SARS-CoV-2 negli animali, la valutazione del rischio dell’Ecdc/EFSA

L’Ecdc, Centro europeo per il controllo delle malattie e L’Efsa, Agenzia europea per la sicurezza alimentare hanno pubblicato il Risk Assestment “SARS-CoV-2 in animals: susceptibility of animal species, risk for animal and public health, monitoring, prevention and control

La situazione epidemiologica di SARS-CoV-2 nell’uomo e negli animali è in continua evoluzione” si legge nell’abstract del documento.

Ad oggi, le specie animali note per essere in grado di trasmettere SARS-CoV-2 sono:

-visone americano
– cane procione
– gatto
– furetto
– criceto
– topo domestico
– pipistrello della frutta egiziano
– topo cervo
– cervo dalla coda bianca.

Tra gli animali d’allevamento, i visoni americani hanno la più alta probabilità di essere infettati da esseri umani o animali e trasmettere ulteriormente SARS-CoV-2.

Nel 2021 nell’UE sono stati segnalati 44 focolai in allevamenti di visoni in 7 Stati membri; nel 2022 la tendenza è al ribasso; solo 6 nel 2022 in 2 Stati membri.

L’introduzione di SARS-CoV-2 negli allevamenti di visoni avviene solitamente tramite esseri umani infetti; il rischio può essere controllato testando sistematicamente le persone che entrano negli allevamenti e applicando adeguate misure di biosicurezza.

Tra gli animali da compagnia, gatti, furetti e criceti ci sono quelli a più alto rischio di infezione da SARSCoV-2; molto probabilmente i contagi provengono da un essere umano infetto e hanno comuqnue un impatto nullo o molto basso sulla circolazione del virus nella popolazione umana.

Tra gli animali selvatici (animali degli zoo compresi),  sono risultati suscettibili per lo più carnivori, grandi scimmie e cervi dalla coda bianca.

Nell’UE finora non sono stati segnalati casi di fauna selvatica infetta.

Le due Agenzie europee consigliano un corretto smaltimento dei rifiuti umani per ridurre i rischi di ricaduta di SARS-CoV-2 sulla fauna selvatica. Dovrebbe inoltre essere ridotto al minimo  il contatto con esemplari di fauna selvatica, specialmente se malati o morti. Per la fauna selvatica non è raccomandato alcun monitoraggio specifico, vanno però testati gli animali raccolti dai cacciatori con segni clinici o trovati morti.

I pipistrelli, ospiti naturali di molti coronavirus, dovrebbero essere monitorati.

A cura della segreteria SIMeVeP




Le intriganti traiettorie del virus influenzale AH5N1 fra animali e uomo

Mentre il betacoronavirus SARS-CoV-2 non smette di mostrarci la sua straordinaria capacità di soggiacere a mutazioni del proprio “make-up” genetico, risultando via via più abile ad eludere l’immunità conferita dalle pregresse infezioni e/o dalle vaccinazioni anti-COVID-19, oltre ad accrescere la propria affinità di legame nei confronti del recettore ACE-2 – come chiaramente testimoniato dalla sottovariante Omicron XBB.1.5, alias “Kraken” -, il virus AH5N1 è balzato ancora una volta agli onori della cronaca.

Infatti, dopo la prima apparizione nel sud-est asiatico, un quarto di secolo fa, di questo virus influenzale ad elevata patogenicita’ (“High Pathogenicity Avian Influenza virus“, “HPAI virus”), che a seguito dello “spillover” dai volatili domestici (polli) aveva già prodotto una serie di casi di malattia umana – numerosi dei quali anche ad esito fatale -, quello che al momento desta una certa preoccupazione e’ il ceppo virale noto con la sigla “2.3.4.4b”.

A testimonianza di ciò, la presenza di questo virus è stata finora segnalata in Asia, così come in Africa, Europa e Nord-America, in numerose specie di avifauna selvatica, attraverso le cui attività migratorie l’agente patogeno si sarebbe quindi trasmesso ad altre specie, ivi compresi i mammiferi marini ed i visoni d’allevamento. Questi ultimi, sulla scorta di quanto e’ stato recentemente documentato in un allevamento intensivo della regione spagnola della Galizia, avrebbero acquisito il virus da gabbiani infetti, dopodiché lo avrebbero diffusamente propagato in forma mutata tra i propri conspecifici. A tal proposito, non può non sovvenire in mente un parallelo rispetto a quanto accaduto durante la pandemia da SARS-CoV-2 in Danimarca e nei Paesi Bassi, nei cui allevamenti intensivi si sarebbe sviluppata la variante “cluster 5”, previa acquisizione del virus umano da parte dei visoni (“viral spillover“), che avrebbero successivamente propagato al proprio interno e quindi “restituito” lo stesso all’uomo in forma mutata (“viral spillback“).

Per quanto riguarda i mammiferi marini, il cui stato di salute e di conservazione risulta sempre più minacciato per mano dell’uomo e la cui suscettibilità nei confronti dei virus influenzali era già stata dimostrata da vari studi pubblicati nel corso degli ultimi 40 anni, il virus 2.3.4.4b e’ stato recentemente identificato in alcuni esemplari di focena e di tursiope, nonché in leoni marini ed in esemplari di foca rinvenuti spiaggiati lungo le coste statunitensi della Florida, oltre che su quelle del Perù e della Svezia.
Particolarmente degno di nota, in questi animali, lo spiccato neurotropismo del virus, denotato dai gravi quadri di meningo-encefalite emersi grazie alle approfondite indagini post mortem effettuate sui medesimi.

Per quanto riguarda la nostra specie, i casi d’infezione da HPAI virus AH5N1 documentati dal 2003 sino alla fine dello scorso anno ammonterebbero ad oltre 800, con la metà degli stessi ad esito infausto. Da notare, in un siffatto contesto, il caso recentemente accertato in una ragazza undicenne della Cambogia, il cui exitus non sarebbe stato tuttavia causato dal ceppo 2.3.4.4b.

Il consistente quanto rapido e progressivo ampliamento del “range” delle specie suscettibili al virus AH5N1 e, segnatamente, al “clade” 2.3.4.4b costituisce un motivo di fondato allarme, tanto più alla luce delle notevoli distanze filogenetiche intercorrenti fra volatili e mammiferi terrestri ed acquatici sensibili, oltre che della comparsa di uno stipite virale mutato nei visoni allevati intensivamente in Spagna, fra i quali l’agente patogeno si sarebbe diffusamente e celermente propagato.

Sebbene allo stato attuale delle conoscenze non risulti che il virus AH5N1 abbia finora acquisito la capacità di trasmettersi efficacemente da uomo a uomo una volta che lo stesso sia stato acquisito ad opera di animali infetti (figure professionali particolarmente a rischio sarebbero rappresentate, in proposito, dai Medici Veterinari e dalle maestranze operanti negli allevamenti e nei macelli avicoli, nonché dagli addetti al trasporto di volatili vivi), la formidabile capacità di ricombinazione e riassortimento genetico insita nell’RNA multi-segmentato dei virus influenzali conferirebbe un’elevata plausibilita’ biologica ad una siffatta evenienza.

Il salvifico principio della “One Health” – la salute unica di uomo, animali ed ambiente – dovrebbe rappresentare ancora una volta, come la drammatica pandemia da SARS-CoV-2 ci ha insegnato, il “minimo comune denominatore”, alias la stella polare attorno alla quale dovrebbe svilupparsi la sorveglianza epidemiologica nei confronti dell’infezione sostenuta dal virus AH5N1, in un clima di piena, mutua ed incondizionata trasparenza e collaborazione interdisciplinare, a garanzia del quale la divulgazione e lo scambio di sequenze virali fra i vari laboratori pubblici coinvolti su scala globale costituisce un fondamentale, ineludibile presupposto.

Giovanni Di Guardo
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Influenza aviaria: in aumento i casi negli uccelli selvatici, cresce l’attenzione anche verso i mammiferi

Dopo gli eventi di spillover in visoni allevati cresce l’attenzione delle autorità sanitarie verso mutazioni del virus H5N1 che potrebbero favorirne il passaggio ai mammiferi e all’uomo.

L’evoluzione della situazione dell’influenza aviaria a livello globale negli ultimi mesi ha sollevato una certa preoccupazione fra la comunità scientifica internazionale. Dopo i casi confermati di trasmissione del virus H5N1 ad alta patogenicità (HPAI) dagli uccelli in alcune specie di mammiferi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale (Woah) hanno invitato tutti i paesi ad innalzare il livello di allerta sull’arrivo di una nuova pandemia di influenza nella popolazione umana sostenuta da un virus di origine aviare.

Secondo i dati epidemiologici del Centro di referenza nazionale ed europeo per l’influenza aviaria presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), in Italia la circolazione del virus H5N1 fra gli uccelli selvatici è in aumento, con il rischio che questi possano trasmettere il virus agli allevamenti avicoli. Il ministero della Salute ha diramato pochi giorni fa una nota, indirizzata a tutti i Servizi veterinari regionali e agli Istituti Zooprofilattici italiani, in cui ravvisa la necessità di rafforzare la sorveglianza dei volatili selvatici e l’applicazione delle misure di biosicurezza negli allevamenti avicoli.

“La diffusione del ceppo H5N1 HPAI fra gli uccelli selvatici è in aumento, in Italia come nel resto del mondo – dichiara Calogero Terregino, direttore del Centro di referenza per l’influenza aviaria – Nel nostro paese, i casi di H5N1 HPAI nell’avifauna interessano principalmente Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia. Il ministero della Salute ha evidenziato come tale situazione costituisca un rischio costante per gli allevamenti di volatili domestici, considerato che alcune zone ad elevata densità avicola coincidono con le aree dove attualmente si rilevano casi di HPAI nei selvatici. Come Centro di referenza stiamo monitorando l’evoluzione dell’epidemia su tutto il territorio nazionale con estrema attenzione, per evitare che si verifichi una situazione come nell’inverno 2021-2022.”

La situazione in Italia

Negli uccelli selvatici a partire da settembre 2022 sono stati ufficialmente confermati 79 casi di positività fra gabbiani (19), alzavole (13), germani (10) e in altri esemplari di rapaci e anatidi. Molti altri casi sospetti nei gabbiani sono in corso di conferma presso l’IZSVe. Il persistere di casi nei selvatici evidenzia la continua circolazione di H5N1 sul territorio italiano in linea con quanto sta avvenendo in altri paesi europei ed extra europei in cui si registra un aumento di casi anche nel pollame e nei mammiferi selvatici, e in cui sono stati segnalati anche sporadici casi in mammiferi domestici.

Negli uccelli domestici la situazione è più favorevole, dopo la drammatica ondata epidemica di H5N1 HPAI che ha investito prevalentemente il nordest nell’inverno 2021-2022, con 317 focolai negli allevamenti. L’ultimo focolaio nel pollame risale infatti al 23 dicembre 2022, portando a 30 il numero dei casi confermati da settembre 2022. I focolai sono stati riscontrati principalmente in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna.

“La situazione negli allevamenti è migliorata rispetto a un anno fa – afferma il dott. Terregino – grazie anche all’intenso lavoro portato avanti dal ministero della Salute in collaborazione con le Regioni e le Asl coinvolte, il Centro di referenza nazionale per l’influenza aviaria e i rappresentanti del mondo produttivo. La collaborazione fra le parti ha permesso di affrontare e migliorare le principali criticità riscontrate, rafforzando in particolare la sorveglianza negli uccelli selvatici e rendendo più efficaci le strategie di prevenzione e la gestione dei focolai negli allevamenti.”

Il rischio di trasmissione nei mammiferi

In Italia non sono stati registrati casi tra i mammiferi, tuttavia sono previste attività di monitoraggio anche in queste specie, in particolare nelle aree umide frequentate da uccelli selvatici potenzialmente infetti.

Il virus H5N1, come molti altri i virus respiratori, è molto plastico e il suo tasso di mutazione genetica è piuttosto elevato. Alcuni ceppi del virus H5N1 (clade 2.3.4.4b) attualmente circolanti fra gli uccelli hanno mostrato mutazioni considerate segni di adattamento ai mammiferi. Alcuni animali, come i visoni, potrebbero consentire il riassortimento genetico di diversi virus influenzali, da cui possono emergere varianti virali più pericolose per gli animali e l’uomo. Sono attualmente in corso presso i laboratori del Centro di referenza per l’influenza aviaria dell’IZSVe studi per approfondire le caratteristiche genetiche e biologiche del ceppo identificato nei visoni in Spagna.

La sorveglianza genetica consente non solo di identificare correttamente il virus ma anche di studiarne le mutazioni. Gli studi finora condotti dall’IZSVe indicano un’evoluzione solo parziale del virus che, per il momento, non è in grado di causare un contagio inter-umano. Non si può escludere però che il virus in futuro possa acquisire caratteristiche tali da renderlo trasmissibile da uomo a uomo. Una delle armi più efficaci per individuare tempestivamente questa eventualità è la condivisione delle sequenze genetiche fra i membri della comunità scientifica, in modo da seguire l’evoluzione del virus nel tempo e nello spazio e capire se si verificano mutazioni che favoriscono la replicazione nei mammiferi.

I rischi per l’uomo

Sebbene colpisca principalmente il pollame e gli uccelli selvatici, l’influenza aviaria può anche se solo occasionalmente essere trasmessa ai mammiferi, compreso l’uomo. Dalla sua comparsa nel 1996 in un allevamento di oche in Cina, il virus H5N1 ha provocato casi di infezione anche tra gli esseri umani in diversi Paesi del mondo, ma con una frequenza sporadica e in particolari condizioni. Ad oggi non sono stati rilevati casi di trasmissione inter-umana del virus H5N1.

I virus aviari non sono in grado di contagiare con facilità l’uomo, nella maggior parte dei casi le infezioni da H5N1 sono avvenute in persone a stretto contatto con volatili infetti in aree molto povere, in condizioni di forte pro­miscuità e scarsa igiene, senza un’opportuna consapevolezza della presenza del­la malattia e dei rischi ad essa associati. Esistono categorie professionali più esposte al rischio, come allevatori avicoli, veterinari, macellatori, trasportatori. Per questi soggetti, che potrebbero venire in contatto più frequentemente con uccelli infetti o morti di influenza aviaria, è previsto un monitoraggio sanitario in caso di epidemia ed è raccomandabile la vaccinazione contro l’influenza umana, come misura per prevenire fenomeni di ricombinazione genetica tra il virus stagionale umano e il virus dell’influenza aviaria.

Fonte: IZS Venezie




Pescato pesce palla nelle acque del salernitano

In data 8 gennaio 2023, nelle acque antistanti il litorale tra i comuni di Salerno e Cetara, è stata segnalata, da pescatori locali, la cattura all’amo di un raro pesce palla adulto, della lunghezza di 60 cm. L’esemplare è stato identificato come Lagocephalus lagocephalus, specie bentopelagica ben distribuita in acque tropicali e subtropicali, a profondità comprese tra i 10 e 100 metri, piuttosto rara nel Mediterraneo e comunemente conosciuto come capolepre.
Tuttavia non è la rarità della cattura ad aver destato scalpore, quanto la tossicità dei tessuti di tale specie. Infatti il capolepre, appartenente alla famiglia Tetraodontidae, deve la sua pericolosità alla tetradotossina (TTX), una neurotossina termostabile (non inattivata dalla cottura) contenuta principalmente nel tessuto epatico. La TTX se ingerita, infatti, può comportare effetti particolarmente gravi sulla salute dei consumatori, quali vomito, diarrea e alterazioni della conduzione nervosa come convulsioni e paralisi, fino al blocco cardio-respiratorio. La Comunità Europea, per tale motivo, con il Regolamento di esecuzione 627/2019, vieta l’immissione in commercio di prodotti della pesca ottenuti da specie appartenenti alla famiglia Tetraodontidae.

Attualmente, l’esemplare di capolepre è custodito presso la sede della Direzione Operativa C.Ri.S.Sa.P. (Centro di Riferimento Regionale per la Sicurezza Sanitaria del Pescato) dell’ASL Salerno, dove, dopo essere stato correttamente identificato, è stato crioconservato insieme ad altri esemplari di specie tossiche rinvenute nel corso degli anni.

Il rinvenimento è avvenuto in concomitanza con l’avvio di una campagna di sensibilizzazione promossa dal C.Ri.S.Sa.P. rivolta a pescatori professionali, subacquei e operatori del settore, ai quali si chiede di segnalare alle Autorità Sanitarie competenti la cattura accidentale, l’avvistamento o il rinvenimento nei circuiti commerciali di pesci velenosi e specie ittiche aliene. Tale intervento è finalizzato principalmente alla tutela della salute dei consumatori nonché all’acquisizione di informazioni relative alla presenza e diffusione nei nostri mari di tali specie, sensibilmente aumentate negli ultimi anni, di pari passo con il continuo riscaldamento delle acque del Mediterraneo.

Fonte: Sede operativa ASL Salerno C.Ri.S.Sa.P. (Centro di Riferimento Regionale per la Sicurezza Sanitaria del Pescato)




Indagine ISPRA sulla gestione del cinghiale in Italia nel periodo 2015-2021

cinghialiAl 2021 stimato un milione e mezzo di cinghiali in italia. In sette anni, abbattimento aumentato del 45. Danni all’agricoltura per 120 milioni di €. Abruzzo e Piemonte le regioni più colpite

Cinghiali, continua la crescita degli abbattimenti (o prelievi) e dei danni: nel periodo 2015-21 il prelievo di cinghiali è aumentato del 45% e in media sono stati abbattuti circa 300.000 cinghiali all’anno (di cui 257.000 in caccia ordinaria e 42.000 in interventi di controllo faunistico). Nello stesso periodo, gli importi annuali dei danni all’agricoltura sono oscillati tra 14,6 e 18,7 milioni di €, con una media annuale pari a oltre 17 milioni di €. 
Sono alcuni dei risultati della prima indagine di dettaglio a scala nazionale che ISPRA ha realizzato grazie alle informazioni fornite dalle Regioni e dalle Aree protette e che l’Istituto ha comunicato ai ministri dell’Ambiente e dell’Agricoltura.

Comunicato stampa

Fonte: ISPRA




La malattia emorragica epizootica del cervo (EHD). Dopo lingua blu e influenza aviaria una nuova sfida per la sanità veterinaria.

 Ruggero è il primo animale, un toro, a presentare sintomatologia clinica e lesioni riconducibili alla EHD, la malattia emorragica epizootica del cervo, ma che colpisce anche i ruminanti domestici. Dopo un primo sospetto di blue tongue –i sintomi possono essere inizialmente confusi – la verifica da parte del centro di referenza nazionale di Teramo conferma i sospetti dei veterinari di ASL e IZS della Sardegna.

Con i circa 11000 esemplari di cervi nella sola Sardegna meridionale, il virus potrebbe e avere altissima possibilità di trasmissione, se non si interviene tempestivamente. Da qui l’urgenza di mettere la patologia sotto la lente di ingrandimento, con un incontro nazionale che ha portato a convegno tutti i maggiori studiosi ed operatori dell’Isola e della penisola.

All’incontro ha preso parte l’Assessore dell’Igiene e Sanità e dell’Assistenza Sociale della Regione Sardegna, Mario Nieddu, che ha evidenziato come l’amministrazione regionale si sia già attivata con incontri con tutti i soggetti che hanno un ruolo nella crisi in corso.

Sono intervenuti anche il direttore Generale dell’Istituto Zooprofilattico sardo, Giovanni Filippini, e il Direttore del servizio di Sanità Pubblica Veterinaria della Regione Antonio Montisci, che hanno evidenziato come tutto il sistema sanitario, veterinario e non, si debba necessariamente preparare, a fronte di cambiamenti climatici sempre più accentuati e che conducono alla diffusione sempre più frequente di nuove patologie soprattutto di tipo tropicale.

Di fronte a questa nuova emergenza emergono nuovi scenari e nuovi comportamenti, per evitare la diffusione e circoscrivere il più possibile il fenomeno. Ad illustrare i riferimenti normativi in questo settore è intervenuto Luigi Ruocco, Direttore dell’Ufficio 3 del Ministero della Salute, area che ha la responsabilità della Sanità animale e della gestione e lotta contro le malattie animali. Ruocco ha invitato a fare riferimento alle nuove norme europee per la gestione operativa dell’emergenza, che forniscono una cornice alle azioni di contenimento, e sottolineato il ruolo che la nuova normativa conferisce agli operatori nel rilevare, segnalare e gestire animali sospetti.

Sotto l’aspetto della diagnostica, il laboratorio dell’IZS sarà dotato a breve di un kit, che permetterà di rilevare in tempi brevi un numero elevato di campioni sospetti di positività all’EHD. L’Osservatorio Epidemiologico Veterinario Regionale inoltre, che fa capo ugualmente allo zooprofilattico sardo, ha già a disposizione un’App che permette di inserire la singola segnalazione circa la presenza di carcasse di animali selvatici o negli allevamenti.

Il Presidente Commissione agricoltura Piero Maieli ha poi sottolineato la necessità di attivare una unità di crisi specifica, progetto cui l’amministrazione regionale si è già detta disponibile, che possa gestire in modo unitario le strutture regionali coinvolte al fine di consentire azioni concrete per contenimento contro l’espansione della patologia.

Nel corso della giornata si sono alternati esperti di tutta Italia, da Giovanni Savini, Maria Goffredo e Massimo Spedicato e Alessio Lorusso del Centro di Referenza Nazionale per le malattie esotiche degli animali, a Lucio Mandas del Centro Allevamento Recupero Fauna Selvatica (Forestas) e Vincenzo Forma dell’ASL Medio Campidano, che ha per primo rilevato la sintomatologia clinica in Sardegna, assieme ad Angelo Ruiu dell’IZS Sardegna che ha fornito la descrizione delle lesioni anatomo-patologiche riscontrate. Per l’Istituto sono intervenuti inoltre Stefano Cappai, Giantonella Puggioni e Giuseppe Satta. I lavori sono stati coordinati da Sandro Rolesu, Direttore Sanitario dell’IZS Sardegna.

Oltre al lavoro sul contenimento, la ricerca va avanti, e l’auspicio e obiettivo espresso dalla sala è stato quello di arrivare rapidamente ad un vaccino.
A tirare le fila della mattinata il Direttore dell’IZS Giovanni Filippini: “siamo pronti sugli aspetti diagnostici e su quelli organizzativi. La vera sfida sarà sulle strategie a lungo termine, ma siamo in presenza di una squadra che può affrontarle.”

Relazioni Convegno

Fonte: IZS Sardegna




Elenco delle specie animali selvatici ed esotici che possono essere detenuti come animali da compagnia

Il 27 ottobre 2022 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Ministeriale 11 ottobre 2022 “Individuazione degli animali di specie selvatiche ed esotiche prelevate dal loro ambiente naturale come animali da compagnia”.

Il decreto indica un elenco di animali esotici salvatici che, (in deroga al divieto di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 5 agosto 2022, n. 135), possono essere prelevati dal loro ambiente naturale per la detenzione come animali da compagnia. L’elenco è stato predisposto secondo le attuali conoscenze scientifiche in base al rischio sanitario, al rischio per la biodiversità e alla compatibilità con la detenzione in cattività per ragioni comportamentali, fisiche, biologiche ed etologiche.

Pertanto, la lista prevede solo le 6 specie che secondo le conoscenze attuali non rappresentano un rischio per la biodiversità. Tale lista potrà essere aggiornata almeno ogni 5 anni.

Fonte: Ministero della salute




Nuovi anticorpi monoclonali per l’identificazione della malattia emorragica epizootica del cervo

Anticorpi monoclonali, sviluppati in IZS, permetteranno una più efficiente diagnosi di una malattia virale che colpisce prevalentemente i cervi, ma che può attaccare anche i bovini danneggiando la produzione di latte

La Malattia Emorragica Epizootica (EHD acronimo della malattia in lingua inglese), è una patologia virale identificata originariamente in alcune specie di cervi nel Nord America. Negli ultimi anni la malattia è stata registrata nei paesi arabi che si affacciano sul Mediterraneo. Una sua introduzione in Europa rappresenta pertanto un pericolo che richiede metodi di identificazione e sorveglianza rapidi ed efficienti. Ad oggi non sono stati ancora registrati casi nelle nazioni europee e quindi la malattia può dirsi esotica.

Per assolvere ad uno dei compiti istituzionali in qualità di Centro di Referenza per le Malattie Esotiche (CESME), i ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo hanno avviato una ricerca per lo sviluppo di un metodo diagnostico, i cui risultati preliminari sono stati pubblicati sulla rivista Monoclonal antibodies in Immunodiagnosis and Immunotherapy. I ricercatori hanno infatti prodotto anticorpi monoclonali capaci di riconoscere una proteina specifica del virus responsabile della patologia (EDHV). In questo modo sarà possibile realizzare test di laboratorio affidabili, capaci di portare ad una rapida identificazione della sua eventuale presenza in animali selvatici o da allevamento.

“La Malattia Emorragica Epizootica – spiega Mirella Luciani, del reparto di Immunologia e sierologia, co-autore della pubblicazione scientifica – non costituisce alcun pericolo per l’uomo. Colpisce soprattutto alcune specie di cervi, nei quali può essere particolarmente grave, con tassi di mortalità che possono arrivare fino al 90% per i cervi dalla coda bianca. Occasionalmente, però, può rappresentare un problema anche per i bovini, nei quali la sintomatologia è molto più lieve e la mortalità molto rara, ma in questi casi ci può essere un rilevante calo della produzione di latte con conseguenti danni economici”.

Il virus EDHV viene trasmesso attraverso la puntura di insetti del genere Culicoides, gli stessi che possono trasmettere altri due virus: la bluetongue, che colpisce prevalentemente gli ovini, e la peste equina, che colpisce prevalentemente gli equini. “Questi insetti – continua Luciani – sono presenti in Europa. A loro si devono, ad esempio, i focolai di bluetongue che in anni passati hanno colpito gli allevamenti di pecore in Italia, soprattutto in Sardegna. Quindi ci troviamo di fronte allo stesso ciclo infettivo e alla stessa nicchia ecologica. Significa che l’introduzione in Europa del virus della Malattia Emorragica Epizootica del Cervo è una possibilità concreta. Per questo motivo abbiamo sviluppato un pannello di anticorpi monoclonali che potranno rappresentare un valido supporto per la diagnosi precoce della malattia”.

Fonte: IZS Teramo




Patogeni trasmessi da zecche, fino al 30% di zecche positive nella fauna selvatica del nord-est dell’Italia

Gli animali selvatici e domestici occupano un ruolo importante nei cicli vitali di molti patogeni trasmessi dalle zeccheLupo, sciacallo e capriolo sembrano fungere da ospite principale per le zecche e da serbatoio per i patogeni nel nord-est dell’Italia, ma non mancano anche altri animali come bovini, camosci, cervi, cinghiali, volpi, tassi, ricci e poiane.

La situazione nel nord-est, fino al 30% di positività per Ixodes ricinus

Uno studio dell’IZSVe, presentato 10^ Conferenza internazionale “Tick and Tick-Borne Pathogen” (TTP.10), ha evidenziato la presenza di un’elevata diversità di patogeni trasmessi da zecche nel nord-est dell’Italia. In particolare è stato osservato un elevato tasso di infezione nella zecca Ixodes ricinus: il 30,2% dei campioni analizzati per questa specie è risultato positivo per almeno un patogeno.

Ma qual è il ruolo ecologico di queste specie animali? A questa domanda hanno cercato di rispondere i ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) con uno studio sulla presenza e la prevalenza dei patogeni nelle zecche prelevate da diversi animali. I risultati sono stati presentati alla 10^ Conferenza internazionale “Tick and Tick-Borne Pathogen” (TTP.10) sulle zecche e patogeni trasmessi dalle zecche, organizzata dal Dipartimento di Parassitologia e Malattie Parassitarie dell’Università di Scienze Agrarie e Medicina Veterinaria di Cluj-Napoca (Romania), in collaborazione con l’Istituto di ricerca sul delta del Danubio.

Nello studio i ricercatori hanno prelevato le zecche durante il periodo 2019-2021, sia adulti che stadi giovanili (larve e ninfe), in animali provenienti da Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige. Sono state raccolte in totale 367 zecche (suddivise in 321 pool per la ricerca di patogeni) poi classificate in tre generi e quattro specieIxodes ricinus (215), I. hexagonus (146), Dermacentor marginatus (1), Rhipicephalus sanguineus (1), Ixodes spp. (2) e Dermacentor spp. (2). Le zecche sono state raccolte da 71 ospiti appartenenti ad 11 specie. Ixodes ricinus è stata raccolta da tutte le specie ospiti; I. hexagonus da tasso, riccio e volpe; D. marginatus e Dermacentor spp. da cinghiale e R. sanguineus da riccio. Da segnalare che il 30,2% di I. ricinus è risultato positivo per almeno un patogeno.

Inoltre, per ogni patogeno è stato calcolato il tasso di infezione (infection rate, IR) ossia il numero degli esemplari positivi sul totale degli esemplari analizzati. Nei pool di zecche sono stati identificati undici patogeni differenti, di cui i principali sono: Anaplasma phagocitophylum (IR=19,1) Rickettsia helvetica; (IR=9,8) e R. monacensis (IR=4,7). Sono stati ritrovati anche: Borrelia miyamotoiB. burgdorferi sensu stricto, B. azfeliiBabesia venatorum e Ba. capreoli. Un esemplare di Dermacentor spp. è stato trovato positivo a R. slovaca e cinque I. hexagonus a Rickettsia spp. Un totale di 15 zecche (4,1%) rimosse da camosci e caprioli sono state trovate co-infette da più di un patogeno.

Questo studio evidenzia la presenza di un’elevata diversità di patogeni trasmessi da zecche in quest’area. In particolare, è stata osservata un elevato tasso di infezione nella zecca I. ricinus e la possibilità di trasmissione multipla di patogeni da parte di zecche co-infette.

Il contributo degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali alla ricerca internazionale

Gli esponenti degli IIZZSS italiani alla 10^ Conferenza internazionale “Tick and Tick-Borne Pathogen” (TTP.10). Da sinistra: Ilaria Pascucci (dirigente veterinaria, IZS Umbria e Marche); Michela Bertola (ricercatrice veterinaria, IZS Venezie); Aitor Garcia-Vozmediano (borsista veterinario, IZS Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta).

La Conferenza TTP rappresenta il maggior evento scientifico del settore e ha visto la partecipazione di circa 200 esperti del settore tra ricercatori, epidemiologi, medici, immunologi, veterinari, biologi ed ecologi provenienti da tutto il mondo.

Una menzione particolare spetta ai tre Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IIZZSS) che hanno presentato i loro studi sperimentali, dimostrando un’importante presenza degli IIZZSS italiani a livello internazionale e un’elevata qualità delle ricerche condotte:

  • Michela Bertola, ricercatrice veterinaria, IZS Venezie. Tick-borne pathogens detected in ticks removed from animal hosts in northeastern Italy
  • Aitor Garcia-Vozmediano, borsista veterinario, IZS Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. A One Health approach to tackle tick-borne diseases – analysis of surveillance initiatives in selected EU countries: The Netherlands, Spain and Italy
  • Ilaria Pascucci, dirigente veterinaria, IZS Umbria e Marche. Ticks and tick-borne pathogens in Umbria and Marche in a one health perspective; a five years monitoring with a description of clinical case of SENLAT

Fonte: IZS Venezie




Mare monstrum: Mediterraneo invaso da centinaia di nuovi pesci

Una ricerca pubblicata dalla rivista ‘Global Change Biology’ e coordinata dall’Istituto per le risorse biologiche e biotecnologie marine del Cnr di Ancona ricostruisce la storia delle invasioni biologiche nel mare nostrum, che negli ultimi 130 anni ha subito l’arrivo di circa duecento nuove specie ittiche grazie al cambiamento climatico

Con centinaia di specie esotiche, il Mar Mediterraneo viene oggi riconosciuto come la regione marina più invasa al mondo. Una ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista Global Change Biology e coordinata dall’Istituto per le risorse biologiche e biotecnologie marine (Cnr-Irbim) di Ancona, ricostruisce questa storia per le specie ittiche introdotte a partire dal 1896.

Lo studio dimostra come il fenomeno abbia avuto un’importante accelerazione a partire dagli anni ’90 e come le invasioni più recenti siano capaci delle più rapide e spettacolari espansioni geografiche”, spiega Ernesto Azzurro del Cnr-Irbim e coordinatore della ricerca. “Da oltre un secolo, ricercatori e ricercatrici di tutti i paesi mediterranei hanno documentato nella letteratura scientifica questo fenomeno, identificando oltre 200 nuove specie ittiche e segnalando le loro catture e la loro progressiva espansione. Grazie alla revisione di centinaia di questi articoli e alla georeferenziazione di migliaia di osservazioni, abbiamo potuto ricostruire la progressiva invasione nel Mediterraneo”. Tale processo ha cambiato per sempre la storia del nostro mare.

Sono due le porte di ingresso di questa colonizzazione: “Le specie del Mar Rosso, entrate dal canale di Suez (inaugurato nel 1869), sono le più rappresentate e problematiche. Ci sono, tuttavia, altri importanti vettori come il trasporto navale ed il rilascio da acquari. I ricercatori hanno considerato anche la provenienza atlantica tramite lo stretto di Gibilterra”, continua Azzurro.

Ma quali sono gli effetti ambientali e socio-economici di queste ‘migrazioni ittiche’?

Alcune di queste specie costituiscono nuove risorse per la pesca, ben adattate a climi tropicali e già utilizzate nei settori più orientali del Mediterraneo”, spiega il ricercatore Cnr-Irbim. “Allo stesso tempo, molti ‘invasori’ provocano il deterioramento degli habitat naturali, riducendo drasticamente la biodiversità locale ed entrando in competizione con specie native, endemiche e più vulnerabili. Il ritmo della colonizzazione è così rapido da aver già cambiato l’identità faunistica del nostro mare; pertanto ricostruire la storia del fenomeno permette di capire meglio la trasformazione in atto e fornisce un esempio emblematico di globalizzazione biotica negli ambienti marini dell’intero pianeta”.

La ricerca è stata svolta grazie al supporto dei progetti InterregMED MPA-Engage e del progetto @CNR USEit.

Fonte: CNR