Eutanasia in apicoltura: una questione di benessere animale

L’attenzione nei confronti del benessere animale è notevolmente cresciuta negli ultimi anni e ha trovato opportuno riconoscimento e sostegno normativo per gli animali di allevamento, d’affezione e anche per quelli impiegati a fini scientifici. In quest’ultimo caso, la direttiva 2010/63/UE, recepita in Italia dal decreto legislativo n. 26/2014, considera tra gli invertebrati solo i cefalopodi. Pertanto, il benessere delle api non è al momento normato sebbene esistano situazioni in cui sarebbero necessarie precise indicazioni, come nel caso dell’eutanasia della colonia.

Il Centro di referenza nazionale (CRN) per l’apicoltura dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) ha approfondito questa tematica relativamente alle api da miele, quando l’opzione dell’eutanasia si rende necessaria. Sulla base della letteratura scientifica, i ricercatori del CRN hanno individuato le tecniche maggiormente utilizzate a tale scopo in relazione all’efficacia e alla possibilità di ridurre al minimo le sofferenze per le api. Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Apicultural Research

L’eutanasia in apicoltura

Il Centro di referenza nazionale per l’apicoltura dell’IZSVe ha approfondito la tematica dell’eutanasia in apicoltura, una pratica a volte necessaria per prevenire la diffusione di malattie infettive o parassitarie delle api mellifere. Sulla base della letteratura scientifica, i ricercatori del CRN hanno individuato le tecniche maggiormente utilizzate a tale scopo in relazione all’efficacia e alla possibilità di ridurre al minimo le sofferenze per le api. Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Apicultural Research.

Anche in apicoltura può essere necessario ricorrere all’eutanasia, pratica autorizzata e prevista dalla normativa vigente qualora insorgano problemi per le api, per l’ambiente e/o per la salute pubblica che non si possono risolvere in altro modo. La soppressione delle api mellifere si realizza, di regola, dopo il tramonto, quando la maggior parte delle api è rientrata nell’arnia. A questo punto l’alveare viene sigillato confinandovi tutte le sue api, per evitare che possano ulteriormente fuoriuscire.

Nel caso di alcune malattie infettive o parassitarie delle api mellifere, come la peste americana o le infestazioni parassitarie esotiche (come l’infestazione da Aethina tumida), la normativa veterinaria e i piani di emergenza nazionali prevedono la soppressione immediata delle api, quando gli agenti responsabili dell’infezione/infestazione sono presenti in numero ancora limitato e localizzato. In questi casi, l’eutanasia è una riposta rapida ed efficace per tutelare la salute del patrimonio apistico di un territorio o di una nazione.

Altre volte, questa pratica è necessaria per prevenire l’introduzione e la diffusione di api di origine sconosciuta, o qualora siano segnalati alveari abbandonati, o ancora sciami in luoghi difficilmente accessibili e di difficile gestione, magari anche con rischi per la salute delle persone.

Tecniche e sostanze per la soppressione delle api mellifere

Grazie all’esperienza maturata direttamente sul campo, la pratica apistica ha raccomandato e tramandato vari metodi, chimici o fisici, di soppressione delle api mellifere, che non sono stati però adeguatamente studiati in condizioni controllate o riconosciuti ufficialmente. Nel caso di un focolaio di malattia infettiva o infestiva si applica la procedura più semplice, realizzabile in loco, di immediata efficacia e scelta tra quelle disponibili.

Criteri generali

Innanzitutto, la manipolazione delle api e la tecnica di soppressione impiegata devono essere rapide per limitarne la sofferenza: in questo modo la procedura potrà rispondere ai criteri di tutela del benessere dell’animale al momento dell’eutanasia. Anche durante la manipolazione, il disagio dell’ape deve essere ridotto al minimo. Andranno poi tenuti in considerazione i seguenti fattori:

  • la specie e il numero di esemplari presenti nell’alveare,
  • i mezzi a disposizione per contenere le api,
  • l’abilità del personale preposto,
  • le condizioni ambientali,
  • il rispetto delle norme sull’acquisizione e lo stoccaggio delle sostanze utilizzate per la soppressione,
  • la sicurezza degli apicoltori e degli operatori coinvolti,
  • lo smaltimento successivo delle api.

Principali sostanze e loro autorizzazione

Nello studio, vengono elencate le principali sostanze utilizzate per l’eutanasia delle api mellifere nel mondo. L’anidride solforosa è la sostanza maggiormente utilizzata in Italia, perché economica e di facile impiego per l’operatore: è sufficiente posizionare una pastiglia di zolfo sul fondo dell’arnia e accenderla; l’anidride solforosa prodotta dalla combustione satura l’aria dell’alveare in breve tempo provocando rapidamente la morte delle api. Quando è necessario intervenire su più alveari, l’anidride solforosa viene invece immessa da personale esperto e autorizzato tramite una bombola.

Nello studio, vengono elencate le principali sostanze utilizzate per l’eutanasia delle api mellifere nel mondo. La lista comprende:

  • l’anidride solforosa,
  • la benzina o il gasolio,
  • l’alcol isopropilico,
  • il ghiaccio secco,
  • l’acqua saponata,
  • i piretroidi di sintesi.

Queste sono le sostanze maggiormente indicate perché tengono in considerazione anche la sicurezza di chi le maneggia e l’impatto sull’ambiente. In passato, venivano utilizzati anche l’acetato di etile, il cianuro di calcio e il cianuro di sodio, successivamente abbandonati in quanto tossici.

L’anidride solforosa è la sostanza maggiormente utilizzata in Italia, perché economica e di facile impiego per l’operatore: è sufficiente posizionare una pastiglia di zolfo sul fondo dell’arnia e accenderla; l’anidride solforosa prodotta dalla combustione satura l’aria dell’alveare in breve tempo provocando rapidamente la morte delle api. Quando è necessario intervenire su più alveari, l’anidride solforosa viene invece immessa da personale esperto e autorizzato tramite una bombola. Questa tecnica è applicata solo in condizioni di campo, all’aria aperta, dove il rischio di esposizione per gli operatori è assente.

Nonostante il loro storico utilizzo in apicoltura, né in Italia né nell’Unione Europea l’impiego di principi attivi per la soppressione delle api risulta regolamentato, come invece avviene in altri stati quali Regno Unito, Stati Uniti, Canada e Australia. Anche le sostanze sopra citate non sono incluse ad oggi fra quelle autorizzate dal Regolamento (Ue) 528/2012 che disciplina l’uso di biocidi per proteggere uomo e animali da organismi nocivi.

Operatori autorizzati

In base alle diverse situazioni, l’eutanasia può essere eseguita dall’apicoltore o da ditte specializzate che forniscono servizi di disinfestazione. In entrambi i casi è prevista la supervisione dei Servizi veterinari dell’Azienda sanitaria competente per il territorio.

Consolidare ricerca e legislazione

Dallo studio IZSVe emerge che, nonostante l’eutanasia in apicoltura in molti casi sia una pratica necessaria e obbligatoria, poco è stato fatto finora per aumentare l’adeguatezza delle tecniche di eutanasia alle caratteristiche proprie della specie. Servono pertanto conoscenze maggiori e specifiche sul benessere delle api mellifere e degli insetti in generale, informazioni che possono derivare dalla ricerca e dalla pratica di laboratorio, come già avviene per il mondo dei vertebrati. Infine, servirà che le istituzioni ravvedano l’opportunità di autorizzare le sostanze già in uso, e che gli apicoltori siano più attenti e sensibili circa le corrette modalità d’impiego.




Vespa velutina segnalata tra Lombardia ed Emilia

Il gvespa velutinaiorno 23 aprile sono stati trovati due adulti di Vespa velutina in una bottiglia trappola posizionata presso un apiario a San Damiano al Colle, un comune della provincia di Pavia sulle colline dell’Oltrepò Pavese, ai confini con la provincia di Piacenza.

L’apicoltore che le ha trovate, Arcangelo Montemurro (che ringraziamo per la grande attenzione e sollecitudine), ha immediatamente segnalato il ritrovamento su un blog di apicoltura, da cui la notizia è giunta alla rete Stopvelutina, che tramite un apicoltore dell’Associazione Provinciale Apicoltori Piacentini (APAP) presente sul posto ha verificato la segnalazione.

Purtroppo questo ritrovamento apre scenari preoccupanti per la possibile diffusione di Vespa velutina in Lombardia ed Emilia, un territorio prevalentemente pianeggiante e senza barriere naturali.

E’ indispensabile che già dai prossimi giorni le associazioni locali e i singoli apicoltori della zona si impegnino ad attivare un monitoraggio con le bottiglie trappola, secondo le indicazioni fornite a questa pagina. Presso il CREA-AA di Bologna sono anche a disposizione tappi Tap Trap per gli apicoltori che effettuano il monitoraggio.

In questa stagione i nidi di Vespa velutina sono ancora piccoli e gli adulti presenti presso gli alveari, rappresentati da singole regine o dalle primissime operaie, sono in numero basso; è pertanto molto difficile vederle in volo e il monitoraggio con trappole risulta il mezzo più efficace per individuarle.

Fonte: STOP Velutina

 




IPBES: sfuggire all’era delle pandemie passando dalla reazione alla prevenzione

Un nuovo importante rapporto sulla biodiversità e pandemie, redatto da 22 maggiori esperti nel mondo, avverte che se non ci sarà un cambiamento trasformativo nell’approccio globale alla gestione delle malattie  infettive, future pandemie emergeranno più spesso, si diffonderanno più rapidamente, arrecheranno più  danni all’economia mondiale e uccideranno più persone rispetto a COVID-19.

Convocati dalla Piattaforma intergovernativa di politica scientifica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici (IPBES) per partecipare a un seminario, in modalità virtuale, sulle connessioni tra il degrado  della natura e l’aumento dei rischi pandemici, gli esperti concordano sul fatto che sfuggire all’era delle  pandemie è possibile, ma che ciò richiederà un cambiamento profondo  dell’approccio applicato: dalla reazione alla prevenzione.

COVID-19 è almeno la sesta pandemia sanitaria globale dalla Grande Pandemia Influenzale del 1918, e sebbene abbia le sue origini in patogeni trasmessi dagli animali, come tutte le pandemie, la sua comparsa è  stata interamente determinata dalle attività umane, afferma il rapporto pubblicato a ottobre 2020.

Si stima che esistano attualmente altri 1,7 milioni di virus “non ancora conosciuti” che utilizzano mammiferi e uccelli come ospiti, di questi circa 850.000 potrebbero avere la capacità di infettare le persone.

“Non c’è un grande mistero sulla causa della pandemia COVID-19 – o di qualsiasi pandemia moderna”, ha  affermato il dott. Peter Daszak, presidente di EcoHealth Alliance, chiamato a presiedere il seminario IPBES. “Le attività umane che causano il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità sono le stesse che, attraverso i loro impatti sul nostro ambiente,conducono al rischio di pandemia,. I cambiamenti nell’uso del territorio; l’espansione e l’intensificazione dell’agricoltura; e il commercio, la produzione e il consumo non  sostenibili sconvolgono la natura e aumentano il contatto tra fauna selvatica, animali allevati, agenti  patogeni e persone. Questo è il percorso verso le pandemie “.

Il Rapporto afferma che il rischio di pandemia può essere notevolmente ridotto riducendo le attività umane che causano la perdita di biodiversità, aumentando il livello di conservazione della natura mediante l’aumento delle aree protette e attraverso misure che riducono lo sfruttamento insostenibile delle regioni del pianeta ad alta biodiversità. Ciò ridurrà il contatto tra fauna selvatica, bestiame e esseri umani e aiuterà  a prevenire la diffusione di nuove malattie.

La schiacciante evidenza scientifica indica una conclusione molto positiva“, ha detto il dott. Daszak.  “Possiamo contare su una crescente capacità di prevenire le pandemie, ma il modo in cui le stiamo  affrontando in questo momento ignora in gran parte questa capacità. Il nostro approccio si è effettivamente impantanato: facciamo ancora affidamento sui tentativi di contenere e controllare le  malattie dopo che si sono manifestate, attraverso vaccini e terapie. Possiamo sfuggire all’era delle  pandemie, ma ciò richiede una maggiore attenzione alla prevenzione oltre alla reazione“. “I cambiamenti radicali che l’attività umana è stata in grado di produrre sul nostro ambiente naturale non  devono essere sempre visti come eventi negativi. Questi forniscono anche una prova convincente del  nostro potere di guidare il cambiamento necessario per ridurre il rischio di future pandemie, generando  contemporaneamente vantaggi per la conservazione e riducendo il cambiamento climatico“.

Il rapporto afferma che fare affidamento sulle risposte alle malattie dopo la loro comparsa, per esempio ricorrendo a misure di salute pubblica e a soluzioni tecnologiche e in particolare alla rapida preparazione e  alla distribuzione di nuovi vaccini e terapie, è un “percorso lento e incerto”, sottolineando come la reazione  alle pandemie comporti una diffusa sofferenza umana e decine di miliardi dollari l’anno di danni  all’economia globale.

Il rapporto offre anche una serie di opzioni politiche che aiuterebbero a ridurre e affrontare il rischio di pandemia. Tra queste:

• Istituire una commissione intergovernativa di alto livello sulla prevenzione delle pandemie allo scopo di: fornire ai decisori la migliore scienza ed evidenza sulle malattie emergenti; prevedere le aree ad alto  rischio; valutare l’impatto economico di potenziali pandemie ed evidenziare le lacune conoscitive da colmare con le attività di ricerca. Questa commissione potrebbe anche coordinare la progettazione di unquadro di monitoraggio globale.
• Impegnare i Paesi a stabilire obiettivi o traguardi reciprocamente concordati nel quadro di un accordo o  trattato internazionale, con chiari vantaggi per le persone, gli animali e l’ambiente.
• Istituzionalizzazione dell’approccio “One Health” nei governi nazionali per costruire la preparazione alle pandemie, migliorare i programmi di prevenzione delle pandemie e indagare e controllare le epidemie in tutti i settori.
• Sviluppare e incorporare (integrare) valutazioni del rischio di impatto sulla salute di malattie pandemiche ed emergenti nei principali programmi e progetti di sviluppo e di uso del suolo, riformando al contempo gli aiuti finanziari per l’uso del suolo in modo che i benefici e i rischi per la biodiversità e la salute siano riconosciuti e mirati esplicitamente.
• Garantire che il costo economico delle pandemie sia preso in considerazione nei processi di produzione e consumo, come pure nelle politiche e nei budget del governo.
• Favorire le trasformazioni necessarie per ridurre i modelli di consumo, di espansione dell’agricoltura globalizzata e di commercio che hanno portato a pandemie, anche includendo tasse o fiscalità su consumo di carne, produzione di bestiame e altre forme di attività ad alto rischio pandemico.
• Ridurre i rischi di malattie zoonotiche nel commercio internazionale di specie selvatiche attraverso: un nuovo partenariato intergovernativo “Salute e Commercio”; la riduzione o l’eliminazione delle specie ad alto rischio di malattia nel commercio della fauna selvatica; il rafforzamento dell’applicazione della legge in tutti gli aspetti del commercio illegale della fauna selvatica; e il miglioramento dell’educazione delle comunità locali nei siti hotspot delle malattie rispetto ai rischi per la salute legati al commercio di fauna selvatica.
• Valorizzare l’impegno e la conoscenza delle popolazioni indigene e delle comunità locali nei programmi di prevenzione delle pandemie, assicurando un maggior livello di sicurezza alimentare e riducendo il consumo di fauna selvatica.
• Colmare le lacune di conoscenza critica come quelle sui comportamenti a rischio, l’importanza del commercio illegale, non regolamentato, ma anche di quello legale e regolamentato della fauna selvatica in relazione al rischio di insorgenza di malattie e migliorare la comprensione della relazione tra degrado dell’ecosistema e ripristino, struttura del paesaggio e rischio di comparsa della malattia.




Di Guardo: Covid ed “Ever Given” sono frutto dell’uomo

Un microscopico organismo noto con l’acronimo SARS-CoV-2 e una gigantesca nave di nome “Ever Given” hanno tenuto sotto scacco, per oltre un anno e per una settimana rispettivamente, il mondo intero. Il primo causando una colossale pandemia con quasi 130 milioni di casi d’infezione e 3 milioni di morti, la seconda bloccando il passaggio di merci, animali e persone dall’una all’altra estremità del Canale di Suez, con gravissime ripercussioni sul traffico marittimo globale.

L’infinitamente piccolo e lo straordinariamente grande sono due facce della nostra era, definita “Antropocene”.

La lettera integrale del Prof. Giovanni Di Guardo, già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo, pubblicata da Il Fatto Quotidiano.




Giornata mondiale della salute: dal CNR un web doc per l’agroalimentare

In occasione della Giornata mondiale della salute del 7 aprile 2021, la piattaforma Cnr Outreach propone un interessante “web doc” dedicato al tema dell’agroalimentare, sul quale la comunità scientifica del Consiglio nazionale delle ricerche è fortemente impegnata.

Il web doc è uno strumento per costruire un sistema di comunicazione immediato e interattivo, che coinvolge l’utente e permette non solo l’approfondimento dei contenuti scientifici, spiegati in modo semplice e stimolante dai ricercatori del CNR, ma anche di intavolare una vera e propria “discussione” con i numerosi utenti che si possono raggiungere grazie al web.

Un modo immediato e coinvolgente per conoscere cosa sta facendo il mondo della ricerca per lo sviluppo e la valorizzazione di un sistema agroalimentare sostenibile e innovativo, in grado di affrontare le grandi sfide globali del futuro della Terra, tra cui la necessità di fornire cibo, acqua ed energia ad una popolazione in crescita, attraverso un uso sostenibile delle risorse naturali limitate. Ma anche uno strumento per rendere i cittadini consapevoli dei tanti e vari aspetti legati alla tutela del nostro pianeta.

Il documento vuole contribuire al progresso delle conoscenze scientifiche e tecnologiche utili per lo sviluppo e la valorizzazione di un sistema agroalimentare sostenibile e innovativo, in grado di affrontare le grandi sfide globali del futuro della terra, tra cui la necessità di fornire cibo, acqua ed energia ad una popolazione in crescita, attraverso un uso sostenibile delle risorse naturali limitate.

Web doc per l’agroalimentare




Biodiversità, la tutela degli insetti impollinatori al centro della nuova direttiva

impollinatoriNell’atto del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani diretto a parchi nazionali e aree marine protette si sottolinea l’urgenza dell’azione di tutela, confermata anche dalla pandemia in corso

Proteggere e ripristinare la biodiversità e assicurare il mantenimento dei servizi ecosistemici. In particolare: proseguire e migliorare le azioni a tutela degli insetti impollinatori, dai quali dipende oltre il 70% della produzione agricola per la nostra alimentazione, e di monitoraggio dell’habitat coralligeno. Questi gli obiettivi della Direttiva 2021 agli enti parco nazionali e alle aree marine protette per l’indirizzo delle attività dirette alla conservazione della biodiversità. Obiettivi la cui urgenza, sottolinea l’introduzione dell’atto firmato dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, è stata ribadita dalla pandemia in corso e che costituiscono “uno dei pilastri sui cui costruire una ripresa economica dell’Italia agganciata al Green Deal europeo”.

Dopo l’istituzione delle cosiddette “aree protette”, avvenuta con legge nel 1991, periodicamente il ministro dell’Ambiente (ora della Transizione ecologica) emana direttive di “indirizzo delle attività dirette alla conservazione della biodiversità”. Pur mantenendo uno sguardo globale sul tema della tutela della biodiversità, e quindi sulle sue minacce (consumo di suolo, urbanizzazione, emissioni inquinanti e climalteranti), la Direttiva Biodiversità 2021 si focalizza sulle azioni dirette ad affrontare il declino degli insetti impollinatori. Si tratta di un problema globale, che ha colpito molti paesi dell’Unione Europea e anche l’Italia e che è al centro anche della nuova Strategia dell’UE per la biodiversità e del relativo Piano per il ripristino della natura.

Gli Enti Parco nazionali, si legge nel documento, dovranno “assicurare la prosecuzione e il consolidamento delle azioni sugli impollinatori”. Centrale è l’attività di monitoraggio, che risulta essenziale per studiare il fenomeno del declino di questi insetti, comprenderne le cause e pianificare azioni di contrasto efficaci. Tale attività dovrà essere aggiornata alla luce dello schema di monitoraggio europeo, pubblicato lo scorso ottobre per fornire informazioni complete sulle popolazioni degli agenti impollinatori. Il monitoraggio dovrà interessare, secondo la Direttiva Biodiversità 2021 “gli apoidei selvatici e i lepidotteri diurni, nonché sirfidi e lepidotteri notturni”.

Agli Enti Parco nazionali è richiesto inoltre di individuare e proporre, entro il 15 maggio 2021, piani di azione per la conservazione della biodiversità da sviluppare con altri parchi. Le attività sugli insetti impollinatori, invece, saranno oggetto di una relazione intermedia da sottoporre alla Direzione per il patrimonio naturalistico del MiTe, oltre che della rendicontazione prevista per fine anno.

La Direttiva Biodiversità 2021 prevede, infine, azioni di monitoraggio dell’habitat coralligeno che dovranno essere svolte dalle Aree marine protette. Queste dovranno, inoltre, “stimare il disvalore generato dall’impatto delle attività di pesca” su tale habitat e proseguire le attività di raccolta dati già avviate con le direttive precedenti.

La Direttiva è consultabile al seguente link.

Fonte: Ministero della Transizione Ecologica




Cambiamenti climatici, trasmessa a Bruxelles la strategia nazionale di lungo periodo

Bandiera Unione EuropeaIl documento individua le azioni per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Costa: “Italia in prima linea per raggiungere i target di Parigi”

Riduzione della domanda di energia, grazie soprattutto al calo della mobilità privata e dei consumi in ambito civile. Decisa accelerazione delle rinnovabili e della produzione di idrogeno. Potenziamento e miglioramento delle superfici verdi, per aumentare la capacità di assorbimento di CO2. Sono le tre direttrici fondamentali della Strategia Nazionale di lungo periodo, che il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare ha trasmesso alla Commissione Europea.

La strategia è stata elaborata nell’ambito degli impegni dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici che invita i Paesi firmatari a comunicare entro il 2020 le proprie “Strategie di sviluppo a basse emissioni di gas serra di lungo periodo” al 2050.

“L’Italia – ha commentato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa – con l’elaborazione di questa Strategia si conferma fra i paesi più attivi e motivati per il raggiungimento del target della Cop 21, che è quello di mantenere il riscaldamento globale entro il limite di 1,5/2 gradi. Siamo consapevoli che per raggiungere la cosiddetta neutralità climatica entro 30 anni saranno necessarie scelte coraggiose e profondi cambiamenti nel tessuto socio-economico come nei nostri stili di vita. Ma la sfida climatica è la sfida strategica per il futuro dell’umanità e non possiamo permetterci di perderla”.

La Strategia nazionale di lungo termine individua i possibili percorsi per raggiungere, nel nostro Paese, al 2050, una condizione di “neutralità climatica”, nella quale le residue emissioni di gas a effetto serra sono compensate dagli assorbimenti di CO2. Un obiettivo in linea con quello indicato dalla Presidente della Commissione UE Commissione Ursula Von der Leyen, nella sua Comunicazione sul Green Deal europeo, ha tracciato una strategia di crescita verso “un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva che nel 2050 non genererà emissioni nette di gas a effetto serra”.

La strategia prende le mosse dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), che indica il percorso fino al 2030, “trascinando” fino al 2050 le conseguenti tendenze energetico-ambientali virtuose. Vengono quindi individuate le tipologie di leve attivabili per raggiungere al 2050 la neutralità climatica: una riduzione spinta della domanda di energia, legata in particolare ad un calo dei consumi per la mobilità privata e dei consumi del settore civile; un cambio radicale nel mix energetico a favore delle rinnovabili (FER), coniugato ad una profonda elettrificazione degli usi finali e alla produzione di idrogeno; un aumento degli assorbimenti garantiti dalle superfici forestali (compresi i suoli forestali) ottenuti attraverso la gestione sostenibile, il ripristino delle superfici degradate e interventi di rimboschimento.

L’intervento, incisivo, su queste tre leve si renderà necessario perché il mero “trascinamento” delle tendenze attuali, per quanto virtuoso, sarebbe insufficiente a centrare il target fissato per il 2050.

È necessario, perciò, prevedere un sostanziale cambio del “paradigma energetico italiano” che, inevitabilmente, passa per investimenti e scelte che incidono sulle tecnologie da applicare, sulle infrastrutture ma anche sugli stili di vita dei cittadini. E’ una trasformazione importante e radicale come quella prospettata dalla Strategia di lungo periodo che dovrà permeare tutte le politiche pubbliche, in un percorso di ampia condivisione. Primi passi in tal senso sono stati effettuati con la trasformazione del CIPE, Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica, in CIPESS, Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e lo Sviluppo Sostenibile e con l’avvio del Green Deal.

Per chiudere il gap emissivo e arrivare alla neutralità climatica saranno necessarie scelte politiche a elevato impatto sociale ed economico, tecnologie ancora non pronte in parte perseguibili solo su base europea, nonché una condivisione a livello internazionale del processo di decarbonizzazione. Per tenere conto degli sviluppi su tutti questi fronti, ferme restando le tendenze di fondo individuate, la Strategia, elaborata in linea con il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) deve essere considerata uno strumento “dinamico”, che avremo modo di aggiornare e integrare, anche per tenere pienamente conto dei processi di revisione degli obbiettivi energetico-ambientali nazionali attualmente in corso a livello europeo, e delle scelte conseguenti che si faranno per un rilancio economico in chiave sostenibile con il Piano per la Ripresa e la Resilienza.

La Strategia Nazionale di lungo periodo è consultabile al seguente link. Sono inoltre consultabili i seguenti allegati: Allegato 1 – Dettagli della Consultazione PubblicaAllegato 2 – Dettagli sulle tecnologie di decarbonizzazione.

Fonte: Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare




Il cambiamento climatico ha modificato la distribuzione dei pipistrelli favorendo la comparsa del virus SarsCov2

Il riscaldamento globale potrebbe avere favorito l’emergere del virus SarsCoV2. Lo indica la ricerca dell’università di Cambridge pubblicata sulla rivista Science of the total environment, che per la prima volta stabilisce un collegamento fra le condizioni climatiche delle foreste nel Sud della Cina e la comparsa di nuovi coronavirus veicolati dai pipistrelli.

La ricerca ha studiato i cambiamenti su larga scala avvenuti nella vegetazione della provincia meridionale cinese dello Yunnan, nel Myanmar e in Laos. Con l’aumento delle temperature, della luce solare e dell’anidride carbonica nell’atmosfera, il cambiamento climatico ha modificato gli habitat naturali, dalla savana tropicale alle foreste decidue, che sono così diventati gli ambienti adatti per molte specie delle specie di pipistrelli che vivono nelle foreste.

I ricercatori hanno infatti riscontrato che, rispetto alla media, sono aumentate del 40% le specie di pipistrelli che nell’utimo secolo si sono spostate nel Sud della Cina, dove sono stati isolati più di 100 tipi di coronavirus che hanno origine nei pipistrelli. Questa zona è inoltre quella in cui i dati genetici suggeriscono che possa essere nato il coronavirus SarsCoV2.

Il cambiamento climatico degli ultimi 100 anni ha reso la provincia dello Yunnan l’habitat ideale per più specie di pipistrelli“, commenta Robert Beyer, primo autore dello studio. Poiché il clima ha modificato gli habitat, le specie hanno lasciato delle aree spostandosi in altre, portandosi i virus con sé. “Sono cambiate così le regioni dove erano presenti i virus e – osserva . sono diventate possibili nuove interazioni tra gli animali e i patogeni, facendo evolvere alcuni virus in modo da rendendoli più dannosi nel trasmettersi“.

Nel mondo ci sono circa 3.000 i tipi di coronavirus veicolati dai pipistrelli finora noti e ogni specie di questi mammiferi ne ospita in media 2,7, senza quasi mai mostrare sintomi. Il cambiamento climatico ha inoltre aumentato il numero di specie di pipistrelli in Africa Centrale, Centro e Sud America. “Servono limiti all’espansione delle aree urbane e agricole – dicono i ricercatori – e bisogna cercare spazi negli habitat naturali per ridurre il contatto tra umani e animali che veicolano malattie“.

Fonte: ANSA




Covid: studio, seconda ondata inevitabile per effetti climatici

Cambiamenti climaticiLa “seconda ondata” della pandemia potrebbe non avere nulla a che vedere con la mancanza di prudenza o di adeguate misure di controllo. Secondo uno studio condotto da Talib Dbouk e Dimitris Drikakis, ricercatori dell’Università di Nicosia a Cipro, avere due focolai all’anno durante una pandemia è praticamente inevitabile, a causa dell’impatto delle temperature, dell’umidità e del vento.

I risultati, pubblicati sulla rivista Physics of Fluids, evidenziano che sebbene le mascherine, le restrizioni dei viaggi e le linee guida per il distanziamento sociale aiutino a rallentare la crescita dei nuovi contagi a breve termine, a giocare un ruolo chiave a lungo termine sono soprattutto gli effetti climatici.

Per questo, gli studiosi sostengono che bisognerebbe incorporarli nei modelli epidemiologici.

Attualmente i modelli per prevedere il comportamento di un’epidemia contengono solo due parametri di base: la velocità di trasmissione e la velocità di recupero. Questi tassi tendono a essere trattati come costanti, ma Dbouk e Drikakis pensano che in realtà non sia così. Secondo gli studiosi, temperatura, umidità relativa e velocità del vento giocano tutti un ruolo significativo.

Per questo, gli studiosi suggeriscono di modificare i modelli in modo che tengano conto anche di queste condizioni climatiche.

I ricercatori hanno chiamato questa nuova variabile Indice del tasso di infezione nell’aria (Air). Quando hanno applicato l’indice AIR ai modelli di Parigi, New York City e Rio de Janeiro, hanno scoperto che prediceva accuratamente il momento della seconda epidemia in ciascuna città, suggerendo che due focolai all’anno sono un fenomeno naturale.

Inoltre, il comportamento del virus a Rio de Janeiro è risultato nettamente diverso dal comportamento del virus a Parigi e New York, a causa delle variazioni stagionali negli emisferi settentrionale e meridionale, coerenti con i dati reali. Gli autori sottolineano l’importanza di tenere conto di queste variazioni stagionali quando si progettano misure per la gestione della pandemia.

“Proponiamo che i modelli epidemiologici debbano incorporare gli effetti climatici attraverso l’indice AIR”, dice Drikakis. “I lockdown nazionali o i lockdown su larga scala non dovrebbero essere basati su modelli di previsione a breve termine che escludono gli effetti della stagionalità meteorologica“, aggiunge. “In caso di pandemia, dove non è disponibile una vaccinazione massiccia ed efficace, la pianificazione del governo dovrebbe essere a lungo termine, considerando gli effetti meteorologici e progettando di conseguenza le linee guida per la salute e la sicurezza pubblica“, sottolinea Dbouk. Man mano che la temperatura aumenta e l’umidità diminuisce, Drikakis e Dbouk si aspettano un altro miglioramento nel numero di infezioni, sebbene notino che le linee guida su uso mascherine e su distanziamento sociale dovrebbero continuare a essere seguite con le opportune modifiche basate sul clima.

Fonte: AGI




I grandi carnivori riconquistano il territorio

Imbattersi in una lince, sentire l’ululato di un lupo, osservare un orso. Forse potrebbe non essere più tanto difficile e insolito in alcune aree, non ora che queste specie stanno ricolonizzando gran parte della loro storica area di distribuzione in Europa.

Dopo essere stati spinti sull’orlo dell’estinzione nel secolo scorso, negli ultimi decenni linci, lupi e orsi stanno ricolonizzando l’Europa, complici il cambiamento nell’uso del suolo e la diversa densità di popolazione, ma non la graduale espansione delle aree protette. È quanto emerge dal recente studio condotto da un gruppo internazionale di 11 Paesi coordinato da ricercatori del Dipartimento di Biologia e biotecnologie della Sapienza Università di Roma e del Cnr. Questi fattori sembravano aver influenzato il ritorno dei grandi carnivori in Europa negli ultimi 24 anni, ma fino a oggi l’effettivo ruolo svolto era stato poco chiaro. I risultati del lavoro, pubblicati sulla rivista Diversity and Distributions, indicano che tra il 1992 e il 2015 la combinazione di questi elementi abbia contribuito all’aumento della presenza di queste tre specie nell’Europa orientale, nei Balcani, nella penisola iberica nord-occidentale e nella Scandinavia settentrionale, mentre tendenze contrastanti sono emerse per l’Europa occidentale e meridionale.

“È molto probabile che la coesistenza dei grandi carnivori con gli esseri umani in Europa non sia legata solo alla disponibilità di un habitat idoneo, ma anche a fattori come la tolleranza da parte dell’uomo e le politiche per diminuire la caccia di queste specie”, spiega Marta Cimatti della Sapienza, primo autore del lavoro. “Questo permette di avere nuove opportunità per riconciliare la conservazione e la gestione di queste specie con lo sviluppo socioeconomico nelle aree rurali”.

Luca Santini, ricercatore della Sapienza e del Cnr e senior author dello studio, sottolinea: “sfruttare i cambiamenti socioeconomici e paesaggistici per creare nuove opportunità di recupero per le specie sarà una sfida per l’Europa, cui si dovranno affiancare una corretta educazione ambientale, norme legislative e una gestione mirata a mitigare i conflitti fra uomo e fauna selvatica nelle aree recentemente ricolonizzate dai questi grandi carnivori”.

“L’associazione tra il diverso uso del suolo, l’abbandono delle aree rurali, l’aumento delle aree protette e l’espansione dei grandi carnivori in Europa sarà importante anche nei prossimi decenni”, conclude Luigi Boitani della Sapienza, coautore e presidente della Large Carnivore Initiative for Europe, “e suggerisce che la ricolonizzazione di vaste aree europee continuerà e che dunque saranno necessari maggiori sforzi per far coesistere l’uomo e questi grandi carnivori”. 


Riferimenti pubblicazione: “Large carnivore expansion in Europe is associated with human population density and land cover changes – Cimatti M., Ranc N., Benítez-López A., Maiorano L., Boitani L., Cagnacci F., ?engi? M., Ciucci P., Huijbregts M.A.J., Krofel M., López Bao J., Selva N., Andren H., Bautista C., Cirovic D., Hemmingmoore H., Reinhardt I., Maren?e M., Mertzanis Y., Pedrotti L., Trbojevi? I., Zetterberg A., Zwijacz-Kozica T., Santini L – Diversity and Distributions, 2021. DOI 10.1111/ddi.13219
https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1111/ddi.13219

Fonte: CNR