Vaiolo delle scimmie, non proprio tutto ci viene raccontato dai media!
La recente segnalazione, in Svezia, del primo caso d’infezione registrato al di fuori del Continente Africano e sostenuto dal clade Ib del virus del vaiolo delle scimmie (Monkeypox virus, MPXV) ha destato notevole clamore mediatico, che e’ risultato ulteriormente accresciuto a seguito dell’accertamento di un secondo caso di malattia (anch’esso d’importazione) in Thailandia.
In effetti il succitato ceppo virale, imparentato con il clade I (Ia) di MPXV, dal quale potrebbe essersi evoluto centinaia di anni fa (Kupferschmidt, 2024), sarebbe emerso nella Repubblica Democratica del Congo – ove sarebbero stati gia’ segnalati almeno 18.000 casi con oltre 600 decessi, soprattutto fra i bambini (Reardon, 2024) -, per poi diffondersi rapidamente ai Paesi limitrofi, rappresentati da Kenya, Uganda, Ruanda e Burundi. Si tratta, nello specifico, di un ceppo virale ben più patogeno e virulento rispetto al clade II di MPXV, precedentemente emerso in Africa occidentale e responsabile di un’epidemia già dichiarata nel Luglio 2022 dall’OMS “emergenza internazionale di sanita’ pubblica”, epidemia che “illo tempore” aveva coinvolto quasi 100.000 individui in 116 Paesi, con circa 200 casi di malattia ad esito fatale.
A differenza di quest’ultimo, il clade Ia di MPXV colpirebbe in misura rilevante la popolazione in età pediatrica, al cui interno si registrerebbe un indice di letalita’ pari al 10% (a fronte di una mortalita’ pari a non più dell’1% nelle infezioni sostenute dal clade II, comunque più diffusivo e contagioso rispetto al clade Ib), caratterizzandosi altresì per una modalità di trasmissione sia omo- ed etero-sessuale sia per contatto diretto con la cute e/o le mucose di individui infetti (Reardon, 2024).
Se è vero come è vero che tutte queste informazioni – sulla cui fondamentale rilevanza non vi è alcunché da eccepire – sono divenute di dominio pubblico grazie alle incessanti campagne di comunicazione poste in essere dai mass media nazionali ed internazionali, non altrettanto si può affermare a proposito della straordinaria resistenza ambientale di MPXV, che in ciò risulterebbe accomunato a tutti gli altri membri della Famiglia Poxviridae, di cui lo stesso fa parte.
Infatti, come ho già avuto modo di richiamare in una mia lettera all’Editore recentemente pubblicata sulla prestigiosa Rivista internazionale “Veterinary Record” (Di Guardo, 2024), l’elevata resistenza di tali DNA-virus nei confronti dell’inattivazione chimico-fisica li renderebbe pienamente capaci di persistere al di fuori dei propri ospiti e per lunghi periodi di tempo nell’ambiente esterno.
Ciò potrebbe giustificare il trasferimento, anche a notevole distanza rispetto al sito in cui ne sarebbe avvenuta l’eliminazione ad opera di uno o più individui infetti, di MPXV – cosi’ come di altri Poxvirus ed, in generale, di tutti gli agenti biologici, virali e non, dotati di un’elevata resistenza ambientale -, complici gli aerosol originatisi dalla terraferma (al pari di quelli provenienti dagli ambienti marini, c.d. “sea spray aerosols“) a seguito di eventi/fenomeni meteo-climatici estremi quali trombe d’aria, uragani e tempeste, di sempre piu’ frequente riscontro negli oggettivi contesti di “crisi climatica” e di “riscaldamento globale” che contraddistinguono la presente era dell’Antropocene (Di Guardo, 2024).
A tal proposito, andrebbe adeguatamente sottolineato che gli ultimi nove anni (2015-2023) sono stati quelli più caldi vissuti da nostra Madre Terra nel corso degli ultimi duemila anni, uno scenario drammatico rispetto al quale il 2023 si è caratterizzato come l’anno decisamente più caldo (Esper et al., 2024).
E, mentre il 2024 avrebbe a sua volta tutte le carte in regola per infrangere un siffatto record (Witze, 2024), assai poco invidiabile per la verità, sovviene in mente il “grido di dolore” di Papa Francesco, che già in una Sua eloquente missiva del 2020, indirizzata al Presidente della Colombia in occasione della “Giornata Mondiale dell’Ambiente” ed in piena pandemia da CoViD-19, scriveva testualmente: “Come possiamo immaginare di vivere sani in un mondo malato?“.
Sarebbe “cosa buona e giusta” che anche alle succitate (e mediaticamente ignorate) caratteristiche eco-epidemiologiche del virus MPXV e dell’infezione dallo stesso sostenuta nell’uomo, così come negli animali – tenendone bene a mente, in proposito, il duplice comportamento “zoonosico” ed “antroponosico” -, si facesse riferimento nel decifrare l’origine dei vari focolai di malattia, soprattutto in quei casi in cui dovesse risultare particolarmente difficile individuare le vie/modalità di acquisizione/trasmissione dell’infezione e, più in generale, in quella che in gergo epidemiologico si è soliti definire “analisi del rischio”.
E, poiché anche il virus MPXV fa parte del lunghissimo elenco degli agenti patogeni, virali e non, dotati di comprovata capacità zoonosica, viene avanti ancora una volta, in maniera quantomai forte e prioritaria, la necessità di porre in essere un approccio ispirato al principio/concetto della “One Health” – la salute unica di uomo, animali ed ambiente – al precipuo fine di gestire, prevenire e contrastare efficacemente la comparsa di nuovi focolai di malattia nell’uomo e negli animali, facendo tesoro delle memorabili lezioni che la pandemia da CoViD-19 ci ha consegnato.
Repetita iuvant, mai come in questo caso!
Bibliografia
Di Guardo G. (2024). Consideration of environmental aerosols. Veterinary Record 194(3):119. doi: 10.1002/vetr.3930.
Esper J., Torbenson M., Büntgen U. (2024). 2023 summer warmth unparalleled over the past 2,000 years. Nature 631, 94–97 (2024). https://doi.org/10.1038/s41586-024-07512-y
Kupferschmidt K. (2024). Confused about the mpox outbreaks? Here’s what’s spreading, where, and why. Science DOI: 10.1126/science.zbye5pv.
Reardon S. (2024). Mpox is spreading rapidly. Here are the questions researchers are racing to answer. Nature DOI: https://doi.org/10.1038/d41586-024-02793-9.
Witze A. (2024). Earth boiled in 2023. Will it happen again in 2024? Nature 625: 637-639. DOI: https://doi.org/10.1038/d41586-024-00074-z.
Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP, Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo
E’ di poche settimane fa la notizia relativa ad un ulteriore ampliamento del già ampio spettro d’ospite posseduto dal betacoronavirus SARS-CoV-2, il famigerato agente responsabile della pandemia da CoViD-19.
La presenza di batteri del genere Vibrio (vibrioni) nei frutti di mare è destinata ad aumentare in Europa e nel mondo a causa dei cambiamenti climatici, soprattutto in acque a bassa salinità o salmastre, afferma una recente
Una birra con gli amici, un invitante piatto di frutti di mare o, semplicemente, un bel respiro profondo. È probabile che, così facendo, nel vostro organismo finisca una quantità di plastica equivalente a una carta di credito alla settimana. Oltre due chili in dieci anni. Più che di plastica, si tratta di microplastica, termine usato per la prima volta nel 2004 dal biologo inglese Richard C. Thompson per indicare particelle di forma differente, come frammenti, filamenti, fibre, sfere, granuli, pellet, di dimensioni variabili da 0,1 micrometri (il micrometro è la millesima parte del millimetro) a 5 millimetri. Loro “cugine” sono le nanoplastiche, ancora più minuscole, che misurano da 0,001 a 0,1 micrometri, tanto quanto un virus o un filamento di Dna. Un’emergenza invisibile, ma non per questo meno preoccupante. Basti pensare che in Europa, secondo l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (European Chemicals Agency, Echa), il rilascio di microplastiche nell’ambiente sfiora le 42mila tonnellate all’anno.
I ricercatori dell’Università del Texas di El Paso hanno compiuto progressi significativi nella comprensione del modo in cui le nanoplastiche e le sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS) alterano la struttura e la funzione biomolecolare. Il lavoro mostra che i composti possono alterare le proteine presenti nel latte materno umano e nelle formule per neonati, causando potenzialmente problemi di sviluppo.
All’interno dell’
La biodiversità del Mar Mediterraneo è in continua evoluzione, colonizzato da specie in espansione di areale che arrivano attraverso corridoi naturali, come lo Stretto di Gibilterra, e da specie non indigene o specie aliene che sono introdotte dalle attività antropiche o arrivano attraverso corridoi artificiali quali il Canale di Suez; alcune di queste specie possono anche essere pericolose per la salute umana in quanto tossiche al consumo o velenose al contatto.
L’Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Ancona (Cnr-Irbim) ha coordinato il Technical Report “Fisheries responses to invasive species in a changing climate – Lessons learned from case studies” appena rilasciato dalla Food and Agriculture Organization delle Nazioni unite (FAO) e ora liberamente disponibile in rete: uno strumento a disposizione dei decisori politici, amministratori e delle imprese del settore pesca per rispondere in modo efficace al crescente impatto delle specie acquatiche invasive (AIS), sfida globale oggi ulteriormente aggravata dai cambiamenti climatici.
Le zoonosi, che ogni anno influenzano la salute di oltre due miliardi di persone in tutto il mondo, sono associate a una rete complessa di interazioni di trasmissione, che coinvolgono vari attori. A descriverle nel dettaglio sulla rivista Nature Communications gli scienziati del Complexity Science Hub e dell’Università di Medicina Veterinaria di Vienna.
Il virus altamente patogeno dell’influenza aviaria H5N1, che negli Stati Uniti ha raggiunto anche la popolazione bovina, si trasmette nei mammiferi attraverso il latte vaccino, infettando i topi, che, per esposizione, possono passarlo ai furetti. Questo, in estrema sintesi, è quanto emerge da uno