Pubblicazione. ONE HEALTH: una salute unica e una sola scienza Protect our future too from zoonosi

Tra aprile e ottobre 2023, a Roma e Palermo, si sono svolti due Convegni che hanno riunito diversi esperti delle Professioni Sanitarie nell’ambito della medicina umana e veterinaria, tra cui infettivologi, entomologi, epidemiologi, parassitologi, medici veterinari, medici di medicina generale e climatologi, per raccogliere testimonianze e punti di vista su come applicare un efficace approccio One Health per il controllo e il monitoraggio delle malattie da vettore zoonotiche.

L’elemento condiviso da tutti i professionisti coinvolti, emerso dai vari tavoli di discussione, è stato l’importanza di un approccio One Health, ovvero un metodo “olistico” per la gestione della salute umana, animale e ambientale, riconoscendo l’interconnessione e l’interdipendenza tra di esse, e punto chiave nell’agenda delle istituzioni globali.

La pubblicazione “ONE HEALTH: una salute unica e una sola scienza Protect our future too from zoonosis”, realizzata con il contributo di MSD Animal Health, ripercorre gli argomenti affrontati nel corso dei due Convegni e approfondisce il tema One Health, le sue radici e le sue sfide.




Necessario proseguire gli sforzi per combattere l’antibiotico-resistenza nell’uomo e negli animali

Secondo un rapporto pubblicato dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) congiuntamente al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), la resistenza dei batteri Salmonella e Campylobacter agli antimicrobici di uso comune continua a essere osservata di frequente nell’uomo e negli animali.

La resistenza congiunta ad antimicrobici di importanza primaria in medicina umana rimane però molto bassa, tranne che in alcuni tipi di Salmonella e Campylobacter coli in alcuni Paesi.

È inoltre aumentata la percentuale di isolati di Escherichia coli da animali destinati alla produzione di alimenti che presentano una “suscettibilità completa” o “zero resistenza” ai principali antimicrobici. Questo dato, insieme alla diminuzione della prevalenza di isolati di E. coli produttori di ESBL o AmpC – enzimi che possono rendere inefficaci alcuni antibiotici – dimostra i progressi compiuti nella riduzione dell’antibiotico-resistenza (AMR) in E. coli da animali destinati alla produzione di alimenti in diversi Stati membri dell’UE.

Hanno dichiarato Carlos Das Neves, direttore scientifico dell’EFSA, e Mike Catchpole, direttore scientifico dell’ECDC: “Anche se abbiamo registrato risultati positivi grazie alle misure attuate per ridurre l’AMR, è essenziale continuare a unire le forze per controbattere questa minaccia mondiale. L’approccio One Health ci ricorda che per affrontare l’antibiotico-resistenza è necessario congiungere le forze tra diversi settori: quello della salute umana, della salute animale e dell’ambiente“.

Per Salmonella la resistenza ai carbapenemi è stata riscontrata in isolati dall’uomo, ma non da animali destinati alla produzione di alimenti; per E. coli la resistenza ai carbapenemi è stata rilevata in isolati da animali da produzione alimentare. Sebbene l’insorgenza di resistenza ai carbapenemi sia attualmente segnalata a livelli molto bassi in isolati sia dall’uomo che da animali, negli ultimi anni un numero crescente di Paesi ha segnalato la presenza di batteri produttori di enzimi carbapenemasi in varie specie animali. Ciò richiede attenzione e ulteriori indagini dal momento che i carbapenemi sono una classe di antibiotici di ultima istanza e qualsiasi rilevamento di resistenza ad essi è motivo di preoccupazione.

Tra il 2013 e il 2022, in pazienti umani, almeno la metà dei Paesi dichiaranti ha osservato tendenze all’aumento della resistenza ai fluorochinoloni in isolati di Salmonella Enteritidis e Campylobacter jejuni, solitamente associata al pollame. Questo dato è preoccupante per la salute pubblica poiché nelle rare occasioni in cui le infezioni da Salmonella o Campylobacter evolvono in malattie gravi, i fluorochinoloni sono tra gli antimicrobici utilizzati per il trattamento.

Un terzo dei Paesi ha osservato tendenze alla diminuzione della resistenza ai macrolidi in isolati di Campylobacter dall’uomo, in particolare per C. coli. Questo dato è degno di nota perché l’aumento della resistenza ai fluorochinoloni fa sì che i macrolidi diventino sempre più importanti per il trattamento delle infezioni alimentari gravi nell’uomo.
In due terzi dei Paesi dichiaranti la resistenza di isolati umani a penicilline e tetracicline è diminuita nel tempo in Salmonella Typhimurium, solitamente associata a maiali e vitelli. Questi antimicrobici sono utilizzati spesso per trattare infezioni batteriche nell’uomo e negli animali.

La resistenza agli antimicrobici rimane un grave problema di salute pubblica che deve essere affrontato su diversi fronti e da più soggetti. Sono necessarie misure specifiche per ridurre la comparsa e la diffusione di batteri resistenti agli antimicrobici. Tra questi promuovere un uso oculato degli antimicrobici, supportare il miglioramento delle prassi di prevenzione e controllo delle infezioni, incrementare la ricerca e l’innovazione nello sviluppo di nuovi antimicrobici nonché l’attuazine di politiche e procedure a livello nazionale.

L’EFSA sta pubblicando sul proprio sito diverse pagine interattive per comunicare sul tema, ad esempio:

Storymaps

AMR Monitoring
AMR in indicator E. coli
AMR in Campylobacter
Monitoring MRSA

Dashboards

AMR Key indicators dashboard
AMR occurrence dashboard

Una pagina offre una visualizzazione interattiva dei dati sui livelli di resistenza nell’uomo, negli animali e negli alimenti, Paese per Paese, nel 2021 e nel 2022.

Antobiotico-resistenza in Europa

Infografica interattiva

Come negli anni precedenti, i dati sulla resistenza agli antibiotici contenuti in cibi e acque destinati al consumo umano vengono invece presentati nella pubblicazione dell’ECDC “Surveillance Atlas of Infectious Diseases” (rispettivamente alle voci: campilobatteriosi, salmonellosi e shigellosi).

Fonte: EFSA

FESPA
FVM



Farmaco accessibile: novità legislative

Il prossimo 7 marzo alle ore 10,00, presso l’Auditorium “Cosimo Piccinno” del Ministero della salute, Lungotevere Ripa, 1 – Roma, si terrà l’evento dal titolo “Farmaco accessibile: novità legislative”.

Sarà possibile seguire l’evento in diretta streaming sui canali ufficiali del Ministero della salute.




L’orso polare, un’iconica creatura sempre più minacciata per mano dell’uomo!

Alla principale minaccia rappresentata dal riscaldamento globale, i cui effetti appaiono oltremodo amplificati ai poli terrestri, risultano particolarmente esposti gli orsi polari (Ursus maritimus) (1), vista e considerata la crescente difficoltà sperimentata dagli stessi nel procacciarsi le proprie prede, a motivo del progressivo scioglimento dei ghiacciai. A tal proposito, un recente lavoro descrive una serie di rilevanti adattamenti ecologici, comportamentali e dietetico-nutrizionali posti in essere dalla specie in esame, al precipuo fine di sopperire alla crescente difficoltà di cacciare gli animali acquatici tradizionalmente costituenti la sua principale fonte alimentare (1).

Alla ricerca di substrati nutritivi alternativi rispetto a questi ultimi, sempre piu’ spesso condotta in condizioni precarie ed in ambito terrestre dagli orsi polari, corrisponderebbe un progressivo scadimento delle condizioni generali e dello status nutrizionale della specie. Cio’ fa il paio, inevitabilmente, con uno stress perdurante, sulle cui deleterie ricadute sanitarie ho ritenuto doveroso richiamare l’attenzione della Comunità Scientifica attraverso un “Commentary” recentemente apparso sul prestigioso “Nature Microbiology Community Forum” (2). Come risulta ben noto, infatti, ad una condizione di stress cronico si associa un’accresciuta produzione di cortisolo, con conseguente soppressione della risposta immunitaria dell’ospite (3). E, se da un lato appare oltremodo plausibile che le sempre piu’ malnutrite popolazioni di orsi polari stiano sperimentando una condizione di stress cronico persistente, andrebbe parimenti sottolineato che il contestuale incremento della cortisolemia potrebbe accrescerne, dall’altro lato, la suscettibilità nei confronti di un’ampia gamma di agenti patogeni, con tutte le nefaste conseguenze che ciò comporterebbe sul loro gia’ precario stato di salute e di conservazione.

Degno di particolare menzione risulta, in un siffatto contesto, Toxoplasma gondii, un agente protozoario dotato di comprovata capacità zoonosica ed in grado d’infettare numerose specie di mammiferi acquatici, ivi compresi gli orsi polari. Al riguardo, elevati tassi di sieroprevalenza verso T. gondii erano già stati evidenziati in uno studio condotto sulla popolazione di orsi polari residente alle Isole Svalbard (Norvegia), ove gli esemplari di sesso maschile mostravano livelli di anticorpi sierici ben più elevati che in quelli di sesso femminile e doppi, all’incirca, rispetto a quelli rinvenuti in una precedente indagine svolta nella medesima regione geografica (4).

In aggiunta a quanto sopra, la posizione di “predatori di vertice” notoriamente occupata dagli orsi polari all’interno delle catene trofiche in ambito marino li renderebbe capaci di bioaccumulare e di biomagnificare, a livello dei propri distretti corporei, un gran numero di contaminanti ambientali persistenti ad azione immunotossica, come ad esempio il metil-mercurio (metil-Hg) (5).

Ne deriva pertanto che l’immunosoppressione associata alla risposta da stress cronico conseguente al perdurante stato di malnutrizione, congiuntamente all’elevato carico di xenobiotici immunotossici progressivamente accumulati e biomagnificati in ambito tissutale, non potrà che rendere gli orsi polari maggiormente suscettibili nei confronti di un crescente numero di agenti microbici, con tutti i catastrofici effetti che ciò produrrà sul già precario stato di salute e di conservazione della specie in questione.

Concludo queste mie riflessioni e considerazioni ponendo in particolare risalto l’esigenza che la complessa ed articolata gestione sanitaria della sempre più minacciata popolazione globale di orsi polari necessiti di un approccio integrato e multidisciplinare, diffusamente permeato ed ispirato al principio/concetto della “One Health”, la salute unica di uomo, animali ed ambiente.

Bibliografia 

1) Pagano, A.M., Rode, K.D., Lunn, N.J., et al. Polar bear energetic and behavioral strategies on land with implications for surviving the ice-free period. Nat Commun 15, 947 (2024). https://doi.org/10.1038/s41467-023-44682-1.
2) Di Guardo, G. Enhanced infection susceptibility as a consequence of chronic starvation in polar bears. Nature Community Microbiology Forum, February 21, 2024.
https://communities.springernature.com/posts/enhanced-infection-susceptibility-as-a-consequence-of-chronic-starvation-in-polar-bears
3) O’Leary, A. Stress, emotion, and human immune function. Psychol. Bull.108, 363-382 (1990). doi: 10.1037/0033-2909.108.3.363.
4) Jensen, S.K., Aars, J., Lydersen, C., et al. The prevalence of Toxoplasma gondii in polar bears and their marine mammal prey: evidence for a marine transmission pathway?. Polar. Biol 33, 599–606 (2010). https://doi.org/10.1007/s00300-009-0735-x
5) St Louis, V.L., Derocher, A.E., Stirling, I., et al. Differences in mercury bioaccumulation between polar bears (Ursus maritimus) from the Canadian high- and sub-Arctic. Environ. Sci. Technol. 45, 922-928 (2011). doi: 10.1021/es2000672.

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

Sullo stesso tema è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista British Medical Journal (BMJ) una “Letter to the Editor” del Prof. Di Guardo con riferimento all’articolo “Alaskapox: First human death from zoonotic virus is announced

 




I rodenticidi anticoagulanti stanno risalendo la piramide alimentare: prima evidenza di positività diffusa nel lupo grigio in Italia

Dei 186 lupi trovati morti in Italia tra il 2018 e il 2022, ben 115 (il 62%) sono risultati positivi al test per la presenza di Anticoagulanti Rodenticidi (ARs) di seconda generazione. Nella maggior parte dei casi i lupi sono deceduti per altre cause (soprattutto trauma da investimento), ma il dato – riportato su Science of the Total Environment – mostra che questi principi attivi si diffondono in natura e permeano nella catena trofica, fino ad arrivare ai vertici della piramide alimentare.

Lo studio ha preso in esame un grande predatore, dimostrando come la diffusa positività agli Anticoagulanti Rodenticidi sia il sintomo della penetrazione di queste sostanze nelle reti alimentari, coinvolgendo l’ambiente e l’ecosistema. I risultati dello studio indicano che le pratiche di controllo dei roditori basate sull’uso di composti chimici non sono realmente selettive, ma possono determinare una contaminazione diffusa di specie no-target, spesso protette o con uno stato di conservazione non sempre ottimale.

Leggi l’articolo integrale

Fonte: IZS Lombardia Emilia-Romagna




Progetto PAIR, nuovi strumenti diagnostici e prognostici per rispondere alle pandemie basati su un approccio One Health

PAIR (PAndemic Information to support rapid Response) è un progetto quinquennale finanziato dall’Unione Europea e coordinato dall’Università di Copenaghen che mira a rafforzare il modello One Health mediante lo sviluppo di strumenti innovativi di diagnostica point-of-care (POC)* e di modelling epidemiologico. Tra i partner del progetto anche l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe).

Il kick-off meeting, tenutosi a Copenhagen a gennaio 2024, ha sancito l’avvio del progetto e ha visto la partecipazione dei 20 partner provenienti da 7 diversi Paesi. L’obiettivo di PAIR è aumentare la capacità di risposta alle pandemie dei Paesi europei attraverso l’integrazione di sistemi diagnostici POC avanzati e di modelli epidemiologici e prognostici basati sull’intelligenza artificiale e sull’apprendimento automatico.

La pandemia di SARS-CoV-2 ha mostrato l’impatto drammatico di epidemie e pandemie sulla salute pubblica. Ha inoltre evidenziato la necessità di prendere decisioni trasparenti, rapide e informate per una pronta risposta alle emergenze sanitarie. Disporre di tecnologie diagnostiche e prognostiche in grado di fornire velocemente informazioni affidabili è essenziale per migliorare il processo decisionale e per rinforzare la fiducia del pubblico.

Leggi l’articolo completo

Fonte: IZS Venezie




L’importanza di ridurre l’uso di antibiotici secondo un rapporto curato da tre agenzie UE

Applicando un approccio «One Health», che riconosce il nesso tra la salute delle persone e quella degli animali, il rapporto presenta dati acquisiti principalmente tra il 2019 e il 2021 sul consumo di antibiotici e sulla resistenza agli antimicrobici in Europa.

Per la prima volta nell’ambito di questo progetto, le tre agenzie hanno analizzato le tendenze sul consumo di antimicrobici e sulla resistenza agli antimicrobici per Escherichia coli (E. coli) negli esseri umani e negli animali destinati alla produzione alimentare. Hanno inoltre esaminato l’evoluzione di tali tendenze negli esseri umani e negli animali destinati alla produzione alimentare nel periodo 2014-2021. Per esempio in questo arco di tempo il consumo di antibiotici negli animali destinati alla produzione alimentare è diminuito del 44 %.

Dall’analisi effettuata dalle tre agenzie è emerso che i batteri del genere E. coli sia negli animali che negli esseri umani stanno diventando meno resistenti agli antibiotici grazie alla riduzione del loro consumo complessivo. Ciò dimostra che le tendenze preoccupanti riguardanti la resistenza agli antibiotici possono essere invertite con le opportune misure e politiche.

«Un impegno maggiore volto a ridurre il consumo non necessario di antibiotici è fondamentale per affrontare la minaccia per la salute pubblica rappresentata dalla resistenza agli antimicrobici. Inoltre il rafforzamento dei programmi di vaccinazione e il miglioramento delle pratiche di prevenzione e controllo delle infezioni nelle comunità e nelle strutture sanitarie sono essenziali per ridurre il fabbisogno di antibiotici», ha dichiarato Andrea Ammon, direttrice dell’ECDC.

Leggi l’articolo completo

Fonte: EFSA




Dovremmo eradicare le zanzare?

«Se pensiamo ad animali come i ratti, è sempre bene eradicarli nelle isole in cui sono stati introdotti», afferma Jérémy Bouyer, direttore della ricerca presso il Centro di ricerca agricola francese per lo sviluppo internazionale (CIRAD). «In tutta sincerità, possiamo considerare Aedes albopictus e Aedes aegypti alla stregua di topi volanti.» Le zanzare sono vettori di malattie come la malaria e la febbre gialla, che causano la morte di milioni di persone. Questi insetti proliferano dove è presente acqua stagnante, ad esempio nelle paludi e all’interno di rifiuti di plastica, di lattine per bevande e di vecchi pneumatici. «Se si eradica un elemento appena introdotto, si torna di fatto a una situazione di equilibrio», spiega Bouyer. «Quando la specie è endemica, però, bisogna chiedersi se sia saggio eliminarla o meno.» In un ecosistema ogni organismo svolge un ruolo specifico e la sua rimozione può avere un effetto domino nella rete alimentare, dal momento che il predatore di un animale è di solito la preda di un altro. La scomparsa di una specie può anche indebolire l’ecosistema nel suo complesso, persino portandolo al collasso. Nel caso delle zanzare, questa non sembra una prospettiva possibile, poiché i loro predatori (uccelli, ragni e libellule) sono generalisti e si nutrono anche di altri insetti.

Leggi l’articolo completo

Fonte: Commissione Europea




Cambia il clima, cambiano anche i pipistrelli?

Il cambiamento climatico costringe tutti a fare i conti con nuove condizioni di vita e a trovare strategie per sopravvivere, incluso un restyling di caratteristiche fisiche e fisiologiche. Così le api selvatiche in Spagna stanno diventando sempre più piccole, e lo stesso sta accadendo a diverse specie di uccelli sparse per il globo, a pesci oceanici e insetti. Alcune specie, al contrario, con l’aumento delle temperature diventano più grandi. È quanto sta succedendo a una specie di chirottero nel Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, il vespertilio di Daubenton (nome scientifico Myotis daubentonii),  che vive lungo i corsi d’acqua, dove si nutre di insetti che pesca a pelo d’acqua grazie alla membrana mobile sviluppata attorno alla coda.

«Abbiamo osservato un aumento delle dimensioni dell’avambraccio, un buon indicatore delle dimensioni corporee generali. Ciò non significa che i vespertili di questa popolazione siano triplicati di taglia: parliamo di qualche millimetro, ma l’aumento c’è stato ed è significativo», afferma Danilo Russo, professore di ecologia presso il dipartimento di Agraria dell’Università di Napoli Federico II e primo autore dello studio. Russo e il suo team di ricerca monitorano la popolazione di Myotis daubentonii che vive lungo il fiume Sangro da più di vent’anni, il che consente di avere una robusta serie storica di dati che permette di operare confronti e misurare gli effetti del cambiamento climatico. Analizzando i dati meteo forniti di una stazione metereologica (meteomont), posta a 1450 m di quota sul confine tra Abruzzo e Lazio, precisamente a Forca D’Acero, i ricercatori hanno infatti rilevato dal dicembre 1999 al maggio 2023 un aumento della temperatura media di ben 4 gradi. Grazie al monitoraggio ventennale si è potuto documentare un secondo effetto dell’aumento delle temperature su questa popolazione, che potrebbe avere implicazioni sulle interazioni sociali. Infatti, in contesti ambientali caratterizzati da un gradiente altitudinale come nel caso del fiume Sangro, le femmine vivono solo al di sotto di una certa quota, mentre i maschi si separano in due gruppi: alcuni vivono insieme alle femmine, e hanno un maggiore accesso all’accoppiamento, altri vivono a quote più elevate e non si mescolano con gli altri. Le analisi indicano uno spostamento verso l’alto delle femmine: nel 2000 non superavano mai i 900 m, oggi sono presenti anche a 1100 metri di altitudine. Questo spostamento potrebbe essere spiegato sia con l’aumento delle temperature, che potrebbe aver modificato anche la distribuzione degli insetti di cui i vespertili si nutrono, sia col fatto che le femmine preferiscono in generale zone più calde e, quindi, abbiano potuto ampliare la zona da frequentare beneficiando per così dire di un clima più mite. Resta da capire se questo abbia implicazioni nelle interazioni con i maschi.

Leggi l’articolo completo

Fonte: scienzainrete.it




Rapporto sulle specie migratorie: lo stato scioccante della fauna selvatica

Alla 14esima Conferenza della parti della Convention on the Conservation of Migratory Species of Wild Animals (CMS COP14) in corso a Samarcanda, in Uzbekistan, è stato presentato il primo  State of the World’s Migratory Species Report, la valutazione  più completa completa sulle specie migratorie mai realizzata e che fornisce una panoramica globale dello stato di conservazione e delle tendenze della popolazione degli animali migratori, insieme alle informazioni più recenti sulle principali minacce e sulle azioni efficaci per salvarli.

Pertroppo quella che emerge dal rapporto non è una situazione confortante: «Mentre alcune specie migratorie elencate nel CMS stanno migliorando, quasi la metà (44%) mostrano un calo della popolazione. Più di una su cinque (22%) delle specie elencate nel CMS sono a rischio di estinzione. Quasi tutti (97%) i pesci elencati nel CMS sono a rischio di estinzione. Il rischio di estinzione sta crescendo per le specie migratrici a livello globale, comprese quelle non elencate nel CMS. La metà (51%) delle aree chiave per la biodiversità identificate come importanti per gli animali migratori elencati nel CMS non hanno uno status protetto, e il 58% dei siti monitorati riconosciuti come importanti per le specie elencate nel CMS stanno registrando livelli insostenibili di fenomeni causati dalla pressione antropica. Le due maggiori minacce sia per le specie elencate nel CMS che per tutte le specie migratorie sono lo sfruttamento eccessivo e la perdita di habitat dovuta all’attività umana. 3 specie su 4 elencate nell’elenco CMS sono colpite dalla perdita, dal degrado e dalla frammentazione dell’habitat, e sette specie su dieci dall’elenco CMS sono colpite dallo sfruttamento eccessivo (incluso il prelievo intenzionale e la cattura accidentale). Anche i cambiamenti climatici, l’inquinamento e le specie invasive stanno avendo profondi impatti sulle specie migratorie. A livello globale, 399 specie migratorie minacciate o quasi a rischio di estinzione non sono attualmente elencate nel CMS».

Leggi l’articolo integrale

Fonte: greenreport.it