Scoperta scientifica sulla diagnosi precoce della Scrapie

La ricerca premiata al Convegno internazionale “Prion 2024” di Nanchang (Cina)

Un gruppo di ricerca dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta (IZSPLV), che vede coinvolte “Neurobiologia Sperimentale” e “Proteomica e diagnostica TSE”, ha realizzato un innovativo metodo per la diagnosi precoce della Scrapie, una patologia prionica che colpisce pecore e capre.

Il protocollo è basato sull’uso dell’RT-QuIC, una tecnica che amplifica la proteina prionica patologica (PrPSc) nel latte.

Il metodo offre una via di diagnosi preclinica, non invasiva e di alta sensibilità, dimostrando come il latte possa essere una matrice biologica per la rilevazione della Scrapie.

Il lavoro rappresenta un passo avanti significativo nella diagnosi delle encefalopatie spongiformi trasmissibili (TSE) e può avere un impatto profondo nella gestione e nella prevenzione di queste malattie negli allevamenti.

Lo studio ha suscitato l’interesse della comunità scientifica internazionale, tanto da ricevere un prestigioso riconoscimento: è stato infatti considerato il terzo miglior lavoro scientifico di tutti quelli presentati al convegno “Prion 2024”, che si è tenuto in Cina a Nanchang dal 23 al 27 ottobre 2024.

La ricerca presentata sotto forma di poster e intitolata “Detection of Pathological Prion Protein in Milk Samples from Scrapie Naturally Infected Sheep by Real-Time Quaking-Induced Conversion assay”, è stata realizzata da Alessandra Favole in collaborazione con Maria Mazza, nell’ambito del progetto di ricerca finalizzata Alive and QuICking: early and intra-vitam detection of prions using Real-Time Quaking-Induced Conversion (RT-QuIC) assay as individual and flock test, to improve Scrapie and CWD surveillance in Italy del quale è responsabile Pierluigi Acutis.

Leggi l’articolo

Fonte: IZS Piemonte Liguria e Valle d’Aosta




Influenza zoonotica: dall’Ecdc le indicazioni per la diagnosi precoce

Un vademecum per la sorveglianza e l’applicazione di test mirati alla diagnosi dell’influenza zoonotica nel periodo invernale è stato stilato dall’European centre for disease prevention and control (Ecdc). Si va dalla sensibilizzazione degli operatori sanitari nelle cure primarie e secondarie all’autoisolamento fino alla tipizzazione in ambito ospedaliero.

La necessità del documento nasce dalla possibilità, nelle aree in cui si sono verificati focolai di influenza aviaria negli uccelli o nei mammiferi, che si verifichino casi umani di infezione con esposizione sconosciuta. Le autorità sanitarie pubbliche dovrebbero quindi incoraggiare laboratori, ospedali e clinici a prendere in considerazione l’aumento dei test.

La sorveglianza parte dai sanitari

In primo luogo, come raccomanda l’Ecdc, la sensibilizzazione dovrebbe includere la comunicazione della situazione epidemiologica locale, inclusa l’influenza aviaria negli uccelli e negli animali, agli operatori sanitari (inclusi gli operatori di cure primarie) nel territorio.

Per non perdere o ritardare la diagnosi di potenziali casi di influenza zoonotica umana, gli operatori sanitari dovrebbero chiedere ai pazienti eventuali sintomi compatibili con l’infezione influenzale zoonotica e la loro storia di esposizione ad animali, in particolare nel contesto di eventuali focolai di influenza aviaria in corso negli uccelli o nei mammiferi.

Leggi l’articolo

Fonte: aboutpharma.com




IZSLER di Pavia: Centro Regionale Lombardo per le zoonosi e le malattie trasmesse da artropodi

Con delibera 2966, il 05/08/2024 Regione Lombardia ha individuato la Sede Territoriale IZSLER di Pavia quale “Centro Regionale per le zoonosi e le malattie trasmesse da artropodi”.

Il Centro svolgerà un ruolo di supporto all’azione di governance regionale. La nomina arriva dopo un lungo percorso rivolto allo studio delle zoonosi iniziato 25 anni fa con l’istituzione di due centri di referenza nazionali (CRN per la tularemia e le clamidiosi) e più recentemente di un centro regionale (CRR per la determinazione rapida degli agenti batterici ad alta diffusione a potenziale impiego bioterroristico).

Dal 2010 la sede di Pavia e la sede di Sondrio, hanno creato un percorso diagnostico-terapeutico per l’identificazione rapida degli agenti patogeni nelle zecche trovate sull’uomo finalizzato a supportare il personale medico con interventi mirati in un’ottica di lotta alla antibiotico-resistenza. Il supporto sanitario, inizialmente offerto alle AATTSS di competenza, con delibera 2365 del 20/05/2024 è stato esteso a tutto il territorio regionale,  con il coordinamento della Direzione Generale Welfare, U.O. Veterinaria e U.O. Prevenzione, aggiungendo valore alla attività di prevenzione a tutela della salute dei cittadini lombardi

Leggi l’articolo

Fonte: IZS Lombardia Emilia Romagna




IZS Lazio e Toscana: istituito il Centro di Referenza Nazionale per le Malattie nei Primati non Umani

Presso la sede di Roma dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana (IZSLT) è stato istituito il Centro di Referenza Nazionale per le Malattie nei Primati non Umani, settimo centro di referenza nazionale per questo Istituto. Il  nuovo centro offrirà un punto di riferimento avanzato per la Salute Pubblica e la ricerca biomedica in una chiara e inequivocabile ottica “One Health”.

L’IZSLT, forte dell’esperienza acquisita negli anni sia nella diagnosi sia nella gestione delle patologie dei primati nonché nei settori della diagnostica, dell’approfondimento scientifico e della sorveglianza nelle malattie nei primati non umani, ha consolidato collaborazioni con giardini zoologici e bioparchi per la conservazione e loro detenzione e con enti di ricerca e, in particolare, con l’Istituto nazionale per le malattie infettive «Lazzaro Spallanzani» (INMI) che ha consentito all’Istituto di raggiungere gli attuali standard capacitivi espressi in modo inequivocabile negli anni .

I primati non umani, categoria che include scimmie e lemuri, sono specie fondamentali sia per la conservazione della biodiversità sia per la ricerca biomedica. Il loro stato di salute rappresenta un importante indicatore il cui monitoraggio garantisce la necessaria awareness atta a prevenire spillover di zoonosi e malattie infettive e garantire condizioni di benessere, soprattutto negli esemplari detenuti in Centri di ricerca o giardini Zoologici.

Leggi l’articolo

Fonte: IZS Lazio e Toscana




Il nemico nel piatto: cosa sapere dei cibi ultraprocessati

Gli anni dal 2016 al 2025 sono stati designati dall’ONU come Decennio della Nutrizione, contro le minacce multiple a sistemi, forniture e sicurezza alimentari e, quindi, alla salute umana e alla biosfera; può rientrare nell’iniziativa cercare di capire quali alimenti contribuiscano alla salute e al benessere e quali siano malsani. Fin dalla preistoria, gli esseri umani hanno elaborato il cibo per renderlo sicuro, gradevole al palato e conservabile a lungo; questa propensione ha toccato il culmine, nel mezzo secolo trascorso, con l’avvento dei cibi ultraprocessati (UPF).

Dalla definizione degli UPF alla classificazione Nova

Il termine è stato introdotto nella letteratura scientifica dall’epidemiologo nutrizionista Carlos Augusto Monteiro, dell’Università di São Paulo che, a metà degli anni Novanta, notando un preoccupante aumento dell’obesità infantile, esaminò i dati degli acquisti alimentari delle famiglie brasiliane e scoprì che, rispetto agli anni precedenti, erano stati acquistati meno zucchero, sale, oli da cucina e prodotti di base (come riso e fagioli) e più cibi lavorati come bibite, salsicce, noodles istantanei, pane confezionato e biscotti. Monteiro sviluppò un sistema di classificazione alimentare chiamato Nova, poi adottato da ricercatori in tutto il mondo, che divide gli alimenti in base alla natura, all’entità e allo scopo della lavorazione: in minimamente lavorati (frutta e verdura fresca o congelata, fagioli, lenticchie, carne, pollame, pesce, uova, latte, yogurt bianco, riso, pasta, farina di mais, caffè, tè, erbe e spezie), ingredienti culinari trasformati (oli da cucina, burro, zucchero, miele, aceto e sale), cibi trasformati (realizzati combinando alimenti della categoria 1 con ingredienti della categoria 2 e preparati per la conservazione) e, infine, formulazioni industriali. Queste ultime sono realizzate, attraverso una serie di processi (da qui “ultra-processate”), interamente o principalmente da sostanze estratte da alimenti (oli, grassi, zucchero, amido e proteine), oppure derivate da costituenti alimentari (grassi idrogenati e amido modificato), oppure sintetizzate in laboratorio da substrati alimentari o da altre fonti organiche (esaltatori di sapore, coloranti e diversi additivi alimentari utilizzati per rendere il prodotto iper-palatabile).

Leggi l’articolo

Fonte: scienzainrete.it




Apicoltura: individuato acaro orientale in Georgia

apicolturaPotrebbe arrivare ancora dall’Asia la nuova minaccia per le api, la cui salute è già messa a dura prova dalla globalizzazione, dall’effetto dei cambiamenti climatici e dell’abuso di fitofarmaci. Si tratta dell’acaro Tropilaelaps mercedesae, un ectoparassita (che vive cioè sulla superficie esterna dell’ospite) originario delle api mellifere asiatiche giganti (Apis dorsata, A. breviligula e A. laboriosa), ma che sta provocando effetti negativi anche sulle colonie di api mellifere occidentali (Apis mellifera). Dopo il ritrovamento in Russia, l’acaro è adesso segnalato per la prima volta in Georgia, confermando la sua espansione geografica.

È quanto emerge dallo studio “First Report on Tropilaelaps mercedesae Presence in Georgia: The Mite is Heading Westward!” (Primo rapporto sulla presenza di Tropilaelaps mercedesae in Georgia: l’acaro si sta dirigendo verso ovest!), pubblicato sulla rivista internazionale Journal of Apicultural Science, realizzato dall’’Istituto di Entomologia dell’Università di Agraria della Georgia anche grazie al contributo del CREA Agricoltura e Ambiente.

Lo studio. Sono state condotte ispezioni e analisi sui campioni di covata in sette colonie di api mellifere (A. mellifera caucasica) provenienti da tre apiari diversi. Nello specifico è stata effettuata l’analisi del DNA mitocondriale o barcoding (letteralmente il “codice a barre” del DNA), una tecnica che sfrutta particolari sequenze geniche – i marcatori molecolari – uniche e specifiche per ogni specie, consentendo così di determinare la specie di appartenenza di animali, piante o microrganismi. Inoltre, per confermare l’identificazione, sono state compiute misurazioni morfologiche degli acari. Le analisi svolte sui campioni hanno mostrato alti tassi di infestazione da T. mercedesae, una notevole capacità riproduttiva e co-infestazione da Varroa destructor, l’altro acaro parassita asiatico ormai noto all’apicoltura globale.

Leggi l’articolo

Fonte: crea.gov.it




Cambiamento climatico. Raggiunto nuovo record di temperatura

Cambiamenti climaticiNonostante la speranza iniziale ispirata dall’accordo di Parigi del 2015, il mondo è ora pericolosamente vicino a violare il suo obiettivo di limitare il riscaldamento medio pluriennale globale a 1,5 °C. La temperatura media annuale della superficie ha raggiunto un massimo record di 1,45 °C al di sopra della linea di base preindustriale nel 2023 e nuovi picchi di temperatura sono stati registrati per tutto il 2024. Gli estremi climatici risultanti stanno mietendo sempre più vittime e mezzi di sostentamento in tutto il mondo.

Questi i nuovi dati globali dell’ottavo rapporto annuale sugli indicatori del “Lancet Countdown on Health and Climate Change”, riportati sulla rivista The Lancet.

I costi umani del cambiamento climatico
I dati del rapporto di quest’anno mostrano che le persone in tutto il mondo stanno affrontando minacce da record al loro benessere, alla loro salute e alla loro sopravvivenza a causa del rapido cambiamento climatico. Dei 15 indicatori che monitorano i rischi per la salute, le esposizioni e gli impatti correlati al cambiamento climatico, dieci hanno raggiunto nuovi record preoccupanti.

La mortalità correlata al calore delle persone di età superiore ai 65 anni è aumentata di un record del 167% rispetto agli anni ’90, 102 punti percentuali in più rispetto al 65% che ci si sarebbe aspettato senza l’aumento della temperatura. L’esposizione al calore sta inoltre influenzando sempre di più l’attività fisica e la qualità del sonno, influendo a sua volta sulla salute fisica e mentale. Nel 2023, l’esposizione al calore ha messo le persone impegnate in attività fisica all’aperto a rischio di stress da calore (moderato o superiore) per un record del 27,7% di ore in più rispetto alla media degli anni ’90 e ha portato a un record del 6% di ore di sonno perse nel 2023 rispetto alla media del periodo 1986-2005.

Le persone in tutto il mondo sono sempre più a rischio di eventi meteorologici estremi potenzialmente letali. Tra il 1961-90 e il 2014-23, il 61% della superficie terrestre globale ha visto un aumento del numero di giorni di precipitazioni estreme, che a sua volta aumenta il rischio di inondazioni, diffusione di malattie infettive e contaminazione delle acque. Parallelamente, il 48% della superficie terrestre globale è stato colpito da almeno 1 mese di siccità estrema nel 2023. L’aumento degli eventi di siccità e ondate di calore dal 1981-2010 è stato, a sua volta, associato a 151 milioni di persone in più che hanno sperimentato un’insicurezza alimentare moderata o grave in 124 paesi valutati nel 2022, il valore più alto registrato.

Le condizioni meteorologiche più calde e secche stanno favorendo sempre di più il verificarsi di tempeste di sabbia e polvere. Questo fenomeno meteorologico-ambientale ha contribuito a un aumento del 31% del numero di persone esposte a concentrazioni di particolato pericolosamente elevate tra il 2003-07 e il 2018-22 (indicatore 1.2.4). Nel frattempo, i cambiamenti nei modelli di precipitazione e l’aumento delle temperature stanno favorendo la trasmissione di malattie infettive mortali come la dengue, la malaria, la malattia correlata al West Nile virus e la vibriosi, esponendo le persone al rischio di trasmissione in luoghi precedentemente non interessati.

Leggi l’articolo

Fonte: quotidianosanita.it




Gli alimenti contaminati da micotossine sono ottimi per nutrire gli insetti

Da qualche tempo gli insetti sono stati proposti come il cibo proteico del futuro. Per noi occidentali la proposta è difficile da accettare, anche se c’è chi ci assicura che il sapore è ottimo. D’altra parte, in molti Paesi del sud est asiatico insetti e aracnidi vengono consumati da sempre, senza alcun tipo di problema, per cui, tutto è possibile.
Da noi, per il momento, alcune specie di insetti vengono allevate alimentandole anche con scarti alimentari, altrimenti inutilizzabili, ma il costo per l’alimentazione viene rimane elevato. Ne risultano farine di larve e di adulti caratterizzate da alti contenuti proteici, particolarmente utili come alternative proteiche a quelle classiche, come la soia, da inserire nelle diete dei nostri animali in allevamento, specie dei suini e dei polli. Ciò facendo, cerchiamo di limitare i danni all’ambiente conseguenti alle ben note problematiche della deforestazione selvaggia, praticata, anche illegalmente, per far posto alle immense monocolture di soia.

Dai ricercatori dell’Università olandese di Wageningen e degli Stati Uniti ci arrivano novità che rendono ancora più interessante l’allevamento di insetti per l’alimentazione animale.
In particolare, l’argomento della tesi di dottorato di Kelly Niermans all’Università di Wageningen ha riguardato la capacità che hanno certe larve, come quelle della mosca domestica, del Black Soldier, della tarma della farina e del grillo, di trasformare le micotossine in molecole assolutamente innocue. La segnalazione arriva da “All About Feed” del 9 settembre scorso.
Si tratta di una scoperta che apre interessanti opportunità di utilizzare substrati alimentari inquinati dalla presenza di tossine, altrimenti inutilizzabili, in alimenti per l’allevamento di insetti.

Leggi l’articolo

Fonte: gergofili.info




PFAS nel 99% delle acque minerali e del rubinetto: contaminati anche i pesci

Gli PFAS (Sostanze perfluoro alchiliche), cioè le migliaia di sostanze impermeabilizzanti utilizzate per innumerevoli prodotti, sono presenti quasi in tutte le acque potabili del pianeta, e si ritrovano anche nei pesci, e non solo in quelli che vivono nelle immediate vicinanze di scarichi che ne contengono elevate quantità. Si arricchisce di due nuovi tasselli lo studio della diffusione dei “contaminanti perenni”: due nuove ricerche che confermano quanto la contaminazione sia ormai ubiquitaria, e perché sia urgente adottare provvedimenti.

 Acque di tutto il mondo unite

Il primo studio riguarda le acque potabili, sia del rubinetto che in bottiglia, naturali o gassate, ed è stato condotto da un team sino-inglese, composto da ricercatori delle università di Birmingham, nel Regno Unito e di Shenzhen, in Cina, che hanno poi pubblicato i risultati su ACS Environmental Science & Technology – Water.

Gli autori hanno analizzato campioni provenienti da 15 Paesi dei diversi tipi di acque, alla ricerca di dieci tra gli PFAS più comuni. Nello specifico, hanno verificato le acque di 41 acquedotti inglesi e 14 cinesi, e 112 campioni di bottiglie di acque minerali in vetro e in plastica, naturale (89) o gassata (23), di 87 marchi, provenienti da 15 Paesi di Asia, Europa, Nord America e Oceania. Hanno così scoperto che l’acido perfluoroottanoico e il perfluoro-ottan-sulfonate (PFOS) sono presenti nel 99% delle acque, e che gli altri PFAS lo sono in percentuali variabili tra il 63 e il 97%: dati che, da soli spiegano quanto grave sia la situazione.

 Le acque minerali sono più contaminate rispetto a quelle filtrate di acquedotto, mentre non emergono differenze significative tra quelle in bottiglia di plastica o di vetro, né tra quelle naturali o gassate. Com’era prevedibile, inoltre, le acque cinesi hanno in media una concentrazione di PFAS molto più elevata di quelle inglesi, e pari, in media, a 9,2 nanogrammi per litro (ng/l) contro i 2,7 ng/l britanniche.
Leggi l’articolo
Fonte: ilfattoalimentare.it



Sperimentazione primo vaccino mRNA contro norovirus

vaccino È stata avviata la sperimentazione del primo vaccino mRNA al mondo contro il virus del vomito, norovirus, nella speranza che possa apportare enormi benefici alla salute e all’economia. A produrre il vaccino è l’azienda farmaceutica, Moderna. Il norovirus provoca malessere e diarrea e può diffondersi molto rapidamente tra le persone a stretto contatto, con epidemie che spesso si verificano in ospedali, case di cura, scuole e asili nido. Sebbene la maggior parte delle persone guarisca entro due o tre giorni, il virus può essere grave, soprattutto per i bambini molto piccoli, gli anziani o le persone con un sistema immunitario indebolito. “Al momento non esistono vaccini approvati contro il norovirus nel mondo, mentre alle persone che si ammalano gravemente vengono semplicemente somministrati liquidi per via endovenosa”, ha detto Patrick Moore, medico di base e ricercatore capo nazionale per la sperimentazione nel Regno Unito. “Il peso del virus è enorme, con circa 685 milioni di casi e 200.000 decessi a livello globale ogni anno”, ha proseguito Moore. “Nel Regno Unito si pensa che ci siano circa 4 milioni di casi di norovirus all’anno, con 12.000 ricoveri ospedalieri all’anno nella sola Inghilterra”, ha continuato Moore. “Nel Regno Unito, si stima che il norovirus costi circa 100 milioni di sterline all’anno al Servizio Sanitario Nazionale e, se si considerano i mancati guadagni, si arriva a circa 300 milioni di sterline”, ha affermato Moore. Denominato Nova 301, lo studio clinico di fase 3 durerà due anni e arruolerà 25.000 adulti, con particolare attenzione a quelli di età superiore ai 60 anni, provenienti da paesi tra cui Giappone, Canada e Australia. In totale, 27 centri di assistenza primaria e secondaria del NHS in Inghilterra, Scozia e Galles saranno coinvolti nella sperimentazione, con circa 2.500 partecipanti da reclutare da fine ottobre. La squadra di ricerca ha annunciato che utilizzerà anche unità mobili per facilitare la partecipazione delle persone. La parte britannica dello studio fa parte della partnership strategica decennale Moderna-Regno Unito e prevede una collaborazione tra il National Institute for Health and Care Research, NIHR, il Department of Health and Social Care, DHSC, la UK Health Security Agency, UKHSA.

Nell’ambito della sperimentazione, metà dei partecipanti verrà assegnata in modo casuale a ricevere il nuovo vaccino, mentre l’altra metà riceverà un’iniezione di soluzione salina come placebo. Il vaccino contro il norovirus si basa sulla tecnologia mRNA, un approccio utilizzato da aziende come Moderna e Pfizer/BioNTech nello sviluppo dei loro vaccini anti-Covid. Tali vaccini funzionano introducendo una molecola a singolo filamento, l’mRNA, nelle cellule umane. L’mRNA trasporta istruzioni che possono essere utilizzate dai macchinari all’interno di queste cellule per produrre proteine ​​associate al virus. Queste proteine ​​attivano quindi il sistema immunitario del corpo, fornendo protezione contro un futuro incontro con il virus stesso. Nel caso del nuovo vaccino, l’mRNA contiene istruzioni per produrre il rivestimento proteico di tre diversi tipi di norovirus, dando origine alla formazione di particelle innocue simili al virus che possono innescare la produzione di anticorpi. Mentre la squadra di scienziati ha affermato che i precedenti test del vaccino hanno dimostrato che esso genera una forte risposta immunitaria negli esseri umani, il nuovo studio è progettato per verificare se l’iniezione è efficace contro il virus stesso e, in tal caso, per quanto tempo dura la protezione. “Almeno il 65% di efficacia o più è ciò che considereremmo clinicamente significativo”, ha dichiarato Doran Fink, di Moderna. Se il vaccino contro il norovirus dovesse rivelarsi efficace, l’azienda prevede di presentare una domanda di autorizzazione all’immissione in commercio agli enti regolatori nel 2026, con un processo di revisione che dovrebbe durare fino a un anno. Verrebbero inoltre condotti ulteriori studi su adolescenti e bambini più piccoli. “Un vaccino efficace aiuterebbe a far funzionare normalmente le case di cura, consentendo alle persone di far visita ai propri cari”, ha sottolineato Saul Faust, dell’Università di Southampton e co-responsabile clinico del Vaccination Innovation Pathway del NIHR. “Ciò contribuirebbe a impedire che le persone fragili diventino ancora più fragili”, ha aggiunto Moore. “Non avremmo condotto questo tipo di sperimentazione a questo ritmo se non fosse andata a vantaggio degli individui stessi”, ha evidenziato Faust.

Fonte: AGI