Modifica del DPR 357: Regioni e parchi possono chiedere autorizzazione per il rilascio di specie aliene in natura

Specie Aliene InvasiveSulla Gazzetta Ufficiale n.208 del 5-9-2019 è pubblicato il Decreto Del Presidente Della Repubblica 5 luglio 2019, n. 102 “Regolamento recante ulteriori modifiche dell’articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, concernente attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonche’ della flora e della fauna selvatiche” che introduce la possibilità, previa autorizzazione, di l’immettere in natura delle specie e delle popolazioni non autoctone  per motivate ragioni di rilevante interesse pubblico, connesse a esigenze ambientali, economiche, sociali e culturali, e comunque in modo che non sia arrecato alcun pregiudizio agli habitat naturali nella loro area di ripartizione naturale ne’ alla fauna e alla flora selvatiche locali.

L’autorizzazione e’ rilasciata con provvedimento del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti il Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e del
turismo e il Ministero della salute, previo parere del Consiglio del Sistema nazionale di Protezione dell’Ambiente (Legge n. 132 del 2016 “Istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente e disciplina dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale”), entro 60 giorni dal ricevimento della istanza che può pervenire esclusivamente dalle Regioni, dalle Province autonome o dagli enti di gestione delle aree protette nazionali.

Tale autorizzazione è inoltre subordinata alla valutazione di uno specifico studio del rischio che l’immissione comporta per la conservazione delle specie e degli habitat naturali, predisposto dagli enti richiedenti. I risultati degli studi del rischio sono comunicati al Comitato previsto dalla direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.

Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha 6 mesi di tempo dall’entrata in vigore del Decreto 201/2019 per adottare i criteri applicativi.

A cura della segreteria SIMeVeP

 




Nuove specie protette dalla Convenzione Cites

Geochelone elegansSono entrate in vigore le modifiche alle appendici della Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali selvatiche minacciate d’estinzione (Cites) adottate dalla 18a Conferenza delle Parti che si è tenuta a Ginevra dal 17 al 28 agosto scorso. Prevedono nuove specie protette che appartengono alla famiglia delle lucertole, delle tartarughe, dei gechi, lontre, gru e farfalle (Ceratophora erdeleni, Ceratophora karu, Ceratophora tennentii, Cophotis ceylanica, Cophotis dumbara, Gonatodes daudini, Achillides chikae hermeli, Parides burchellanus, Aonyx cinerea, Lutrogale perspicillata, Gruidae Balearica pavonina, Cuora bourreti, Cuora picturata, Mauremys annamensis, Geochelone elegans e Malacochersus tornieri).

La tutela della fauna – afferma il ministro dell’Ambiente Sergio Costa – è tra i nostri obiettivi. L’applicazione corretta della Convenzione Cites è fondamentale a tal fine, sia a livello nazionale sia a livello internazionale. La protezione di nuove specie è una garanzia per l’ecosistema, per i suoi equilibri e il suo futuro”.

Per agevolare la corretta applicazione della Convenzione e del regolamento UE, è stata diffusa un’informativa alle associazioni di categoria maggiormente interessate ed è stato pubblicato sul sito Internet del ministero dell’Ambiente un comunicato rivolto ai possessori e ai commercianti di esemplari di specie selvatiche animali e vegetali. Il possesso dovrà essere denunciato ai nuclei Cites dell’Arma dei Carabinieri entro novanta giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del regolamento comunitario che modificherà gli allegati del regolamento Ue n. 338/97 con il quale viene attuata la Cites nell’Unione europea.

Di particolare rilevanza la decisione di escludere dalla regolamentazione Cites alcuni prodotti finiti, come gli strumenti musicali realizzati in dalbergia, un genere di alberi. Tali prodotti non necessiteranno più, dall’entrata in vigore delle modifiche, della documentazione Cites per essere commercializzati.

Si ricorda che per le importazioni e le esportazioni di esemplari di specie Cites è necessaria una licenza rilasciata dal ministero dello Sviluppo economico. Le riesportazioni e la commercializzazione all’interno dell’Unione europea richiedono un certificato rilasciato dai nuclei Cites dei Carabinieri.

Le circa 35.000 specie animali e vegetali tutelate dalla Cites sono riportate nelle appendici della Convenzione e negli allegati del regolamento UE.

Fonte: Ministero dell’Ambiente




Consumi alimentari: Il lavoro FAO/WHO GIFT e CREA sui dati italiani

Consumi alimentariGuardare all’alimentazione in un’ottica globale: sapere chi e cosa mangia, comprendendo quali sono le diverse abitudini delle diverse popolazioni nel mondo, è fondamentale per sviluppare adeguate politiche per l’agricoltura, la nutrizione, la sicurezza d’uso e l’impatto ambientale della dieta. Proprio a tal fine, la piattaforma GIFT http://www.fao.org/gift-individual-food-consumption/en/ , messa a punto dalla FAO e da WHO (Organizzazione Mondiale della Sanità), raccoglie una banca dati globale sui consumi alimentari individuali, a cui il CREA contribuisce per l’Italia con i risultati dell’ultima Indagine Nazionale sui Consumi Alimentari INRAN-SCAI. Il 23 ottobre, presso il CREA Alimenti e Nutrizione (via Ardeatina 546, Roma), esperti FAO e ricercatori CREA Alimenti e Nutrizione si sono confrontati per inquadrare i dati italiani nel più ampio contesto globale e per definire le metodologie per armonizzarli ed utilizzarli al meglio, sia alla luce della distinzione crudo/cotto sia in considerazione della crescente attenzione alle ricadute ambientali delle nostre scelte alimentari.

I consumi italiani nel contesto globale Dalla piattaforma FAO/WHO-GIFT (dove, per ora, sono caricati Italia, Burkina Faso, Zambia, Bangladesh, Uganda, Bolivia, Lao PDR, Filippine) le differenze si focalizzano tra paesi ad elevato-medio reddito e paesi a medio-basso reddito. L’Italia, ancora fedele al modello alimentare mediterraneo (sebbene resti da migliorare la parte vegetale), consuma più frutta, verdura e ortaggi e meno cereali, rispetto agli altri Paesi, ma questo dato deve essere migliorato esprimendo i valori al cotto (cioè quando, avendo assorbito acqua con la cottura, pesano di più), per poi confrontare i risultati per gruppi di diversa età, sesso, area geografica, e variabili socio-demografiche (titolo di studio, professione, preferenze alimentari, e, in generale, stile di vita).

Crudo e cotto Conoscere i consumi espressi al crudo, come finora abbiamo fatto, è importante perché ci permette di confrontarli con le raccomandazioni, come, ad esempio, con i 400g di frutta, ortaggi, verdure al giorno. Tuttavia, per una valutazione più precisa dei nutrienti, specialmente delle vitamine, occorre anche il contenuto al cotto e questo lavoro richiede un calcolo basato su fattori di conversione crudo/cotto per capire dopo la cottura, quanto pesa l’alimento (Yield factor YF) e quanto rimane in termini di micro e macronutrienti (retention factor RF). Per valutare un piatto composto è necessario conoscere la composizione di ogni ingrediente, il metodo di cottura per poterne stimare l’impatto che va dalla variazione del peso (dovuta ad assorbimento o perdita di acqua e grassi) alla riduzione di nutrienti, vitamine e minerali. Nella realtà italiana i piatti composti forniscono circa la metà dell’assunzione giornaliera di energia.

Effetto “Greta” sulla dieta E’ possibile quantificare l’impatto ambientale (in termini di emissione dei gas serra) dei consumi alimentari. Semplicemente seguendo le raccomandazioni nutrizionali si può ottenere una riduzione del 28% di gas a effetto serra (GHG). In Italia, modellando la dieta con la riduzione del consumo di carne (-70%) e il contestuale incremento di verdura (+30%) e legumi si potrebbe ottenere un risparmio del 50% di emissioni di GHG.

Fonte: CREA




Granchio blu dell’Atlantico sulle coste abruzzesi

Granchio blu dell'atlanticoIl 25 gennaio un esemplare di granchio appartenente ad una sospetta specie aliena, è stato pescato lungo la costa prospiciente Pescara da membri della Scuola Sub Loto, una struttura pescarese dedita alla ricerca e alla protezione dell’ambiente marino delle coste dell’Abruzzo e del Molise.

L’esemplare di granchio femmina, con un carapace di 180 x 74 mm, è stato conferito ed esaminato dagli specialisti del reparto Ecosistemi Dulciacquicoli che lo hanno identificato come appartenente alla specie Callinectes sapidus. Seguendo la procedura il rinvenimento è stato segnalato all’ISPRA, l’Istituto Superiore della Protezione dell’Ambiente.

Il Callinectes sapidus (Rathbun, 1896), meglio conosciuto come Granchio blu dell’Atlantico, appartiene alla famiglia dei portunidi, detti anche granchi nuotatori. Originario delle coste dell’Atlantico Occidentale e del Messico, il Granchio blu è stato introdotto nelle acque del Mediterraneo agli inizi del secolo scorso attraverso le acque di zavorra. Allo stato attuale sono poche le informazioni a disposizione in merito alla sua distribuzione.

Dopo la prima segnalazione effettuata nel 2012, quella del 25 gennaio 2020 è la seconda segnalazione di rinvenimento di Callinectes sapidus lungo le coste abruzzesi. La presenza di specie aliene in un nuovo habitat può produrre numerosi effetti negativi come l’alterazione della biodiversità, la competizione con le specie autoctone, l’introduzione di nuove patologie, nonché effetti imprevedibili sulla pesca: comunque rappresenta un potenziale pericolo per la salute umana.

Per questi motivi è importante che eventuali rinvenimenti vengano portati all’attenzione della Guardia Costiera o di un Ente scientifico competente, al fine di attivare tempestivamente una serie di azioni finalizzate a contenerne la diffusione.

Fonte: IZS Abruzzo e Molise




Il granchio blu del Mar Rosso arriva a Lampedusa

Portunus segnisAllerta per l’arrivo di una nuova specie aliena nelle acque dell’isola siciliana. Si tratta del granchio blu del Mar Rosso – nome scientifico Portunus segnis – rinvenuto recentemente nell’Area Marina Protetta delle Isole Pelagie e all’interno del porto di Lampedusa. Entrato nel Mediterraneo attraverso il Canale di Suez, il granchio blu del Mar Rosso è una specie altamente invasiva, capace di sopportare elevate escursioni termiche e caratterizzata da un altissimo potenziale riproduttivo. Un granchio molto aggressivo ed un vorace predatore di pesci, molluschi e crostacei. Può raggiungere grandi dimensioni e colonizzare i mari sino a 60 metri di profondità.

Una specie da tenere sott’occhio: recentemente è esploso demograficamente nel sud della Tunisia, con ingenti impatti sulle risorse ittiche e sulle attività di pesca locali. Unico aspetto positivo è quello alimentare: la specie ha carni molto apprezzate e costituisce una nuova risorsa di elevato valore commerciale.

La presenza del granchio è stata accertata dal personale dell’Area Marina Protetta Isole Pelagie, in collaborazione con alcuni pescatori di Lampedusa. Ispra ha ricevuto le immagini dei granchi blu e ha validato l’identificazione. Questa specie aliena era stata già segnalata in Sicilia e a Malta, ma mai prima d’ora nelle isole Pelagie.

Oltre alla segnalazione effettuata dall’Area Marina Protetta, nuove osservazioni sono state realizzate da subacquei – intervistati nell’ambito del progetto europeo Interreg Italia-Malta HARMONY – e da Legambiente. Osservazioni e fotografie sono state anche condivise tramite il gruppo Facebook Oddfish e confermano le isole Pelagie come uno dei più importanti avamposti per il monitoraggio delle invasioni biologiche marine Mediterranee.

Ispra invita le categorie maggiormente interessate, come pescatori professionali e sportivi, subacquei, consumatori e chiunque catturi o avvisti un granchio blu a fotografare l’esemplare e segnalare l’osservazione all’indirizzo alien@isprambiente.it o tramite il gruppo Facebook ‘Oddfish’.

Fonte: ISPRA




Istituito il Centro di referenza nazionale per l’analisi e studio di correlazione tra ambiente, animale e uomo

uomo, animale, ambienteE pubblicato sull Gazzetta Ufficiale del 26 agosto 2018 il decreto del Ministero della Salute “Istituzione del Centro di referenza nazionale per l’analisi e studio di correlazione tra ambiente, animale e uomo“.

Il Ministero ha deciso di implementare le attivita’ di ricerca e di monitoraggio di determinati fenomeni di inquinamento attraverso la valutazione degli effetti sulla salute animale e sulle produzioni agrozootecniche, al fine di definire azioni di prevenzione e di elaborare strategie atte alla riduzione del rischio sanitario dovuto all’esposizione ambientale in un’ottica «One health» e ha individuato l’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno quale struttura di supporto tecnico scientifico alle attivita’ delle autorita’ sanitarie competenti, per la gestione di eventi potenzialmente emergenziali relativi all’ambiente, in considerazione anche delle attivita’ svolte nella gestione dell’emergenza della cosiddetta «Terra dei Fuochi» e dell’emergenza legata alla contaminazione da diossine.

Secondo quanto stabilito dal decreto, il centro di referenza:

  • realizza un sistema strutturato e permanente di referenti all’interno dei singoli istituti zooprofilattici sperimentali ai fini del coordinamento delle attivita’ che saranno poste in essere sul territorio nazionale;
  • fornisce assistenza tecnico-scientifica al Ministero della salute;
  • cura l’organizzazione di corsi di formazione, nell’ambito delle proprie competenze, per il personale del Servizio sanitario nazionale e per altri operatori di enti competenti;
  • promuove e svolge attivita’ di programmazione, ricerca scientifica, risk-assessment, di sorveglianza e analisi epidemiologica volte ad evidenziare le interazioni tra i contaminanti e le matrici alimentari di competenza ed a sviluppare delle strategie di intervento mirate;
  • mette in atto ogni altra utile attivita’ attinente alle proprie competenze, ivi compresa la collaborazione con altre amministrazioni, centri ed associazioni del settore.

A cura della segreteria SIMeVeP




Microplastiche: brevettato a Catania brevetto per quantificarle

Microplastiche al microscopio

Microplastiche al microscopio

Da oggi sarà possibile, per la prima volta al mondo, determinare e quantificare le microplastiche inferiori a 10 micrometri con una elevata sensibilità.

L’invenzione, già brevettata in Italia, frutto della ricerca dal titolo “Metodo per l’estrazione e la determinazione di microplastiche in campioni a matrici organiche e inorganiche”, porta la firma del Laboratorio di Igiene Ambientale e degli Alimenti dell’Università di Catania.

La ricerca – già pubblicata su riviste scientifiche internazionali come la prestigiosa “Water Research” (Elsevier) e presentata in diversi congressi internazionali – è stata condotta dal direttore del LIAA Laboratorio di Igiene Ambientale e degli Alimenti, prof.ssa Margherita Ferrante, dalla ricercatrice prof.ssa Gea Oliveri Conti e dal PhD Pietro Zuccarello.

L’originalità e l’inventività di questa metodologia – che permette la reale quantificazione delle microplastiche inferiori a 10 micron fino alle nano per quasi tutte le tipologie di plastica – è stata accettata per tutte e dieci le rivendicazioni depositate nella domanda di brevetto. Le attuali metodologie pubblicate in ambito internazionale, infatti, come ad esempio la tecnica µFTIR e µRAMAN mostrano numerose limitazioni nell’identificazione e determinazione delle particelle plastiche inferiori ai 10 micrometri. Prima di questa invenzione tutte le metodologie di estrazione di microplastiche ad oggi internazionalmente accettate prevedono un processo di filtrazione per la raccolta delle microparticelle e microfibre plastiche. Un processo selettivo dimensionale, quello adottato fino ad oggi, che però non consentiva di riconoscere le particelle con diametro inferiore al poro del filtro utilizzato con conseguente perdita irrimediabile delle micro- e nanoplastiche.
L’Università di Catania, inoltre, nel marzo scorso ha depositato la domanda di estensione del Brevetto Internazionale (PCT/IB2019/051838) al fine di proteggere l’invenzione in moltissimi paesi tra cui tutti quelli comunitari, ma anche Russia, Cina, Giappone, Korea, Taiwan, Canada, Usa e Australia.

Il brevetto – che ha reso il LIAA l’unico laboratorio in grado di determinare le microplastiche con dimensione inferiore ai 10 µm a livello mondiale – ha permesso all’ateneo di Catania di siglare diverse collaborazioni scientifiche con vari atenei del territorio nazionale, ma anche con centri di ricerca in Tunisia, Austria e a breve con la Columbia University negli Stati Uniti.
Il LIAA, inoltre, sta sviluppando applicazioni del brevetto in campo ambientale, alimentare e medico al fine di meglio comprendere le interazioni ad oggi sconosciute tra microplastica e cellule nell’ottica di chiarire la relazione tra microplastiche ambientali e salute.

Exposure to microplastics (<10 μm) associated to plastic bottles mineral water consumption: The first quantitative study
Reply for comment on “Exposure to microplastics (<10 μm) associated to plastic bottles mineral water consumption: The first quantitative study by Zuccarello et al. [Water Research 157 (2019) 365–371]”

Fonte: Università degli Studi di Catania




Rifiuti in mare: il 75% è plastica. Nelle reti dei pescatori più scarti che pesci

plastica mareCon i rifiuti abbiamo “toccato il fondo”: più del 70% di quelli marini è depositata nei fondali italiani e il 77% è plastica.

Il mare di Sicilia, con 786 oggetti rivenuti e un peso complessivo superiore ai 670 kg, conferma la sua collocazione tra le discariche sottomarine più grandi del Paese, seguita dalla Sardegna con 403 oggetti nella totalità delle 99 cale e un peso totale di 86,55kg. La situazione varia da area ad area e in base alle zone monitorate: nei fondali rocciosi, dai 20 ai 500 m di profondità, le concentrazioni più alte di rifiuti sul fondo si rilevano nel Mar Ligure (1500 oggetti per ogni ettaro), nel golfo di Napoli (1200 oggetti per ogni ettaro) e lungo le coste siciliane (900 oggetti per ogni ettaro).

Questi i principali risultati delle attività condotte dall’Ispra e dal Sistema per la protezione dell’Ambiente SNPA, per monitorare la qualità dei nostri mari. La situazione che ne emerge appare molto grave e rappresenta la prima base conoscitiva di riferimento sulla quantità dei rifiuti marini nei diversi comparti (fondali marini, colonna d’acqua e spiagge).

Complessivamente ogni anno, circa 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare, di cui il 7% nelle acque del Mediterraneo.

Ma come arrivano in mare? Sicuramente attraverso i fiumi che costituiscono la principale via di trasporto dei rifiuti marini. I risultati emersi dal monitoraggio condotto dall’ISPRA, nell’ambito del progetto europeo MEDSEALITTER negli anni 2017 e 2018, mostrano i trend e i range di densità dei macrorifuti galleggianti in alto mare, vicino la fascia costiera, e vicino la foce dei fiumi. I dati parlano chiaro: la foce dei fiumi presenta il maggior quantitativo di rifiuti galleggianti (più di 1000 oggetti per km2) e vicino la costa tra i 10 e i 600 oggetti per km2. Più ci si allontana in mare aperto e più il numero di oggetti scende a 1 ‐ 10 per km2.

Allarmante la situazione dei fondali italiani: nella regione Adriatico‐Ionica la media degli scarti rinvenuti supera i 300 rifiuti ogni km2, dei quali l’’86% è plastica, in particolare usa e getta (il 77%). Imballaggi industriali e alimentari, borse/shopper e bottiglie di plastica, comprese le retine per la mitilicoltura (queste ultime particolarmente abbondanti lungo le coste italiane), sono i rifiuti più comuni.

L’area costiera a sud del delta del Po (983 rifiuti al km2), quella settentrionale (910 rifiuti al km2) e meridionale (829 rifiuti al km2) di Corfù e le acque di fronte a Dubrovnik (559 rifiuti al km2) sono le località adriatiche –ioniche con la maggiore densità di rifiuti in fondo al mare. Fondamentale la collaborazione dei pescatori nel monitoraggio dei fondali marini condotta in Adriatico dal 2013 al 2019: rinvenute nelle reti di 224 pescherecci coinvolti in due progetti di ricerca europei DEFISHGEAR e MLREPAIR, 194 tonnellate i rifiuti “incastrati”. Solo nella marineria di Chioggia raccolte 45 tonnellate.

E la situazione non migliora salendo in superfice: le quantità di macroplastiche rinvenute raggiungono una densità media che oscilla all’incirca tra i 2 e i 5 oggetti flottanti per km2, mentre la densità media delle microplastiche, ossia particelle più piccole di 5 mm, è compresa tra 93 mila e le 204 mila microparticelle per km2 . Non va meglio neanche lungo le spiagge: i litorali nazionali “ospitano” dai 500 ai 1000 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia.

Quello dei rifiuti marini è un problema che supera i confini nazionali. Lo dimostrano i risultati ottenuti dall’analisi dei rifiuti ingeriti dalla tartaruga marina Caretta caretta dal progetto europeo INDICIT condotto dal 2017 al 2019. Su 1406 tartarughe analizzate (458 vive e 948 morte), il 63% presentava plastica ingerita e quasi il 58% degli esemplari vivi di Caretta caretta aveva plastica nelle feci. I valori riscontrati in Italia non si discostano da quelli rilevati nell’ Atlantico (70.91%) e nel Mediterraneo (61.95%).

Fonte: ISPRA




Aggiornato l’elenco delle specie esotiche invasive di rilevanza unionale, cosa fare in caso di possesso

Plotosus lineatusE’ pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 26 luglio 2019 il Regolamento di Esecuzione (UE) 2019/1262 che modifica il regolamento di esecuzione (UE) 2016/1141 per aggiornare l’elenco delle specie esotiche invasive di rilevanza unionale.

Si tratta del secondo aggiornamento intervenuto dall’approvazione della prima lista unionale.

In base a una specifica valutazione del rischio condotta a livello europeo, nel nuovo elenco sono state inserite 17 nuoce specie, 13 vegetali e 4 animali:

  • Acacia saligna (Labill.) H.L.Wendl. (Acacia cyanophylla Lindl.),
  • Acridotheres tristis Linnaeus, 1766,
  • Ailanthus altissima (Mill.) Swingle,
  • Andropogon virginicus L.,
  • Arthurdendyus triangulatus (Dendy, 1894) Jones & Gerard (1999),
  • Cardiospermum grandiflorum Sw.,
  • Cortaderia jubata (Lemoine ex Carrière) Stapf,
  • Ehrharta calycina Sm.,
  • Gymnocoronis spilanthoides (D.Don ex Hook. & Arn.) DC.,
  • Humulus scandens (Lour.) Merr.,
  • Lepomis gibbosus Linnaeus, 1758,
  • Lespedeza cuneata (Dum.Cours.) G.Don (Lespedeza juncea var. sericea (Thunb.) Lace & Hauech),
  • Lygodium japonicum (Thunb.),
  • Plotosus lineatus (Thunberg, 1787),
  • Prosopis juliflora (Sw.) DC.,
  • Salvinia molesta D.S. Mitch. (Salvinia adnata Desv.),
  • Triadica sebifera (L.) Small (Sapium sebiferum (L.) Roxb.)

che si aggiungono alle 49 specie già inserite nel primo elenco unionale e nel primo aggiornamento

Inoltre  sono stati riveduti  i nomi scientifici di alcune specie e alcuni codici NC figuranti nell’elenco precedente dell’Unione, pertanto il regolamento di esecuzione (UE) 2016/1141 viene modificato dal presente Regolamento che entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione in GU. A quel punto, anche per le nuove specie inserite in elenco scatterà il divieto di utilizzo, vendita e movimentazione.

L’Italia ha stabilito, con il Decreto Legislativo n. 230 del 15 dicembre 2017 “Adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 1143/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014, recante disposizioni volte a prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive”, che chi detiene uno o più esemplari di specie esotiche inclusi negli elenchi delle specie esotiche invasive di rilevanza unionale o nazionale è tenuto a farne denuncia al Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare entro i termini previsti dall’articolo 26 del decreto.

I possessori di animali da compagnia appartenenti a specie esotiche invasive possono continuare a custodirli a condizione di:

  • essere in possesso dell’animale prima dell’entrata in vigore del Decreto 230/2017, o nel caso di aggiornamento dell’Elenco di specie esotiche invasive prima dell’entrata in vigore dello stesso;
  • denunciare il possesso dell’animale al Ministero dell’Ambiente entro il 31 agosto 2019 (d.l. 91/2018 articolo 3)
  • adottare opportune misure per impedire la fuga dell’animale;
  • adottare opportune misure per impedire la riproduzione dell’animale

C’è tempo fino al 31 agosto 2019 per presentare la denuncia di possesso, secondo le indicazioni dello stesso Ministero

A cura della segreteria SIMeVeP




Il gambero rosso della Louisiana è arrivato in Bassa Atesina

I tecnici dell’Ufficio caccia e pesca, in collaborazione con i Forestali dell’Ispettorato Bolzano 1 e con gli appassionati del gruppo di lavoro Südtiroler Bachkrebs, hanno verificato la presenza del gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii) in alcune fosse della Bassa Atesina.

Si tratta di una specie altamente invasiva, per dimensioni e capacità riproduttive molto più forte delle specie di gamberi d’acqua dolce autoctone. Il gambero rosso genera danni ai corsi d’acqua, perché si inserisce nella catena alimentare al livello degli anfibi nostrani, tritoni, rane, salamandre eccetera, prendendone il posto e distruggendo in tal modo gli equilibri ecologici degli ecosistemi acquatici. Scava gallerie profonde che alla lunga provocano l’erosione delle sponde e un’alterazione consistente della flora e della microfauna ripariale. Inoltre, può trasmettere malattie con effetti catastrofici per il gambero nostrano e per altre specie autoctone, come la peste del gambero.

Come abbia fatto ad arrivare in Alto Adige è impossibile da stabilire, “ma in ogni caso è accaduto a causa dell’uomo“, affermano i tecnici dell’Ufficio caccia e pesca: la globalizzazione dei trasporti anche di organismi viventi ha portato la specie in Europa, dove è particolarmente diffusa nella Penisola Iberica, nella Pianura Padana ed in misura minore in altre regioni europee.

In passato è accaduto che i tecnici dell’Ufficio, controllando l’acqua che conteneva pesci destinati ad essere seminati in un corso d’acqua altoatesino vi avessero trovato, anche alcuni gamberi della Louisiana insieme ad altri pesci esotici: non sempre – affermano i tecnici – i pescicoltori fanno attenzione come dovrebbero alla purezza del materiale ittico che vendono, ma in quel caso un ordinario controllo ha prevenuto l’improvvida liberazione dei gamberi rossi. A seguito di quel fatto l’Ufficio ha vietato qualsiasi semina di specie ciprinicole (carpe, tinche, lucci) provenienti da fuori provincia.

Molto maggiore è invece il rischio che il gambero si diffonda, a seguito dello svuotamento di acquari privati, in un corso d’acqua. Molte persone infatti, quando vogliono disfarsi di animali che hanno detenuto in casa, per non farli morire decidono di liberarli in natura.

Si tratta però – avvisano i tecnici dell’Ufficio – di un’azione che può portare a conseguenze insospettatamente devastanti per gli ecosistemi e per questo è vietata dalla legge. Il principio sancito dalla direttiva Habitat, è che ciascuno deve preoccuparsi di conservare le specie, animali e vegetali, autoctone del territorio in cui vive, cioè quelle presenti da diverse centinaia di anni. È evidente quindi che qualsiasi immissione di specie straniere “ingombranti”, in quanto più vitali e potenti di quelle locali collocate al medesimo livello della catena alimentare, può provocare gravi danni alla conservazione delle specie locali e quindi causarne, in casi estremi, l’estinzione.

Non bisogna quindi – ammonisce l’ Ufficio Caccia e pesca – mai liberare animali e nemmeno piante di provenienza esotica in natura. Se appartengono alla lista di specie invasive di cui al Decreto Legislativo 230/2017 si rischiano sanzioni salate; per alcune specie, come la tartaruga dalle orecchie gialle (Trachemys scripta), è sanzionata anche la detenzione non autorizzata”.

Fonte: Provincia autonoma di Bolzano