149 le specie aliene più dannose presenti in Europa, molte in Italia

Un recente studio sulle specie aliene invasive in Europa identifica ben 149 specie aliene ad elevato impatto ambientale e socioeconomico.
L’elenco dei “peggiori invasori” segnala 54 piante, 49 invertebrati, 40 vertebrati e 6 funghi, tra cui alcune specie molto diffuse nel nostro Paese: dal gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii), all’acaro (Varroa destructor) responsabile di danni gravissimi alle api, dal giacinto d’acqua (Eichhorniacrassipes) al kudzu (Pueraria lobata) che minaccia il paesaggio del Lago Maggiore, fino a diversi tipi di fiore molto diffusi in giardini e balconi come la Lantana camarao ai ratti (Rattus norvegicus) e ai topi muschiati (Ondrata zibethicus).
Nell’elenco, elaborato con un metodo scientifico di misurazione dell’impatto generato dalla specie invasiva e dei costi economici e sociali che ne conseguono, compaiono 64 specie che non apparivano invece in altri elenchi di specie aliene invasive particolarmente dannose (DAISIE – 100, ISSG – 100, EU 2017), tra le quali , ad esempio la Varroa destructor (rank 8 sulla lista dello studio), un ectoparassita
asiatico delle api responsabile del declino globale dell’impollinatore; l’Hymenoscyphus pseudoalbidus
(rank 18), il fungo respo nsabile della morte degli aceri e dei cambiamenti nella composizione forestale con relativa perdita di diversità; il Carassius auratus (rank 20), il pesce rosso cinese, che causa il declino
degli anfibi autoctoni e l’oomicete Phytophthora plurivora (rank 26), responsabile del decadimento di numerose specie arboree tra cui faggio e quercia.
Gli studi sugli impatti delle specie aliene invasive e le liste di specie a maggiore impatto sono strumenti molto utili per aumentare la consapevolezza dei rischi e degli impatti delle invasioni biologiche nell’opinione pubblica e anche per definire le priorità di azione, ma in molti casi le liste elaborate in passato erano realizzate sulla base di opinioni di esperti e avevano il limite di non essere confrontabili tra loro”, ha dichiarato Piero Genovesi, ricercatore Ispra e Project manager del Life ASAP, il progettoper la riduzione del tasso di introduzione di specie aliene invasive e il contenimento degli impatti sul territorio italiano: “Questa nuova lista è basata su un metodo rigoroso di calcolo degli impatti replicabile e valido per tutte le specie e tutti gli ambienti,e che considera non solo gli impatti sulla biodiversità ma anche le conseguenze socio economiche delle invasioni biologiche“.
La lista pubblicata in questo studio rappresenta un utile contributo sia per accrescere la conoscenza delle più pericolose specie aliene in Europa sia per permettere lo sviluppo di più efficaci politiche di risposta”.
L’ indagine sulle “peggiori specie aliene in Europa”, realizzata da un gruppo di studiosi provenienti da diverse università internazionali, è realizzata attraverso una valutazione semi quantitativa tra
taxa e habitat, con una procedura trasparente e riproducibile, fondamentale per garantire l’obiettività del la lista risultante. Inoltre, l’ampia base di specie analizzate (486) fornisce una base particolarmente ampia e robusta di indagine .
Altra novità importante di questo studio risiede nel valutare non solo gli effetti delle invasioni biologiche sulla biodiversità, come ad esempio una diminuzione delle specie autoctone o le alterazioni degli habitat cui possono seguire modifiche importanti per l’ecosistema, ma anche le conseguenze sulle attività  dell’uomo (sulla produzione agricola, la silvicoltura e l’acquacoltura o la pesca), nonché le minacce al benessere umano sul piano sanitario e infrastrutturale.
Va comunque ricordato che l’impatto delle specie aliene può cambiare nel tempo ed è quindi essenziale monitorare attentamente il fenomeno, aggiornando periodicamente la lista.
Per lo studio e la lista completa: Nentwig, W., Bacher, S., Kumschick, S. et al. Biological
Invasions (2018) 20: 1611.

Fonte: Life Asap




Il cibo del futuro nascerà grazie agli ecosistemi batterici

Il cibo del futuro? Il segreto sta nei batteri. È la promessa di CIRCLES, un nuovo, imponente progetto di ricerca europeo che punta a rivoluzionare la produzione alimentare migliorandone sicurezza, produttività, qualità e sostenibilità. Come? Sfruttando le enormi potenzialità di attori molto, molto piccoli: le comunità di microrganismi – note come microbiomi – che colonizzano ogni nicchia ecologica sul pianeta, inclusi tutti gli esseri viventi.

Premiato dalla Commissione Europa con un ampio finanziamento – circa 10 milioni di euro – nell’ambito del programma Horizon 2020, CIRCLES è coordinato dall’Università di Bologna. L’Ateneo bolognese – che proprio in questi giorni ospita il kick-off meeting di avvio del progetto – sarà alla guida di un vasto consorzio di 30 partner provenienti da 14 paesi europei. Parteciperanno sia istituti di ricerca leader nel campo della microbiologia, della genetica e delle scienze ambientali che aziende di punta nel settore della produzione alimentare come Aia, Orogel, Eurovix, DSM Nutritional Products e Bolton Alimentari, oltre ad esperti di business planning e di comunicazione.

Uno sforzo collettivo che ha come obiettivo la creazione di Smart Microbiome Food Products: nuovi alimenti a base di ortaggi, carne e pesce nati da sistemi alimentari in cui i microbiomi di animali e piante saranno ottimizzati per realizzare in modo sostenibile prodotti di qualità superiore.

IL SEGRETO NEL MICROBIOMA
La produzione alimentare a livello globale sta mettendo a dura prova la conservazione e la disponibilità di risorse naturali. E i problemi sono destinati a crescere. Si stima che nel 2050 la popolazione mondiale arriverà a contare circa 9,7 miliardi di persone: produrre cibo sufficiente per tutti sarà una delle sfide più difficili per il genere umano. Per superarla, i sistemi di produzione alimentare dovranno diventare estremamente efficienti: filiere in grado di produrre cibo sicuro e nutriente, riducendo al tempo stesso in modo deciso l’impatto ambientale.

Una delle strade più promettenti per arrivare a questo risultato sta nel potenziale metabolico dei microbiomi, le vastissime comunità di microorganismi – batteri, virus, funghi – che colonizzano ambienti, piante e animali. “Viviamo in un mondo popolato, in termini numerici, principalmente da batteri”, spiega Marco Candela, docente dell’Università di Bologna che coordina il progetto. “Per questo è importante imparare a conoscerli e a convivere con loro, in modo da poter anche usare le loro abilità per migliorare la salute globale e promuovere un’economia sostenibile”.

Studi approfonditi su questi microorganismi hanno mostrato che la loro presenza è fondamentale per garantire lo sviluppo e la salute di tutti gli esseri viventi. “Oggi si guarda in modo integrato alla relazione tra un ambiente o un organismo e il microbioma che lo abita”, continua Marco Candela. “Per questo, i microbiomi rappresentano un potenziale probiotico per tutti gli attori principali nella filiera di produzione dell’alimento, from farm to fork: suolo, acqua, mangimi, piante e animali, prodotto finale, ambiente, prodotti di scarto, lavoratori e, infine, consumatori”.

CIRCLES (Controlling mIcRobiomes CircuLations for bEtter food Systems) parte proprio da qui: esplorare, traslare e diffondere applicazioni innovative basate sui microbiomi per migliorare la performance e la sostenibilità dei sistemi alimentari.

IL VIAGGIO DI CIRCLES
Nel corso del progetto, che durerà cinque anni, saranno studiate e migliorate filiere alimentari già esistenti, grazie alla collaborazione delle aziende partecipanti. Ci saranno dei veri e propri “laboratori sul campo” che permetteranno di sperimentare soluzioni innovative su sei sistemi alimentari strategici per il mercato europeo: gli ortaggi (pomodori e spinaci), l’allevamento intensivo (polli e suini), l’acquacoltura e la pesca (l’orata nel Mediterraneo e il salmone nell’Atlantico).

I ricercatori prepareranno strumenti specifici in grado di modulare e ottimizzare la composizione dei microbiomi (Smart Microbiome Modulators) da utilizzare in modo integrato e circolare. In questo modo sarà possibile ottimizzare tutta la filiera produttiva, migliorando qualità, produttività, sicurezza e sostenibilità dell’intero processo produttivo.

CIRCLES, insomma, arriverà a definire un nuovo paradigma di produzione sostenibile, basato sullo sfruttamento dei microbiomi: un vero e proprio Smart Microbiome Food System che permetterà di produrre alimenti di qualità superiore (Smart Microbiome Food Products) a base di ortaggi, carne e pesce. “Tutti i cibi saranno certificati, grazie anche ad un innovativo metodo di etichettatura che garantirà la trasparenza sulla qualità del processo produttivo”, dice il professor Candela. “Questi Smart Microbiome Food Systems saranno il risultato finale che CIRCLES offrirà all’Europa di domani. Una sfida importante che permetterà di fare un passo in avanti verso un’economia alimentare più sicura e sostenibile”.

Fonte: Università di Bologna




Vespa bicolor, un nuovo imenottero introdotto in Ue

Vespa bicolorIl sito del progetto www.vespavelutina.eu segnala la presenza ormai stabile in Ue di una nuova specie di calabrone,  Vespa bicolor, una specie aliena introdotta accidentalmente nella provincia di Malaga, nel sud della Spagna, normalmente diffusa nelsud-est asiatico.

Secondo lo studio citato “Una nueva introducción accidental en el género Vespa Linnaeus, 1758:
Vespa bicolor Fabricius, 1787 en la provincia de Málaga (España)” Vespa bicolor
è stata osservata per la prima volta negli ultimi mesi del 2013 a Coín (Málaga). Nel 2017 il calabrone è stati più volte avvistato a Alhaurín el Grande, nella stessa provincia. La presenza di Vespa bicolor sul territorio di Málaga è stata costante e confermata da nuovi avvistamenti a Coín nel 2017 e nel 2018 e in due punti distanti del vicino comune di Mijas nel 2018 e nel 2019. La conferma che il calabrone si stia riproducendo a Málaga arriva da due immagini del 2019, che mostrano un nido attivo e esemplari recenti.

vespavelutina.eu sottolinea l’importanza di monitorare l’ambiente, in modo da individuare precocemente eventuali specie invasive e poter intervenire prima che queste si diffondano in modo incontrollabile nei territori circostanti.

Date le scarse informazioni disponibili, conclude la ricerca, non è possibile stimare le implicazioni di questa nuova introduzione; molto dipenderà dal tipo di interazione con le specie autoctone: se si integrerà con un impatto minimo, o, al contrario, agirà come specie invasiva.

A cura della segreteria SIMeVeP




Food Sustainability Index, la Francia Paese più virtuoso

albero, proteggereLa Francia si riconferma il Paese più virtuoso al mondo. A decretarlo è la terza edizione del Food Sustainability Index (FSI) l’indice che analizza le performance di 67 Paesi in base alla sostenibilità del loro sistema alimentare e al reddito. I Paesi presi in esame dall’Index rappresentano oltre il 90% del PIL globale e i 4/5 della popolazione mondiale. Il Food Sustainability Index è stato sviluppato dal Barilla Center for Food & Nutrition (BCFN) in collaborazione con The Economist Intelligence Unit. L’edizione 2018 si concentra principalmente sulle best practices nel campo della sostenibilità alimentare che contribuiscono a raggiungere i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile ed è stato presentato in occasione del nono Forum della Fondazione BCFN su Alimentazione e Nutrizione che si sta tenendo a Milano.

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La radio-telemetria per individuare i nidi delle vespe velutine

L’individuazione e la  distruzione dei nidi delle vespe velutine sono importantissimi per frenare la diffusione di questo pericoloso insetto alieno, finora però l’utilizzo di droni e radar non aveva dato esiti soddisfacenti poichè i nidi si nascondono su alberi alti e frondosi oppure su cornicioni posizionati anche a 20 metri di altezza, e sono quindi estremamente difficili da vedere.

Recentemente un team di scienziati franco-inglese ha testato la radio telemetria e la tecnica si è rivelata molto promettente: tramite l’istallazione di un trasponder sul corpo dell’insetto, l’animale diventa tracciabile.

I risultati, pubblicati su Communications biology, una rivista di Nature, riaccendono le speranze di poter trovare i nidi in maniera facile ed efficiente.

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PCB e orche

OrcaIn un recente articolo pubblicato sulla prestigiosa Rivista Science dal Dr Jean Pierre Desforges e Collaboratori è stato predetto un drammatico declino numerico, superiore al 50%, che di qui alla fine di questo secolo interesserà la popolazione mondiale di orche (Orcinus orca).

La causa di questo impressionante calo demografico è stata ascritta dagli Autori del succitato articolo alle elevate concentrazioni di policlorobifenili (PCB) che le orche, in ragione del comprovato ruolo di “predatori apicali” che le colloca ai vertici delle catene trofiche marine, riescono ad accumulare nei propri tessuti corporei, specialmente a livello del “blubber”, vale a dire del grasso sottocutaneo.

Nonostante i 40 anni oramai trascorsi dalla messa al bando da parte degli USA dei PCB, contaminanti ambientali persistenti chimicamente affiliati alle famigerate diossine ed all’altrettanto famigerato DDT, pure messo al bando nel 1970, i livelli effettivi e/o presunti di tali sostanze nel blubber di esemplari appartenenti a più popolazioni di orche popolanti i diversi mari ed oceani del Pianeta verrebbero considerati da Desforges e Collaboratori pienamente capaci di inficiare lo stato di salute e di conservazione della specie, provocandone appunto nel giro dei prossimi 80 anni la drammatica contrazione numerica anzidetta.

All’articolo in parola ha fatto seguito la pubblicazione, ancora su Science, di una “Letter to the Editor” congiuntamente firmata dal Professor Giovanni Di Guardo, Docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Universita’ di Teramo, nonché dal Professor Antonio Fernandez, Docente di Anatomia Patologica Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Universidad de Las Palmas de Gran Canaria.

I due Studiosi, pur concordando sull’opportunità dell’ “allerta” generato dal contributo di Desforges e Collaboratori, osservano tuttavia che, in virtù del cospicuo numero di contaminanti chimici che le orche – al pari di tutti gli altri Cetacei Odontoceti -sarebbero in grado sia di accumulare sia di “biomagnificare” contestualmente in ambito tissutale, risulterebbe molto difficile se non addirittura impossibile “dissezionare” l’azione patogena esplicata dai soli PCB rispetto a quella svolta dalle altre sostanze presenti nelle succitate “miscele”. Inoltre, i potenti effetti immunotossici, unitamente a quelli esercitati sul sistema endocrino e sulla biologia riproduttiva dell’ospite da parte dei PCB, ricalcano in larga misura quelli esplicati da altri contaminanti ambientali, organoclorurati e non-organoclorurati, cosicché risulterebbe pressoché impossibile definire con precisione “chi fa cosa”.

La tossicità dei PCB sulle orche dovrebbe esser parimenti messa in relazione, commentano Di Guardo e Fernandez, sia con i livelli di espressione dei recettori per tali composti (AHR) presenti nei tessuti di tale specie cetologica sia con le capacità metaboliche della stessa nei confronti dei PCB, senza peraltro dimenticare l’importante ruolo svolto dalle micro-nanoplastiche quali “attrattori, concentratori e trasportatori” di molteplici contaminanti ambientali persistenti, che a seguito di catastrofici eventi quali gli “tsunami” potrebbero esser così veicolati a grandi distanze.

Pertanto, concludono Di Guardo e Fernandez, sono necessari ulteriori, approfonditi studi finalizzati a definire il reale impatto dei PCB sulle popolazioni di orche a livello globale.

Fonte: Comunicato stampa




Giornata mondiale della biodiversità

Per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla perdita di biodiversità, il 22 maggio di ogni anno le Nazioni Unite celebrano la Giornata Mondiale della Biodiversità, per ricordare l’entrata in vigore della Convenzione per la Diversità Biologica (CDB), avvenuta il 22 maggio 1993. Il venticinquesimo anniversario è un’occasione per celebrare i risultati della Convenzione, comunicare al mondo l’importanza della biodiversità e stimolare e promuovere ulteriori sforzi finalizzati al raggiungimento del Piano Strategico per la Biodiversità 2011-2020 e gli impegni connessi, compresi gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, approvati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nell’ambito di Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Cambiamento climatico, specie aliene invasive e distruzione di habitat rappresentano le principali minacce alla perdita di natura e biodiversità.

L’attuale ritmo di estinzione delle specie animali e vegetali è considerato da 100 a 1.000 volte superiore a quello registrato in epoca pre-umana. Gli scienziati ritengono che siamo di fronte alla sesta estinzione di massa, questa volta per cause antropiche, persino superiore a quella che ha segnato la fine dei dinosauri, 65 milioni di anni fa. Dal 1500 a oggi, le specie estinte documentate sono 765, di cui 79 mammiferi, 145 uccelli, 36 anfibi. Attualmente le estinzioni procedono al ritmo di un numero compreso tra 10 e 690 specie per settimana.

Di tutte le estinzioni, il 75% è stato causato da un eccessivo sfruttamento delle specie (caccia, pesca, commercio illegale di piante e animali), dalla distruzione degli habitat per infrastrutture o per avere nuovi campi per l’agricoltura, dall’agricoltura intensiva. Altre cause sono l’inquinamento e l’introduzione di specie aliene invasive. Gli scienziati dicono che il cambiamento climatico aumenterà i suoi effetti negativi sulla biodiversità ma già adesso si contano estinzioni legate al caos climatico, soprattutto tra gli anfibi.

Non è solo l’estinzione (ossia la scomparsa dell’ultimo individuo di un gruppo che per definizione è raro) delle specie che preoccupa la comunità scientifica, ma la diminuzione del numero totale di animali. Negli ultimi 25 anni le popolazioni degli animali selvatici si sono dimezzate. Secondo la “lista rossa” dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), sono minacciati di estinzione 1.199 Mammiferi (il 26% delle specie descritte), 1957 Anfibi (41%), 1.373 Uccelli (13%) e 993 Insetti (0,5%).

Anche la ricchezza della biodiversità italiana è seriamente minacciata e rischia di essere irrimediabilmente perduta, a causa della distruzione degli habitat e della loro frammentazione e degrado, l’invasione di specie aliene invasive, le attività agricole, gli incendi, il bracconaggio, i cambiamenti climatici. Dai dati dell’Annuario dei dati ambientali ISPRA emerge che – per quanto riguarda il grado di minaccia delle 672 specie di Vertebrati valutate nella recente “Lista Rossa IUCN dei Vertebrati Italiani” (576 terrestri e 96 marine) – 6 sono estinte nel territorio nazionale in tempi recenti: due pesci, lo storione comune e quello ladano; tre uccelli: la gru, la quaglia tridattila, il gobbo rugginoso; e un mammifero, il pipistrello rinolofo di Blasius.

Le specie minacciate di estinzione sono 161 (138 terrestri e 23 marine), pari al 28% delle specie valutate. Considerando che per il 12% delle specie i dati disponibili non sono sufficienti a valutare il rischio di estinzione e assumendo che il 28% di queste sia minacciato, si stima che complessivamente circa il 31% dei Vertebrati italiani sia minacciato. Il 50% circa delle specie di Vertebrati italiani non è a rischio di estinzione imminente.

L’analisi dei principali settori produttivi indica che i fattori legati all’agricoltura incidono per il 70 percento negli scenari di perdita di biodiversità terrestre. Affrontare le tendenze e gli scenari nei sistemi alimentari globali è quindi cruciale nel determinare se i piani strategici per la biodiversità 2011-2020 e post 2020 potranno avere successo. Le soluzioni per raggiungere sistemi agro-alimentari sostenibili includono aumenti ‘sostenibili’ di produttività, attraverso il ‘restauro’ dei servizi ecosistemici nelle aree agricole, la riduzione degli sprechi e delle perdite alimentari e il cambiamento dei nostri modelli di acquisto e consumo di cibo, fibre, cosmetici e altri prodotti non alimentari di origine agricola.

Comunicato stampa ISPRA integrale

Infografica




FAO: le api devono essere protette per il futuro della nostra alimentazione

In occasione della prima Giornata mondiale delle api, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) ha esortato paesi e singoli individui a fare di più per proteggere le api e gli altri impollinatori per non rischiare un brusco calo della diversità alimentare.

Le api sono gravemente minacciate dagli effetti combinati del cambiamento climatico, dell’agricoltura intensiva, dei pesticidi, della perdita di biodiversità e dell’inquinamento.

In Slovenia, per la cerimonia ufficiale, il Direttore Generale della FAO, José Graziano da Silva, ha affermato che i paesi devono passare a politiche e sistemi alimentari più favorevoli agli impollinatori e più sostenibili.

Non possiamo continuare a concentrarci sull’aumento della produzione e della produttività basandoci sull’uso diffuso di pesticidi e di sostanze chimiche che minacciano le colture e gli impollinatori“, ha affermato Graziano da Silva. “Ora dobbiamo trasformare le nostre parole in azioni e intraprendere misure specifiche per tutelare le api e gli altri impollinatori. Prenderci cura della loro sopravvivenza significa tutelare la nostra stessa sopravvivenza” ha sottolineato Dejan Židan Ministro dell’Agricoltura, delle Foreste e dell’Alimentazione della Slovenia.

Oltre il 75% delle colture alimentari mondiali dipendono in una certa misura dall’impollinazione per resa e qualità. L’assenza di api e di altri impollinatori eliminerebbe la produzione di caffè, mele, mandorle, pomodori e cacao, per citare solo alcune delle colture che si basano sull’impollinazione.

Ognuno di noi ha una responsabilità individuale nei confronti della protezione delle api e dovremmo tutti fare scelte rispettose degli insetti impollinatori“, ha aggiunto Graziano da Silva. “Anche la crescita dei fiori a casa per nutrire le api contribuisce a questo sforzo“.

Impollinatori, come api, api selvatiche, uccelli, pipistrelli, farfalle e coleotteri volando, saltano e strisciano sui fiori aiutando le piante a fertilizzarsi. Il numero e la diversità degli impollinatori sono diminuiti negli ultimi decenni e le prove indicano che il declino è principalmente conseguenza delle attività umane, compreso il cambiamento climatico, che possono interrompere le stagioni di fioritura.

Le pratiche agricole sostenibili, in particolare l’agro-ecologia, possono aiutare a proteggere le api riducendo l’esposizione ai pesticidi e contribuendo a diversificare il paesaggio agricolo.

Attraverso l’agro-ecologia, la FAO cerca di ottimizzare le interazioni tra piante, animali, esseri umani e ambiente. Le innovazioni sono necessarie e devono basarsi sulla creazione di conoscenza, dove la scienza si combini con le conoscenze e le esperienze locali, come un processo sociale “, ha affermato Graziano da Silva.

Con l’Organizzazione mondiale della sanità, la FAO ha anche sviluppato il Codice di condotta internazionale sulla gestione dei pesticidi. Ciò fornisce un quadro delle migliori pratiche che possono aiutare a ridurre l’esposizione degli impollinatori ai pesticidi.

La cerimonia ufficiale per la prima Giornata mondiale delle Api si è tenuta nel villaggio sloveno di Breznica, 50 chilometri a nord-ovest della capitale, con il patrocinio del presidente sloveno Borut Pahor. Breznica è il luogo di nascita nel 1734 di Anton Janša, un apicoltore e un pioniere dell’apicoltura moderna. Il suo compleanno, il 20 maggio, è stato scelto per essere segnato ogni anno come la Giornata Mondiale delle Api

La Slovenia, con la FAO, è stata determinante nello stabilire la giornata internazionale attraverso una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvata lo scorso anno all’unanimità, con il sostegno di Apimondia, la Federazione internazionale delle associazioni di apicoltori, dell’Associazione degli apicoltori sloveni e del Ministero sloveno dell’Agricoltura, delle Foreste e dell’Alimentazione.

Fonte: FAO




Scoiattolo rosso: nessuna traccia di squirrelpox virus in Italia

scoiattolo rossoLe principali popolazioni italiane di scoiattolo grigio non invasivo di origine nordamericana non sono portatrici di squirrelpox virus, patogeno all’origine della pericolosa infezione che minaccia l’intera popolazione continentale di scoiattolo rosso.

A rivelarlo uno studio, guidato dall’Università Statale di Milano e pubblicato su Animal Conservation, nato da una vasta indagine per verificare la presenza dello squirrelpox virus nella popolazione di scoiattoli grigi nordamericani introdotti in Italia nel 1948.

Il patogeno, che non è dannoso per la specie americana, è invece letale nella maggior parte dei casi per il nativo scoiattolo rosso, già a rischio di estinzione per la dura competizione in atto con lo scoiattolo grigio per le risorse alimentari. La comparsa dell’infezione virale in Gran Bretagna e successivamente in Irlanda ha provocato in questi territori il rapido declino dello scoiattolo rosso, e una sua eventuale presenza in Italia metterebbe a rischio la sopravvivenza della specie anche in tutta l’Europa continentale.

L’indagine volta a verificare la presenza dello squirrelpox virus in Italia è stata condotta grazie al supporto delle organizzazioni National Trust, European Squirrel Initiative e Red Squirrel Trust Wales e ha fatto uso di metodiche diagnostiche all’avanguardia per l’individuazione del virus e dell’esperienza dei colleghi britannici, partner dello studio, nell’affrontare questa pericolosa infezione.

Grazie all’impegno di molti colleghi d’oltremanica, il ruolo determinante giocato dallo squirrelpox virus nel rapido declino dello scoiattolo rosso in Gran Bretagna e Irlanda era noto da tempo” – spiegano Claudia Romeo e Nicola Ferrari, ricercatori del dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università Statale di Milano. “Tuttavia, l’eventuale presenza del virus nelle popolazioni di scoiattolo grigio introdotte in Italia fino ad oggi non era mai stata indagata“.

Il risultato della ricerca è positivo per lo scoiattolo rosso. “Dimostrare l’assenza di qualcosa non è mai un’impresa semplice” – dichiara la dottoressa Romeo – “ma oggi abbiamo finalmente delle buone notizie per gli scoiattoli rossi italiani e per tutta la popolazione continentale: sembra, infatti, che siano stati risparmiati da questa minaccia aggiuntiva che uccide ogni anno centinaia di animali nelle Isole Britanniche“.

I ricercatori sottolineano, però, come questo non significhi certo che gli scoiattoli rossi in Italia siano al sicuro dallo scoiattolo grigio: le due specie competono comunque per le risorse alimentari, e la presenza del grigio porta inevitabilmente all’estinzione locale del rosso. L’assenza dello squirrelpox virus concede, però, più tempo alle attuali attività di controllo e conservazione, perché, in assenza della malattia, la sola competizione alimentare è un processo molto più lento.

Non dobbiamo comunque abbassare la guardia” – spiega infine il dottor Ferrari – “perché nuovi nuclei di scoiattolo grigio di origine non ben documentata sono stati individuati lungo la penisola, e questo non ci permette di escludere una futura comparsa del virus nel nostro paese”.

L’attività di sorveglianza per lo squirrelpox virus deve quindi continuare, in modo da proteggere lo scoiattolo rosso da questa pericolosa infezione.

Fonte: Università degli Studi di Milano




Giornata mondiale delle api: al via la condivisione di dati Ue

E’ pronto a decollare il partenariato dell’UE sulle api. Tutti i portatori di interesse coinvolti nel progetto hanno infatti messo a punto un quadro di azione che potrebbe rivoluzionare la raccolta e la condivisione di dati sulla salute delle api nell’UE.

La proposta di avviare il partenariato è l’esito più importante di un simposio organizzato nel 2017 dall’EFSA nell’ambito della Settimana delle api e dell’impollinazione del Parlamento europeo. Da allora un gruppo di portatori d’interesse ha lavorato per concordare i termini del mandato che guiderà il lavoro del partenariato.

Il gruppo, composto da rappresentanti di associazioni di apicoltori, organizzazioni ambientaliste, associazioni di agricoltori, industrie fitosanitarie e veterinarie, nonché valutatori del rischio, scienziati e veterinari, è stato coordinato dall’EFSA.

Bernhard Url, direttore esecutivo dell’EFSA, ha commentato: “Quale modo migliore per celebrare la prima Giornata mondiale internazionale delle api se non condividere l’entusiasmante notizia che il partenariato UE sulle api è diventato realtà? La salute delle api è una questione che all’EFSA sta molto a cuore. Sin dal 2015 la nostra equipe MUST-B ha lavorato per sviluppare un approccio alla valutazione dei rischi per le api che tenga conto di tutti i principali fattori di stress. Una raccolta armonizzata dei dati è assolutamente fondamentale per il successo di questo progetto“.

Obiettivo del partenariato UE sulle api è migliorare la raccolta, la gestione e la condivisione dei dati e contribuire così allo sviluppo di un approccio olistico alla valutazione della salute delle api in Europa e fuori. Inizialmente si concentrerà sui seguenti punti:

•sviluppo di un repertorio di dati sulla salute di api mellifere, bombi e api solitarie;
•individuazione di modalità per armonizzare la raccolta e la gestione dei dati;
•sviluppo di strumenti per la valutazione della salute delle api, per assistere gli apicoltori, gli agricoltori e altri soggetti.

I membri del gruppo di portatori d’interesse presenteranno il mandato del partenariato UE sulle api alla Settimana europea delle api e dell’impollinazione di quest’anno.

•Rapporto: Terms of reference for an EU Bee Partnership

Fonte: Efsa