Il lupo in italia: monitoraggio dello stato di conservazione, delle minacce, della prevenzione dei conflitti

Dal 2006 al 2012, la popolazione di lupo occupava il 18,04% del territorio nazionale; dati preliminari relativi al periodo 2012-2018 indicano che la proporzione è cresciuta al 23,02%, evidenziando che la presenza della specie interessa oggi ¼ dell’Italia (dati del III rapporto Direttiva Habitat, coordinato da ISPRA). La presenza della specie è attualmente segnalata in anche in contesti diversi da quelli dove tradizionalmente è collocata, quali ambienti di pianura e caratterizzati da una maggiore presenza antropica.

In Italia, il declino del lupo è proseguito fino agli anni 70, quando la specie era definitivamente scomparsa dall’arco alpino e permaneva soltanto nelle zone appenniniche dell’Italia centro-meridionale.

Negli ultimi 40 anni, la specie ha avuto un naturale recupero, andando ad occupare tutto l’arco Appenninico e raggiungendo prima le Alpi occidentale e più recentemente quelle centro-orientali.

Dati recenti, riferibili al campionamento 2017-18, presentati in forma preliminare in occasione del convegno finale del progetto LIFE WOLFALPS nel marzo del 2018, riportano per le Alpi la presenza di 47 branchi, 6 coppie e 1 individuo solitario e un numero minimo di 293 individui (dati progetto Wolfalps). Per la restante porzione del territorio peninsulare nazionale, esistono due stime che tuttavia non derivano da un programma organico di monitoraggio e sono quindi associate ad un elevato grado di incertezza. La prima, a scala nazionale, riporta 1580 animali – con una valutazione dell’incertezza compresa tra 1070 e 2472; la seconda, un valore complessivo per il territorio italiano compreso tra un minimo di 1269 individui ed un massimo di 1800.

L’incremento numerico e distributivo del lupo impone un costante sforzo di aggiornamento delle conoscenze sulla specie, per fornire ai decisori dati scientifici credibili e autorevoli sui quali basare le scelte di conservazione e gestione. Con questo obiettivo, l’ISPRA è stato incaricato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare di elaborare e applicare un Piano Nazionale di monitoraggio, che permetta di raccogliere dati standardizzati per tutto il territorio interessato dalla presenza della specie su distribuzione e abbondanza, prevalenza dell’ibridazione con il cane domestico, diffusione dei danni agli animali domestici, applicazione ed efficacia dei metodi di prevenzione degli impatti. Dell’avvio di questo Piano si questo si discute oggi e domani a Roma con i principali esperti del lupo del mondo della ricerca, dei parchi, delle regioni e province autonome e del mondo delle associazioni.

Quali sono le minacce per la conservazione della popolazione italiana di questa specie? Sicuramente la mortalità di origine antropogenica, per le quali mancano stime attendibili dell’impatto complessivo: bracconaggio, incidenti stradali, malattie trasmesse da domestici, l’ibridazione con il cane che mette a rischio il patrimonio genetico del lupo, il generale conflitto con le attività antropiche (danni all’allevamento).

Mancano dati attendibili sugli impatti del bracconaggio (che tutti gli esperti ritengono molto diffuso), degli incidenti stradali e degli effetti delle malattie trasmesse dai domestici. Mentre per l’ibridazione con il cane, che mette in pericolo il patrimonio genetico del lupo, rischiando di cancellare gli adattamenti frutti di milioni di anni di evoluzione, dal 2002 ad oggi il personale del Laboratorio dell’Area per la Genetica della Conservazione dell’ISPRA ha analizzato il DNA estratto da più di 13500 campioni biologici: da tale analisi condotte in 15 anni, sono emersi più di 2000 genotipi unici di cui l’8-13% presentava tracce di ibridazione. Tuttavia in alcune aree del paese, come la Toscana, si registra un picco di ibridazione che interessa il 25-33% degli esemplari (dati Regione Toscana, analizzati in collaborazione con ISPRA) arrivando a oltre il 50% nel Grossetano, e con diversi branchi prevalentemente ibridi.

E’ essenziale avere una fotografia precisa dei danni causati dal lupo, per meglio programmare le misure di prevenzione e compensazione, ma i dati raccolti restano molto frammentari: una ricognizione condotta dall’Unione Zoologica Italiana su incarico del Ministero Ambiente per il periodo 2010-2015, con dati relativi a 15 regioni, 2 province autonome e 9 parchi nazionali, indicava per l’Italia una media di 2590 capi predati/anno, con indennizzi erogati in media di 1.439.308 euro/anno




Individuare gli Interfenti endocrini, pubblicate le linee guida Efsa/Echa

L’EFSA e l’Agenzia europea delle sostanze chimiche (ECHA) hanno pubblicato linee guida sulle modalità per individuare le sostanze con proprietà d’interferenza endocrina in pesticidi e biocidi.

E’ la Commissione europea che ha incaricato l’EFSA e l’ECHA di sviluppare linee guida armonizzate, per garantire che i criteri di interferenza endocrina adottati dall’UE nel 2017 vengano applicati alla valutazione di biocidi e pesticidi in modo uniforme in tutta l’UE. La guida è stata redatta con il sostegno del Centro comune di ricerca, il servizio di scienza e conoscenza della Commissione europea.

Nel sistema UE, l’ECHA è responsabile della valutazione dei biocidi mentre l’EFSA valuta la sicurezza delle sostanze attive utilizzate nei pesticidi.

Le due agenzie avevano iniziato a lavorare alle linee guida l’anno scorso, in stretta consultazione con i portatori di interesse accreditati presso le due agenzie e con esperti in materia di interferenti endocrini, alcuni dei quali provenienti da Stati membri dell’UE.

A dicembre 2017 e gennaio 2018 si è tenuta una consultazione pubblica sulla versione in bozza e tutti i commenti ricevuti sono stati considerati dai redattori nella stesura del documento finale.

La guida verrà utilizzata per la valutazione dei biocidi a partire dal 7 giugno 2018. Per i pesticidi sarà utilizzata nelle valutazioni di quelle sostanze per le quali è in programma una decisione a partire dal 10 novembre 2018. Ciò perché i criteri per l’individuazione degli interferenti endocrini nei pesticidi sono stati concordati più tardi rispetto a quelli per i biocidi.

Per ulteriori informazioni

Fonte: Efsa




Fao: il commercio ha un ruolo chiave nel fornire cibo di qualità, sano e salutare

FAOIl commercio internazionale è uno strumento importante per combattere la fame ma i paesi devono garantire allo stesso tempo che il cibo commercializzato a livello globale sia di buona qualità, sicuro e salutare, ha affermato il Direttore Generale della FAO all’International Forum on Food Safety and Trade (Foro Internazionale sulla salubrità e il commercio del cibo ndt) che si tiene in questi giorni (23-24 aprile) presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) a Ginevra.

In molti paesi la disponibilità di cibo è legata fortemente alle importazioni” ha affermato Da Silva. “Sfortunatamente alimenti non salutari e ultra-processati si prestano meglio al commercio internazionale in termini di trasporto e conservazione”.

Graziano da Silva ha sottolineato come questi prodotti abbiano già contribuito in maniera sostanziale all’aumento dei tassi di obesità in paesi che importano la maggior parte del proprio cibo, come le isole del Pacifico e dei Caraibi.

Il Direttore Generale della FAO ha quindi lanciato un appello alla comunità internazionale perché vengano promosse regole e regolamenti commerciali in favore del consumo di alimenti sani e nutrienti.

La salubrità del cibo attraversa i confini. Oggi il cibo prodotto in un paese può raggiungere negozi, ristoranti e frigoriferi dall’altra parte del pianeta in 24 ore” ha affermato il Dott. Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore Generale dell’OMS. “Non esiste differenza tra salubrità per i ricchi e per i poveri. La salute di tutti, indifferentemente da dove vivono e da cosa mangiano, deve essere protetta allo stesso modo”.

L’accesso a cibo sicuro è fondamentale per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. È quindi imperativo discutere come le politiche in materia di alimenti, salute e commercio possono essere allineate per realizzare questi obiettivi comuni” ha affermato il Direttore Generale del WTO, Roberto Azevêdo. “Sono lieto di avere l’opportunità di porre l’accento su questo tema oggi al WTO… Dobbiamo considerare come trarre il massimo vantaggio dalle opportunità offerte dal progresso tecnologico nel sostenere i progressi in salubrità alimentare e salute pubblica. Questo è esattamente il tipo di scambio che l’evento di oggi cerca di promuovere”.

Per essere sicuro, il cibo deve anche essere salutare

Intervenendo al foro, il Direttore Generale della FAO ha ricordato che la salubrità del cibo non può essere intesa solo come volta ad evitare intossicazioni alimentari o malattie di origine alimentare. Al contrario essa deve affrontare i le diverse minacce alla salute legate adiete di bassa qualità.

Al giorno d’oggi, molti alimenti ultra processati sono ancora considerati sicuri per il consumo” ha spiegato “ma la verità è che i cibi altamente processati sono la causa principale della preoccupante crescita dei tassi di obesità nel mondo. Possiedono un basso valore nutrizionale, con alti tassi di grassi saturi, zuccheri raffinati, sale e additivi chimici”.

Oggi più di 670 milioni di adulti sono obesi. Alcune stime indicano che il loro numero sorpasserà presto il numero quanti sono colpiti dalla fame – 821 milioni di persone nel 2017.

Ha sottolineato che mentre la fame è circoscritta ad alcune aree specifiche, soprattutto in zone colpite da conflitti e dai cambiamenti climatici, l’obesità è ovunque. “Stiamo assistendo alla globalizzazione dell’obesità. Otto dei venti paesi dove l’obesità cresce più rapidamente si trovano in Africa” ha aggiunto.

Graziano da Silva ha ribadito come l’obesità sia associata a diverse malattie croniche, come il diabete, i problemi cardiaci, l’ipertensione e alcune forme di cancro e costi circa due trilioni di dollari all’anno in cure sanitarie dirette e perdita di produttività. “Un impatto equivalente a quello del fumo o degli odierni conflitti armati. Perché il cibo sia adeguato per il consumo umano, oltre ad essere sicuro deve anche essere salutare” ha affermato.

Espandere gli standard internazionali di salubrità del cibo

Nel suo intervento, Graziano da Silva ha sottolineato l’importanza di standard unici sulla salubrità degli alimenti per assicurare pratiche commerciali eque. “Se ogni governo applicasse standard diversi, il commercio sarebbe più costoso, e sarebbe molto più difficile assicurare che il cibo scambiato sia sicuro” ha sottolineato.

In questo contesto, il Codex Alimnetarius – l’organo creato dalla FAO e dall’OMS per la definizione degli standard relativi alla salubrità del cibo – “è il principale punto di riferimento per gli standard alimentari” e ha invitato tutti i paesi a rafforzare la loro partecipazione al lavoro del Codex e a facilitare l’implementazione delle sue decisioni.

Graziano da Silva ha poi concluso ricordando l’impegno della FAO per promuovere, assieme a tutti i paesi e ai suoi partner, sistemi alimentari sostenibili e per assicurare che il cibo commercializzato sia sicuro, sano e nutriente: “non c’è sicurezza alimentare senza salubrità alimentare e diete sane” ha ribadito.

Fonte: FAO




FAO: Stato della biodiversità mondiale per l’alimentazione e l’agricoltura

biodiversità alimentareLa FAO ha pubblicato per la prima volta il rapporto sullo Stato della biodiversità mondiale per l’alimentazione e l’agricoltura che  presenta preoccupanti prove che la biodiversità che sta alla base dei nostri sistemi alimentari sta scomparendo, mettendo a rischio il futuro dei nostri alimenti, dei mezzi di sussistenza, della salute umana e dell’ambiente.

La biodiversità alimentare e agricola consiste in tutte le specie che supportano i nostri sistemi alimentari e cioè in tutte le piante e gli animali – selvatici e domestici – che forniscono cibo, mangimi, carburante e fibre e una volta persa non può essere recuperata.

Alla biodiversità alimentare e agricola si affianca la “biodiversità associata” cioè la miriade di organismi che sostengono la produzione di cibo attraverso i servizi eco-sistemici  il che include tutte le piante, gli animali e i microrganismi  (insetti, pipistrelli, uccelli, mangrovie, coralli, piante marine, lombrichi, funghi, batteri) che mantengono i terreni fertili, impollinano le piante, purificano l’acqua e l’aria, mantengono le risorse ittiche e forestali in buona salute, e aiutano a combattere i parassiti e le malattie delle coltivazioni  e del bestiame.

Il rapporto denuncia una riduzione della diversità delle coltivazioni,un maggiore numero di razze di animali a rischio d’estinzione e l’aumento della percentuale di stock ittici sovra-sfruttati; le cause sono da rintracciare nell’uso e nella gestione della terra e dell’acqua, seguiti da inquinamento, sovra-sfruttamento, cambiamenti climatici, crescita della popolazione e urbanizzazione.

Il rapporto in pdf (in inglese)

La rapporto on line (in inglese)

L’articolo integrale sul sito della Fao (in Italiano)

A cura della segreteria SIMeVeP




Indagine Istat sui prodotti agrolimentari di qualità, allevamenti in lieve calo

Nel 2017 si rafforza il trend di crescita dei prodotti agroalimentari di qualità nelle sue diverse componenti (produttori, trasformatori, superfici e numero di prodotti riconosciuti); solo gli allevamenti sono in leggero calo. Lo rileva l’Istat nell’indagine sui prodotti alimentari di qualità  (DOP, IGP, STG) nell’anno 2017.

Il numero di produttori Dop, Igp e Stg aumenta, rispetto al 2016, dell’1,8%.Cresce considerevolmente il numero dei trasformatori (+7,6%).

Nel confronto con l’anno precedente, gli allevamenti (40.043 strutture) si riducono dell’1,3% mentre la superficie (232.803 ettari) aumenta del 17,9%.

L’Italia si conferma il primo Paese per numero di riconoscimenti Dop, Igp e Stg conferiti dall’Unione europea. I prodotti agroalimentari di qualità riconosciuti al 31 dicembre 2017 sono 295 (4 in più sul 2016); tra questi, quelli attivi sono 285 (96,6% del totale).

I settori con il maggior numero di riconoscimenti sono: Ortofrutticoli e cereali (111 prodotti), Formaggi (53), Oli extravergine di oliva (46) e Preparazioni di carni (41); Carni fresche e Altri settori comprendono, rispettivamente, 6 e 38 specialità.

Emilia-Romagna e Veneto sono le regioni con più Dop e Igp (rispettivamente 45 e 38 prodotti riconosciuti).

Nel 2017 gli operatori certificati sono 85.592, 1.897 in più del 2016 (+2,3%). Tra questi, il 90,6% svolge solo attività di produzione, il 6,4% solo trasformazione e il 3% entrambe le attività.

Gli operatori sono soprattutto uomini: l’83,8% dei produttori e l’86,2% dei trasformatori.

I produttori (80.189) sono particolarmente numerosi nei settori Formaggi (26.491, 33% del totale), Oli extravergine di oliva (21.959, 27,4%) e Ortofrutticoli e cereali (18.746, 23,4%).

Anche i trasformatori (8.050) sono presenti soprattutto nei settori Oli extravergine (2.206, 27,4% del totale), Ortofrutticoli e cereali (1.674, 20,8%) e Formaggi (1.505, 18,7%).

Carni fresche: riparte la crescita di prodotti certificati
Nel corso del 2017 il settore delle Carni fresche consegue una nuova Igp, i Vitelloni piemontesi della coscia, ancora non attiva al 31 dicembre.

Le Carni fresche comprendono cinque prodotti Dop e Igp attivi: il Vitellone bianco dell’Appennino centrale (allevato in Emilia-Romagna e nelle regioni del Centro, Abruzzo, Molise e Campania), l’Abbacchio romano nel Lazio, l’Agnello di Sardegna e la Cinta Senese in Toscana. Gli animali allevati, bovini, suini e ovini, si utilizzano per la produzione di carne, distribuita come prodotto fresco dopo la lavorazione.

Il settore raggruppa 9.684 operatori, di cui 8.767 produttori/allevatori che gestiscono 8.809 allevamenti, con 17,8mila bovini, 1,0 milioni di ovini e 8mila suini, e 1.011 trasformatori con 2.148 impianti di lavorazione. Rispetto all’anno precedente aumentano i produttori (+122, pari a +1,4%), gli allevamenti (+129, +1,5%), i trasformatori (+73, +7,8%) e gli impianti di trasformazione (+132, +6,5%).

Il 62,6% degli allevamenti si concentra nelle regioni meridionali, il 63,3% dei produttori e il 62,1% dei trasformatori si trovano nelle aree collinari. Sono solo 94 i produttori che svolgono contemporaneamente anche l’attività di trasformazione.

Preparazioni di carni: aumentano trasformatori e impianti
Le Preparazioni di carni (prosciutti, insaccati, carne di maiale macellata e prodotti a base di carne bovina e suina) comprendono, come nel 2016, 41 specialità (21 Dop e 20 Igp), di cui solo una, l’Igp Mortadella di Prato, non attiva).

La maggior parte dei produttori e dei trasformatori risulta iscritta contemporaneamente a più prodotti Dop e Igp in quanto, per le diverse esigenze di mercato, più parti dello stesso animale allevato e macellato vengono destinate alla trasformazione in differenti prodotti di qualità. Le specialità riconosciute comprendono sia prodotti molto diffusi (Prosciutto di San Daniele, Prosciutto di Parma, ecc.) sia prodotti di nicchia (Lardo di Colonnata, Salame di Varzi, ecc.).

Il settore raggruppa 4.009 operatori, di cui 738 trasformatori con 1.042 impianti di lavorazione e 3.280 produttori/allevatori, che gestiscono 3.852 allevamenti.

Nel 2017 si riduce, nel confronto con il 2016, il calo degli operatori.  Al calo delle componenti zootecniche corrisponde un incremento dei trasformatori (+42, +6%) e degli impianti (+15 strutture, +1,5%).

Sono solo nove gli operatori che svolgono contemporaneamente la funzione sia di allevatore sia di trasformatore. La quasi totalità dei produttori e dei relativi allevamenti è coinvolta nella produzione di insaccati e prosciutti, mentre l’86,7% degli allevatori è interessato anche ai prodotti a base di carne suinicola macellata.

Il numero di allevamenti risulta superiore a quello degli allevatori: infatti una quota di produttori (soprattutto in Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte) gestisce contemporaneamente più allevamenti. Nel Nord si concentrano il 68,2% dei trasformatori e oltre il 90% dei produttori, degli allevamenti, delle scrofe e dei posti ingrasso.

Le regioni con la maggior consistenza produttiva sono Lombardia (1.337 allevatori e 1.575 allevamenti), Piemonte (737 e 845) ed Emilia-Romagna (497 e 629).

La consistenza degli operatori è estremamente contenuta nel Mezzogiorno. Tuttavia va segnalata la presenza di un piccolo nucleo di allevatori e trasformatori che producono e lavorano quattro rinomate specialità (Capocollo, Pancetta, Salame e Soppressata di Calabria) e di alcuni trasformatori siciliani che elaborano il Salame Sant’Angelo.

La nota ISTAT integrale




La PSA minaccia di diffondersi dalla Cina ad altri paesi asiatici

suiniIl rapido insorgere della peste suina africana (PSA) in Cina e la sua individuazione in aree distanti oltre mille chilometri all’interno del paese, potrebbe significare che questo virus mortale può diffondersi in altri paesi asiatici in qualsiasi momento, ha avvertito l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO).

Non esiste un vaccino efficace per proteggere i suini dalla malattia. E, mentre la malattia non rappresenta una minaccia diretta per la salute umana, le epidemie possono essere devastanti per i suini, poiché le forme più virulente sono letali per il 100 per cento degli animali infetti.

Negli sforzi per controllare la diffusione della malattia, le autorità cinesi hanno finora dovuto abbattere più di 24.000 capi in quattro province. La Cina è uno dei principali paesi produttori di carne suina, con circa la metà della popolazione mondiale di suini, stimata in circa 500 milioni. La sua catena di valore coinvolge un gran numero e una vasta gamma di produttori, dalle piccole aziende familiari agli operatori commerciali su larga scala.

Anche se questa non è la prima volta che la febbre suina africana viene rilevata al di fuori dell’Africa – focolai in Europa e nelle Americhe risalgono agli anni ’60 – la sua individuazione ed eterogenea diffusione geografica dei focolai in Cina hanno sollevato timori che la malattia possa attraversare i confini con i paesi limitrofi del sud-est asiatico o della penisola coreana, dove anche il commercio e il consumo di prodotti a base di carne suina è elevato.

Un virus resistente e longevo

Il virus ASF è molto resistente e può sopravvivere per lunghi periodi in climi molto freddi e molto caldi, e persino nei prodotti a base di carne di maiale essiccati o stagionati. Il ceppo rilevato in Cina è simile a quello che ha colpito i maiali nella Russia orientale nel 2017 ma, fino ad ora, e mentre continuano le indagini, il Centro cinese per la salute e l’epidemiologia degli animali non ha trovato prove conclusive sull’origine o i collegamenti di quest’ultima epidemia.

“Il trasporto di prodotti a base di carne di maiale può diffondere rapidamente le malattie e, come in questo caso di peste suina africana, è probabile che la circolazione di tali prodotti, piuttosto che i maiali vivi, abbia causato la diffusione del virus in altre parti della Cina”, ha affermato Juan Lubroth, Capo del servizio veterinario della FAO.

Il Centro di emergenza della FAO per le malattie transfrontaliere degli animali (ECTAD, il suo acronimo inglese) è in stretto contatto con le autorità cinesi per monitorare la situazione e rispondere efficacemente all’epidemia all’interno del paese, nonché con le autorità dei paesi limitrofi, per aumentare il livello di preparazione a rispondere alla minaccia di un’ulteriore diffusione.

“La FAO ha iniziato a collaborare con il Ministero dell’Agricoltura e degli Affari rurali cinese alcuni anni fa e, insieme, abbiamo istituito un piano di emergenza contro la peste suina e sviluppato capacità diagnostiche”, ha dichiarato Wantanee Kalpravidh, Coordinatore regionale del Centro di emergenza della FAO per le malattie transfrontaliere degli animali. “Abbiamo anche sviluppato congiuntamente un Programma di formazione sull’epidemiologia sul campo per veterinari che mira a rafforzare l’indagine epidemiologica, il monitoraggio della situazione della malattia, la valutazione del rischio e la preparazione alle emergenze”.

La risposta immediata a questo focolaio sarà di eliminarlo il più rapidamente possibile, ha aggiunto Kalpravidh. Tuttavia, una restrizione completa nei movimenti di prodotti di origine animale e suina potrebbe compromettere tali sforzi, ha avvertito la FAO, in quanto potrebbe portare a metodi di trasporto illegali.

Sistemi di risposta in atto – azione in corso

“Le epidemie come questa sono importanti promemoria per tutti noi che dobbiamo lavorare insieme in uno sforzo multilaterale e intergovernativo per prevenire e rispondere alle epidemie di malattie animali perché queste non conoscono confini”, ha detto Kundhavi Kadiresan, Vice Direttore Generale della FAO e rappresentante regionale per l’Asia e il Pacifico. “Una buona comunicazione e il coordinamento con il settore privato della regione sono essenziali per rafforzare la cooperazione nella prevenzione e nel controllo dell’ASF”, ha aggiunto.
Fonte: FAO




All’Iss una struttura interdisciplinare sulle nanotecnologie

L’Istituto Superiore di Sanità ha istituito delle “Strutture di missione temporanea” (Smt) ovvero delle strutture interdipartimentali che utilizzano le diverse professionalità presenti in Istituto per la risoluzione di obiettivi di salute a medio termine, attraverso la complementarietà, l’integrazione e l’interdisciplinarietà.

Le strutture temporanee si prefiggono di raggiungere gli obiettivi entro un minimo di tre anni, rinnovabile al massimo in altri tre.

Fra i primi quattro progetti avviati, una Smt è dedicata alle Nanotecnologie, coordinata da Flavia Barone, del Dipartimento Ambiente e Salute  e composta da 60 ricercatori appartenenti a 6 differenti strutture interne con l’intento di consolidare e incrementare il patrimonio di conoscenze presenti in ISS sulla tematica, sia attraverso il proseguimento delle attività in corso sia attraverso la finalizzazione di nuove proposte progettuali.

Obiettivo l’identificazione dei possibili rischi e benefici per la salute umana e per l’ambiente derivanti dall’utilizzo in differenti ambiti (chimico, farmaceutico, biomedicale) dei nanomateriali, e delle strategie da adottare per la mitigazione di eventuali rischi.

E’ prevista la partecipazione a progetti di ricerca nazionali e internazionali; lo sviluppo di strategie innovative per una corretta valutazione del pericolo, per dare a breve termine il supporto richiesto dagli organismi regolatori; la creazione di un network nazionale, coordinato dall’ISS in collaborazione con il Ministero della Salute, con la partecipazione di differenti attori provenienti dagli organismi regolatori, dalla comunità scientifica e dall’industria, per una incisiva presenza in contesti internazionali e per la definizione di un Action Plan nazionale sulla sicurezza dei nanomateriali.

Le nanotecnologie sono state definite dalla Commissione Europea come una delle sei tecnologie abilitanti fondamentali per la società e per l’economia (Key Enabling Technologies, KETs) e sono state inserite dai governi europei tra i temi prioritari per la salute dell’uomo e dell’ambiente (Parma Declaration on Environment and Health, Oms 2010).

Le altre Strutture di missione temporanea sono dedicate alle demenze, alle malattie rare senza diagnosi e all’inquinamento ambientale e salute dei più piccoli.

A cura della segreteria SIMeVeP

 




149 le specie aliene più dannose presenti in Europa, molte in Italia

Un recente studio sulle specie aliene invasive in Europa identifica ben 149 specie aliene ad elevato impatto ambientale e socioeconomico.
L’elenco dei “peggiori invasori” segnala 54 piante, 49 invertebrati, 40 vertebrati e 6 funghi, tra cui alcune specie molto diffuse nel nostro Paese: dal gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii), all’acaro (Varroa destructor) responsabile di danni gravissimi alle api, dal giacinto d’acqua (Eichhorniacrassipes) al kudzu (Pueraria lobata) che minaccia il paesaggio del Lago Maggiore, fino a diversi tipi di fiore molto diffusi in giardini e balconi come la Lantana camarao ai ratti (Rattus norvegicus) e ai topi muschiati (Ondrata zibethicus).
Nell’elenco, elaborato con un metodo scientifico di misurazione dell’impatto generato dalla specie invasiva e dei costi economici e sociali che ne conseguono, compaiono 64 specie che non apparivano invece in altri elenchi di specie aliene invasive particolarmente dannose (DAISIE – 100, ISSG – 100, EU 2017), tra le quali , ad esempio la Varroa destructor (rank 8 sulla lista dello studio), un ectoparassita
asiatico delle api responsabile del declino globale dell’impollinatore; l’Hymenoscyphus pseudoalbidus
(rank 18), il fungo respo nsabile della morte degli aceri e dei cambiamenti nella composizione forestale con relativa perdita di diversità; il Carassius auratus (rank 20), il pesce rosso cinese, che causa il declino
degli anfibi autoctoni e l’oomicete Phytophthora plurivora (rank 26), responsabile del decadimento di numerose specie arboree tra cui faggio e quercia.
Gli studi sugli impatti delle specie aliene invasive e le liste di specie a maggiore impatto sono strumenti molto utili per aumentare la consapevolezza dei rischi e degli impatti delle invasioni biologiche nell’opinione pubblica e anche per definire le priorità di azione, ma in molti casi le liste elaborate in passato erano realizzate sulla base di opinioni di esperti e avevano il limite di non essere confrontabili tra loro”, ha dichiarato Piero Genovesi, ricercatore Ispra e Project manager del Life ASAP, il progettoper la riduzione del tasso di introduzione di specie aliene invasive e il contenimento degli impatti sul territorio italiano: “Questa nuova lista è basata su un metodo rigoroso di calcolo degli impatti replicabile e valido per tutte le specie e tutti gli ambienti,e che considera non solo gli impatti sulla biodiversità ma anche le conseguenze socio economiche delle invasioni biologiche“.
La lista pubblicata in questo studio rappresenta un utile contributo sia per accrescere la conoscenza delle più pericolose specie aliene in Europa sia per permettere lo sviluppo di più efficaci politiche di risposta”.
L’ indagine sulle “peggiori specie aliene in Europa”, realizzata da un gruppo di studiosi provenienti da diverse università internazionali, è realizzata attraverso una valutazione semi quantitativa tra
taxa e habitat, con una procedura trasparente e riproducibile, fondamentale per garantire l’obiettività del la lista risultante. Inoltre, l’ampia base di specie analizzate (486) fornisce una base particolarmente ampia e robusta di indagine .
Altra novità importante di questo studio risiede nel valutare non solo gli effetti delle invasioni biologiche sulla biodiversità, come ad esempio una diminuzione delle specie autoctone o le alterazioni degli habitat cui possono seguire modifiche importanti per l’ecosistema, ma anche le conseguenze sulle attività  dell’uomo (sulla produzione agricola, la silvicoltura e l’acquacoltura o la pesca), nonché le minacce al benessere umano sul piano sanitario e infrastrutturale.
Va comunque ricordato che l’impatto delle specie aliene può cambiare nel tempo ed è quindi essenziale monitorare attentamente il fenomeno, aggiornando periodicamente la lista.
Per lo studio e la lista completa: Nentwig, W., Bacher, S., Kumschick, S. et al. Biological
Invasions (2018) 20: 1611.

Fonte: Life Asap




Andriukaitis al festival del giornalismo alimentare

AndriukaitisAl Festival del Giornalismo Alimentare è attesa una delle massime autorità europee nel campo della salute. È il lituano Vytenis Andriukaitis, membro della Commissione Europea con delega alla salute e sicurezza alimentare.

Il commissario parteciperà a un panel nella mattinata di giovedì 21 febbraio dal titolo “Ci possiamo fidare? La tutela della salute alimentare dei cittadini in Italia e in Europa”. Sarà l’occasione per fare il punto sugli strumenti che le istituzioni hanno per favorire la creazione di strumenti legislativi utili a tutelare i consumatori.

La sicurezza alimentare e la qualità degli alimenti hanno un impatto diretto sulla vita quotidiana degli europei ed è quindi positivo notare il loro impegno crescente in questi ambiti – ha dichiarato Andriukaitis – Nell’era della disinformazione e delle notizie false è essenziale disporre di un giornalismo di elevata qualità che garantisca che le informazioni trasmesse al pubblico siano sempre veritiere e accurate“.
Andriukaitis, già ministro della salute della Lituania, nel 2014 è entrato a far parte della Commissione guidata dal lussemburghese Jean Claude Juncker.

Fonte: Festival giornalismo alimentare




Casi di salmonellosi nell’uomo: UE vuole una ulteriore riduzione

Dopo diversi anni di calo del numero di casi di salmonellosi nell’UE, la tendenza si è arrestata. Gli scienziati dell’EFSA affermano che fissare obiettivi più severi per Salmonella nelle galline ovaiole a livello di allevamenti potrebbe contribuire a ridurre il numero di casi della metà.

Attualmente i Paesi dell’UE sono tenuti a ridurre al 2% la proporzione di allevamenti di ovaiole infettati da determinati tipi di Salmonella. Gli esperti dell’EFSA stimano che, se questo obiettivo venisse ridotto all’1%, i casi di salmonellosi trasmessi all’uomo tramite le galline ovaiole crollerebbero del 50%.

Maggiori informazioni