Dal pesce scorpione al granchio blu, nuove frontiere a tavola

Dal pesce scorpione grigliato, all’antipasto a base del pesce coniglio, al granchio blu al vapore, una specie quest’ultima molto diffusa e apprezzata in Italia, tanto da pensare alla creazione di una vera e propria filiera.

 Sono oltre mille le specie aliene stabilizzate nel Mediterraneo per l’innalzamento delle temperature che, da problema per ecosistemi marini e pescatori, sono diventate un’opportunità economica e ambientale.

Finiscono in cucina e hanno fatto nascere nuovi promettenti mercati.

Merito anche della Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo della Fao che ha puntato a formare i pescatori per catturare pesci alieni e i consumatori a mangiarli. E questo in molti Paesi del Bacino, come Cipro, Egitto, Grecia, Libano, Israele, Siria e Turchia.

“Attenuare l’impatto di questi specie è praticamente impossibile – fa sapere Miguel Bernal del Gfcm-Fao – e la pesca commerciale si dimostra lo strumento più efficace”. Basti pensare che negli Usa dove si consumano 60 mila tonnellate l’anno di granchi blu, hanno messo a punto una nuova tecnologi per estrarne e facilmente la polpa. Una frontiera emergente anche in Italia, dove la dicono lunga i furti dei cinesi denunciati a Goro. I listini di vendita all’ingrosso sono ancora contenuti, fa sapere Fedagripesca-Confcooperative, tra i 2 e i 10 euro al chilo ma i segnali di crescita ormai ci sono tutti.

Fonte: ansa.it




Virus nelle specie di insetti commestibili allevati, una revisione sistematica della letteratura scientifica

InsettiGli insetti hanno le potenzialità per diventare un’importante fonte alimentare sia per l’alimentazione animale che umana nel mondo Occidentale, ma con quali garanzie per la salute della specie e la sicurezza alimentare? Una revisione sistematica condotta dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) ha individuato più di 70 specie di virus presenti negli insetti commestibili allevati, per la maggior parte non patogeni né per gli insetti né per l’uomo. Esistono però dei virus, specifici degli insetti, capaci di infettare e causare malattia e portare alla morte in breve tempo intere colonie di insetti allevati. Il rischio di trasmettere all’uomo virus di origine alimentare tramite insetti edibili è considerato basso, essendo al momento attributo loro solo un ruolo meccanico nella diffusione di patogeni. Dato il numero limitato di studi presenti finora in letteratura, lo studio IZSVe suggerisce la necessità di investire in ricerca e biosicurezza.

Insetti, allevamenti e virus

Gli insetti rappresentano il più grande gruppo di animali sulla terra in termini di biodiversità, che si riflette in una gamma corrispondente di virus infettanti. Appartenenti alla categoria dei novel food, gli insetti edibili sono già parte della dieta quotidiana di milioni di persone nel mondo, e rappresentano delle fonti di proteine alternative.

Appartenenti alla categoria dei novel food, gli insetti edibili sono già parte della dieta quotidiana di milioni di persone nel mondo. Rispondono inoltre al bisogno di fonti di proteine alternative che possano essere di qualità dal punto di vista nutrizionale, prodotte con un basso costo e limitato impatto ambientale. Attualmente dodici sono le specie segnalate dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) per aver il maggiore potenziale di utilizzo come alimenti e mangimi nell’Unione Europea.

Gli insetti rappresentano il più grande gruppo di animali sulla terra in termini di biodiversità, che si riflette in una gamma corrispondente di virus infettanti, che possono avere un impatto importante sulla salute umana e animale. Sebbene i virus facciano parte del normale micriobiota di un insetto, in particolari situazioni potrebbero diventare patogeni per l’insetto ospite, causando un calo della crescita e delle prestazioni riproduttive, oltre a malattie e mortalità.

Un altro aspetto da tenere in considerazione è la capacità vettoriale degli insetti edibili allevati: virus presenti in questi invertebrati possono trasmettersi ai vertebrati (uomo, altri animali) ed essere elemento di criticità in allevamento, perché i diversi sistemi di produzione (allevamento industrializzato o raccolta selvatica) possono contribuire a differenze nella loro sicurezza.

Lo studio IZSVe

Mentre esiste un’abbondante letteratura sulla presenza di virus negli insetti di valore economico o di importanza per la salute pubblica (è il caso di bachi da seta, api e zanzare), sono ancora pochi gli studi condotti sui virus degli insetti edibili. Ricercatori del Laboratorio parassitologia, micologia ed entomologia sanitaria (SCS3) e del Centro di referenza nazionale per l’apicoltura dell’IZSVe hanno realizzato una revisione sistematica della letteratura, pubblicata sulla rivista Virus, con l’obiettivo di fornire una panoramica dei virus presenti negli insetti edibili e considerati promettenti per l’allevamento in Unione Europea. Sono state prese in considerazione 15 specie (comprese le 12 selezionate da EFSA), coprendo 5 ordini di insetti: coleotteri, ditteri, lepidotteri e ortotteri.

Una revisione sistematica condotta dall’IZSVe ha individuato più di 70 specie di virus presenti negli insetti commestibili allevati, per la maggior parte non patogeni né per gli insetti né per l’uomo. Nonostante alcuni virus patogeni per gli insetti rappresentino un rischio per i sistemi di allevamento di massa di insetti, il rischio di trasmettere all’uomo virus di origine alimentare tramite insetti edibili è considerato basso.

Negli insetti in esame è stata confermata la presenza di più di 70 specie di virus, appartenenti a 22 famiglie diverse. Non ci sono segnalazioni sul rilevamento di virus per due specie, A. grisella e H. illucens, mentre per altre specie le segnalazioni sono risultate a volte limitate o datate. L’ordine degli ortotteri sembra essere quello più colpito: sette le famiglie virali individuate, tra cui le Iridoviridae e le Densoviridae, generalmente considerate le più pericolose.

L’ordine dei lepidotteri (rappresentato da G. mellonella) è interessato da specie virali appartenenti alle famiglie Baculoviridae, Iridoviridae, mentre i Densovirus sono segnalati raramente; altre specie virali segnalate per infettare G. mellonella sono membri delle famiglie DicistoviridaeParvoviridae e Picornaviridae. Nell’ordine dei coleotteri sono stati segnalati per la loro mortalità virus appartenenti alle famiglie Iridoviridae e Parvoviridae. Solo due virus sono stati infine descritti come patogeni per i ditteri.

I virus rinvenuti negli insetti edibili possono essere non patogeni o patogeni per gli insetti stessi, per gli uomini e/o per gli animali. I virus patogeni per gli insetti costituiscono un rischio per i sistemi di allevamento di massa di insetti, in quanto capaci di causare elevate perdite economiche provocando sia un drastico calo della crescita nei stadi giovanili sia delle performance riproduttive degli adulti, fino a causare un’elevata e rapida mortalità. Inoltre alcuni virus veicolati dagli insetti e patogeni per l’uomo o gli animali potrebbero rappresentare un rischio per la salute pubblica, se non adeguatamente gestiti quando gli insetti vengono utilizzati per produrre alimenti e mangimi.

Il rischio di trasmettere all’uomo virus di origine alimentare tramite insetti edibili è considerato basso: i virus di origine alimentare potrebbero essere introdotti nella produzione primaria attraverso il substrato di allevamento o la manipolazione da parte dell’operatore. Tra gli studi analizzati, un solo articolo ha studiato la presenza di virus di origine alimentare in tre specie di insetti allevati a uso alimentare, ottenendo risultati negativi per la presenza di virus dell’epatite A, virus dell’epatite E e norovirus.

Ricerca e biosicurezza

La revisione sistematica fornisce un quadro d’insieme delle specie virali maggiormente presenti negli insetti edibili con possibilità commerciali: su queste sarà necessario focalizzare lo studio delle dinamiche virali e condurre più studi e infezioni sperimentali per comprenderne meglio l’impatto nei sistemi di allevamento industrializzati e in termini di sicurezza alimentare.

Nel frattempo, poiché a oggi non esiste una cura per le infezioni virali negli insetti edibili, le strategie di allevamento devono concentrarsi sulla definizione e standardizzazione di buone pratiche agricole. Le misure di biosicurezza si confermano ancora una volta una fondamentale e immediata strategia di prevenzione.

Fonte: IZS Venezie




West Nile, confermata in Veneto la circolazione di due ceppi virali

Sulla base di analisi genetiche condotte contemporaneamente su zanzare, uccelli e uomo, i ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie hanno verificato che in Veneto circolano due ceppi di virus West Nile, denominati WNV-1 e WNV-2.

I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Eurosurveillance.

La co-circolazione di WNV-1 e WNV-2 è stata confermata dalle analisi genetiche e filogenetiche condotte su campioni provenienti da zanzare, uccelli e uomo. L’attenzione dei ricercatori si è concentrata in particolare sul ceppo WNV-1, che è ricomparso nel 2021 dopo otto anni di assenza dal nord-est e sembra oggi essersi stabilizzato in quest’area geografica. La sorveglianza veterinaria sugli uccelli selvatici ha consentito di identificare WNV-1 in esemplari di tortora dal collare, piccione, corvidi e rapaci notturni rivenuti nelle province di Padova, Rovigo e Venezia. L’ipotesi è dunque che la reintroduzione di questo ceppo possa essere stata favorita all’origine da uccelli selvatici che hanno riportato il virus in questa parte di territorio.

I ricercatori ribadiscono il ruolo fondamentale giocato dai cambiamenti climatici nelle dinamiche di insorgenza di focolai di WNV nel serbatoio animale (uccelli, mammiferi) e nei vettori di malattia (zanzare). Secondo alcuni modelli epidemiologici, le scarse precipitazioni invernali e le alte temperature primaverili registrate negli ultimi anni in Europa potrebbero aver influenzato i meccanismi di diffusione della malattia, aumentando i tassi di crescita della popolazione di zanzare, di puntura e trasmissione del virus.

Leggi l’articolo integrale sul sito dell’IZS delle Venezie




Consumo di suolo: nel 2021 il valore più alto degli ultimi 10 anni

albero, proteggereCon una media di 19 ettari al giorno, il valore più alto negli ultimi dieci anni, e una velocità che supera i 2 metri quadrati al secondo, il consumo di suolo torna a crescere e nel 2021 sfiora i 70 km2 di nuove coperture artificiali in un solo anno. Il cemento ricopre ormai 21.500 km2 di suolo nazionale, dei quali 5.400, un territorio grande quanto la Liguria, riguardano i soli edifici che rappresentano il 25% dell’intero suolo consumato.

Como, Impruneta e Marano di Valpolicella si aggiudicano la prima edizione del concorso ISPRA e conquistano il titolo di “Comune Risparmia suolo” del 2022.




Primo monitoraggio nazionale sul lupo in Italia, i risultati

Sono stati pubblicati i risultati del primo monitoraggio nazionale sul lupo in Italia, coordinato dall’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale ISPRA, su mandato del Ministero della Transizione Ecologica MiTE per comprendere quanti e dove sono i lupi in Italia

Il lavoro è stato svolto tra il 2018 e il 2022, con una raccolta dati realizzata tra Ottobre 2020 – Aprile 2021 che ha permesso di stimare l’abbondanza (intesa come numero di individui, N) e la distribuzione (area minima occupata nella regione alpina e la area stimata nella zona peninsulare) della specie.

Le stime dell’abbondanza della specie per le regioni alpine e per le regioni dell’Italia peninsulare sono state prodotte in maniera indipendente con i medesimi modelli statistici. I due valori risultanti e i rispettivi intervalli sono stati integrati, ottenendo una stima della consistenza complessiva a livello nazionale.

La stima della popolazione del lupo a scala nazionale è risultata pertanto pari a 3.307 individui (forchetta 2.945 – 3.608).

La stima della distribuzione del lupo in Italia viene fornita in due mappe distinte ottenute da una base metodologica comune. Nelle regioni alpine sono state campionate il 100% delle celle di presunta presenza della specie ottenendo una mappa di distribuzione minima. Nelle regioni peninsulari, tenuto conto della maggiore estensione dell’areale di presunta presenza della specie, sono state selezionate per la raccolta dei dati il 35% delle celle identificate idonee. Per estrapolare i risultati verso il restante 65% di celle, si sono utilizzati modelli statistici ottenendo una mappa di probabilità di presenza.

Sulla base dei dati raccolti, il range minimo di presenza del lupo nelle regioni alpine nel 2020-2021, considerando l’anno biologico della specie (1° maggio 2020 – 30 aprile 2021), è stato stimato di 41.600 km2. Nelle regioni peninsulari, l’estensione complessiva della distribuzione è risultata pari a 108.534 km2 (forchetta = 103.200 – 114.000 km2). Il lupo occupa quindi una larga parte del paese e nelle regioni peninsulari ha colonizzato la quasi totalità degli ambienti idonei.

Dalle analisi genetiche condotte sui campioni raccolti nell’area peninsulare sono stati identificati geneticamente 513 individui di lupo. Il 72,7 % non ha mostrato ai marcatori molecolari analizzati alcun segno genetico di ibridazione recente o antica con il cane domestico, l’11,7 % mostrava segni di ibridazione recente con il cane domestico, il 15,6 % hanno mostrato segni di più antica ibridazione (re-incrocio con il cane domestico avvenuto oltre approssimativamente tre generazioni nel passato). Occorre sottolineare che i valori dei tassi di ibridazione antica o recente ottenuti da questa indagine e dalle analisi molecolari non rappresentano una stima formale del fenomeno, né a livello nazionale né locale, e che sarebbero necessarie ulteriori indagini per poter valutare il tasso di ibridazione della popolazione italiana di lupi.

I risultati ottenuti dal monitoraggio rappresentano una base di conoscenza per indirizzare le scelte gestionali e permettere di valutare il raggiungimento degli obiettivi di conservazione, assicurando il mantenimento, a livello nazionale, di uno status di conservazione favorevole della specie e al contempo mitigando i conflitti che il lupo causa. L’adozione di protocolli standardizzati a scala nazionale sotto il coordinamento dell’ISPRA ha permesso di superare la disomogeneità delle strategie di monitoraggio effettuate a scala locale negli anni passati, dovuta alla frammentazione amministrativa e all’assenza di un coordinamento tra enti e istituti locali, disomogeneità ritenuta una delle principali minacce per la conservazione della specie.

Risultati di sintesi del monitoraggio

Relazioni ufficiali:

 




Riscaldamento globale, virus e aerosol

Come possiamo pensare di vivere sani in un mondo malato?“: l’arguta domanda che Papa Francesco si pone e ci pone in piena pandemia da Covid-19 ci ricorda che la nostra vita è strettamente interconnessa con quella di tutti gli altri esseri viventi. Dalla stessa si evincerebbe, al contempo, un accorato invito affinché la Comunità Scientifica operi quanto più possibile in maniera multidisciplinare, in ossequio al principio della “One Health”, la salute unica di uomo, animali ed ambiente.

Il 2021 è stato, perlappunto, il più caldo degli ultimi 140 anni, all’interno di un’allarmante sequenza in cui dal 2015 in avanti si sono succeduti i sette anni più torridi che si siano mai registrati sul nostro pianeta durante il succitato arco cronologico.

E’ quantomai opportuno sottolineare, in proposito, la naturale propensione degli agenti patogeni più resistenti a sfruttare il progressivamente ingravescente riscaldamento globale per aumentare la propria diffusione e, con essa, le occasioni di contagio intraspecifico ed interspecifico. E’ questo il caso del virus della peste suina africana (agente non zoonosico) e di quello del vaiolo delle scimmie (agente zoonosico), ben noti da tempo a noi Medici Veterinari e recentemente balzati agli onori della cronaca. Si tratta, in particolare, di due DNA-virus che, pur nelle notevoli differenze che caratterizzano gli stessi e le infezioni da essi sostenute, condividono tuttavia un’elevata resistenza ambientale, cosi’ come nei riguardi dell’inattivazione chimico-fisica.

In un siffatto contesto, la possibilità che i venti, le correnti ed altri fenomeni atmosferici possano veicolare per più o meno lunghe distanze aerosol alberganti al proprio interno le due anzidette, così come altre noxae biologiche dotate di elevata resistenza ambientale e nei confronti di molti agenti chimico-fisici, dovrebbe esser tenuta in debita considerazione.

Ciò potrebbe costituire, infatti, un valido ausilio ai fini del riconoscimento delle fonti d’infezione ove le stesse non risultassero prontamente e/o precisamente identificabili, come giustappunto accaduto in alcuni focolai di peste suina africana tra i cinghiali, così come in alcuni recenti casi umani d’infezione da “monkey poxvirus” (vaiolo delle scimmie).

Absit iniuria verbis, ma senza alcuna vis polemica mi sia consentito, in chiosa a questo breve articolo, di esprimere unitamente al mio pregresso disappunto nei confronti della mancata cooptazione dei miei Colleghi Veterinari in seno all’oramai (e purtroppo!) defunto CTS, tutto il mio stupore derivante dalla pressoché totale assenza dei Medici Veterinari – fatte salve alcune eccezioni di natura prettamente istituzionale – dalla scena e dalla narrazione mass-mediatica.

Quanto sopra a dispetto dell’inconfutabile fatto che le “materie del contendere” siano rappresentate da una problematica di esclusiva rilevanza in ambito di sanità animale (peste suina africana) e da un’infezione a carattere zoonosico, vale a dire trasmissibile dagli animali all’uomo (vaiolo delle scimmie)!

Errare humanum est perseverare autem diabolicum!

Giovanni Di Guardo
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




I sonar militari minacciano la vita in mare!

E’ pubblicata sulla prestigiosa rivista londinese “Veterinary Record”  la Letter to the Editor dal titolo “Impact of naval sonar systems on sealife mortality“, a firma di GiovanniDi Guardo, gia’ Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo, insieme al Professor Antonio Fernández, Full Professor of Veterinary Pathologic Anatomy, Institute of Animal Health, University of Las Palmas de Gran Canaria, Arucas, Las Palmas, Gran Canaria, Canary Islands, Spain e al Dr Paul D Jepson, Honorary Senior Scientist, Institute of Animal Health, University of Las Palmas de Gran Canaria, Arucas, Las Palmas, Gran Canaria, Canary Islands, Spain.

Esattamente 20 anni fa, nell’Arcipelago delle Isole Canarie, si verificò uno spiaggiamento di massa di Zifidi, cetacei capaci di immergersi fino a 2.000 metri di profondità. Tale evento occorse in stretta connessione spazio-temporale con un’esercitazione della marina militare statunitense, durante la quale era stato fatto ricorso all’utilizzo di dispositivi sonar. L’equipe del Professor Antonio Fernández fu in grado di dimostrare, di lì a breve, il ruolo delle onde rilasciate dai sonar nel determinismo del succitato evento, dal cui studio emerse che una “sindrome embolica gassoso-lipidica” – condizione patologica simile alla “malattia da decompressione” dei sommozzatori – aveva interessato gli Zifidi spiaggiatisi in massa alle Isole Canarie.

Destano fondati motivi di preoccupazione, al riguardo, le esercitazioni militari recentemente condotte in acque mediterranee, così come quelle in corso di svolgimento e/o programmate nelle acque norvegesi ed asiatiche, che risulterebbero accomunate fra loro dall’impiego di dispositivi sonar.

Riferiscono il Prof. Antonio Fernández, il Dr Paul D. Jepson ed il Professor Giovanni Di Guardo i quali concludono:

Stiamo parlando, infatti, di specie e popolazioni animali oltremodo vulnerabili e sempre più minacciate per mano dell’uomo, che vivono all’interno di sempre più fragili e perturbati ecosistemi marini.




Le microplastiche non sono tutte uguali

microplasticheUno studio del Cnr-Irsa ha rilevato che, in acqua, i batteri che crescono sulle microparticelle derivate dagli pneumatici sono più pericolosi per l’ambiente rispetto a quelli che si sviluppano sui frammenti delle bottiglie di plastica, che invece potrebbero porre problemi per la salute dell’uomo. La ricerca è pubblicata su Journal of Hazardous Materials

Plastiche e microplastiche sono riconosciute come un inquinante emergente con effetti nefasti sulla salute dell’ambiente, dell’uomo e degli animali acquatici. Uno studio dell’Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche di Verbania (Cnr-Irsa) ha dimostrato come microplastiche diverse possano causare un impatto differente sulle comunità batteriche in acqua. La ricerca è stata pubblicata su Journal of Hazardous Materials.

“In un sistema che replica un fiume o un lago italiano abbiamo comparato le comunità batteriche che crescono sul polietilene tereftalato (Pet) ricavato da una bottiglia di bibita, molto abbondante in acqua, con quelle che si sviluppano su particelle di pneumatico usato, quasi sconosciute a causa del fatto che tendono a non galleggiare e ad affondare molto lentamente”, spiega Gianluca Corno del Cnr-Irsa. “Abbiamo quindi dimostrato che la prima offre rifugio a batteri patogeni umani che possono causare rischio immediato per la salute umana, senza però favorirne una crescita immediata. Le particelle di pneumatico, grazie al rilascio costante di materia organica e nutrienti, favoriscono invece la crescita abnorme di batteri cosiddetti opportunisti che, pur non causando un rischio diretto per l’uomo, causano una perdita di qualità ambientale, di biodiversità microbica, e un conseguente depauperamento dei servizi ecosistemici offerti”.

Generalmente le comunità batteriche che crescono sulle microplastiche come biofilm sono studiate senza approfondirne le differenze legate al tipo di plastica su cui proliferano, ma come un unico comparto, la cosiddetta plastisfera. “Questo risultato ci pone, per la prima volta, di fronte alla necessità di riconsiderare i metodi di analisi dell’inquinamento da microplastiche e di tenere in conto le particelle di pneumatico, che possono avere un impatto decisivo sulla qualità degli ecosistemi acquatici in nazioni come l’Italia dove i fiumi sono particolarmente esposti a questo tipo di inquinamento”, conclude Corno.

La ricerca è stata finanziata nell’ambito del progetto AENEAS da AXA Research Fund. 

Fonte: CNR




IZS Lazio e Toscana propone la creazione di un “Centro Sperimentale per l’Insetticoltura Sostenibile”

Creare un “Centro Sperimentale per l’Insetticoltura Sostenibile” presso la sezione di Viterbo dell’Istitututo Zooprofilattico Lazio e Toscana è la proposta presentata nei giorni scorsi dall’IZS.

La proposta prevede in particolare la creazione di un partenariato sulla base del modello del ‘living lab’, dove il settore della ricerca pubblica incontra quello della ricerca privata e dell’impresa, delle istituzioni locali e dei consumatori, co-progettando lo sviluppo e la validazione delle innovazioni nell’ambito dell’insetticoltura sostenibile e facilitandone il trasferimento dei risultati sul territorio.

L’allevamento di insetti su sottoprodotti di natura organica, come ad esempio gli ‘scarti’ dell’industria agro-alimentare, rappresenta oggi un formidabile strumento per reimmettere nella catena alimentare prezioso materiale spesso destinato alla distruzione. Le proteine ottenute dagli insetti possono infatti essere impiegate per la produzione di mangimi da utilizzare nell’allevamento avicolo, in quello suinicolo e nell’acquacoltura, nel pieno rispetto dell’etologia degli animali.

Gli insetti allevati su scarti organici costituiscono inoltre un’interessante fonte per la produzione di ‘molecole tecniche’ (biocarburante, lubrificanti, chitosano, etc) da impiegare nell’industria chimica, meccanica e farmaceutica.

L’insetticoltura sostenibile è, in sintesi, un’interessante opzione per il perseguimento di alcuni importanti obiettivi individuati nelle agende di istituzioni come le Nazioni Unite (Agenda 2030) e la Commissione Europea (‘Farm to Fork’; ‘Climate Neutrality by 2050’).

‘Insieme – dichiara Ugo Della Marta Direttore Generale – è possibile studiare modelli di ‘piccole economie circolari’ locali per l’allevamento di insetti da sottoprodotti/scarti organici. La biomassa d’insetto prodotta attraverso la bioconversione degli scarti organici potrà essere avviata alla trasformazione in mangimi (già autorizzati per alcune specie allevate), alimenti e molecole tecniche, con l’obiettivo di creare nuove opportunità di crescita economica per il territorio e, al contempo, di migliorare la sostenibilità ambientale delle filiere produttive che su questo insistono.

Alla discussione ampia ed articolata, moderata dal direttore sanitario dell’Istituto, Andrea Leto hanno partecipato tutti gli interlocutori, che nelle loro specificità hanno manifestato grande interesse per il progetto condividendo la proposta di stipulare di un accordo quadro che metta insieme gli interessi dei vari enti ed organismi per realizzare congiuntamente attività scientifiche attraverso proposte progettuali, progetti di ricerca, corsi di formazione, attivazione e promozione di nuove iniziative basate sulla compartecipazione in relazione ad aree tematiche di interesse comune.

La realizzazione di un progetto con tali caratteristiche rappresenta una esperienza unica nel panorama nazionale, in un settore in forte espansione e dal sicuro impatto ai fini della sostenibilità ambientale.

Fonte: Comunicato IZS Lazio e Toscana




Resistenza antimicrobica, il monitoraggio della rete SNPA a supporto delle strategie One health

La resistenza antimicrobica rappresenta una delle principali problematiche sanitarie e di salute pubblica, una minaccia per la salute e lo sviluppo globale.

Anche in considerazione dell’imminente  approvazione del nuovo Piano nazionale  per il contrasto alla resistenza antimicrobica  2022-2025, nell’articolo “Il monitoraggio a supporto delle strategie “One health”” pubblicato sul numero 1/2022 di Ecoscienza, la rivista di Arpae Emilia-Romagna, Giuseppe Bortone – direttore generale Arpae Emilia-Romagna,  propone, in un ottica One Health, il potenziamento delle reti di monitoraggio del Snpa – Sistema Nazionale Protezione Ambiente per individuare le azioni di contenimento e prevenzione dello smaltimento di sostanze antibiotiche nell’ambiente.