Influenza aviaria da virus AH5N1, un’altra pandemia in dirittura d’arrivo?

La crescente diffusione del virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (highly pathogenic avian influenza virus, HPAI virus) AH5N1 nella popolazione bovina statunitense, unitamente al recente riscontro di materiale genetico virale nel latte bovino non pastorizzato (il virus risulterebbe comunque sensibile nei confronti delle temperature utilizzate nel processo di pastorizzazione), rappresentano per la Comunità Scientifica motivi di fondato allarme rispetto alla capacità dell’agente patogeno di adattarsi progressivamente alla nostra specie dando vita, in tal modo, ad una preoccupante catena di contagi interumani. Se e’ vero com’e’ vero, infatti, che a far tempo dall’inizio del 2003 a tutt’oggi l’Organizzazione Mondiale della Sanità avrebbe registrato quasi 900 casi d’infezione da virus AH5N1 nell’uomo in 23 Paesi, con un allarmante tasso di mortalità pari al 52%, e’ altrettanto vero che non e’ stato finora segnalato alcun caso di trasmissione interumana.

Ciò non significa, ovviamente, che una siffatta evenienza non si possa prima o poi verificare, vista e considerata la straordinaria capacità dei virus influenzali di mutare il proprio make-up genomico ed antigenico (c.d. “genome shift” e “antigenic drift“) attraverso i meccanismi/fenomeni di ricombinazione e di riassortimento genetico che notoriamente li contraddistinguono.

A tal proposito, mentre ci si interroga sull’origine di un recente caso d’infezione umana da virus AH5N1 in Texas, che potrebbe essere stato acquisito attraverso il contatto con un bovino infetto, preoccupa non poco la documentata trasmissione dell’agente virale dai volatili domestici agli uccelli selvatici e, da questi ultimi, a numerose specie di mammiferi domestici e selvatici, ivi compresi i mammiferi marini, con drammatici episodi di mortalità collettiva che hanno interessato i leoni marini lungo le coste di Perù, Argentina e Cile, unitamente a singoli casi d’infezione ad esito fatale che hanno interessato la cetofauna (focene e tursiopi) residente lungo le coste della Svezia e della Florida.

Di particolare rilievo appare, in un contesto caratterizzato da un crescente quanto allarmante ampliamento dello “spettro d’ospite” del virus a specie animali anche filogeneticamente distanti le une dalle altre, la recente segnalazione dell’infezione anche in un esemplare di orso polare (Ursus maritimus) in Alaska, con tutte le gravi implicazioni che ciò potrebbe comportare ai fini della conservazione di una specie la cui sopravvivenza in natura sarebbe già seriamente minacciata dal progressivo scioglimento dei ghiacci causato dal riscaldamento globale.

Degni di nota risultano, altresì, lo spiccato neurotropismo e la rilevante neuropatogenicità’ del virus AH5N1, caratteristiche inequivocabilmente comprovate dai gravi ed estesi quadri anatomo-istopatologici di meningo-encefalite riscontrati sia nei volatili sia nei mammiferi domestici (gatto) e selvatici (leone marino, focena, tursiope), quadri lesivi che il virus potrebbe continuare a produrre anche nella nostra specie, ove lo stesso dovesse mutare di quel tanto che gli basti ad avviare un’efficiente catena di trasmissione interumana.

Morale della favola, e’ assolutamente necessario e imprescindibile mantenere alta la guardia attraverso una capillare e diffusa attività di sorveglianza eco-epidemiologica su tutti i casi di malattia “simil-influenzale” umana, con particolare riferimento a quelli insorti in individui che abbiano avuto contatti recenti e/o reiterati con animali suscettibili nei confronti dell’infezione.

A ciò dovrebbe necessariamente associarsi, in una sana ottica di collaborazione intersettoriale e nel più completo rispetto di un approccio multidisciplinare e del concetto/principio della “One Health” – la salute unica di uomo, animali ed ambiente -, un’altrettanto capillare e diffusa attività di sorveglianza eco-epidemiologica, svolta in primis ad opera dei Servizi Veterinari nonché degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (presso i quali, è bene ricordarlo, sono attivi da anni “Centri di Referenza Nazionali” appositamente istituiti “ad hoc” per la lotta nei confronti delle malattie infettive animali e delle malattie trasmissibili dagli animali all’uomo), su tutte le specie animali, domestiche e selvatiche, ritenute suscettibili all’infezione da virus AH5N1 e, più in generale, ai virus influenzali.

Teniamo sempre e comunque ben presente, al riguardo, che almeno i due terzi delle “malattie infettive emergenti” traggono la propria origine da un serbatoio animale, comprovato o presunto che esso sia, regola alla quale non avrebbe fatto eccezione neppure SARS-CoV-2, il famigerato betacoronavirus responsabile della COVID-19!

E, per favore, facciamo del nostro meglio, tutti insieme (visto che solo stando tutti insieme ci si salva, come a ogni piè sospinto Papa Francesco ci ricorda!), per non ripetere i drammatici errori che hanno contrassegnato e scandito l’evoluzione della pandemia da COVID-19, primo fra tutti la sconsiderata gestione “ospedalocentrica” della stessa e, fattispecie non meno rilevante, la mancata cooptazione dei Medici Veterinari nel “Comitato Tecnico-Scientifico per la Gestione della Pandemia” (popolarmente noto con l’acronimo “CTS”), come ho peraltro denunciato in una lettera a mia firma pubblicata nel 2021 sulla prestigiosa Rivista BMJ.

Quanto al CTS, poi, l’amaro in bocca rimane anche per il fatto che lo stesso e’ stato incomprensibilmente disciolto, mentre in previsione di future pandemie (non solo quella, qui trattata, da virus AH5N1, ma anche l’altra, “sic stantibus rebus” oltremodo plausibile e probabile, da uno o più “batteri super-resistenti agli antibiotici”) si sarebbe dovuto provvedere, di contro ed in ossequio al principio/concetto della “One Health”, a potenziarlo adeguatamente e a “rivisitarlo” nella propria composizione, includendovi almeno un Medico Veterinario.

Errare Humanum est Perseverare Autem Diabolicum!

Giovanni Di Guardo,

DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Dopo il Covid l’Oms Europa lancia la prima rete paneuropea per il controllo delle malattie

L’Oms Europa ha lanciato oggi congiuntamente la Rete paneuropea per il controllo delle malattie (Ndc) con l’Agenzia per la sicurezza sanitaria del Regno Unito (Ukhsa). L’Nds sarà ospitato dall’Ukhsa, con l’amministratore delegato dell’Ukhsa, Dame Jenny Harries, come presidente ad interim del gruppo direttivo.

In quanto rete di reti di sicurezza sanitaria, la missione dell’Ndc è rafforzare la preparazione della regione europea dell’Oms, che copre 53 paesi in tutta Europa e in Asia centrale, identificando e mitigando in modo proattivo i potenziali rischi prima che si trasformino in minacce regionali o globali.

L’Ndc dovrà:
– svolgere un ruolo vitale nel mantenere le persone al sicuro facilitando la collaborazione e la condivisione delle conoscenze tra nazioni, agenzie sanitarie pubbliche, mondo accademico e società civile;

– promuovere standard comuni per contribuire a facilitare un approccio unificato alla gestione delle malattie in Europa e in Asia centrale;

– sfruttare le reti esistenti riunite attraverso l’Oms Europa e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie per creare opportunità di collaborazione tecnica e ricerca;

– promuovere lo sviluppo di approcci innovativi facilitando la condivisione di casi di studio, competenze tecniche, migliori pratiche e risorse per aiutare i membri dell’Ndc e gli Stati membri europei dell’Oms a sviluppare nuove competenze e partenariati;

– E migliorare il coordinamento interdisciplinare tra i settori animale, umano e ambientale a livello nazionale, regionale e globale, adottando un approccio One Health al controllo delle malattie.

“L’Europa e il mondo non erano preparati per il Covid-19, nonostante i ripetuti avvertimenti degli scienziati che prima o poi si sarebbe verificata una pandemia globale – ha affermato Hans Henri P. Kluge, direttore regionale dell’Oms per l’Europa – La pandemia ha messo a nudo le debolezze della nostra architettura sanitaria regionale e globale. Reazioni affrettate e non informate dalla scienza hanno portato alla chiusura delle frontiere, all’accumulo di vaccini e alla condivisione inadeguata dei dati sanitari. I nostri sistemi politici e sanitari semplicemente non erano attrezzati per affrontare una pandemia di queste dimensioni e gravità. La prossima pandemia o emergenza sanitaria globale potrebbe essere anche peggiore, quindi dobbiamo prepararci adesso”.

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Fonte: quotidianosanità.it




L’IZS Abruzzo e Molise Centro di Referenza FAO per One Health

A seguito della nostra attenta valutazione del mandato, delle principali attività e delle competenze, il raggiungimento del prestigio scientifico, tecnico e politico e l’impegno profuso per rafforzare lo sviluppo delle capacità nelle aree rilevanti per la FAO, nonché per l’esperienza di collaborazione pregressa con la FAO, ho il piacere di comunicarvi che l’IZS di Teramo è stato designato FAO Reference Center for One Health”. Inizia con queste righe firmate dal Deputy Director-General della FAO, Maria Helena Semedo, il documento di nomina inviato al Direttore Generale dell’IZS dell’Abruzzo e del Molise Nicola D’Alterio.

Questa prestigiosa designazione premia ancora una volta l’expertise scientifica del nostro Istituto, mi preme innanzitutto ringraziare i ricercatori e tutto il personale dell’Ente” – commenta il DG D’Alterio  “Dopo i Centri di Referenza per l’Epidemiologia Veterinaria, i Coronavirus Zoonotici e l’expertise nei settori della sanità animale e dei sistemi informativi, la FAO ci riconosce anche come polo di eccellenza internazionale per la ricerca e la tutela della salute in termini olistici Da sempre lavoriamo seguendo l’approccio One Health con l’obiettivo di raggiungere la salute globale e una attenzione particolare alle popolazioni più vulnerabili che vivono nei Paesi in via di sviluppo dove è strettissima la relazione tra la salute delle persone, la salute dei loro animali e l’ambiente in cui vivono, con tutto ciò che ne consegue”.

Sono diversi i compiti del nuovo Centro di Referenza che, in primo luogo, è chiamato a fornire “consulenza tecnico-scientifica, specifica e indipendente” alla FAO nelle attività di sostegno allo sviluppo dei Paesi membri dell’Organizzazione. L’IZS di Teramo dovrà fornire servizi diagnostici su focolai sospetti e confermati di agenti patogeni di zoonosi emergenti; formazione e consulenza per lo sviluppo delle capacità dei laboratori nazionali veterinari dei Paesi membri della FAO; sviluppare e rafforzare il sistema di sorveglianza per monitorare l’antimicrobico resistenza in relazione all’interfaccia umana, animale e ambientale; eseguire la caratterizzazione molecolare dei patogeni nelle acque reflue; rafforzare l’individuazione precoce e la caratterizzazione dei patogeni emergenti, utilizzando tecnologie come la Next Generation Sequencing. E ancora, sostenere la FAO promuovendo la ricerca per lo sviluppo di vaccini veterinari di nuova generazione e la produzione di kit diagnostici e reagenti biologici; fornire supporto tecnico per lo sviluppo di modelli epidemiologici predittivi per il controllo di malattie come Rift Valley Fever, West Nile Disease, Dengue, Zika, ecc.

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Fonte: IZS Lazio e Toscana




Il legame tra scimmie e pipistrelli che fa temere lo spillover di un virus

 Sono 27 i virus precedentemente sconosciuti, incluso un nuovo tipo di coronavirus, trovati nelle feci di pipistrello di cui da qualche anno a questa parte alcune scimmie della foresta di Budongo (Uganda) hanno iniziato a cibarsi. Li hanno identificati gli autori di uno studio appena pubblicato su Communications Biology. La nuova abitudine alimentare, ipotizzano i ricercatori, potrebbe essere legata alla quasi scomparsa della palma Raphia farinifera, un’importante fonte di nutrimento per molti animali selvatici che vivono in questa foresta. La massiccia estirpazione della pianta sarebbe legata alla sua utilità per la realizzazione di corde su cui essiccare le foglie di tabacco. Il rischio è che il nuovo comportamento delle scimmie, indotto da attività antropiche, possa dare origine a eventi di spillover.

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Fonte: wired.it




Aviaria in Usa, tracce virus nel latte pastorizzato delle mucche

latteTracce di virus A H5N1 dell’influenza aviaria rilevate in alcuni campioni di latte pastorizzato di mucche provenienti da allevamenti negli Stati Uniti interessati dall’epidemia.

 La comunicazione è arrivata dalla Food and Drug Administration (Fda), che ha sottolineato come non ci siano elementi al momento per considerare il latte non sicuro e che ulteriori studi e analisi verranno effettuati nei prossimi giorni. Tuttavia, secondo virologi ed infettivologi, si tratta di un fatto da non sottovalutare e che indica come il virus si stia comunque muovendo tra specie diverse.

Al momento, precisa la Fda, non è possibile dire se si tratti di frammenti di materiale genetico inattivo o di virus vivo: “Ad oggi, non abbiamo visto nulla che possa cambiare la nostra valutazione che l’approvvigionamento commerciale di latte è sicuro”, afferma l’Agenzia. Alcuni dei campioni raccolti hanno indicato la presenza di virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità utilizzando il test quantitativo della reazione a catena della polimerasi (qPCR). Tuttavia, precisa ancora l’Fda, un risultato positivo a questo esame “significa che nel campione è stato rilevato il materiale genetico dell’agente patogeno, ma ciò non significa che il campione contenga un agente patogeno intatto e infettivo. Questo perché i test qPCR rilevano anche il materiale genetico residuo di agenti patogeni uccisi dal calore, come la pastorizzazione o altri trattamenti per la sicurezza alimentare”.

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Fonte: ansa.it




Schillaci presenta la Rete degli IIZZSS: “Componente fondamentale del Ssn per la salvaguardia della salute pubblica”

Una Rete di sicurezza sanitaria trasversale che, condividendo competenze e professionalità, parte dalla medicina veterinaria per arrivare a tutelare la salute dell’uomo, in un’ottica di prevenzione e con un approccio One Health lungo tutta la filiera. È la Rete degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali italiani (IIZZSS), presentata oggi dal ministro della Salute, Orazio Schillaci.

Una rete che, per come è strutturata e per come opera, rappresenta un unicum in Europa. “Nessun altro nel Vecchio Continente, infatti – spiega il ministero della Salute in una nota -, ha numeri e presenza capillare sul territorio, come quelli che annovera la principale postazione italiana di controllo e consulenza tecnico-scientifica in materia di sanità pubblica veterinaria”.

Ne fanno parte gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, della Lombardia e dell’Emilia-Romagna, delle Venezie, della Sardegna, di Lazio e Toscana, del Mezzogiorno, della Puglia e Basilicata, dell’Abruzzo e del Molise, della Sicilia, e dell’Umbria e delle Marche. Le attività sono distribuite in 10 sedi centrali, 90 sezioni diagnostiche periferiche. La Rete IIZZSS mette a disposizione della collettività oltre 4 mila persone, tra medici veterinari, chimici, biologi, ricercatori, personale tecnico-amministrativo e molte altre figure professionali, che sono quotidianamente impegnate con l’obiettivo di tutelare la salute dei cittadini.

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Fonte: quotidianosanità.it




Residui di pesticidi negli alimenti: rese note le ultime cifre

Analizzato un ampio numero di campioni

Nel 2022 è stato raccolto nell’Unione europea (UE) un numero senza precedenti di 110 829 campioni di prodotti alimentari, un quarto in più rispetto al 2021. Il 96,3% di essi è risultato nei limiti di legge. Quanto al sottoinsieme di 11 727 campioni analizzati in base allo specifico programma di controllo coordinato dall’UE (EU MACP) si è riscontrato che rientrava nei limiti di legge il 98,4% di essi.

Risultati del programma coordinato dall’UE

Il programma EU MACP analizza campioni prelevati a caso da 12 prodotti alimentari. Per il 2022 si è trattato di mele, fragole, pesche, vino (rosso e bianco), lattughe, cavoli cappucci, pomodori, spinaci, avena in grani, orzo in grani, latte di mucca e grasso di maiale.

Dei campioni analizzati all’interno del programma coordinato:

  • 6 023, ovvero il 51,4%, sono risultati privi di residui quantificabili;
  • 5 512, ovvero il 47%, contenevano uno o più residui in concentrazioni inferiori o pari ai limiti ammessi (noti come livelli massimi di residui o LMR );
  • 192 ovvero il 1,6% conteneva residui superiori ai limiti consentiti.

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Fonte: EFSA




Batteri resistenti agli antibiotici: trasmissione possibile anche dagli animali domestici

animali d'affezioneL’interazione tra gli animali domestici e l’uomo può essere fonte di trasmissione (anche) di batteri resistenti agli antibiotici. Ragion per cui, per fronteggiare un problema che ha assunto le dimensioni di un’emergenza di sanità pubblica, occorre fare attenzione anche al rapporto che si instaura in casa con cani e gatti. Anche nel nostro Paese, dove nonostante alcuni lievi passi in avanti si è lontani da una corretta gestione del problema.

“Comprendere e affrontare la trasmissione dei superbatteri dagli animali domestici agli esseri umani è essenziale per combattere efficacemente la resistenza antimicrobica nelle popolazioni sia umane sia animali”, anticipa Juliana Menezes, ricercatrice del laboratorio di resistenza agli antibiotici del Centro di ricerca interdisciplinare sulla salute animale della facoltà di medicina veterinaria dell’Università di Lisbona, che sul tema presenterà una ricerca nel corso del congresso Escmid Global in programma a Barcellona dal 27 al 30 aprile.

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Fonte: aboutpharma.com




Le principali agenzie sanitarie delineano una terminologia aggiornata per gli agenti patogeni che si trasmettono attraverso l’aria

A seguito della consultazione con agenzie ed esperti di sanità pubblica, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha pubblicato un rapporto di consultazione tecnica globale che introduce una terminologia aggiornata per gli agenti patogeni che si trasmettono attraverso l’aria. Gli agenti patogeni coperti includono quelli che causano infezioni respiratorie, ad esempio Covid-19, influenza, morbillo, sindrome respiratoria del Medio Oriente (Mers), sindrome respiratoria acuta grave (Sars) e tubercolosi, tra gli altri.

La pubblicazione, intitolata “Rapporto di consultazione tecnica globale sulla terminologia proposta per gli agenti patogeni che si trasmettono attraverso l’aria”, è il risultato di un ampio sforzo di collaborazione pluriennale e riflette l’accordo condiviso sulla terminologia tra l’Oms, gli esperti e quattro importanti agenzie di sanità pubblica: Centri africani per il controllo e la prevenzione delle malattie; Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie; Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie; e Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie. Questo accordo sottolinea l’impegno collettivo delle agenzie sanitarie pubbliche ad andare avanti insieme su questo tema.

L’ampia consultazione è stata condotta in più fasi nel 2021-2023 e ha affrontato la mancanza di una terminologia comune per descrivere la trasmissione di agenti patogeni attraverso l’aria tra le discipline scientifiche. La sfida è diventata particolarmente evidente durante la pandemia di Covid-19 poiché è stato richiesto a esperti di vari settori di fornire orientamenti scientifici e politici. Le diverse terminologie hanno evidenziato lacune nella comprensione comune e hanno contribuito a creare sfide nella comunicazione pubblica e negli sforzi volti a frenare la trasmissione dell’agente patogeno.

“Insieme a una gamma molto diversificata di importanti agenzie di sanità pubblica ed esperti in molteplici discipline, siamo lieti di essere stati in grado di affrontare questo problema complesso e tempestivo e di raggiungere un consenso – ha affermato Jeremy Farrar, capo scienziato dell’Oms -. La terminologia concordata per gli agenti patogeni che si trasmettono attraverso l’aria aiuterà a stabilire un nuovo percorso per i programmi di ricerca e l’attuazione di interventi di sanità pubblica per identificare, comunicare e rispondere agli agenti patogeni esistenti e nuovi”.

 

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Fonte: quotidianosanità.it




Parassiti nei pesci d’allevamento, le specie indenni secondo l’Efsa

Un nuovo parere pubblicato dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) dimostra che non vi sono prove di infezione da parassiti zoonotici nella maggior parte dei pesci allevati in sistemi di acquacoltura a ricircolo (Sar). Il salmone atlantico, la trota iridea, l’orata, il rombo, il moscardino, l’ippoglosso atlantico, la carpa comune e il pesce gatto europeo possono essere consumati senza alcuna preoccupazione.

Lo studio
Un parere scientifico pubblicato dall’Efsa ha valutato i dati provenienti dall’area Ue/Efta e i nuovi metodi per individuare ed eliminare i parassiti dai pesci. Sebbene limitati, i dati indicano che molte specie di pesci d’allevamento destinate al mercato – il salmone atlantico, la trota iridea, l’orata, il rombo, il moscardino, l’ippoglosso atlantico, la carpa e il pesce gatto europeo – sono indenni da infezioni da parassiti.
Tuttavia, il ritrovamento di parassiti come l’Anisakis in spigole europee, tonno rosso dell’Atlantico, merluzzo e tinca, allevati in gabbie aperte in mare aperto o in bacini a flusso continuo, rende necessarie ulteriori analisi.
Lo studio riporta che i pesci allevati in sistemi chiusi di acquacoltura a ricircolo di acqua filtrata e mangime trattato termicamente sono quasi sicuramente indenni.
Gli esperti dell’Efsa necessitano di ulteriori dati per stimare la prevalenza di parassiti specifici nelle specie ittiche selezionate, nei vari sistemi di allevamento e nelle zone di produzione dell’area studiata, e per poter fornire un quadro completo delle varie combinazioni tra le principali specie ittiche d’allevamento e i loro parassiti.

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Fonte:vet33