Europa impreparata ad affrontare la rapida evoluzione dei rischi climatici

Cambiamenti climaticiCome si è visto già negli ultimi anni, in Europa caldo estremo, siccità, incendi boschivi e inondazioni sono destinati ad acuirsi anche in base agli scenari più ottimistici in materia di riscaldamento globale e a incidere sulle condizioni di vita in tutto il continente. L’AEA ha pubblicato i risultati della prima European Climate Risk Assessment (EUCRA) (valutazione europea dei rischi climatici) mai effettuata quale contributo all’individuazione delle priorità politiche in materia di adattamento ai cambiamenti climatici e in supporto ai settori sensibili al clima.

Ne emerge che in Europa le politiche e gli interventi di adattamento non tengono il ritmo con la rapida evoluzione dei suddetti rischi. In molti casi, un adattamento incrementale non sarà sufficiente. Inoltre, poiché numerose misure volte a migliorare la resilienza ai cambiamenti climatici richiedono molto tempo, possono essere necessari interventi urgenti anche per rischi non ancora critici.

Alcune regioni d’Europa sono aree in cui si concentrano rischi climatici multipli. L’Europa meridionale è particolarmente a rischio a causa degli incendi boschivi nonché degli effetti delle ondate di calore e della scarsità di acqua sulla produzione agricola, sul lavoro all’aria aperta e sulla salute umana. Le inondazioni, l’erosione e l’infiltrazione di acqua salata minacciano le regioni costiere europee a bassa quota, comprese molte città densamente popolate.

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Fonte: European Environment Agency




La terza transizione epidemiologica

Nel dicembre 2023 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato un allarme relativo al forte incremento dei casi di dengue nel mondo, sottolineando come il rischio globale per questa malattia debba ora considerarsi elevato. La diffusione della dengue non ha lasciato indenne l’Europa, e men che meno il nostro paese. In Italia nel 2023 si sono registrati 362 casi e un decesso, il numero più elevato mai osservato.

L’Antropocene (1), l’epoca geologica nella quale siamo recentemente entrati, viene descritta come un’epoca in cui i processi e le condizioni geologiche planetarie sono fortemente influenzati dalle attività umane. I fenomeni associati all’Antropocene includono: marcate perturbazioni dei cicli di elementi quali carbonio, azoto, fosforo e vari metalli che hanno a loro volta determinato cambiamenti ambientali tra cui il riscaldamento globale, l’innalzamento del livello dei mari, l’acidificazione degli oceani; rapidi cambiamenti nella biosfera, con distruzione di habitat, perdita di biodiversità, espansione di specie invasive; proliferazione e dispersione globale di nuovi “minerali” e “rocce” tra cui cemento, ceneri volanti e plastica. Molti di questi cambiamenti persisteranno per millenni o più e stanno alterando il “sistema Terra”. Molti di questi fenomeni inoltre contribuiscono a plasmare e rideterminare i processi di salute e malattia, la cui traiettoria si sta modificando e dispiegando in quella che può essere definita “la terza transizione epidemiologica” (2).

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Fonte: saluteinternazionale.info




PE: via libera alla legge sul ripristino della natura

Il Parlamento ha adottato la prima legge dell’UE per ripristinare gli ecosistemi degradati

  • I Paesi dell’UE dovranno ripristinare almeno il 30% degli habitat in cattive condizioni entro il 2030, il 60% entro il 2040 e il 90% entro il 2050
  • Possibilità di sospendere temporaneamente le disposizioni sugli ecosistemi agricoli in circostanze eccezionali
  • Oltre l’80% degli habitat europei è in cattivo stato

La nuova legge fissa l’obiettivo di ripristinare almeno il 20% delle zone terrestri e marine dell’UE entro il 2030 e tutti gli ecosistemi entro il 2050.

La normativa europea sul ripristino della natura, concordata con i governi dell’UE, è stata approvata con 329 voti favorevoli, 275 contrari e 24 astensioni. Il regolamento mira a garantire il ripristino degli ecosistemi degradati in tutti i Paesi dell’UE, contribuire al raggiungimento degli obiettivi europei in materia di clima e biodiversità e migliorare la sicurezza alimentare.

Per conseguire gli obiettivi fissati dall’UE, entro il 2030 gli Stati membri dovranno ripristinare il buono stato di salute di almeno il 30% degli habitat contemplati dalla nuova legge (che vanno da foreste, praterie e zone umide a fiumi, laghi e coralli). Questa percentuale aumenterà poi al 60% entro il 2040 e al 90% entro il 2050. In linea con la posizione del Parlamento, fino al 2030 la priorità andrà accordata alle zone Natura 2000. I paesi dell’UE dovranno garantire che le zone ripristinate non tornino a deteriorarsi in modo significativo. Inoltre, dovranno adottare piani nazionali di ripristino che indichino nel dettaglio in che modo intendono raggiungere gli obiettivi.

Ecosistemi agricoli

Per migliorare la biodiversità negli ecosistemi agricoli, i paesi dell’UE dovranno registrare progressi in due di questi tre indicatori: indice delle farfalle comuni; percentuale di superficie agricola con elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità; stock di carbonio organico nei terreni minerali coltivati. Dovranno anche adottare misure per migliorare l’indice dell’avifauna comune, dato che gli uccelli sono un buon indicatore dello stato di salute generale della biodiversità.

Poiché le torbiere sono una delle soluzioni più economiche per ridurre le emissioni nel settore agricolo, i paesi dell’UE dovranno ripristinare almeno il 30% delle torbiere drenate entro il 2030 (almeno un quarto dovrà essere riumidificato), il 40% entro il 2040 e il 50% entro il 2050 (con almeno un terzo riumidificato). La riumidificazione continuerà a essere volontaria per agricoltori e proprietari terrieri privati.

Come richiesto dal Parlamento, la legge prevede un freno di emergenza che, in circostanze eccezionali, consentirà di sospendere gli obiettivi relativi agli ecosistemi agricoli qualora questi obiettivi riducano la superficie coltivata al punto da compromettere la produzione alimentare e renderla inadeguata ai consumi dell’UE.

Altri ecosistemi

La legge impone anche di registrare una tendenza positiva in diversi indicatori che riguardano gli ecosistemi forestali e di piantare tre miliardi di nuovi alberi. Gli Stati membri dovranno inoltre ripristinare almeno 25.000 km di fiumi, trasformandoli in fiumi a scorrimento libero, e garantire che non vi sia alcuna perdita netta né della superficie nazionale totale degli spazi verdi urbani, né di copertura arborea urbana.

Citazione

Dopo la votazione, il relatore César Luena (S&D, ES) ha dichiarato: “Oggi è un grande giorno per l’Europa, perché passiamo dalla protezione e dalla conservazione della natura al suo ripristino. La nuova legge ci aiuterà anche a rispettare molti dei nostri impegni internazionali in materia di ambiente. Inoltre, ripristinerà gli ecosistemi degradati senza compromettere il settore agricolo, lasciando agli Stati membri una grande flessibilità. Vorrei ringraziare i ricercatori per averci fornito le evidenze scientifiche e per il loro impegno nel combattere il negazionismo climatico. E vorrei ringraziare anche i giovani per averci ricordato che non abbiamo né un pianeta B, né un piano B.”

Prossime tappe

Una volta approvato anche dal Consiglio, sarà pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’UE ed entrerà in vigore 20 giorni dopo.

Contesto

Oltre l’80% degli habitat europei è in cattivo stato. Il 22 giugno 2022 la Commissione europea ha proposto una legge sul ripristino della natura per contribuire al recupero a lungo termine della natura danneggiata nelle zone terrestri e marine dell’UE, per raggiungere gli obiettivi dell’UE in materia di clima e biodiversità e per rispettare gli impegni internazionali dell’UE, in particolare il quadro globale di Kunming-Montreal per la biodiversitàSecondo la Commissione, la nuova legge apporterebbe notevoli benefici economici, in quanto ogni euro investito si tradurrebbe in almeno 8 euro di benefici.

Questa legge risponde alle aspettative dei cittadini in materia di protezione e ripristino di biodiversità, paesaggio e oceani di cui alla proposta 2, paragrafi 1, 3, 4 e 5, delle conconclusioni della Conferenza sul futuro dell’Europaclusioni della Conferenza sul futuro dell’Europa.

Fonte: Parlamento europeo




L’orso polare, un’iconica creatura sempre più minacciata per mano dell’uomo!

Alla principale minaccia rappresentata dal riscaldamento globale, i cui effetti appaiono oltremodo amplificati ai poli terrestri, risultano particolarmente esposti gli orsi polari (Ursus maritimus) (1), vista e considerata la crescente difficoltà sperimentata dagli stessi nel procacciarsi le proprie prede, a motivo del progressivo scioglimento dei ghiacciai. A tal proposito, un recente lavoro descrive una serie di rilevanti adattamenti ecologici, comportamentali e dietetico-nutrizionali posti in essere dalla specie in esame, al precipuo fine di sopperire alla crescente difficoltà di cacciare gli animali acquatici tradizionalmente costituenti la sua principale fonte alimentare (1).

Alla ricerca di substrati nutritivi alternativi rispetto a questi ultimi, sempre piu’ spesso condotta in condizioni precarie ed in ambito terrestre dagli orsi polari, corrisponderebbe un progressivo scadimento delle condizioni generali e dello status nutrizionale della specie. Cio’ fa il paio, inevitabilmente, con uno stress perdurante, sulle cui deleterie ricadute sanitarie ho ritenuto doveroso richiamare l’attenzione della Comunità Scientifica attraverso un “Commentary” recentemente apparso sul prestigioso “Nature Microbiology Community Forum” (2). Come risulta ben noto, infatti, ad una condizione di stress cronico si associa un’accresciuta produzione di cortisolo, con conseguente soppressione della risposta immunitaria dell’ospite (3). E, se da un lato appare oltremodo plausibile che le sempre piu’ malnutrite popolazioni di orsi polari stiano sperimentando una condizione di stress cronico persistente, andrebbe parimenti sottolineato che il contestuale incremento della cortisolemia potrebbe accrescerne, dall’altro lato, la suscettibilità nei confronti di un’ampia gamma di agenti patogeni, con tutte le nefaste conseguenze che ciò comporterebbe sul loro gia’ precario stato di salute e di conservazione.

Degno di particolare menzione risulta, in un siffatto contesto, Toxoplasma gondii, un agente protozoario dotato di comprovata capacità zoonosica ed in grado d’infettare numerose specie di mammiferi acquatici, ivi compresi gli orsi polari. Al riguardo, elevati tassi di sieroprevalenza verso T. gondii erano già stati evidenziati in uno studio condotto sulla popolazione di orsi polari residente alle Isole Svalbard (Norvegia), ove gli esemplari di sesso maschile mostravano livelli di anticorpi sierici ben più elevati che in quelli di sesso femminile e doppi, all’incirca, rispetto a quelli rinvenuti in una precedente indagine svolta nella medesima regione geografica (4).

In aggiunta a quanto sopra, la posizione di “predatori di vertice” notoriamente occupata dagli orsi polari all’interno delle catene trofiche in ambito marino li renderebbe capaci di bioaccumulare e di biomagnificare, a livello dei propri distretti corporei, un gran numero di contaminanti ambientali persistenti ad azione immunotossica, come ad esempio il metil-mercurio (metil-Hg) (5).

Ne deriva pertanto che l’immunosoppressione associata alla risposta da stress cronico conseguente al perdurante stato di malnutrizione, congiuntamente all’elevato carico di xenobiotici immunotossici progressivamente accumulati e biomagnificati in ambito tissutale, non potrà che rendere gli orsi polari maggiormente suscettibili nei confronti di un crescente numero di agenti microbici, con tutti i catastrofici effetti che ciò produrrà sul già precario stato di salute e di conservazione della specie in questione.

Concludo queste mie riflessioni e considerazioni ponendo in particolare risalto l’esigenza che la complessa ed articolata gestione sanitaria della sempre più minacciata popolazione globale di orsi polari necessiti di un approccio integrato e multidisciplinare, diffusamente permeato ed ispirato al principio/concetto della “One Health”, la salute unica di uomo, animali ed ambiente.

Bibliografia 

1) Pagano, A.M., Rode, K.D., Lunn, N.J., et al. Polar bear energetic and behavioral strategies on land with implications for surviving the ice-free period. Nat Commun 15, 947 (2024). https://doi.org/10.1038/s41467-023-44682-1.
2) Di Guardo, G. Enhanced infection susceptibility as a consequence of chronic starvation in polar bears. Nature Community Microbiology Forum, February 21, 2024.
https://communities.springernature.com/posts/enhanced-infection-susceptibility-as-a-consequence-of-chronic-starvation-in-polar-bears
3) O’Leary, A. Stress, emotion, and human immune function. Psychol. Bull.108, 363-382 (1990). doi: 10.1037/0033-2909.108.3.363.
4) Jensen, S.K., Aars, J., Lydersen, C., et al. The prevalence of Toxoplasma gondii in polar bears and their marine mammal prey: evidence for a marine transmission pathway?. Polar. Biol 33, 599–606 (2010). https://doi.org/10.1007/s00300-009-0735-x
5) St Louis, V.L., Derocher, A.E., Stirling, I., et al. Differences in mercury bioaccumulation between polar bears (Ursus maritimus) from the Canadian high- and sub-Arctic. Environ. Sci. Technol. 45, 922-928 (2011). doi: 10.1021/es2000672.

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

Sullo stesso tema è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista British Medical Journal (BMJ) una “Letter to the Editor” del Prof. Di Guardo con riferimento all’articolo “Alaskapox: First human death from zoonotic virus is announced

 




Dovremmo eradicare le zanzare?

«Se pensiamo ad animali come i ratti, è sempre bene eradicarli nelle isole in cui sono stati introdotti», afferma Jérémy Bouyer, direttore della ricerca presso il Centro di ricerca agricola francese per lo sviluppo internazionale (CIRAD). «In tutta sincerità, possiamo considerare Aedes albopictus e Aedes aegypti alla stregua di topi volanti.» Le zanzare sono vettori di malattie come la malaria e la febbre gialla, che causano la morte di milioni di persone. Questi insetti proliferano dove è presente acqua stagnante, ad esempio nelle paludi e all’interno di rifiuti di plastica, di lattine per bevande e di vecchi pneumatici. «Se si eradica un elemento appena introdotto, si torna di fatto a una situazione di equilibrio», spiega Bouyer. «Quando la specie è endemica, però, bisogna chiedersi se sia saggio eliminarla o meno.» In un ecosistema ogni organismo svolge un ruolo specifico e la sua rimozione può avere un effetto domino nella rete alimentare, dal momento che il predatore di un animale è di solito la preda di un altro. La scomparsa di una specie può anche indebolire l’ecosistema nel suo complesso, persino portandolo al collasso. Nel caso delle zanzare, questa non sembra una prospettiva possibile, poiché i loro predatori (uccelli, ragni e libellule) sono generalisti e si nutrono anche di altri insetti.

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Fonte: Commissione Europea




Cambia il clima, cambiano anche i pipistrelli?

Il cambiamento climatico costringe tutti a fare i conti con nuove condizioni di vita e a trovare strategie per sopravvivere, incluso un restyling di caratteristiche fisiche e fisiologiche. Così le api selvatiche in Spagna stanno diventando sempre più piccole, e lo stesso sta accadendo a diverse specie di uccelli sparse per il globo, a pesci oceanici e insetti. Alcune specie, al contrario, con l’aumento delle temperature diventano più grandi. È quanto sta succedendo a una specie di chirottero nel Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, il vespertilio di Daubenton (nome scientifico Myotis daubentonii),  che vive lungo i corsi d’acqua, dove si nutre di insetti che pesca a pelo d’acqua grazie alla membrana mobile sviluppata attorno alla coda.

«Abbiamo osservato un aumento delle dimensioni dell’avambraccio, un buon indicatore delle dimensioni corporee generali. Ciò non significa che i vespertili di questa popolazione siano triplicati di taglia: parliamo di qualche millimetro, ma l’aumento c’è stato ed è significativo», afferma Danilo Russo, professore di ecologia presso il dipartimento di Agraria dell’Università di Napoli Federico II e primo autore dello studio. Russo e il suo team di ricerca monitorano la popolazione di Myotis daubentonii che vive lungo il fiume Sangro da più di vent’anni, il che consente di avere una robusta serie storica di dati che permette di operare confronti e misurare gli effetti del cambiamento climatico. Analizzando i dati meteo forniti di una stazione metereologica (meteomont), posta a 1450 m di quota sul confine tra Abruzzo e Lazio, precisamente a Forca D’Acero, i ricercatori hanno infatti rilevato dal dicembre 1999 al maggio 2023 un aumento della temperatura media di ben 4 gradi. Grazie al monitoraggio ventennale si è potuto documentare un secondo effetto dell’aumento delle temperature su questa popolazione, che potrebbe avere implicazioni sulle interazioni sociali. Infatti, in contesti ambientali caratterizzati da un gradiente altitudinale come nel caso del fiume Sangro, le femmine vivono solo al di sotto di una certa quota, mentre i maschi si separano in due gruppi: alcuni vivono insieme alle femmine, e hanno un maggiore accesso all’accoppiamento, altri vivono a quote più elevate e non si mescolano con gli altri. Le analisi indicano uno spostamento verso l’alto delle femmine: nel 2000 non superavano mai i 900 m, oggi sono presenti anche a 1100 metri di altitudine. Questo spostamento potrebbe essere spiegato sia con l’aumento delle temperature, che potrebbe aver modificato anche la distribuzione degli insetti di cui i vespertili si nutrono, sia col fatto che le femmine preferiscono in generale zone più calde e, quindi, abbiano potuto ampliare la zona da frequentare beneficiando per così dire di un clima più mite. Resta da capire se questo abbia implicazioni nelle interazioni con i maschi.

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Fonte: scienzainrete.it




Scoperto in Riviera il primo caso italiano di uccisione diretta di una stenella striata da parte di delfini tursiopi

Grazie alle necroscopia effettuata con i veterinari dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta abbiamo infatti scoperto il primo caso italiano di uccisione diretta di una stenella striata da parte di delfini tursiopi”.

Ad annunciarlo sono i biologi  dell’associazione Delfini del Ponente che hanno la loro base operativa a Imperia e che da anni svolgono studi e monitoraggio sui cetacei che vivono nel mare della Riviera di Ponente.

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Fonte: sanremonews




Mangimi più circolari riducono il consumo di acqua e di suolo

Mangimi più circolari aiutano a proteggere le risorse naturali, salvaguardando suolo e acqua. È il risultato dello studio “Preservare la terra e le risorse idriche globali attraverso la sostituzione delle colture per l’alimentazione del bestiame con sottoprodotti agricoli“. Pubblicato in copertina da Nature Food, è il frutto della collaborazione tra il Politecnico di Milano e l’Università degli Studi di Milano e mette in luce come un maggior utilizzo di sottoprodotti nel settore mangimistico, in un’ottica circolare, possa portare a un significativo risparmio dell’uso di suolo e di risorse idriche e, pertanto, a una maggior sostenibilità dei sistemi agroalimentari.

“L’impiego di sottoprodotti agricoli nelle diete animali diminuirebbe la competizione tra i settori e la pressione sulle risorse, rendendo maggiore la disponibilità di calorie per l’uomo e potrebbe raggiungere anche il risultato di far aumentare la sicurezza alimentare in diversi Paesi, con scelte alimentari più salutari oltre che più sostenibili”. Sceglie parole nette Camilla Govoni, ricercatrice del Politecnico di Milano, che ha condotto lo studio con Maria Cristina Rulli del Politecnico di Milano, Paolo D’Odorico della University of California at Berkeley e Luciano Pinotti dell’Università degli Studi di Milano, per commentare lo studio realizzato dal team interdisciplinare.

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Fonte: economiacircolare.it




Lista Rossa degli ecosistemi d’Italia

albero, proteggereL’approccio ecosistemico rappresenta la strategia più efficace per la conservazione della piena efficienza strutturale e funzionale del capitale naturale, in accordo con quanto sancito a livello internazionale dalla Convenzione sulla Diversità Biologica (Nazioni Unite, 1992) e come ampiamente riconosciuto dalla comunità scientifica.

La Lista Rossa degli Ecosistemi italiani, come tutte le Liste Rosse,  presenta il percorso metodologico seguito e i risultati della valutazione del rischio di collasso degli ecosistemi in Italia nell’ambito del progetto che la Società Botanica Italiana ha svolto sotto l’egida del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.

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Fonte: IUCN




Aggiornata la Lista Rossa delle specie minacciate, 44mila a rischio estinzione

157mila le specie minacciate, presentata anche la prima valutazione sulle specie dei pesci di acqua dolce. Dichiarazioni della direttrice e della presidente internazionale IUCN

Il cambiamento climatico minaccia un numero crescente di specie, dal salmone atlantico alle tartarughe verdi, lo rivela l’aggiornamento della Lista Rossa IUCN  pubblicato in occasione della COP28,  la conferenza sul clima delle Nazioni Unite svoltasi negli Emirati Arabi Uniti. L’aggiornamento include anche la prima valutazione globale dei pesci d’acqua dolce. Gli sforzi di conservazione – scrive la IUCN international – sono riusciti a mettere in sicurezza due specie di antilopi dal pericolo dell’estinzione, ma il cambiamento climatico potrebbe minarne il futuro.

La Lista Rossa globale della IUCN comprende ora 157.190 specie, di cui 44.016 sono a rischio di estinzione.

“Il cambiamento climatico sta minacciando la biodiversità del nostro pianeta e mette in crisi la capacità della natura di soddisfare i bisogni umani fondamentali”, ha affermato Grethel Aguilardirettrice generale dell’IUCN. “Questo aggiornamento della Lista Rossa IUCN evidenzia i forti legami tra i mutamenti climatici e il calo della biodiversità, crisi che devono essere affrontate congiuntamente. Il declino delle specie è una delle emergenze provocate dal cambiamento del clima.   Abbiamo la possibilità di fermarlo, con un’azione urgente e ambiziosa, per mantenere il surriscaldamento entro 1,5 gradi”.

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Fonte: IUCN