Da One Health a One Virology: nasce l’European Virus Archive, asset strategico per la ricerca virale europea

datiL’European Virus Archive (EVA), nato grazie al progetto EVAg nell’ambito del programma per la ricerca Horizon 2020, è stato registrato lo scorso 27 marzo 2025 in Belgio come EVA-AISBL (Association Internationale Sans But Lucratif). L’EVA diventa quindi un asset strutturale della ricerca virologica europea e internazionale, grazie alla collaborazione di numerose organizzazioni sanitarie e di ricerca provenienti da 11 Paesi diversi tra cui l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe).

Da One Health a One Virology

EVA-AISBL è oggi l’unica infrastruttura di ricerca al mondo dedicata alla raccolta, caratterizzazione, produzione e distribuzione di risorse virali. Gestisce collezioni uniche di virus e punta a offrire ai ricercatori del settore sanitario pubblico e privato un equo accesso a risorse virali di alta qualità come ceppi, strumenti diagnostici e altri materiali, nel pieno rispetto delle normative internazionali.

EVA-AISBL nasce grazie alla collaborazione di agenzie di sanità pubblica, istituzioni accademiche, istituti veterinari e centri di ricerca provenienti da 11 Paesi diversi, che hanno deciso di collaborare stabilmente mettendo in comune un’ampia gamma di competenze e risorse specializzate nell’ambito della virologia umana, veterinaria e ambientale. L’EVA si ispira infatti al concetto “One Virology”, che declina l’approccio One Health allo studio e alla gestione sanitaria dei virus.

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Fonte: onehealthfocus.it




“Attenti a quei 4!”: occhi aperti in mare per scovare gli alieni invasivi

La mappatura della presenza del pesce scorpione (Pterois miles) nel Mediterraneo aggiornata a marzo 2025, ci riporta 1.840 segnalazioni, provenienti dai diversi paesi del bacino. La specie si sta diffondendo anche nei mari italiani e il Mar Ionio si conferma come una delle aree più vulnerabili.

Oggi pescatori, subacquei e chiunque abbia osservato o catturato nei mari italiani un pesce scorpione o un’altra delle tre specie tropicali potenzialmente pericolose – pesce palla maculato, pesce coniglio scuro e pesce coniglio striato, sono chiamati nuovamente a fornire il loro supporto alla campagna di allerta “Attenti a quei 4!”, vòlta a informare la cittadinanza sulla presenza di queste specie invasive nei nostri mari.

L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale e l’Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Ancona (CNR-IRBIM), in collaborazione con il progetto AlienFish, rilanciano la campagna “Attenti a quei4!”, fornendo anche indicazioni utili per riconoscerle, prevenire spiacevoli incidenti e contribuire al monitoraggio della loro diffusione e invitando a documentare con foto o video la specie, ed inviare la propria osservazione tramite il link.

In alternativa sarà possibile utilizzare WhatsApp al numero di telefono +320 4365210 o i gruppi Facebook Oddfish – e Fauna Marina Mediterranea in collaborazione con il progetto Alienfish utilizzando l’hashtag: #Attenti4.

E’ di poche settimane fa la pubblicazione sulla rivista scientifica Mediterranean Marine Science di uno studio, sempre a cura di CNR-IRBIM e ISPRA, che ha fornito un aggiornamento approfondito sulla distribuzione del pesce scorpione nel Mar Mediterraneo.

La campagna segue le precedenti edizioni già svolte dal 2022, anche in considerazione delle crescenti segnalazioni e catture di specie aliene nelle acque italiane, soprattutto del pesce scorpione, ad opera di subacquei e pescatori. I dati raccolti sono stati visualizzati in nuove mappe di distribuzione e confrontati con le previsioni fornite dai modelli di distribuzione delle specie precedentemente realizzati. Tutte le nuove osservazioni sono state integrate nel dataset del portale ORMEF, costituendo così la raccolta più aggiornata di dati sulla presenza del Pterois miles (o pesce scorpione) nel Mar Mediterraneo.

Manuela Falautano, ricercatrice dell’ISPRA, coordinatrice per l’Ente delle campagne “Attenti a quei 4!”: “L’aumento delle catture e segnalazioni da parte di pescatori e subacquei, da un lato conferma l’importante ruolo da loro svolto a supporto dei ricercatori nell’attività di sorveglianza della diffusione delle specie aliene, dall’altro evidenzia la necessità di ampliare il coinvolgimento degli operatori del mare e di promuovere una chiara attività di comunicazione alla cittadinanza sulle specie potenzialmente pericolose per la salute umana, senza creare allarmismi”.

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Fonte: ISPRA




Designato il dott. Nikolaus Kriz come prossimo direttore esecutivo dell’EFSA

Sono molto lieto di annunciare che oggi il consiglio di amministrazione ha designato il dott. Nikolaus Kriz come prossimo direttore esecutivo dell’EFSA” ha dichiarato Aivars Bērziņš, presidente del consiglio di amministrazione EFSA.

Grazie alla sua notevole esperienza di leadership in ambito normativo e alle sue profonde competenze scientifiche, siamo certi che rafforzerà ulteriormente il ruolo dell’EFSA come punto di riferimento dell’UE per la valutazione indipendente dei rischi per la sicurezza alimentare“.

A nome del consiglio di amministrazione colgo inoltre l’occasione per estendere la nostra sincera gratitudine al dott. Bernhard Url per la sua straordinaria leadership come direttore esecutivo dell’EFSA negli ultimi undici anni“, ha concluso Aivars Bērziņš.

Kriz è entrato all’EFSA nel 2017 ed è attualmente capo del dipartimento “Servizi di valutazione del rischio” (ENABLE) dell’Autorità. Di formazione veterinaria, prima dell’EFSA ha ricoperto vari incarichi presso l’Agenzia europea dei medicinali (EMA) nella valutazione del rischio veterinario e per la salute pubblica.

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Fonte: EFSA




Aflatossine: le nuove linee guida del Ministero della Salute per mangimifici e filiera lattiero-casearia

Il Ministero della Salute ha revisionato le linee guida per prevenire e gestire il rischio contaminazione da aflatossine nella filiera lattiero-casearia e nella produzione del mais destinato all’alimentazione umana e animale (QUI). La prima versione del documento era stata divulgata durante l’emergenza del 2013, quando, a seguito delle condizioni climatiche estreme,  si era resa necessaria la definizione di procedure operative straordinarie.

La decisione di operare questo riesame è stata presa considerando che attualmente, a seguito dei cambiamenti climatici in atto, si assiste ad una maggiore variabilità annuale e regionale delle contaminazioni da micotossine sia a livello nazionale che europeo, e pertanto la contaminazione delle produzioni agricole non può più essere gestita come un evento eccezionale o emergenziale con procedure straordinarie, ma deve essere gestita in modo programmato attraverso il sistema di autocontrollo degli Operatori. Fin qui nessuna grande novità, dato che, con il Regolamento 178/2002 e 852/2004 dopo, già era stata attribuita agli operatori la responsabilità di implementare nel loro processo produttivo un sistema a garanzia della sicurezza degli alimenti immessi sul mercato.

La novità risiede, quindi, unicamente nella volontà di uniformare il comportamento degli operatori affinché dispongano di uno schema di intervento di riferimento da adattare alle diverse realtà produttive e territoriali, e contribuiscano al raggiungimento degli obiettivi di sicurezza alimentare stabiliti a livello europeo.

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Fonte: Ruminantia




Scrapie negli ovini: quando due semplici segni clinici possono migliorarne la diagnosi precoce

Nel panorama delle malattie neurodegenerative del bestiame, la scrapie rappresenta da tempo una delle principali sfide diagnostiche per medici veterinari e allevatori. In assenza di test ante mortem affidabili e facilmente applicabili in campo, la diagnosi clinica resta ad oggi il primo e spesso unico strumento per sospettare una Encefalopatia Spongiforme Trasmissibile (TSE) negli ovini. Un nuovo studio pubblicato a maggio 2025 su Animals da Konold e Phelan ha analizzato 1002 pecore per valutare l’efficacia di un protocollo clinico rapido, identificando due segni fondamentali per l’individuazione precoce della malattia.

Un campione rappresentativo: diagnosi su scala ampia e diversificata

Lo studio ha incluso pecore di diverse razze, età e genotipi PRNP, esposte naturalmente o infettate sperimentalmente con scrapie classicascrapie atipica o encefalopatia spongiforme bovina (BSE). Di queste, 312 animali sono risultati positivi a una TSE tramite esame post mortem del cervello.

La valutazione clinica si è basata su un protocollo breve che include nove categorie di segni: postura, comportamento, risposta alla minaccia (menace response), risposta al graffio, risposta alla bendatura, perdita di lana e lesioni cutanee, condizione corporea, incoordinazione e tremore.

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Fonte: Ruminantia




La Calabria vince la battaglia contro il coleottero Aethina tumida: un decennio di ricerca e innovazione per salvare le api

ape

Dopo dieci anni di lavoro incessante, studi scientifici all’avanguardia e una rete di collaborazioni internazionali, l’Italia celebra un importante successo nella gestione dell’invasione del coleottero Aethina tumida, una specie aliena che minacciava seriamente il patrimonio apistico nazionale. Un ruolo chiave in questa battaglia è stato giocato dalla sezione calabrese dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, con sede a Reggio Calabria, dove è stato recentemente costruito un insettario sperimentale dedicato allo studio approfondito di questo pericoloso parassita.
Il caso della Calabria si distingue come un modello esemplare di gestione delle specie invasive, grazie a un mix vincente di prevenzione, monitoraggio rigoroso, interventi tempestivi e ricerca scientifica d’eccellenza. La notizia arriva direttamente dal prestigioso Journal of Management of Biological Invasions, che ha pubblicato uno studio dettagliato firmato da Giovanni Federico, Franco Mutinelli, Peter Neumann e colleghi (2025), frutto di una collaborazione tra istituzioni italiane ed europee.

La sfida del piccolo ma dannoso coleottero

Aethina tumida, comunemente noto come “piccolo coleottero dell’alveare” , è un insetto originario dell’Africa sub-sahariana che, fin dal 1996, ha invaso tutti i continenti abitati causando gravi danni alle colonie di api mellifere. Il suo arrivo in Europa è avvenuto nel settembre 2014, quando è stato rilevato per la prima volta in Calabria, precisamente nella piana di Gioia Tauro, vicino a un porto internazionale. Da qui, il coleottero ha trovato terreno fertile per espandersi, raggiungendo anche la Sicilia poche settimane dopo.
Ma la risposta italiana non si è fatta attendere. Le autorità competenti hanno immediatamente attivato un piano di sorveglianza intensiva, compresa la distruzione degli apiari  infestati, l’istituzione di zone di protezione e sorveglianza e il monitoraggio costante attraverso nuclei sentinella. Oggi, a dieci anni di distanza, l’effetto delle attività poste in essere è chiaro: l’invasione è stata contenuta e il coleottero rimane confinato in un’area limitata della Calabria, senza ulteriori diffusioni. Si tratta di un “unicum” nella dinamica di diffusione del coleottero alloctono.

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Fonte: IZS Mezzogiorno




Controllo sostenibile dei parassiti nei ruminanti: con il progetto SPARC sviluppati 28 protocolli sperimentali

Per facilitare l’adozione in campo delle strategie di controllo sostenibile dei parassiti (Sustainable Worm Control – SWC), è fondamentale comprendere aspettative e bisogni, nonché ostacoli e fattori che incentivano il cambiamento delle pratiche. Per questo motivo, nel 2024 e nel 2025, i partner del progetto SPARC hanno condotto interviste, focus group e sondaggi online coinvolgendo oltre 1000 stakeholder (allevatori, veterinari, consulenti aziendali, tecnici e ricercatori). Sulla base dei risultati, una serie di pratiche SWC sono attualmente in fase di implementazione in oltre 300 allevamenti pilota in tutta Europa.

Valutazione dei bisogni di allevatori, veterinari e consulenti aziendali per il controllo sostenibile dei parassiti

In base alle 300 interviste effettuate in campo, gli allevatori, i veterinari e i consulenti aziendali riportano casi di resistenza ai farmaci antielmintici in tutti i ruminanti in Europa, in particolare negli ovini e nei caprini. L’adozione di pratiche sostenibili rimane disomogenea a causa di molteplici ostacoli di natura tecnica, economica e sociale. Il trattamento (farmacologico) rimane la priorità, ma la gestione dei pascoli, l’uso di prodotti naturali ad azione antielmintica e il monitoraggio parassitologico sono sempre più in crescita. Gli operatori del settore attendono guide sulle buone pratiche, strumenti per la gestione dei trattamenti antielmintici e del pascolo e corsi di formazione brevi, chiari e orientati alla pratica.

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Fonte: Ruminantia




Effetti biologici delle radiazioni: Siamo prossimi ad una nuova catastrofe?

A fronte degli 80 anni oramai trascorsi dal lancio dei primi ordigni nucleari sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, cui hanno fatto seguito i due gravi incidenti rispettivamente occorsi nel 1986 e nel 2011 alla centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, nonché a quella nipponica di Fukushima, incombe ancora sull’intera umanità lo spettro di una o più “fughe radioattive” derivanti dai reiterati bombardamenti russi sulla centrale ucraina di Zaporizhzhia, oltre a quelli effettuati in questi giorni dall’aviazione militare israeliana e statunitense sulle centrali e sugli impianti di arricchimento dell’uranio siti in Iran.

In un siffatto contesto, incredibilmente dimentico delle sonore lezioni che la storia degli ultimi 80 anni ci ha consegnato, appare oltremodo giustificata una sintetica rassegna sui danni biologici provocati dalle radiazioni, già peraltro supportati da una pressoché monumentale letteratura scientifica.

Premesso che le radiazioni possono essere classificate in vario modo, sulla base della loro natura (radiazioni corpuscolate ed elettromagnetiche), intensità e lunghezza d’onda (radiazioni eccitanti e ionizzanti) e premesso, altresì, che i succitati danni si realizzerebbero con modalità sovrapponibili sia nell’uomo che negli animali, sarebbe necessario operare, in primis, una debita distinzione fra danni acuti e danni cronici.

I primi risulterebbero ascrivibili e simili al “danno da calore”, con la comparsa di più o meno estese ustioni di grado e d’intensità variabili in relazione al tempo di esposizione e alla distanza dalla fonte di energia radiante (Altucci et al., 2019).

Ben piu’ articolato e complesso si fa il ragionamento, di contro, allorquando ci si addentri nella disamina degli effetti “a lungo termine” delle radiazioni, ove una prima fondamentale distinzione attiene agli effetti “diretti” arrecati alle principali macromolecole organiche quali i lipidi presenti sulle membrane cellulari (con conseguente formazione di lipoperossidi altamente instabili), unitamente alle proteine (ad attività enzimatica e non), agli zuccheri e, soprattutto, agli acidi nucleici (DNA e RNA), con successiva comparsa di gravi ed estesi fenomeni di denaturazione/degradazione/rottura nonché di mutazioni a carico degli stessi (formazione di dimeri pirimidinici nel caso di radiazioni eccitanti quali le ultraviolette). Analoghi effetti, definiti “indiretti”, si realizzerebbero in virtù del danno primariamente generato dall’interazione delle radiazioni con l’acqua intra- ed extracellulare e dalla sua conseguente dissociazione/rottura (Altucci et al., 2019).

Fra gli oltre 200 citotipi di cui si compone il nostro organismo e, più in generale, quello di tutti gli altri mammiferi terrestri ed acquatici, sarebbero altresì presenti livelli di suscettibilità oltremodo variabili nei confronti del danno “cronico” da radiazioni, cosicché le cellule “costituivamente” caratterizzate da un’intensa attività replicativa (gameti, cellule midollari progenitrici di globuli rossi, leucociti e piastrine, linfociti, cellule dello strato basale dell’epidermide, etc.) risulterebbero ben più sensibili nei confronti degli elementi “stabili” e, soprattutto, rispetto alle cellule “perenni” (quali i neuroni), con conseguente sviluppo di fenomeni di aplasia/ipoplasia (c.d. “castrazione da raggi”) e/o di processi neoplastici (Honjo e Ichinohe, 2025; Lopes et al., 2025).

Ovviamente, poiché ogni organismo si caratterizza come un sistema biologico “dinamico”, esistono tutta una serie di dispositivi atti a fronteggiare i danni prodotti dalle radiazioni – oltre che da molteplici ulteriori “noxae” fisiche, chimiche e biologiche – sulle cellule e sui tessuti che compongono ciascun individuo. Un ruolo di primo attore spetta senza alcun dubbio, in tale ambito, alla proteina p53 (il c.d. “guardiano della cellula”), un fondamentale fattore di trascrizione che nelle cellule di Homo sapiens sapiens e’ codificato da un gene situato sul cromosoma 17 (Altucci et al., 2019). In seguito a un danno a carico del patrimonio genetico, la p53 interviene nella riparazione dello stesso e, ove l’alterazione genomica fosse di entità particolarmente significativa, la p53 opera avviando il ben noto processo dell’ “apoptosi”, alias “morte cellulare programmata”. Purtroppo anche il gene codificante per la p53 non risulterebbe risparmiato dagli eventi mutazionali conseguenti al danno da radiazioni, cosicché ne deriverebbe una proteina mutata, che anziché impartire un ordine/comando di “morte programmata” alla cellula-ospite, indirizzerebbe la stessa verso un percorso di trasformazione neoplastica. Ciò costituisce, invero, la principale motivazione per la quale la p53 “mutata” si caratterizzerebbe a sua volta come una “firma molecolare” precoce in grado di delineare l’avvio di un percorso di “instabilità genetica progressiva” culminante nella trasformazione tumorale (Altucci et al., 2019).

A conclusione di questa sintetica rassegna sui principali effetti biologici esplicati dalle radiazioni, a supporto dei quali è disponibile una produzione bibliografica oltremodo significativa sia per qualità che per quantità, ivi compresi una serie di studi svolti su modelli animali particolarmente innovativi (Honjo e Ichinohe, 2025), ritengo doveroso sottolineare, anche e soprattutto a fronte dell’assenza di confini geografici che gli incidenti nucleari di Chernobyl e Fukushima hanno chiaramente evidenziato, la necessità di un approccio “One Health” nella gestione e, nondimeno, nella prevenzione di siffatte catastrofi, tanto piu’ alla luce delle incombenti minacce rappresentate dai teatri bellici ucraino e iraniano.

Historia magistra vitae!

 

Bibliografia

Altucci L, Berton G, Stivala LA, Moncharmont B. (2019). Patologia Generale, Volume 1, Idelson-Gnocchi Editore.

Honjo Y, Ichinohe T. (2025). Neural crest cells are sensitive to radiation-induced DNA damage. Tissue Cell 94:102774.

DOI: 10.1016/j.tice.2025.102774.

Lopes R, Teles P, Santos J. (2025). A systematic review on the occupational health impacts of ionising radiation exposure among healthcare professionals. J. Radiol. Prot. 45(2).

DOI: 10.1088/1361-6498/added2.

 

Giovanni Di Guardo,

DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Centro di Collaborazione WOAH dell’IZSLT confermato per il quinquennio 2025 – 2030

L’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale (WOAH) ha rinnovato per altri cinque anni, dal 2025 al 2030, la designazione dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana “M. Aleandri” (IZSLT) come Centro di Collaborazione sulle Good Beekeeping Management Practices and Biosecurity Measures in the Apiculture Sector.

In una lettera firmata dalla dr.ssa Montserrat Arroyo, vice-direttrice generale WOAH per gli International Standards and Science, la Commissione degli Standard Biologici «ha esaminato con grande apprezzamento il rapporto di autovalutazione 2020-2025, riconoscendo i significativi progressi compiuti negli ultimi cinque anni» e rilevando che «la maggior parte degli obiettivi iniziali è stata raggiunta con successo». Il documento sottolinea inoltre il ruolo chiave del Centro nel sostenere la missione della WOAH di migliorare, su scala globale, la salute e il benessere animale, apprezzandone «dedizione, competenza e spirito di collaborazione».

«Il rinnovo della collaborazione WOAH è insieme un riconoscimento e un impegno», commenta il Commissario Straordinario dell’IZSLT, dr. Stefano Palomba. «Premia la qualità scientifica del nostro Istituto nel settore apistico, ma soprattutto ci sprona a investire ancora di più in ricerca, formazione nel piano della cooperazione internazionale per proteggere la salute delle api e, con essa, la sicurezza delle filiere agro-alimentari»

Per l’IZSLT questo risultato consolida una leadership maturata negli anni grazie a progetti di ricerca applicata, formazione tecnica e assistenza sul campo alle imprese apistiche. Il nuovo mandato quinquennale consentirà di:

  • ampliare le attività di sorveglianza e prevenzione delle patologie apiarie;
  • sviluppare ulteriori linee guida su biosicurezza e buone pratiche di allevamento;
  • rafforzare la cooperazione con gli altri Centri di Collaborazione e Reference Centre WOAH in una prospettiva One Health.

«Proseguiremo a lavorare fianco a fianco con il Ministero della Salute, le Regioni e gli stakeholder internazionali», conclude Palomba, «perché garantire l’efficienza degli alveari significa tutelare biodiversità, agricoltura e sicurezza alimentare: tre pilastri essenziali per il futuro dei sistemi produttivi e ambientali».

Fonte: IZS Lazio e Toscana



Organoidi di pipistrello: un nuovo modello per studiare i virus zoonotici

Per la prima volta una collezione di organoidi derivati da diverse specie di pipistrello permette di isolare nuovi virus, studiare le infezioni e testare farmaci in un unico sistema

Dall’influenza spagnola al COVID-19, sono innumerevoli i virus di origine zoonotica, cioè trasmessi agli esseri umani da una specie diversa dalla nostra: in effetti, si stima che il 75% delle malattia emergenti sia zoonotica. E i pipistrelli sono un importante serbatoio di virus che, come hanno dimostrato epidemie passate, a un certo punto “imparano” a infettare anche gli umani, a volte approfittando di un ospite intermedio.

Eppure, della relazione tra questi virus e i pipistrelli, loro ospiti naturali, sappiamo relativamente poco; e questa mancanza di conoscenze è un ostacolo anche, per esempio, alle valutazioni del rischio di nuovi spillover. In questo contesto, gli animali da laboratorio non possono fornirci molte informazioni, per varie ragioni: questi virus non si replicano bene in specie diverse dal pipistrello né, d’altronde, altri animali potrebbero replicare le caratteristiche immunitarie uniche degli unici mammiferi in grado di volare. Infine, i pipistrelli non possono essere allevati in laboratorio. I vincoli sono sia etici sia logistici, perché si tratta di animali notturni, volatori, di lunga vita e con esigenze ambientali specifiche, quindi difficili da mantenere e studiare in modo sistematico.

Come saperne di più, allora, sulla relazione tra i pipistrelli e i molteplici virus che li possono infettare? Come ottenere un modello sperimentale realistico?

Un nuovo studio, da poco pubblicato su Science, mostra quanto preziose possano essere le New Approach Methodologies (NAM), quelle a volte chiamate più genericamente “metodi alternativi”: il nuovo lavoro, guidato dall’Institute for Basic Science (IBS) coreano, ha infatti creato per la prima volta una collezione diversificata di organoidi di pipistrello, derivati da cinque specie (insettivori dell’Asia orientale) e da quattro tipi di tessuti (trachea, polmone, rene e intestino tenue).

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Fonte: research4life.it