Nuovo libro bianco dell’OHHLEP sulla prevenzione delle ricadute zoonotiche

La diffusione delle Zoonosi  è riconosciuta come  causa predominante delle malattie infettive emergenti e come responsabile  principale delle recenti pandemie. Il Gruppo multidisciplinare di esperti di alto livello One Health (OHHLEP) ha recentemente pubblicato un documento nel quale si sottolinea  la necessità di ridurre il rischio di insorgenza di malattie zoonotiche  attraverso migliori misure di prevenzione, promuovendo così un approccio più efficiente di contrasto alla diffusione di tali malattie.

Gli sforzi per arginare le epidemie vengono solitamente messi in campo per contenere focolai già in atto, diverso sarebbe se le risorse fossero dedicate alla riduzione dei rischi direttamente alla fonte.

Il Quadripartito, ( FAOOMSUNEP e WOAH)  accoglie con favore l’appello dell’OHHLEP nel sollecitare e promuovere la prevenzione, allineare le strategie, colmare le lacune esistenti a Sistema  al fine di evitare  lo spillover zoonotico.

Prevenire il passaggio di agenti patogeni dagli animali all’ uomo significherebbe spostare il paradigma da “ reattivo a proattivo”, in un approccio One Health, prendendo in considerazione così anche tutta una serie di fattori più  generali, che vanno dal cambiamento climatico alle  pratiche di base per la salute umana, animale e al benessere degli animali.

Tale approccio, non solo aiuterebbe a prevenire nuove epidemie e pandemie, ma fornirebbe anche significativi benefici economici, sociali e ambientali, tra i quali ad esempio quello della riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra.

Fonte: IZS Lazio e Toscana




West Nile Virus, situazione e prevenzione

Quest’anno la stagione di trasmissione di malattie trasmesse da insetti ha avuto un inizio precoce in Italia. La circolazione del virus West Nile, infatti, è stata infatti confermata dalla presenza del virus in pool di zanzare e in avifauna nel paese già nel mese di maggio 2023. Sono state di conseguenza attivate precocemente le misure di prevenzione su trasfusioni e trapianti nelle aree interessate,

Sebbene ad oggi non siano stati notificati casi confermati di infezione nell’uomo da virus West Nile contratti nei mesi di aprile e maggio 2023, è possibile che la circolazione di questo o di altri patogeni trasmessi da insetti possa aumentare nelle prossime settimane.

Si sono inoltre verificate emergenze idro-geologiche per eventi climatici estremi in diverse Regioni Italiane. Dal 15 maggio 2023 una forte ondata di maltempo sta interessando in particolare numerose province della Regione Emilia-Romagna dove si sono registrate esondazioni e frane (Fonte: Dipartimento della Protezione Civile). Inondazioni, esondazioni ed alluvioni sono associate all’aumento del rischio di alcune malattie infettive, incluse le arbovirosi trasmesse da zanzare, come il virus West Nile, endemico in Italia, e i virus dengue e chikungunya, che hanno dato luogo a focolai sporadici nel nostro paese.

Prevenzione

Attualmente non esiste un vaccino per la febbre West Nile. Malgrado siano allo studio dei vaccini, per il momento l’unico strumento preventivo contro la diffusione dell’infezione è soprattutto la riduzione  dell’esposizione a punture di zanzare, durante il periodo favorevole alla trasmissione.

Pertanto è consigliabile proteggersi dalle punture ed evitare che le zanzare possano riprodursi facilmente:
– usando repellenti e indossando pantaloni lunghi e camicie a maniche lunghe, quando si è all’aperto, soprattutto all’alba e al tramonto
– usando delle zanzariere alle finestre e soggiornando in ambienti climatizzati
– svuotando di frequente i contenitori con acqua stagnante (per esempio, secchi, vasi per fiori e sottovasi, catini, bidoni, ecc.) e coprendo quelli inamovibili
– cambiando spesso l’acqua nelle ciotole per gli animali
– svuotando le piscinette per i bambini quando non sono usate.

Informazioni generali

La febbre West Nile (West Nile Fever) è una malattia provocata dal virus West Nile (West Nile Virus, WNV), un virus della famiglia dei Flaviviridae isolato per la prima volta nel 1937 in Uganda, appunto nel distretto West Nile (da cui prende il nome). Il virus è diffuso in Africa, Asia occidentale, Europa, Australia e America.

I serbatoi del virus sono gli uccelli selvatici e le zanzare (più frequentemente del tipo Culex), le cui punture sono il principale mezzo di trasmissione all’uomo. Altri mezzi di infezione documentati, anche se molto più rari, sono trapianti di organi, trasfusioni di sangue e la trasmissione madre-feto in gravidanza. La febbre West Nile non si trasmette da persona a persona tramite il contatto con le persone infette. Il virus infetta anche altri mammiferi, soprattutto equini, ma in alcuni casi anche cani, gatti, conigli e altri.

Incubazione e sintomi
Il periodo di incubazione dal momento della puntura della zanzara infetta varia fra 2 e 14 giorni, ma può essere anche di 21 giorni nei soggetti con deficit a carico del sistema immunitario. La maggior parte delle persone infette non mostra alcun sintomo. Fra i casi sintomatici, circa il 20% presenta sintomi come febbre, mal di testa, nausea, vomito, linfonodi ingrossati, manifestazioni cutanee. Questi sintomi possono durare pochi giorni, in rari casi qualche settimana, e possono variare molto a seconda dell’età della persona. Nei bambini è più frequente una febbre leggera, mentre nei giovani la sintomatologia è caratterizzata da febbre mediamente alta, arrossamento degli occhi, mal di testa e dolori muscolari. Negli anziani e nelle persone debilitate, invece, la sintomatologia può essere più grave. I sintomi più gravi si presentano in media in meno dell’1% delle persone infette (1 persona su 150) e comprendono febbre alta, forti mal di testa, debolezza muscolare, disorientamento, tremori, disturbi alla vista, torpore, convulsioni, fino alla paralisi e al coma. Alcuni effetti neurologici possono essere permanenti. Nei casi più gravi (circa 1 su mille) il virus può causare un’encefalite letale.

Fonte: ISS




Diminuita nell’UE nel corso del 2022 la peste suina africana in maiali e cinghiali selvatici

Il numero di focolai di peste suina africana (PSA) nei maiali e di casi segnalati nei cinghiali selvatici nell’Unione europea (UE) è diminuito notevolmente nel 2022 rispetto all’anno precedente, si afferma in un nuovo rapporto pubblicato oggi dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA). La malattia è stata notificata in otto Paesi dell’UE nei maiali e in undici nei cinghiali selvatici.

“Nell’ultimo decennio la peste suina africana ha avuto un impatto rilevante sul settore suinicolo dell’UE e continua a impattare pesantemente sulle economie locali e regionali. Sebbene il nostro ultimo rapporto evidenzi segnali incoraggianti che indicano che le misure per fermare la diffusione del virus stanno avendo effetto, il quadro nell’UE non è affatto completamente positivo e dobbiamo restare in guardia. Allevatori, cacciatori e veterinari hanno un ruolo particolarmente importante nel segnalare i casi sospetti”, ha dichiarato Bernhard Url, direttore esecutivo dell’EFSA.

Nel 2022 i focolai di PSA tra i maiali domestici nell’UE sono diminuiti del 79% rispetto al 2021. Il calo è stato particolarmente marcato in Romania, Polonia e Bulgaria. La Lituania, invece, ha registrato un leggero aumento causato da un raggruppamento di focolai notificati in estate nella parte sud-occidentale del Paese.

Otto Paesi dell’UE (Bulgaria, Germania, Italia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia) e quattro Paesi confinanti non appartenenti all’UE (Moldavia, Macedonia del Nord, Serbia e Ucraina) hanno segnalato focolai nei maiali domestici. La Romania è stato il Paese dell’UE più colpito con 327 focolai, pari all’87% dei focolai totali dell’UE. La Serbia è stato il Paese non UE maggiormente colpito, con 107 focolai. La FSA fu notificata per la prima volta nella Macedonia del Nord.

Per quanto riguarda i cinghiali selvatici nel 2022 sono stati segnalati nell’UE il 40% di casi in meno rispetto al 2021. Si tratta della prima diminuzione di casi di PSA nei cinghiali selvatici nell’area sin dall’insorgenza della malattia nel 2014. Undici Stati membri dell’UE (Cechia, Estonia e Ungheria oltre agli Stati membri con focolai tra i maiali domestici) e quattro Paesi non UE (Moldavia, Macedonia del Nord, Serbia e Ucraina) hanno notificato casi di PSA nei cinghiali selvatici.

Estesa la campagna StopASF dell’EFSA

Per coadiuvare le misure ancora in atto per controllare la diffusione del virus, l’EFSA ha deciso di prorogare la sua campagna StopASF al 2023. La campagna mira a sensibilizzare gli allevatori, i cacciatori e i veterinari dell’UE e dei Paesi limitrofi circa le modalità per  individuare, prevenire e segnalare correttamente la PSA.

Giunta alla sua quarta edizione, la campagna EFSA incoraggia gli allevatori commerciali e quelli privati, i veterinari e i cacciatori a “individuare, prevenire e segnalare” i casi di PSA. La campagna si avvale dell’assistenza di gruppi di allevatori locali ed è gestita in collaborazione con le autorità locali di diciotto Paesi: Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Estonia, Grecia, Ungheria, Kosovo[1], Lettonia, Lituania, Montenegro, Macedonia del Nord, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia.

Fonte: EFSA




I numeri dell’inquinamento da plastica negli oceani

Vi siete mai chiesti quanto inquinamento da plastica si sia accumulato sulla superficie degli oceani di tutto il mondo? Un nuovo studio, in parte sostenuto dal progetto MINKE finanziato dall’UE, parla di un crescente «smog» pari a oltre 170 trilioni di particelle di plastica galleggianti negli oceani di tutto il mondo. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista a libero accesso «PLOS One». Per valutare i rischi attuali e potenziali futuri che il pianeta deve affrontare, e se le politiche attuate oggi sono efficaci, serve una migliore comprensione della progressione globale dell’inquinamento da plastica nel tempo. Lo studio, sostenuto dall’UE, si è esteso oltre gli oceani dell’emisfero settentrionale e i brevi periodi di tempo su cui si erano concentrati i ricercatori precedenti, coprendo l’inquinamento da plastica a livello superficiale raccolto da oltre 11 700 stazioni in sei regioni marine di tutto il mondo tra il 1979 e il 2019. Le regioni marine incluse nello studio erano l’Atlantico settentrionale, l’Atlantico meridionale, il Pacifico settentrionale, il Pacifico meridionale, l’Oceano Indiano e il Mar Mediterraneo.

Milioni di tonnellate di particelle di plastica

I ricercatori hanno stimato che il livello di inquinamento superficiale odierno è compreso tra 82 e 358 trilioni di particelle di plastica (una media di 171 trilioni di particelle, per lo più microplastiche) per un peso compreso tra 1,1 e 4,9 milioni (o una media di 2,3 milioni) di tonnellate. Non hanno individuato una tendenza chiaramente rilevabile tra il 1979 e il 1990 a causa di una relativa mancanza di dati, seguita da quella che lo studio descrive come «una tendenza fluttuante ma stagnante» fino al 2005, per poi registrare un rapido aumento fino al 2019. «Abbiamo riscontrato una tendenza allarmante di crescita esponenziale delle microplastiche nell’oceano a partire dal nuovo millennio, raggiungendo oltre 170 trilioni di particelle di plastica. Si tratta di un monito forte che ci impone di agire subito su scala globale. Serve un trattato globale delle Nazioni Unite sull’inquinamento da plastica forte e legalmente vincolante, che fermi il problema alla fonte», osserva il primo autore dello studio, il dottor Marcus Eriksen del «5 Gyres Institute» negli Stati Uniti, in un comunicato stampa su «EurekAlert!». Secondo il dottor Eriksen e i suoi coautori, il rapido aumento dell’inquinamento da plastica negli oceani a partire dal 2005 potrebbe essere attribuito all’aumento esponenziale della produzione di plastica a livello globale e ai cambiamenti nella produzione e gestione dei rifiuti. Si ritiene che questi due fattori abbiano sopraffatto non solo i meccanismi naturali di esportazione che trasportano la plastica fuori dallo strato superficiale dell’oceano, ma anche qualsiasi impatto positivo prodotto da interventi politici tempestivi e vincolanti. Gli autori avvertono: «Senza sostanziali cambiamenti politici su scala globale, il tasso di ingresso della plastica negli ambienti acquatici aumenterà di circa 2,6 volte dal 2016 al 2040.» Gli autori dello studio sostenuto dal progetto MINKE (Metrology for Integrated Marine Management and Knowledge-Transfer Network) concludono che «è necessario un urgente intervento politico internazionale per ridurre al minimo i danni ecologici, sociali ed economici».

Fonte: Commissione Europea




Emergenze climatiche e disinvestimento nella ricerca, due facce della stessa medaglia!

Cambiamenti climaticiLa catastrofe alluvionale che ha sconvolto l’Emilia-Romagna rappresenta l’ennesimo disastro ambientale che trova nei cambiamenti climatici e, più in particolare, nel riscaldamento globale la propria “vis a tergo”. Dal 2015 al 2022 si sono consecutivamente registrati su scala globale, infatti, gli 8 anni più caldi degli ultimi 140!

“Come possiamo pensare di vivere sani in un mondo malato?”, si è giustamente domandato a tal proposito Papa Francesco, in piena pandemia da COVID-19, anch’essa figlia degli sconvolgenti cambiamenti climatici che stanno caratterizzando la presente era dell’Antropocene.

E, mentre il disastro emiliano-romagnolo ci richiama ad un improcrastinabile investimento di adeguate energie e risorse economiche nella gestione e nella cura del grave dissesto idro-geologico che affligge il nostro territorio, non si può sottacere il fatto che l’Italia continua pervicacemente ad investire poco più di un risibile 1% del proprio PIL nel finanziamento pubblico della ricerca.

Ciò fa il paio con la “fuga dei cervelli” e con la totale mancanza di “prestiti d’onore” riservati agli studenti meno abbienti, due ulteriori criticità che cronicamente interessano il nostro Paese, come la recente “protesta delle tendopoli universitarie” chiaramente testimonia.

Il cambiamento climatico andrebbe affrontato con un radicale cambiamento di mentalità, di passo e di paradigma, rispetto al quale l’investimento di adeguate risorse economico-finanziarie nella ricerca scientifica multidisciplinare, sia di base che applicata, costituisce un’assoluta priorità.

Tutto ciò tenendo bene a mente, ovviamente, che i costi della prevenzione risultano immensamente inferiori rispetto a quelli richiesti per la “cura” delle emergenze climatico-ambientali, come eloquentemente dimostrato dall’immane tragedia che l’Emilia-Romagna sta vivendo in queste drammatiche ore.

Giovanni Di Guardo

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 

 

 




Dal Cnr-Ismn un biosensore ottico per la sicurezza alimentare

La contaminazione di prodotti alimentari ha un impatto nefasto sulla loro qualità e pone seri rischi per la salute dei consumatori.

La presenza di contaminanti microbiologici e chimici nei prodotti alimentari può essere correlata a molteplici cause quali la contaminazione ambientale, i metodi di produzione agricola e di processo delle materie prime, il conseguente immagazzinamento, confezionamento e trasporto dei prodotti finito, fino a pratiche di adulterazione fraudolenta.

Inoltre, prodotti alimentari contaminati devono essere ritirati dal mercato e smaltiti in quanto non rispondenti ai criteri normativi europei o agli standard di qualità, con conseguente spreco di cibo ed ingente perdita economica.

Di conseguenza in questi ultimi anni si è di molto intensificato lo sforzo per realizzare nuove tecnologie per una sensoristica che sia non solo veloce, accurata, quantitativa e a basso costo ma che possa anche essere facilmente trasferita dai laboratori di analisi agli ambienti di lavoro reali (come le aziende agricole, i siti di depurazione delle acque, gli ambulatori territoriali solo per fare alcuni esempi) per realizzare una rilevazione di tipo point-of-need (PON).

Ad oggi rimane aperta la sfida per integrare in un singolo sistema miniaturizzato, robusto e user-friendly le molteplici tecnologie necessarie per abilitare una sensoristica selettiva, multiplexing e altamente sensibile.

“L’attività di ricerca sviluppata da Cnr-Ismn di Bologna e recentemente pubblica sulla rivista Advanced Materials riporta l’innovativo approccio di utilizzare dispositivi optoelettronici organici per realizzare una nuova architettura di biosensore ottico proprio in virtù delle peculiari caratteristiche di questi dispositivi come OLED (diodi organici ad emissione di luce) e OPD (fotodiodi organici) di essere integrabili, modulari, planari e con spessore di qualche centinaio di nanometri mostrando performance ottiche ormai comparabili con le tecnologie competitive basate su semiconduttori inorganici”, conferma Stefano Toffanin dirigente di ricerca presso Cnr-Ismn e coordinatore dei progetti europei H2020 MOLOKO e h-ALO. “Nel nuovo sensore, il meccanismo di bio-riconoscimento molecolare selettivo, sensibile e multiplexing tipico di superfici nanostrutturate che sfruttano il fenomeno della risonanza plasmonica di superficie (SPR) viene abilitato in un chip di circa 1 pollice quadrato proprio grazie all’optoelettronica organica che ha sostituito le usuali componenti ottiche ingombranti e dispendiose che finora avevano impedito l’utilizzo della tecnologia SPR al di fuori dei laboratori di analisi specializzati”.

“La vasta applicabilità del sensore in ambienti industrialmente rilevanti è stata dimostrata nella rilevazione di composti sia ad alto che a basso peso molecolare di interesse per la sicurezza e la qualità nella catena di produzione del latte: in particolare, la lattoferrina che è una proteina presente nel latte vaccino indicatrice di mastini ed infezioni delle mammelle nelle vacche e la streptomicina, un antibiotico tipicamente utilizzati negli allevamenti di bestiame e che può essere facilmente trasferito alla carne, al latte ed altri prodotti caseari contribuendo così al pericoloso problema di salute pubblica dell’antibiotico resistenza”, aggiunge Margherita Bolognesi, ricercatrice del Cnr-Ismn.

In tempistiche dell’ordine di 15 minuti a misurazione è stato possibile ottenere le curve dose-risposta in soluzioni buffer per tali analiti andando ad identificare un limite di rilevabilità (LOD) comparabile con la strumentazione analitica da banco SPR utilizzata come standard in laboratorio (BIACORE 3000).

“In futuro – svela Toffanin – il prototipo del sensore consentirà di effettuare le misurazioni direttamente sul campo e in tutti i punti della filiera del latte senza dover inviare i campioni presso laboratori attrezzati: ad esempio, in sala di mungitura mediante diretta integrazione nell’impianto di mungitura, o presso i diversi siti di interesse della filiera del latte (centri di raccolta latte, caseifici, ecc..) ed è disegnato per essere utilizzato come strumento portabile da operatori specializzati e non”.

L’attività di ricerca e sviluppo su questo tematica è stata sostenuta dai progetti Europei ICT MOLOKO (Grant Agreement n. 780839) e h-ALO (Grant Agreement n. 101016706) all’interno del progamma quadro Horizon 2020 dei quali Cnr-Ismn è coordinatore.

Fonte: CNR




Il primo centro di ricerca italiano sulla biodiversità

Presentato il 22 maggio, in occasione della Giornata mondiale della biodiversità, il National Biodiversity Future Center (NBFC), il primo centro di ricerca italiano dedicato alla biodiversità, che sarà coordinato dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr).

L’evento di presentazione, compreso nelle celebrazioni del Centenario dell’Ente, si è articolato in due momenti: la mattina nella Tenuta Presidenziale di Castelporziano (trasmesso in diretta streaming sul canale della Presidenza della Repubblica), alla presenza, tra gli altri, della Presidente del Cnr Maria Chiara Carrozza, del Presidente di NBFC Luigi Fiorentino; del Comandante del Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari dei Carabinieri Antonio Pietro Marzo, dell’Assessore alla Cultura Roma Capitale Miguel Gotor e del Presidente di Infrastrutture SpA, ing. Pier Francesco Rimbotti. La Vicepresidente della Camera dei Deputati, Anna Ascani, ha mandato un videomessaggio di saluto; il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha mandato un messaggio letto in Sala. Il pomeriggio, i lavori sono proseguiti presso la sede centrale del Cnr (P.le A. Moro 7) con il kick off meeting del Centro.

Con NBFC, parte dall’Italia un messaggio concreto per promuovere la gestione sostenibile della biodiversità, che svolge un ruolo cruciale nel funzionamento di tutti gli ecosistemi del Pianeta ed è alla base della vita sulla Terra, con un impatto diretto sul benessere della collettività e del singolo. La varietà biologica in tutte le sue forme, dai microbi alle piante e agli animali, fino alla specie umana con le sue diversità culturali, è nel Mediterraneo – e in particolare in Italia – un patrimonio ancor più prezioso, visto che nel nostro Paese è concentrata una diversità biologica tra le più significative di tutta l’Europa, con 60.000 specie animali, 10.000 piante vascolari e oltre 130 ecosistemi (dati Ispra).

Per studiare e tutelare questa ricchezza – la cui protezione ora è sancita anche dall’articolo 9 della Costituzione italiana, modificato nel febbraio 2022 proprio per includervi il riferimento al concetto di biodiversità, unitamente alla nuova formulazione dell’articolo 41 circa la tutela della salute e dell’ambiente – nasce NBFC, il primo Centro nazionale di ricerca dedicato alla biodiversità.

Leggi l’articolo completo

Fonte: CNR




Centro di referenza europeo: Indicatori di benessere per l’allevamento del tacchino

Il Centro di referenza europeo per il benessere dei volatili e delle piccole specie (EURCAW), del quale IZSLER fa parte, ha presentato in modo diffuso ed esaustivo un estratto delle modalità di valutazione del benessere dei tacchini in allevamento  nella newsletter di aprile.

La pubblicazione combina un elenco di indicatori di benessere e metodi di valutazione relativi all’azienda. Non essendo ancora disponibile una legislazione europea specifica, i requisiti legali del direttiva 98/58/CE che si applicano ai tacchini sono identificati e assegnati a quattro principi di benessere identificati con il progetto Welfare quality: Good Feeding, Good Housing, Good Health and Appropriate Behaviour . Gli indicatori di benessere e loro metodi di valutazione sono sviluppati a seguito di una revisione della letteratura scientifica esistente e della checklist e linee guida utilizzate dagli ispettori ufficiali negli Stati membri(es. Classyfarm) . L’elenco non è esaustivo,. potrebbero esserci alcuni metodi non descritti in questo documento. EURCAW-Poultry-SFA ha scelto i metodi  più rilevanti e validi secondo le conoscenze dei ricercatori e i dati scientifici disponibili. Tra i diversi indicatori di benessere , gli indicatori basati sugli animali (ABI) hanno la priorità e questi indicatori e metodi di valutazione sono stati valutati in base alle conoscenze disponibili circa la loro fattibilità e affidabilità in fine di fornire alle Autorità Competenti informazioni utili per i controlli ufficiali. EURCAW-Poultry-SFA raccomanda l’uso di diversi indicatori specifici da usare in combinazione perchè possono fornire una panoramica generale del benessere del gruppo allevato. Il documento (allegato ) è senz’altro molto utile per quanti operano nel settore e per gli ispettori del servizio veterinario addetti ai controlli sul benessere.

Fonte: IZS Lombardia Emilia Romagna




La network analysis per spiegare la dinamica dell’epidemia di influenza aviaria

L’epidemia di influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità verificatasi tra il 2021 e il 2022 nel nord est Italia è stata una delle più gravi di sempre, con il coinvolgimento di 317 allevamenti avicoli e oltre 14 milioni di animali. La maggior parte degli allevamenti colpiti dall’epidemia è localizzata in un’area considerata ad alta densità, dove viene allevato circa il 70% del pollame italiano. La diffusione dell’epidemia è stata estremamente rapida, coinvolgendo inizialmente la provincia di Verona per poi espandersi alle province e alle Regioni circostanti, con picchi di oltre 50 nuovi focolai a settimana.

La grande velocità con cui l’epidemia si è diffusa sul territorio ha fatto emergere due ipotesi principali: 1) possibili fenomeni di contatto diretto tra allevamenti infetti e altre aziende avicole, oppure 2) la presenza di comuni fonti di infezione, che hanno determinato in breve tempo l’emergere di molteplici nuovi focolai.

Il Laboratorio epidemiologia e analisi del rischio in sanità pubblica ha analizzato la dinamica di diffusione dell’epidemia di influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità verificatasi tra il 2021 e il 2022 nel nord est Italia. Per farlo è stata adottata la network analysis,  una metodologia che permette di integrare efficacemente dati virologici (genomi di virus e cluster genetici virali) ed epidemiologici (caratteristiche degli allevamenti colpiti).

La sfida per il Laboratorio epidemiologia e analisi del rischio in sanità pubblica (SCS4) dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) è stato di riuscire a spiegare la dinamica dell’epidemia valutando l’impatto di potenziali fattori di diffusione dell’infezione e utilizzando i dati raccolti durante i sopralluoghi negli allevamenti e le informazioni genetiche ottenute dalle analisi biomolecolari sui virus isolati da ciascun focolaio. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Pathogens.

Network analysis ed epidemia di aviaria 2021-2022

Per condurre questo tipo di analisi è stato scelto di sfruttare la network analysis, una metodologia che trova applicazione in diversi ambiti, tra cui le scienze economiche, sociali, psicologiche, biologiche, ecc. Questo potente strumento di analisi permette di studiare le caratteristiche e le relazioni tra gli oggetti esistenti all’interno di un network: i nodi rappresentano delle entità, gli oggetti, mentre le connessioni rappresentano una relazione esistente tra queste entità.

Nel contesto dell’epidemia 2021-2022, le analisi filogenetiche condotte dal Centro di referenza nazionale per l’influenza aviaria e la malattia di Newcastle hanno rivelato l’esistenza di diversi cluster genetici virali che rafforzano l’ipotesi di una diffusione del virus tra gli allevamenti domestici. Le successive analisi virologiche si sono quindi concentrate a valutare il grado di similarità genetica dei virus sequenziati appartenenti allo stesso cluster.

Nello specifico, i genomi completi di 214 virus sono stati utilizzati per costruire il network filogenetico. In questo network, ogni nodo corrisponde ad un virus identificato in un singolo focolaio, mentre i link mettono in relazione nodi caratterizzati dalla massima similarità genetica. Il network filogenetico rappresenta la base dati di partenza dello studio, su cui è stata applicata la metodica di network analysis denominata Exponential Random Graph Model (ERGM). L’ERGM è un modello statistico capace di spiegare il motivo per cui esiste un link tra due nodi, sulla base di una serie di variabili epidemiologiche. Applicato ad un network filogenetico, l’ERGM mette in relazione le caratteristiche epidemiologiche degli allevamenti colpiti con quelle più strettamente genetiche dei virus trovati. Questo approccio ha quindi consentito di valutare l’impatto di tali variabili sulla possibilità di diffusione dell’infezione tra gli allevamenti.

Le variabili dei network di diffusione virale

Dalle analisi è emerso che solo alcune variabili hanno un effetto significativo nella definizione della struttura del network e, conseguentemente, nella possibile trasmissione della malattia. Tra queste, le più importanti sono risultate l’appartenenza degli allevamenti alla stessa filiera avicola, la durata dell’esposizione degli allevamenti a focolai attivi e la distanza geografica tra le aziende.

Dalle analisi è emerso che solo alcune variabili hanno un effetto significativo nella definizione della struttura del network e, conseguentemente, nella possibile trasmissione della malattia. Tra queste, le più importanti sono risultate l’appartenenza degli allevamenti alla stessa filiera avicola, la durata dell’esposizione degli allevamenti a focolai attivi e la distanza geografica tra le aziende, che suggeriscono importanti implicazioni dal punto di possibili strategie di controllo, gestione e prevenzione di future epidemie di Influenza aviaria sul nostro territorio.

Lo studio dell’epidemia mediante l’applicazione della network analysis, normalmente utilizzata nelle scienze sociali, si è rivelato non solo innovativo ma anche valido per integrare efficacemente i dati virologici ed epidemiologici. Infatti, in molta letteratura scientifica spesso gli aspetti virologici ed epidemiologici di un’epidemia vengono presentati in maniera disgiunta, mentre in questo caso i dati epidemiologici sono stati utilizzati proprio per ‘spiegare’ la struttura dei dati virologici.

Ulteriori sviluppi di questo approccio sono già in cantiere. Per esempio, l’informazione relativa all’evoluzione di un’epidemia nel corso del tempo può essere integrata tramite la creazione di network ‘temporalizzati’, capaci di rappresentare con un quadro più dettagliato le dinamiche di diffusione spazio-temporale delle infezioni; oppure lo studio di malattie che coinvolgono diverse popolazioni (come, per esempio, le malattie trasmesse da vettori) potrebbe essere fatto tramite analisi dei cosiddetti multi-layer network, che integrano un maggior livello di complessità legato alla presenza di più ‘strati’ di entità che interagiscono tra loro all’interno dello stesso sistema.

Il potenziale applicativo della network analysis potrebbe in futuro aiutare gli epidemiologi a comprendere meglio la complessità delle malattie circolanti sul nostro territorio e fornire un efficace strumento di controllo e prevenzione delle epidemie.

Fonte: IZS Venezie




Api e pesticidi: aggiornata la guida EFSA alla valutazione dei rischi

apeL’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha revisionato la propria guida sulle modalità per valutare i rischi derivanti dai prodotti fitosanitari per api da miele, bombi e api solitarie. La guida riveduta tiene conto delle più recenti acquisizioni scientifiche e adotta le metodologie più aggiornate per eseguire valutazioni del rischio in questo ambito.

Quali sono le caratteristiche principali della guida aggiornata?

Il documento descrive come valutare il rischio per le api da miele esposte a prodotti fitosanitari in aree agricole. Lo fa seguendo un approccio progressivo per valutare sia l’esposizione delle api ai pesticidi (per contatto o per via alimentare) sia gli effetti che ne derivano. La guida descrive anche gli studi che i richiedenti devono produrre quando non sia possibile escludere un elevato rischio in fase di valutazione iniziale.

Contempla quindi vari scenari e aspetti pertinenti alla valutazione del rischio. Tra questi: le diverse tempistiche degli effetti (acuti e cronici) e le diverse fasi di vita delle api (adulti e larve). Per le api da miele esamina i possibili effetti a lungo termine delle basse dosi e le preoccupazioni potenziali dovute agli effetti subletali. Il documento esprime inoltre raccomandazioni in merito ai rischi da metaboliti e miscele di prodotti fitosanitari.

Che cos’è un approccio progressivo?

Sia la stima dell’esposizione che la valutazione degli effetti possono essere eseguite seguendo un approccio per gradi, passando da valutazioni prudenziali a valutazioni più realistiche. Il concetto di approccio progressivo consiste nel partire con una valutazione semplice, come ad esempio uno screening basato su dati standard, per poi aggiungere complessità, se necessario, onde affinare il rischio. Ciò avviene quando un rischio elevato non può essere escluso al gradino inferiore, e può implicare l’uso di dati desunti da studi di campo o semi-campo.

Per quale ragione e in che modo è stata condotta la revisione?

Ai sensi della legislazione europea, i prodotti fitosanitari possono essere approvati solo se una valutazione del rischio dimostri che essi non hanno effetti inaccettabili sull’ambiente, comprese le specie non bersaglio come le api. Nel 2013 l’EFSA ha pubblicato la sua prima guida alla valutazione del rischio da prodotti fitosanitari per le api (Apis melliferaBombus spp. e api solitarie), che la Commissione europea ci ha chiesto di rivedere nel 2019.

In risposta alla richiesta abbiamo istituito un gruppo di lavoro composto da personale dell’EFSA ed esperti esterni e, in linea con il mandato ricevuto, abbiamo effettuato una revisione basata sulle evidenze scientifiche tenendo conto delle ultime conoscenze scientifiche emerse dal 2013. Abbiamo raccolto dati sulla mortalità delle api, rivisto i requisiti per gli studi su campo e aggiornato le metodologie di valutazione del rischio.

Per documentare in modo trasparente lo studio scientifico che è alla base della revisione, la guida con le sue appendici e gli allegati sono stati corredati da un documento supplementare che racchiude tutte le informazioni di base nonché su raccolte dati e analisi.

In che modo sono stati coinvolti gli Stati membri e i portatori di interesse?

Durante il processo di revisione l’EFSA ha consultato gli Stati membri tramite la Rete di indirizzo sui pesticidi  (Pesticide Steering Network) e una serie di soggetti interessati tramite un apposito gruppo di portatori di interesse. L’EFSA ha poi preso parte a una serie di seminari e sessioni informative rivolte a rappresentanti degli Stati membri e parti interessate, organizzati dalla Commissione europea (CE).

Inoltre l’EFSA ha mantenuto stretti contatti con la CE e ha collaborato con l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) per armonizzare gli approcci alla valutazione dei rischi per le api nell’ambito dei regolamenti su prodotti fitosanitari e biocidi.

Tra luglio e ottobre del 2022 l’EFSA ha tenuto una consultazione pubblica sulla versione in bozza della guida. I contributi pervenuti sono stati elaborati in un workshop apposito rivolto a rappresentati di Stati membri e parti interessate, confluendo poi nel documento finale.

Ci sono state criticità particolari?

Poiché la legislazione europea in materia non definisce quantitativamente gli “effetti inaccettabili”, questo obiettivo di protezione generico doveva essere tradotto in obiettivi di protezione specifici (SPG), che potessero essere collegati in modo trasparente agli schemi di valutazione del rischio descritti nella guida. Sebbene la definizione degli SPG non rientri nelle competenze dell’EFSA, che ha il mero ruolo di valutatore del rischio, tuttavia abbiamo assistito i gestori del rischio – la Commissione europea e gli Stati membri – in questo compito organizzando diverse consultazioni.

A seguito di questo mutuo scambio e sulla base dei  dati scientifici forniti dall’EFSA, i gestori del rischio hanno concordato un GSP per le api mellifere del 10%. Si tratta del livello massimo consentito di riduzione delle dimensioni delle colonie dopo l’esposizione ai pesticidi. Per i bombi e le api solitarie non è stato definito un SPG quantitativo per mancanza di dati. È emerso tuttavia un generale consenso sulla necessità di richiedere più frequentemente studi di grado superiore per ottenere dati più solidi per il futuro.

Quali sono ora i prossimi passi?

Ora che la guida dell’EFSA è stata pubblicata, la Commissione europea inizierà a lavorare con gli Stati membri per l’approvazione del documento in seno al Comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi.

Chi fosse interessato a saperne di più sulla guida EFSA alla valutazione del rischio da prodotti fitosanitari per le api può partecipare alla nostra sessione informativa pubblica del 13 giugno 2023.

Fonte: EFSA