Sperimentazione animale: tra necessità scientifica ed etica della ricerca

La sperimentazione animale rimane uno dei nodi più dibattuti nel panorama scientifico contemporaneo. Ancora oggi è un passaggio fondamentale nello sviluppo di farmaci e terapie, sia per l’essere umano che per gli animali stessi. Si può considerare pratica anacronistica, o più una necessità scientifica condotta con rigore etico senza precedenti nella storia?
Quali sono gli attuali standard etici e normativi e come ci siamo arrivati? E, nonostante i progressi tecnologici, i modelli animali restano ancora oggi insostituibili?

Un tema tutt’altro che scontato, che affonda le sue radici e la sua complessità già nei secoli passati, assumendo un ruolo centrale nel dibattito sulla ricerca biomedica già nei secoli scorsi. Claude Bernard, considerato il padre della moderna fisiologia, utilizzò modelli animali nella prima metà dell’800 con metodi che oggi considereremmo “azzardati”, in nome dell’utilità per il genere umano. Louis Pasteur, condusse studi che portarono al vaccino contro la rabbia e salvarono milioni di vite umane, ma con una metodologia spesso cruenta e priva di regole.

Questa mancanza di regolamentazione suscitò un dibattito pubblico vivace, portando alla nascita delle prime associazioni in difesa degli animali e a un cambiamento filosofico dell’epoca. È Jeremy Bentham a incarnare la lotta per la difesa dei diritti degli animali: la questione per lui non è se una creatura può ragionare o può parlare, ma se una creatura può soffrire. Fu nel 1876 che si arrivò con il Cruelty to Animal Act britannico, alla prima legge che regolamentava la sperimentazione animale, introducendo concetti rivoluzionari: minimizzazione del dolore, giustificazione dell’esperimento e certificazione dello sperimentatore.

Nella mentalità e nei valori etici e morali della società, questi principi diventano sempre più rilevanti. E anche la comunità scientifica li assorbe e li implementa.

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Fonte: scienzainrete.it




Microplastiche nella fauna selvatica. La scoperta delle Università di Padova e Pretoria

microplasticheLe microplastiche hanno raggiunto anche gli ecosistemi più remoti. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Padova e dell’Università di Pretoria ha individuato frammenti di nylon e altri polimeri sintetici nei polmoni e nel sangue di animali selvatici prelevati in riserve naturali del Sudafrica, zone finora considerate incontaminate. Lo studio è stato presentato al Sardinia Symposium 2025, il convegno mondiale sulla gestione dei rifiuti e sull’economia circolare, e ha sollevato un forte allarme sulla diffusione globale di questi inquinanti invisibili e sui rischi per la salute degli animali e dell’uomo.

Il lavoro, Presence and characterisation of microplastics in wildlife organs across diverse South African ecosystems, firmato da Carlo Andrea CossuValentina PoliLucio Litti e Maria Cristina Lavagnolo, ha rivelato una concentrazione significativa di nylon, un polimero tipicamente derivante da tessuti e packaging di uso comune.

“Anche il turismo e le attività umane nelle aree circostanti contribuiscono alla contaminazione di ecosistemi apparentemente remoti”, spiegano i ricercatori. “La plastica è entrata nei corpi degli animali selvatici, penetrando in organi vitali e dimostrando che nessun ecosistema, nemmeno quelli ‘immacolati’, è ormai al riparo. Le microplastiche – continuano – frammenti inferiori a 5 millimetri, rilasciano additivi tossici e trasportano sostanze chimiche persistenti, con potenziali effetti sulla salute degli animali e la catena alimentare”.

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Fonte: vet33




Accertamento di Trichinella spp. in cinghiale cacciato in provincia di Latina

cinghialiÈ stato individuato il primo caso della stagione venatoria 2025-2026 di Trichinella spp. in un cinghiale abbattuto nel corso di una battuta a squadra nella Foresta San Marco di Campodimele (LT), su un gruppo di sei capi sottoposti ai controlli di routine.
Il prelievo del campione da sottoporre a prova è stato eseguito da cacciatori opportunamente formati su mandato dell’Ambito Territoriale di Caccia LT2, sotto il controllo dell’Autorità Competente della ASL di Latina.
Data prelievo del campione: 04/10/2025.
Comunicazione degli esiti all’Autorità Competente: 08/10/2025.

L’accertamento è stato eseguito presso i laboratori della UOT Lazio Sud – Sezione di Latina dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana “M. Aleandri”, nell’ambito dell’attività di sorveglianza ufficiale obbligatoria. Le larve rilevate nel campione positivo saranno inviate all’European Union Reference Laboratory for Parasites presso l’Istituto Superiore di Sanità per l’identificazione di specie.

L’esame per la ricerca di Trichinella spp. è obbligatorio per tutti i cinghiali destinati al consumo umano, sia privato sia commerciale e rappresenta uno strumento essenziale per garantire la sicurezza alimentare e la prevenzione delle zoonosi. La Trichinella è un parassita trasmissibile all’uomo attraverso il consumo di carne cruda o poco cotta proveniente da animali parassitati appartenenti alle specie di suidi ed equidi sia domestici sia selvatici non sottoposti a controllo.

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Fonte: IZS Lazio e Toscana




L’alimentazione del futuro: 300 ricercatori del CNR nel progetto NUTRAGE

pesticidiArricchire le materie prime con micro e macro nutrienti, sviluppare metodi di lavorazione innovativi, aprire un canale di dialogo diretto con i consumatori, tutto questo senza mai dimenticare la sostenibilità e la lotta agli sprechi alimentari. Questi sono solo alcuni degli obiettivi del progetto NUTRAGE che ha coinvolto, oltre 300 ricercatori del CNR in diversi ambiti disciplinari della scienza. «L’orizzonte del progetto NUTRAGE – spiega il responsabile scientifico Angelo Santino – è creare cibi più ricchi di macro e micronutrienti e più salutari; sviluppare tecniche di lavorazione che rendano questi stessi nutrienti più disponibili e intervenire sui processi industriali per avere filiere più sane e più sostenibili, sia dal punto di vista ambientale che economico».

«Il contesto nel quale ci muoviamo è duplice: da una parte l’alimentazione e gli stili di vita sono il primo fattore ambientale che determina la nostra possibilità di invecchiare in salute. Dall’altro, aumentano gli anni di vita ma anche quelli che viviamo da ammalati: la crescita dell’aspettativa di vita spesso non si accompagna ad una crescita dell’aspettativa di vita senza malattia. Una delle chiavi più efficaci in nostro possesso per ridurre questo gap è l’alimentazione». La conferenza finale del progetto NUTRAGE è prevista presso l’Aula Magna del Centro di Biotecnologie dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” nei giorni 5 e 6 novembre 2025. Ecco alcune anteprime degli oltre 100 paper conclusivi sui progetti più impattanti.

Partire dalla terra per cambiare il cibo

Una linea di ricerca si è concentrata sulle tecniche genetiche per migliorare ortofrutta, cereali e legumi. «Finora questi interventi si erano concentrati sull’aumento dell’apporto calorico. La ricerca del CNR punta a selezionare alimenti arricchiti in specifiche classi di micronutrienti necessari alla salute e sviluppare processi di coltivazione sostenibile dal punto di vista ambientale. Lo scopo è far sì che tutte le famiglie abbiano accesso ai cibi più salutari».

Metodi di trasformazione che mantengano inalterate le proprietà chimiche dei prodotti freschi

«Una delle sfide di NUTRAGE è individuare processi di lavorazione che permettano ai cibi lavorati di mantenere la maggior parte delle qualità dei prodotti freschi. O, addirittura, di migliorarle. Ad esempio, alcuni metodi di fermentazione si stanno dimostrando estremamente efficaci non solo nello stabilizzare (conservare) gli alimenti, ma anche nell’accentuare la bioattività di alcuni composti».

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Fonte: beesanitamagazine.it




Le api selvatiche minacciate in Europa, aggiornata la Lista Rossa

apePer la prima volta, le api selvatiche sono state ufficialmente classificate come ‘in pericolo’ all’interno dell’Europa: grazie a un grande lavoro di monitoraggio e raccolta dati che ha colmato una lacuna di lunga data, i ricercatori hanno esaminato lo stato di conservazione della specie Apis mellifera in sette paesi europei, stimando un calo medio delle popolazioni selvatiche del 56% in un decennio.

 Questo ha permesso di aggiornare la Lista Rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (Iucn) anche se, per quanto riguarda la regione europea, i dati rimangono molto carenti per aree come i Balcani, i Paesi Baltici, la Scandinavia e l’Europa orientale.

I ricercatori hanno monitorato, tra il 2013 e il 2025, 698 siti sparsi in Francia, Germania, Lussemburgo, Polonia, Spagna, Svizzera e Regno Unito. Secondo i dati raccolti, l‘Europa ha la più bassa densità del mondo di colonie che vivono libere in natura, dal momento che gli alveari gestiti negli allevamenti superano di gran lunga quelli selvatici, e queste già scarse colonie stanno anche vedendo diminuire i loro abitanti.

Fonte: ANSA



Allarme Oms: un’infezione su sei è ormai resistente agli antibiotici

AntibioticoresistenzaNel 2023 una persona su sei nel mondo ha contratto un’infezione batterica resistente ai trattamenti antibiotici. È quanto emerge dal nuovo rapporto globale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), basato sui dati del sistema di sorveglianza Glass (Global antimicrobial resistance and use surveillance system), che raccoglie informazioni da oltre 100 Paesi.

I risultati mostrano una crescita della resistenza antimicrobica (Amr) del 40% tra il 2018 e il 2023, con un aumento medio annuo compreso tra il 5% e il 15%. Nel mondo, le infezioni causate da otto batteri comuni – Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Acinetobacter, Staphylococcus aureus, Streptococcus pneumoniae, Salmonella, Shigella e Neisseria gonorrhoeae – sono quelle più colpite dal fenomeno.

Sud-Est asiatico e Mediterraneo orientale le aree più colpite

La resistenza antimicrobica non colpisce in modo uniforme. Secondo l’Oms, nelle regioni del Sud-Est asiatico e del Mediterraneo orientale un’infezione su tre è ormai resistente agli antibiotici, mentre in Africa il dato è di una su cinque. Le aree più vulnerabili sono anche quelle dove i sistemi sanitari non dispongono di laboratori in grado di identificare i patogeni o di trattarli con farmaci efficaci.

In molti Paesi a basso e medio reddito, i pazienti affetti da infezioni resistenti non solo non ricevono le cure appropriate, ma non hanno nemmeno accesso agli antibiotici di base. «La resistenza antimicrobica sta superando i progressi della medicina moderna, minacciando la salute delle famiglie in tutto il mondo – ha dichiarato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms – Serve un uso responsabile degli antibiotici e un accesso equo a diagnosi e trattamenti di qualità».

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Fonte: ilsole24ore.com




Risultati di quattro generazioni di selezione per il comportamento igienico sensibile alla Varroa nelle api mellifere

La sopravvivenza delle api mellifere, fondamentali per l’impollinazione e la sicurezza alimentare globale, è minacciata da Varroa destructor, un acaro parassita che ha rivoluzionato le sfide dell’apicoltura moderna. Un recente studio esplora l’impatto biologico e produttivo dell’infestazione, le strategie di contenimento attuali e le prospettive offerte dall’allevamento selettivo, con un focus sui comportamenti naturali di resistenza che potrebbero rappresentare la chiave per un’apicoltura più sostenibile. Di seguito l’approfondimento.

 Il settore dell’apicoltura è da tempo confrontato con una grave minaccia biologica: Varroa destructor, un acaro parassita che compromette gravemente la sopravvivenza delle colonie di Apis mellifera in tutto il mondo. Originariamente ectoparassita dell’ape asiatica (Apis cerana), con cui si è coevoluto. V. destructor è passato ad A. mellifera nel XX secolo, diventando rapidamente la principale causa di perdita di colonie nelle regioni temperate. L’acaro si riproduce all’interno delle celle di covata opercolate delle api mellifere e funge da vettore per diversi virus, in particolare il virus delle ali deformate (DWV), rendendolo una delle principali minacce alla salute e alla produttività delle colonie. Gli acari si nutrono del tessuto adiposo delle api in fase di sviluppo e adulte, compromettendo la funzione immunitaria, riducendo la durata della vita e indebolendo la resilienza della colonia. In assenza di un controllo efficace, le colonie infestate spesso collassano nel giro di pochi mesi.

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Fonte: assaspa.org




Tra falchi e tartarughe, cresce il traffico illegale di animali selvatici

Pipistrelli e pesci tropicali

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Fonte: AGI




Uno studio One Health getta nuova luce sul complesso intreccio fra pipistrelli, allevamenti suini e virus

Studio dell’IZSVe individua come almeno otto specie di pipistrelli (chirotteri) utilizzino le aree degli allevamenti di suini dell’Italia settentrionale. Sebbene questa interazione possa presentare effetti positivi per entrambe le specie, l’assenza di barriere fisiche e le lacune nella biosicurezza all’interno delle aziende suinicole possono comportare un rischio residuo per la trasmissione inter-specifica di virus.

Legnaro (Padova) –  I pipistrelli, o chirotteri, sono riconosciuti come serbatoi naturali di diversi coronavirus (CoV), da alcuni dei quali potrebbero essersi evolute specie virali pericolose per l’uomo e per gli animali domestici, come il SARS-CoV-2 o il virus della diarrea epidemica nel suino. Tuttavia, le dinamiche e i meccanismi che permettono il passaggio di questi virus agli animali da allevamento o all’uomo rimangono per lo più sconosciute.

I ricercatori del Laboratorio di zoonosi virali emergenti dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) hanno condotto uno studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Plos One, per valutare i fattori di rischio per la trasmissione di virus dai pipistrelli ai suini, usando come caso studio i coronavirus in alcuni allevamenti dell’Italia settentrionale. Lo studio è stato realizzato nell’ambito del progetto europeo ConVErgence e ha visto la collaborazione dell’Università La Sapienza di Roma, Università di Padova, Università di Bari, Università del Sussex (UK) e Coop. STERNA di Forlì.

“L’interfaccia fra animali selvatici, animali domestici ed esseri umani, rappresenta un confine molto labile dove possono emergere malattie infettive a carattere epidemico”, spiega Stefania Leopardi, veterinaria dirigente e supervisore della ricerca. “Sappiamo che gli allevamenti suini rappresentano possibili ‘hotspot’ per la diffusione e la comparsa di varianti ricombinanti potenzialmente pericolose per gli animali o l’uomo. Per questo motivo, l’identificazione di nuovi coronavirus è fondamentale per valutare il loro adattamento nel suino e nell’uomo, ma è altrettanto importante cercare di comprendere i fattori di rischio che possono favorire i fenomeni di spillover nelle specie animali.”

Indagini ecologiche, modellistica ambientale, analisi virologiche

Per la ricerca è stato utilizzato un approccio multidisciplinare ispirato al paradigma ‘One Health’, in cui sono state combinate indagini ecologiche, di modellistica ambientale e di virologia molecolare. Una prima fase ha riguardato il monitoraggio bioacustico in 14 allevamenti suinicoli del Triveneto, mediante cui sono state identificate otto specie di pipistrelli negli allevamenti, con P. kuhlii, P. pipistrellus e H. savii come le più diffuse e attive.

L’analisi del paesaggio e delle strutture aziendali ha permesso di identificare i fattori che influenzano maggiormente l’attività dei pipistrelli. È emerso che gli allevamenti con strutture in grado di attrarre insetti registrano un’intensa attività dei pipistrelli, mentre l’habitat circostante incide in misura minore sulla ricchezza delle specie.

Parallelamente, le indagini virologiche hanno permesso di identificare tre nuove specie di CoV, rilevati in P. kuhlii e H. savii, di cui è stato possibile ottenere il sequenziamento completo del genoma. Fondamentale per questa fase l’analisi combinata di campioni raccolti su tre colonie di P. kuhli e di campioni di archivio provenienti da attività di sorveglianza della rabbia in popolazioni di animali selvatici, condotte negli anni dal Laboratorio.

Fra le specie di pipistrello più comuni, è stata osservata una circolazione attiva di CoV in P. kuhlii, anche in colonie situate all’interno delle aziende suinicole, con l’identificazione di due specie distinte di CoV in questi pipistrelli. I CoV sono stati rilevati durante tutta la stagione di attività dei pipistrelli, con picchi a maggio e ad agosto, e in alcuni casi sembrano essere condivisi tra specie diverse di pipistrelli (P. kuhlii e H. savii), aumentando ulteriormente il rischio di ricombinazione genetica.

Le analisi filogenetiche mostrano inoltre che i suini potrebbero essere esposti ad almeno otto specie distinte di CoV, dal momento che i CoV sono associati in modo specifico al proprio ospite.

Da una parte lo studio mette in evidenza come le aziende suinicole possono rappresentare delle oasi per la conservazione dei pipistrelli in ambienti rurali di agricoltura intensiva, dove la monotonia degli elementi ambientali sta inaridendo la biodiversità. In questi ambienti, i pipistrelli possono svolgere un servizio ecosistemico di controllo degli insetti dannosi, anche contribuendo alla riduzione dei pesticidi. Tuttavia, la circolazione dei pipistrelli è anche associata al rischio potenziale di esposizione ai virus che essi veicolano.

Un aspetto fondamentale rilevato dallo studio è la frequente assenza di barriere fisiche negli allevamenti, allestite per impedire il contatto tra i pipistrelli e i recinti dei suini, e un’applicazione disomogenea delle pratiche di biosicurezza. Rafforzare queste misure potrebbe mitigare il rischio di esposizione ai diversi CoV, e più in generale ai virus associati alla fauna selvatica, migliorando la convivenza tra l’uomo e gli animali domestici e selvatici.

 

Fonte: IZS Venezie




Nuovi strumenti per rilevare l’influenza aviare

L’influenza aviaria A (H5N1) è una malattia degli uccelli altamente contagiosa che ha già infettato milioni di uccelli e ora appare in alcuni mammiferi.

Si sta diffondendo rapidamente in tutto il mondo, portando a abbattimenti di massa di polli/galline negli allevamenti avicoli a causa della sua natura altamente contagiosa e mortale.

La preoccupazione per la diffusione di questo virus è legata al fatto che attraversare la barriera di specie e infettare i mammiferi, tra cui bovini, gatti e esseri umani. Sebbene non si sia in grado di diffondersi diffuso tra gli esseri umani, la sua capacità di infettare i mammiferi solleva problemi di salute pubblica e chiede un maggiore monitoraggio.

L’influenza aviaria ad alta patogenicità, nota anche come “aviaria” è senza dubbio quindi un problema sanitario a livello mondiale. La conoscenza della diffusione del virus e la sua rapida identificazione sono essenziali per controllare la malattia.

Oggi nuovi e accurati test possono rilevare il virus in modo molto specifico. Questi test sviluppati dal JRC (Joint Research Center) possono monitorare la diffusione del virus in varie tipologie di campioni, comprese le acque reflue.

Uno studio congiunto di vari enti a livello europeo ha sviluppato due saggi digitali RT-PCR, uno in grado di rilevare specificamente l’influenza ad alta patogenicità A (H5Nx) clade 2.3.4.4b, virus noti per la diffusione in tutto il mondo e il secondo in grado di rilevare una gamma più ampia di virus dell’influenza A, compresa l’influenza stagionale. Possono essere utilizzati separatamente o in combinazione come approccio diagnostico singolo (saggio duplex).

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Fonte: IZS Lombardia ed Emilia Romagna