurabile, grazie al sistema di biosicurezza costruito dal settore del rendering.

“La pandemia prima, le tensioni internazionali poi, hanno fatto emergere il problema della feed security, la sicurezza negli approvvigionamenti”. Per questa ragione, Assograssi, già da alcuni anni, chiede di riscrivere le regole, rimuovendo il “feed ban”, il complesso di restrizioni che consentono l’impiego delle proteine animali trasformate soltanto in alcuni segmenti della nutrizione animale.

In questo contesto, l’acquacoltura è un settore con ottime potenzialità di crescita – oltre 400 milioni di fatturato nel 2023 per 800 siti produttivi in tutta Italia -, in cui l’apertura alle proteine animali è già in atto. Negli allevamenti ittici, infatti, le PAT da non ruminante (pollo e suino), si utilizzano già. Tuttavia, i quantitativi prodotti non sono sufficienti per l’attuale fabbisogno mangimistico, quindi si impiegano anche proteine vegetali e farine di pesce, che l’Europa e la stessa Italia sono costrette ad importare. “Il ricorso più ampio alle PAT ci aiuterebbe a diminuire l’import, aumentando la sostenibilità economica del comparto – ha osservato Valugani -. In Europa, siamo sempre di più a chiederlo”. Un esempio in tal senso arriva dalla Norvegia, paese che vede nell’acquacoltura una delle principali voci di bilancio: l’agenzia nazionale per la sicurezza alimentare ha scritto di recente alla Commissione Europea, ricordando i dati scientifici che attestano la marginalità dei rischi da BSE e chiedendo all’EFSA, l’agenzia europea per la food security, una nuova valutazione sulla situazione attuale.

Il consumo di pesce, raccomandato dai nutrizionisti per la sua leggerezza ed il minore apporto calorico, è aumentato sensibilmente negli ultimi anni. In Italia si è attestato sui 30 kg pro-capite: per rispondere ad una domanda così importante, si ricorre all’import – il 75% del pesce che compare sulle nostre tavole proviene dall’estero – e all’acquacoltura. Proprio questo segmento, come ha evidenziato Andrea Fabris, direttore generale dell’Associazione Piscicoltori Italiani (API), in futuro svolgerà un ruolo centrale nel garantire un’alimentazione sana e sostenibile. “L’acquacoltura, ed in particolare l’allevamento ittico, svolgono un ruolo importante nel fornire un alimento con elevato valore nutritivo, come affermato anche dalla FAO. La disponibilità di materie prime, derivanti da processi di economia circolare, può far crescere ancor più la sostenibilità della nostra attività. Il costante controllo e tracciabilità delle PAT assicurano la sicurezza alimentare, contribuendo a migliorare le formulazioni dei mangimi che potranno sempre meglio soddisfare le esigenza fisiologiche e di benessere dei pesci allevati. Ulteriore obiettivo che può essere raggiunto è quello di una sempre crescente accettabilità sociale dell’acquacoltura,  in grado di incontrare le richieste  e i gusti dei consumatori”. I pesci, animali carnivori, con una dieta a base di proteine animali, risulterebbero meglio nutriti.

“L’accesso a un più ampio ventaglio di materie prime proteiche – ha dichiarato Lea Pallaroni, direttore generale di Assalzoo – rappresenta oggi una priorità strategica per il settore mangimistico. In quest’ottica, e alla luce delle normative europee che ne disciplinano la produzione, le PAT costituiscono non solo una risorsa sicura e preziosa, ma un ingrediente essenziale, soprattutto considerando che l’acquacoltura italiana è orientata prevalentemente verso specie carnivore”. Ferma restando la necessità, come finora garantito dal legislatore, che ogni apertura normativa sia fondata su evidenze scientifiche a tutela della sicurezza degli animali e dei consumatori, l’estensione dell’uso delle PAT da ruminante comporterebbe un duplice vantaggio: una maggiore disponibilità di prodotto e una semplificazione nell’impiego anche delle Proteine animali trasformate da suino, andando ad alleggerire il fabbisogno di materie prime proteiche importate quali farine di pesce e di soia. L’esperienza della riapertura all’uso delle PAT da suino e avicolo, per la quale sono trascorsi dieci anni tra la modifica normativa e il loro effettivo impiego, dimostra l’importanza di un coinvolgimento della GDO anticipato per condividere un percorso comune.

A fronte dei vincoli europei, la concorrenza dei Paesi extra-Ue penalizza fortemente la filiera italiana del rendering. “Non potendo contare su consumi adeguati, esportiamo le PAT da ruminante in tutto il mondo – ha osservato Dario Dinosio, vicepresidente vicario di Assograssi –. I nostri piscicoltori, invece, devono subire la concorrenza estera, per giunta spendendo di più a causa dell’import”. Eppure, sostituire le farine di pesce e le proteine vegetali, attualmente preponderanti nella mangimistica per acquacoltura, avrebbe forti benefici sui bilanci della filiera. “Grazie alle Proteine Animali Trasformate da ruminante, l’acquacoltura potrebbe contare su una maggiore disponibilità di materie prime: ciò avvantaggerebbe non soltanto le aziende del rendering ed i produttori di mangimi, ma diminuirebbe anche i costi finali per i piscicoltori, rendendo più sostenibile e proficua la loro attività dal punto di vista economico”.

L’impiego esteso delle proteine da ruminante rafforzerebbe, inoltre, la circolarità del settore del rendering e dell’acquafeed. “I vantaggi sono tanti ed evidenti – ha spiegato Luca Papa, vicepresidente di Assograssi – una maggiore autonomia dall’import, una minore impronta di carbonio, quindi una maggiore sostenibilità ambientale e, in generale, costi di produzione molto più ridotti per l’intera filiera delle PAT, se si potesse contare su quantitativi maggiori di materie prime per mangimi prodotte in Italia e non importate”. Al consumatore, ha ricordato Papa, “è però necessario raccontare la sostenibilità di questi prodotti con un’etichettatura adeguata, che descriva l’impegno sulla sostenibilità delle aziende e la circolarità dei nostri processi produttivi”.

Ufficio stampa: Silvia Cerioli, cell. 3387991367

 




Dossier – Contaminazione fisica e sicurezza alimentare: i rischi globali si disvelano

La prevenzione della contaminazione fisica rappresenta una pietra angolare della sicurezza alimentare, con implicazioni che spaziano dalla salute del singolo consumatore alle complesse dinamiche del commercio internazionale.

Questo dossier propone un’analisi mirata che va oltre una semplice panoramica generale. Pur riconoscendo il ruolo fondamentale degli standard internazionali (Codex Alimentarius, ISO) e la convergenza osservata nei contesti normativi globali, il testo esamina in modo critico la realtà operativa, soffermandosi in particolare sull’ampio ‘iceberg’ costituito dagli episodi di contaminazione fisica non segnalati, che non vengono registrati nei database pubblici dei richiami a causa delle modalità con cui vengono gestite le azioni regolatorie.

Il confronto tra sistemi normativi e di controllo nelle principali aree geografiche mette in relazione questi approcci con le lacune informative attualmente esistenti. Inoltre, approfondisce l’applicazione degli standard consolidati per la gestione della sicurezza alimentare e analizza il potenziale offerto dalle tecnologie innovative e dalla ricerca scientifica, strumenti fondamentali per il miglioramento della rilevazione e prevenzione dei pericoli fisici lungo tutta la filiera alimentare.

La contaminazione fisica nella sicurezza alimentare si riferisce alla presenza di materiali estranei, spesso visibili, non destinati al consumo umano. I corpi estranei più diffusi nei prodotti alimentari sono:

  • frammenti di vetro, pezzi metallici, schegge di plastica, nonché
  • materiali naturali quali pietre, schegge di legno, insetti e parti di animali, ovvero
  • unghie e capelli umani.

Le cause della contaminazione fisica degli alimenti possono venire ricondotte a:

  • fattori accidentali, legati a contaminazioni delle materie prime, guasti nelle attrezzature, presenza di parassiti, errori umani (incluse scarse pratiche igieniche e carenza di controlli);
  • adulterazioni volontarie, con intenti di frode o di danno (alla reputazione degli operatori e/o alla salute pubblica).

La contaminazione fisica dei prodotti alimentari è a sua volta fonte di diversi pericoli e richiede un’analisi concreta, caso per caso, dei rischi di:

  • causare danni diretti ai consumatori, che vanno da lesioni minori a esiti gravi tra cui soffocamento o danni interni;
  • fungere da vettori per la contaminazione biologica o chimica, potenzialmente ospitando batteri nocivi e altre sostanze.

Oltre ai rischi per la salute, gli incidenti di contaminazione fisica possono provocare significative conseguenze economiche per gli operatori delle filiere alimentari, inclusi costosi richiami di prodotti, danni alla reputazione del marchio e potenziali responsabilità legali.

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Fonte: foodtimes.eu




Aumento delle temperature e resistenza agli antimicrobici: un legame allarmante

AntibioticoresistenzaL’antibiotico resistenza, o più propriamente la resistenza agli antimicrobici senza dimenticare anche le resistenze contro altri microrganismi, quali funghi, virus e protozoi, riguarda una moltitudine di microrganismi. E tanti sono anche i fattori che possono concorrere ad aumentarne o alleggerirne il peso sulla nostra salute. E tra questi un ruolo di primo piano potrebbe averlo anche il clima, motivo per cui le azioni di prevenzione nella lotta al fenomeno non dovrebbero dimenticarlo.

A mettere sul piatto la questione questo, fornendo un’analisi dettagliata – sebbene con qualche inevitabile lacuna, come gli stessi autori riconoscono – è uno studio appena apparso sulle pagine di Nature Medicine. Nella loro analisi il team di Lianping Yang della Sun Yat-sen University di Guangzhou ha raccolto i dati provenienti da alcuni sistemi di sorveglianza antimicrobica di un centinaio di paesi relativi alle analisi compiute su oltre trenta milioni di colture batteriche di sei tra i principali microrganismi resistenti. Si tratta, in particolare, di Escherichia coli Klebsiella pneumoniae resistenti a cefalosporine di terza generazione e di E.coli, K.pneumoniae, Acinetobacter baumanni e Pseudomonas aeruginosa resistenti ai carbapenemi.

Oms: ogni anno 1,2 milioni di morti

Una volta raccolti i dati, relativi al periodo che va dal 1999 al 2022, i ricercatori hanno estrapolato delle stime di prevalenza della resistenza agli antimicrobici insieme a dei trend temporali. In questo modo hanno osservato che, in media, dal 2000 il fenomeno è cresciuto nella stragrande maggioranza dei paesi analizzati, con un ritmo più elevato nei paesi a basso e medio reddito. Secondo i dati disponibili, inoltre, la prevalenza della resistenza agli antimicrobici – che secondo l’Oms, ogni anno causa 1,27 milioni di morti direttamente e concorre al decesso di 5 milioni di persone – risulta maggiore nell’Asia meridionale, nel Medio Oriente, nel Nord Africa e nell’Africa subsahariana.

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Fonte: repubblica.it