Crisi umanitaria e CoViD-19 in Ucraina

L’immane catastrofe umanitaria vissuta dall’Ucraina e dal suo fiero popolo per via della scellerata invasione perpetrata dal folle leader russo Vladimir Putin andrebbe letta e narrata tenendo in debito conto anche la pandemia da SARS-CoV-2, il famigerato betacoronavirus responsabile della CoViD-19.

A tal proposito, le oltre 100.000 morti provocate in due anni dal virus in quel Paese fanno il paio con un esiguo tasso di vaccinazione anti-SARS-CoV-2 della popolazione ucraina, che si attesterebbe intorno al 35%.

La verosimile conseguenza di tutto cio’ sara’ un consistente aumento dei casi d’infezione da SARS-CoV-2, tanto piu’ a motivo dei frequenti e prolungati assembramenti di quella martoriata popolazione (spesso in assenza di adeguati dispositivi di protezione individuale) nei bunker piuttosto che nei sotterranei della metropolitana e degli ospedali, nonche’ nelle stazioni ferroviarie, assembramenti resi inevitabili dagli incessanti quanto drammatici bombardamenti non solo di obiettivi militari, ma anche civili da parte delle forze armate russe.

In un siffatto scenario, che a dire il vero sembra esser rimasto “un po’ in disparte” nella narrazione dell’immane tragedia umanitaria vissuta dalla gente ucraina, l’emergenza e la successiva diffusione di nuove varianti di SARS-CoV-2 dotate di elevata trasmissibilita’ (vedi “omicron”) o, peggio ancora, di marcata patogenicita’ (vedi “delta”) appare un’evenienza probabile oltre che biologicamente plausibile ed, in quanto tale, una sorta di “dramma nella catastrofe”!

Giovanni Di Guardo, gia’ Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria all’Universita’ di Teramo.




CovidZoo. Gli umani restano i suoi ospiti preferiti, ma il Sars-CoV-2 si diffonde sempre più tra numerose specie animali

E’ pubblicato sul numero di Panorama del 2 febbraio 2022 un contributo di Massimo Ciccozzi, direttore dell’Unità di Statistica medica ed epidemiologia molecolare all’Università Campus Biomedico di Roma e Giovanni Di Guardo, patologo veterinario, già professore di Patologia generale e Fisiopatologia veterinaria all’Università di Teramo dal titolo CovidZoo.

Gli umani restano i suoi ospiti preferiti, ma il Sars-CoV-2 si diffonde sempre più tra numerose specie animali. L’ultimo caso: un negozio cinese di criceti. Il rischio (assai reale) è che
il coronavirus si ricombini e ci ritorni mutato. Troppo per essere riconosciuto da questi vaccini.

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Animali e varianti di SARS-CoV-2, quali incognite?

covid-19Mentre il numero delle lettere dell’alfabeto greco non ancora utilizzate per designare le varianti di SARS-CoV-2 si assottiglia vieppiù, i dati che vanno emergendo dalla sorveglianza epidemiologica e dagli studi condotti sugli animali documentano un progressivo ampliamento del “range” delle specie sensibili nei confronti dell’infezione naturale, così come di quella sperimentalmente indotta.

Fra queste rientrano, seppur con differenti livelli di suscettibilità, cani, gatti, furetti, criceti, maiali, conigli, leoni, tigri, leopardi delle nevi, puma, iene, cani procione, visoni, cervi a coda bianca, gorilla, ippopotami, otarie ed altre specie ancora.

Di particolare interesse risulta, altresi’, la piu’ o meno recente identificazione in Cina e nel Laos, in pipistrelli del genere Rinolophus, di una serie di sarbecovirus geneticamente correlati (grado di omologia pari se non addirittura superiore al 96%) a SARS-CoV-2 (“Ra-TG13”, “Rm-YN02”, “BANAL-52”, “BANAL-103”, “BANAL-236”), fattispecie quest’ultima che avvalorerebbe in maniera significativa l’origine naturale dell’agente responsabile della CoViD-19, che ha sinora mietuto – dati ufficiali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – ben 6 milioni di vittime su scala globale!

In un siffatto contesto, gli elementi qui di seguito elencati appaiono particolarmente degni di nota:

1) Negli allevamenti intensivi di visoni dei Paesi Bassi e della Danimarca e’ stata segnalata, oltre un anno fa, la comparsa di una peculiare variante di SARS-CoV-2 denominata “cluster 5”, che si sarebbe selezionata nell’organismo dei visoni previa acquisizione del virus dall’uomo (“viral spillover”), al quale lo stesso sarebbe stato quindi “restituito” in forma mutata dai visoni stessi (“viral spillback”).

2) Tassi di sieroprevalenza particolarmente elevati nei confronti di SARS-CoV-2 sono stati recentemente documentati fra i cervi a coda bianca (Odocoileus virginianus) popolanti la regione nord-orientale degli USA (40%) e lo Stato dell’Iowa (80%). Le indagini biomolecolari effettuate su questi ultimi hanno altresi’ consentito di amplificare sequenze genomiche virus-specifiche a livello dei linfonodi retrofaringei in circa un terzo degli esemplari nel cui emosiero erano presenti anticorpi anti-SARS-CoV-2.

3) La notevole omologia di sequenza esistente, a livello della regione specificamente interagente con il “receptor binding domain” (RBD) della glicoproteina “spike” (S) di SARS-CoV-2, fra il recettore virale ACE-2 dell’uomo e quello del cervo a coda bianca accrediterebbe quest’ultimo come una specie di mammifero particolarmente sensibile nei confronti del betacoronavirus responsabile della CoViD-19.

Cio’ e’ stato definitivamente acclarato grazie a due distinti lavori sperimentali, il piu’ recente dei quali ha peraltro documentato la trasmissione diaplacentare dell’infezione nei cervi a coda bianca, unitamente ad una maggior suscettibilita’ degli stessi alla variante “alfa” (alias “B.1.1.7”) di SARS-CoV-2.

4) Casi d’infezione sostenuti dalla variante “alfa” di SARS-CoV-2 sono stati documentati, abbastanza di recente, in un cane e in due gatti di proprieta’ con sospetta miocardite in Francia, dopo che un analogo caso d’infezione era stato segnalato in Piemonte in un altro gatto i cui proprietari erano risultati affetti da CoViD-19.

5) La temibile variante “delta” di SARS-CoV-2 (alias “B.1.617.2”) e’ stata segnalata, alcune settimane fa, in criceti “d’affezione” destinati alla vendita all’interno di appositi negozi per animali in quel di Hong Kong, ove si sarebbero successivamente verificati casi d’infezione sostenuti dalla medesima variante in persone frequentanti i succitati esercizi commerciali.

Ove confermato, quest’ultimo rappresenterebbe il secondo caso documentato di “spillback” di SARS-CoV-2 animale (criceto)-uomo, dopo quanto avvenuto poco piu’ di un anno fa negli allevamenti intensivi di visoni dei Paesi Bassi e della Danimarca (ove sono stati abbattuti ben 17 milioni di esemplari!).

6) La presenza della contagiosissima variante “omicron” (alias “B.1.529”) di SARS-CoV-2 e’ stata appena segnalata fra i cervi a coda bianca residenti nello Stato di New York, cosi’ come in Ohio.

Quali spunti, riflessioni e considerazioni e’ possibile desumere da quanto sin qui esposto?

Una premessa appare indispensabile al riguardo: SARS-CoV-2, il cui genoma consta di circa 30.000 nucleotidi, e’ un RNA-virus e soggiace, come tale, ad un serie di eventi mutazionali la cui frequenza risulta strettamente correlata all’attivita’ replicativa dell’agente patogeno. Detto altrimenti, più il virus si riproduce all’interno delle cellule-ospiti umane e/o animali, piu’ il genoma virale subirà mutazioni.

Ovviamente c’e’ mutazione e mutazione (guai a fare di ogni erba un fascio!), cosicché ad eventi mutazionali “silenti” o “sinonimi” (vale a dire che non producono conseguenze sulla sintesi delle proteine virali) se ne affiacheranno altri di segno opposto, definiti appunto “non silenti” o “non sinonimi”, mentre gli “errori replicativi” potranno esser corretti grazie alla cosiddetta “selezione negativa” o “purificante”, il cui “alter ego” sarebbe costituito dalla “selezione positiva” o “darwiniana”. E proprio quest’ultima sarebbe in grado di permettere al virus di acquisire una serie di caratteri “favorevoli” allo stesso, quali una maggior  trasmissibilita’/contagiosita’ e/o una piu’ spiccata propensione ad eludere la risposta immunitaria indotta da una pregressa infezione e/o dalla vaccinazione, dando cosi’ luogo alla comparsa di reinfezioni da SARS-CoV-2.

La variante “omicron”, albergante in seno al proprio genoma una serie incredibile di mutazioni – cui si aggiungono quelle recentemente identificate nella sotto-variante “BA.2″ della medesima -, sembra ricapitolare tutto ciò in maniera quantomai tangibile ed eloquente, se e’ vero come e’ vero che l'”indice di trasmissibilita’” (il famoso “indice RT”) della stessa sarebbe pari se non addirittura superiore a quello del virus del morbillo (il cui “indice RT” oscillerebbe perlappunto fra 15 e 18), sin qui ritenuto l’agente più diffusivo e contagioso rispetto ai virus noti.

Si calcola che, di pari passo con ogni evento replicativo coinvolgente 10.000 delle 30.000 basi azotate componenti il genoma di SARS-CoV-2, si verificherebbe uno degli eventi mutazionali anzidetti.

In un siffatto scenario, appare oltremodo logico e sensato continuare ad operare e a concentrare i massimi sforzi sullo strategico obiettivo di una quanto più ampia e capillare copertura vaccinale dell’intera popolazione globale, a motivo delle abissali differenze tuttora esistenti, purtroppo, fra Paesi come il nostro e numerosi Paesi africani ed asiatici.

E’ a dir poco sorprendente, di contro, che gli animali – nei cui confronti la vaccinazione anti-CoViD-19 non e’ praticata, fatte salve alcune eccezioni -, così come l’andamento dell’infezione da SARS-CoV-2 fra gli animali – ivi compresa la dianzi ricordata presenza e circolazione, fra gli stessi, di alcune temibili varianti virali -, godano di una considerazione che non esiterei a definire trascurabile, nella migliore delle ipotesi.

Se a tutto ciò si aggiunge, inoltre, l’ancor più sorprendente assenza dei Medici Veterinari dal “Comitato Tecnico-Scientifico” (alias “CTS”), a dispetto degli oltre due anni oramai trascorsi dalla sua istituzione (incredibile visu et auditu!), risulta ben più agevole comprendere, a questo punto, la scarsa considerazione di cui beneficiano – quantomeno nel nostro Paese –  gli animali (e non certo da parte delle Istituzioni Veterinarie nonché dei miei Colleghi Veterinari!) nel disegnare e nel prevedere le future traiettorie evolutive dell’infezione da SARS-CoV-2.

Sic est, ahime/ahinoi e per buona pace della “One Health”, la “salute unica di uomo, animali ed ambiente”, di cui con somma ipocrisia ci si continua a riempire la bocca ad ogni pie’ sospinto!

L’ultimo pensiero di questo mio articolo desidero riservarlo al fiero Popolo Ucraino che, gia’ duramente provato dalla pandemia da SARS-CoV-2 (che in quel Paese ha gia’ fatto oltre 100.000 vittime!), si trova a vivere in queste drammatiche giornate la tragica condizione di una guerra assurda, che sta producendo e, temo, produrra’ nefaste conseguenze non solo su quella Nazione, ma anche sull’intera Europa.

Giovanni Di Guardo

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria nella Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 




Omicron: non è colpa dei topi

Mentre i casi documentati d’infezione da SARS-CoV-2 ammontano a circa 350 milioni su scala mondiale, con poco meno di sei milioni degli stessi a esito infausto (145.000 e più dei quali in Italia), la contagiosissima variante “Omicron” sta imperversando nei due emisferi e nei cinque continenti, preceduta dalla “Delta” ed affiancata dalla neo genita “Omicron 2”, appena identificata in Danimarca.

Secondo uno studio recentemente pubblicato da ricercatori cinesi su Journal of Genetics and Genomics, la variante omicron costituirebbe il frutto di un “progenitore” della stessa, che dall’uomo si sarebbe trasferito al topo (spillover), che avrebbe ritrasmesso il virus mutato in guisa di omicron all’uomo stesso (spillback). Per quanto suggestiva ed affascinante – e nella pur totale consapevolezza dei molteplici salti di specie e delle innumerevoli traiettorie evolutive che SARS-CoV-2 potrebbe aver compiuto dalla sua origine fino ai giorni nostri – l’ipotesi anzidetta (che per gli Autori dello studio in oggetto corrisponde quasi ad una certezza!), non sembra poggiare su solide basi scientifiche.

Da un punto di vista comparativo, il grado di omologia di sequenza esistente fra il recettore virale ACE-2 umano e quello murino, saltano subito agli occhi le eccessive differenze caratterizzanti la molecola in questione nelle due specie, con particolare riferimento alla regione di ACE-2 specificamente coinvolta nell’interazione con il receptor-binding domain della glicoproteina Spike (S) di SARS-CoV-2, una sequenza di 25 aminoacidi di rilevanza cruciale ai fini dell’adesione e del successivo ingresso del virus nelle cellule ospiti. Si tratta, pertanto, di una teoria che, pur nel fascino e nella suggestione che la stessa sarebbe in grado di evocare, non sembra godere al momento di sufficiente plausibilità biologica.

Inoltre, la diffusione “virale” di tale notizia può mettere in allarme i proprietari di cani e gatti indotti a credere che i loro beniamini potrebbero dare origine a varianti contagiosissime. Le persone infette o sofferenti per COVID-19 che convivono con cani, gatti o altri animali in casa devono sapere, infatti, che il virus può “trasferirsi” soprattutto ai gatti, i quali possono manifestare una patologia respiratoria. Dunque, meglio evitare contatti stretti. Infine, al momento non ci sono ancora evidenze scientifiche che dimostrano un qualche ruolo dei nostri amati amici a quattro zampe nella trasmissione del coronavirus. Sono pertanto auspicabili ulteriori studi – condotti, si spera, in ossequio al principio della One Health – per meglio definire la relazione tra potenziali serbatoi animali di coronavirus e la possibilità di spillback animale-uomo.

Giuseppe Borzacchiello* e Giovanni Di Guardo**

*Professore di patologia generale e anatomia patologica veterinaria  – Dipartimento di Medicina Veterinaria Università degli Studi di Napoli
** Già professore di Patologia generale e Fisiopatologia generale Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Teramo

 




Sicurezza alimentare, aperte le iscrizioni al Congresso “Salute, ambiente, società, un unicum”

Focal point italiano di EFSA informa che dal 31 gennaio sono aperte le iscrizioni al Congresso scientifico sul tema “Salute, ambiente, società, un unicum”, che si terrà dal 21 al 24 giugno 2022 a Bruxelles e on line, per consentire la partecipazione a distanza.

Il termine per la registrazione per la partecipazione in loco è il 29 aprile. Le iscrizioni per la partecipazione online rimarranno aperte durante il convegno.

Una sessione plenaria di apertura darà il via all’evento, seguita da una serie di sessioni di approfondimento, raggruppate in quattro percorsi tematici (ONE Life, ONE Planet, ONE Society e MANY Ways), ciascuno incentrato su aspetti specifici della sicurezza alimentare.
Le sessioni sono integrate da eventi collaterali e opportunità di networking sia per i partecipanti di persona che on line.
Una sessione plenaria di chiusura concluderà l’evento, fornendo indicazioni strategiche su come migliorare ulteriormente la sicurezza alimentare.
Alcuni eventi collaterali, sotto forma di workshop, si svolgeranno prima dell’inizio ufficiale della conferenza.

Ulteriori informazioni sul programma scientifico sono disponibili alla pagina EFSA del Congresso

Fonte: Ministero della Salute




CoViD-19, serve un approccio olistico!

In qualità di patologo veterinario nonché di professore universitario – attualmente in pensione – che ha dedicato 30 anni della propria vita professionale allo studio delle malattie infettive negli animali domestici e selvatici, posso tranquillamente affermare che SARS-CoV-2, il famigerato betacoronavirus responsabile della Covid-19, mi spaventa e mi affascina al contempo.

Questa duplice sensazione mi deriva dalla straordinaria “plasticità” di un virus che, pur avendo di fronte a se’ una platea di 8 miliardi di esseri umani potenzialmente in grado di sviluppare l’infezione (400 milioni e piu’ dei quali l’avrebbero effettivamente contratta!), si e’ rivelato capace di disegnare traiettorie che lo hanno portato ad infettare, in natura, una folta gamma di specie animali domestiche e selvatiche, tutte accomunate fra loro dal fatto che avrebbero acquisito il virus dall’uomo.

In un siffatto contesto, la suscettibilità di alcune specie a determinate varianti di SARS-CoV-2 circolanti nella popolazione umana – come segnalato nel gatto, nel cane e nei cervi a coda bianca per la variante “alfa” nonché, assai di recente, in numerosi criceti “d’affezione” a Hong Kong per la variante “delta” – o, peggio ancora, la documentata comparsa di certe varianti in grado di ri-trasmettersi all’uomo, come nel caso di quella denominata “cluster 5”, che oltre un anno fa e’ comparsa negli allevamenti di visoni olandesi e danesi, costituiscono fatti degni della massima attenzione.

La “One Health”, alias la salute unica di uomo, animali ed ambiente, rappresenta pertanto la chiave di volta, necessaria ed imprescindibile al contempo, per gestire al meglio questa così come tutte le pandemie che il genere umano si troverà ad affrontare in futuro.

Giovanni Di Guardo
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Sull’origine della variante omicron di SARS-CoV-2

covid-19Mentre i casi documentati d’infezione da SARS-CoV-2 ammontano a circa 300 milioni su scala planetaria, con oltre 5 milioni e mezzo degli stessi ad esito infausto (poco meno di 140.000 dei quali in Italia), la contagiosissima variante “Omicron” (alias “B.1.1.529”) impazza nei due Emisferi e nei cinque Continenti, preceduta dalla “Delta” ed affiancata dalle neogenite varianti “Deltaomicron” ed “Omicron 2” appena identificate, rispettivamente, a Cipro e in Danimarca.

Secondo uno studio recentemente pubblicato da ricercatori cinesi sul “Journal of Genetics and Genomics” (Wei et al., 2021), la variante omicron costituirebbe il frutto di un “progenitore” della stessa, che dall’uomo si sarebbe trasferito al topo (“spillover”), che avrebbe a sua volta ritrasmesso il virus mutato in guisa di omicron all’uomo stesso (“spillback”).

Per quanto suggestiva ed affascinante – e nella pur totale consapevolezza dei molteplici salti di specie e delle innumerevoli traiettorie evolutive che SARS-CoV-2 potrebbe aver compiuto dalla sua origine fino ai giorni nostri -, l’ipotesi anzidetta (che per gli Autori dello studio in oggetto corrisponde quasi ad una certezza!), non sembra poggiare su solide basi scientifiche.

Se andiamo infatti ad analizzare, dal punto di vista comparativo, il grado di omologia di sequenza esistente fra il recettore virale ACE-2 umano ed il suo analogo murino, saltano subito agli occhi le eccessive differenze caratterizzanti la molecola in questione nelle due specie in esame, con particolare riferimento alla regione di ACE-2 specificamente coinvolta nell’interazione con il cosiddetto “receptor-binding domain” di SARS-CoV-2, una sequenza di 25 aminoacidi di rilevanza cruciale ai fini dell’adesione e del successivo ingresso del virus nelle cellule ospiti.

Si tratta, pertanto, di una teoria che, pur nel fascino e nella suggestione che la stessa sarebbe in grado di evocare, non sembra godere al momento di sufficiente plausibilita’ biologica, cosicche’ ulteriori studi si rendono necessari per definire con maggior solidita’ e precisione l’origine della variante omicron e, piu’ in generale, del virus SARS-CoV-2.

Giovanni Di Guardo

Gia’ Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria
presso l’Universita’ degli Studi di Teramo

 




IZS Venezie. Omicron, i test sierologici attuali non sono indicativi

A un anno dall’inoculazione del primo vaccino anti Covid-19, sono ancora numerose le domande senza risposta contro la malattia. Soprattutto a causa delle varianti del virus. Per provare a dare qualche risposta i ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie hanno condotto uno studio sulla mutazione Omicron, presentato durante una conferenza stampa del Governatore del Veneto Luca Zaia. Ricerca che mostrerebbe come il test sierologico per la conta degli anticorpi non avrebbe più lo stesso valore di prima.

A dirlo è Francesco Bonfante responsabile del Laboratorio ricerca modelli animali presso la SCS6 – Virologia speciale e sperimentazione dell’Istituto Zoprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), che ha condotto lo studio.

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Di Guardo: animali a rischio contagio, prevenire la catena di trasmissione

Il Prof. Giovanni Di Guardo, gia’ Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria all’Universita’ di Teramo, è stato intervistato da “Il Mattino” sulla relazione uomo-animale ai tempi della pandemia da SARS-CoV-2




OIE e IIZZSS, firmato accordo strategico su One Health

OIE – World Organisation For Animal Health -, Ministero della Salute e la rete degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IIZZSS) hanno siglato un accordo per unire le forze e affrontare le sfide su One Health.

L’intesa è finalizzata allo sviluppo nel prossimo quadriennio di attività progettuali a supporto degli obiettivi globali dell’OIE e di una collaborazione sinergica in ambito One Health, che sia duratura e sostenibile.

Gli IIZZSS contribuiranno proponendo progetti di ricerca che riguarderanno la sorveglianza epidemiologica delle malattie, le strategie per la salvaguardia della fauna selvatica e dell’habitat marino, la tutela del benessere animale; e il contrasto alle malattie trasmesse da vettori.

L’accordo fornirà alle parti coinvolte l’opportunità di collaborare alla promozione di programmi di ricerca comuni che permettano di unire gli sforzi in modo da costruire sistemi sanitari resilienti e coordinati.

I progetti si allineeranno con il mandato dell’OIE e dimostreranno tangibilmente come azioni comuni possano contribuire al raggiungimento di una strategia condivisa in ambito sanitario globale.

Fonte: IZSPLV