Stop Lattococcosi? Insieme si può…anzi, insieme si deve!

pesciStop Lattococcosi? Insieme si può…anzi, insieme si deve! – Si è conclusa la serie di workshop del progetto “Stop Lattococcosi? Insieme si può!”, che ha visto il contributo di 21 relatori e la partecipazione di oltre 90 operatori del settore. Questo percorso, promosso dal Centro di referenza nazionale per lo studio e la diagnosi delle malattie dei pesci, molluschi e crostacei, dall’Associazione Piscicoltori Italiani e da Skretting, ha rappresentato un’importante occasione di dialogo e collaborazione tra allevatori, veterinari, autorità sanitarie e amministrazioni pubbliche, ricercatori, mangimisti, aziende farmaceutiche e altri attori della filiera, tutti uniti dall’obiettivo comune di contrastare la diffusione della Lattococcosi in acquacoltura.

Dai workshop è emersa con chiarezza la necessità di un approccio integrato per affrontare la Lattococcosi, che ha recentemente colpito specie ittiche di grande rilievo come spigola e orata. Nessun singolo intervento è sufficiente da solo: solo attraverso strategie sinergiche, che combinano vaccinazione, terapia, biosicurezza, nutrizione e selezione genetica, è possibile gestire efficacemente la patologia.

Un aspetto fondamentale degli incontri è stata la formazione di gruppi di lavoro, che hanno favorito un confronto attivo e costruttivo tra i partecipanti. Questo percorso collaborativo ha portato alla realizzazione di un Manuale di Buone Pratiche, che raccoglie le conoscenze acquisite proponendo linee guida operative e supportando le iniziative già in atto per la prevenzione e il contenimento della Lattococcosi.

Per permettere un accesso diretto alle informazioni emerse dal progetto, il Manuale di Buone Pratiche è stato reso disponibile in formato digitale, insieme alle registrazioni dei workshop. Questi materiali consentono di approfondire i temi trattati e di ascoltare direttamente gli interventi dei relatori. Per consultarli, visita il seguente link: Lattococcosi nelle specie marine – Skretting

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Fonte: pesceinrete.it




Sanità e acquacoltura: sfide e opportunità

Ministero della Salute e dal Centro di Referenza Nazionale per lo studio e la diagnosi delle malattie dei pesci, molluschi e crostacei presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie organizzano il workshop “Sanità e acquacoltura: sfide e opportunità” per il giorno 10 marzo a Roma presso l’auditorium Cosimo Piccinno del Ministero della Salute, Lungotevere Ripa

Obiettivo dell’evento è quello di approfondire i principali aspetti riguardanti l’applicazione in Italia della nuova norma comunitaria sulla sanità animale nel settore dell’acquacoltura (piscicoltura e
molluschicoltura).

Verrà posta l’attenzione sugli aspetti che impattano nella corretta registrazione, nel riconoscimento degli stabilimenti e nella sorveglianza sulle malattie per cui è necessaria (e relative deroghe). Particolare rilievo verrà dato ai principi della biosicurezza, infatti, anche gli stabilimenti di acquacoltura, per essere riconosciuti.




Manuale sul benessere per le specie ittiche allevate. Guida per l’operatore

 È disponibile il Manuale sul benessere per le specie ittiche allevate – Guida per l’operatore, risultato di un progetto di collaborazione fra Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) e Associazione Piscicoltori Italiani (API), finanziato dal Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF).

Il manuale, presentato nei giorni scorsi ad AQUAFARM 2025, è concepito come guida pratica per gli operatori del settore, e affronta i seguenti temi:

  • caratteristiche delle principali specie ittiche allevate e relative tecnologie di allevamento;
  • valutazione del benessere animale in allevamento, attraverso l’utilizzo degli Operational Welfare Indicators (OWIs). In allegato saranno incluse check-list utili per l’analisi del benessere animale in allevamento;
  • tutela del benessere dei pesci allevati;
  • benessere animale durante il trasporto;
  • tecniche corrette di stordimento e abbattimento;
  • panoramica normativa sul benessere dei pesci in allevamento.

Alla redazione del manuale hanno contribuito Ministero della Salute (UVAC-PCF), Università di  Bologna, Università di Camerino, Università di Milano, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Federazione Europea dei Produttori di Acquacoltura.

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Fonte: IZS Venezie




Un intestino di pesce artificiale per sperimentare mangime più sostenibile per i pesci di allevamento

Banco di pesceAll’Università statale di Milano si lavora da più di cinque anni a un nuovo sistema utile a supportare la produzione di mangime più sostenibile per i pesci di allevamento. È un metodo che consente di ridurre sia il tempo e le energie necessari a sperimentare gli effetti dell’introduzione di nuovi mangimi in acquacultura sia la quantità di animali necessari alle sperimentazioni.
Ne abbiamo parlato con Fulvio Gandolfi, docente di Anatomia e Fisiologia Veterinaria all’Università degli Studi di Milano, coordinatore del progetto Fish-AI, guidato dalla stessa Università di Milano, che si è appena concluso, alla fine del 2024, dopo cinque anni, ma si apre ora a nuovi sviluppi e applicazioni concrete. È stato realizzato grazie a un finanziamento europeo European Innovation Council (EIC), un tipo di finanziamento finalizzato al trasferimento tecnologico, ovvero a sostenere progetti di ricerca scientifica caratterizzati dalla possibilità di avere applicazioni pratiche.

«La nostra idea – spiega Gandolfi, del Dipartimento DISAA dell’Università di Milano, – è stata quella di mettere a frutto la nostra lunga esperienza nel campo delle cellule staminali, dei meccanismi di differenziamento e della creazione di modelli in vitro, per realizzare un intestino artificiale di pesce, più precisamente di trota, che possa essere utilizzato per testare nuovi tipi di mangime destinati all’acquacoltura. Semplificando, l’interno dell’intestino in natura è rivestito di una mucosa, composta da cellule che assorbono i nutrienti e li trasmettono al sangue: abbiamo voluto replicare questa struttura in laboratorio, attraverso cellule intestinali di trota coltivate in vitro. In questo modo si possono testare più agevolmente alimenti innovativi da destinare all’acquacultura, rendendo più veloce la procedura e riducendo la necessità di test in vivo sugli animali».

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Fonte: scienzainrete.it




Granchio blu, rilevata la presenza del parassita Hematodinium

Il granchio blu Atlantico (Callinectes sapidus), specie aliena che negli ultimi due anni ha messo in ginocchio la produzione di vongole in Veneto, ospita un parassita del genere Hematodinium che causa la Bitter Crab Disease (BCD), nota anche come “malattia del granchio amaro”. La carne di crostacei gravemente parassitati, una volta cucinata, può assumere un retrogusto amaro, che può comprometterne l’appetibilità per il consumatore.

A rilevare la presenza del parassita sono stati i ricercatori del Centro specialistico ittico (CSI) dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato dal Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste (MASAF) finalizzato a valutare lo stato di salute del granchio blu, con un focus particolare sulla presenza di patogeni che potrebbero influenzare la dinamica di popolazione di questa specie nelle principali lagune costiere del Nord Adriatico.

Il granchio blu Atlantico (Callinectes sapidus) ospita un parassita del genere Hematodinium che causa la Bitter Crab Disease (BCD), nota anche come “malattia del granchio amaro”. La carne di crostacei gravemente parassitati, una volta cucinata, può assumere un retrogusto amaro, che può comprometterne l’appetibilità per il consumatore. A rilevare la presenza del parassita sono stati i ricercatori del Centro specialistico ittico (CSI) dell’IZSVe, nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato dal Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste (MASAF).

segni di questa patologia comprendono letargia, torbidità dell’emolinfa e minor vitalità del granchio durante la fase di commercializzazione. L’infezione da Hematodinium sp. induce una serie di cambiamenti fisiologici nei tessuti dei crostacei e nell’emolinfa circolante, tra cui una riduzione significativa del numero di cellule coinvolte nella risposta immunitaria. In particolare, la rapida proliferazione del parassita porta a un elevato consumo di nutrienti, con conseguente riduzione dei livelli di glucosio nell’emolinfa e di glicogeno nell’epatopancreas, modificandone le caratteristiche organolettiche.

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Fonte: IZS Venezie




Microplastiche e salute: l’indagine è aperta

microplasticheVent’anni fa un articolo apparso su Science indicava con il termine “microplastiche” alcuni detriti di materiale plastico di dimensioni molto piccole ritrovate nell’ambiente. A partire da quella data, la ricerca delle microplastiche in vari ambienti (compreso il corpo umano) e del loro effetto sugli esseri viventi si è espansa in differenti ambiti scientifici.

La plastica è un materiale molto diffuso grazie alle sue proprietà di leggerezza, all’eccellente durata, alle caratteristiche meccaniche e al prezzo accessibile. Tuttavia, queste stesse caratteristiche possono rappresentare un possibile rischio per l’uomo e l’ambiente.

Di recente, sia Nature sia Science hanno dato largo spazio ai problemi legati alla plastica e ai suoi rifiuti, considerando i risultati della ricerca, le sfide ancora da superare e le decisioni politiche scaturite dagli studi.

La plastica intorno a noi

I dati raccolti da Lampitt nel 2023 parlano chiaro: la nostra produzione di rifiuti plastici oggi si attesta intorno alle 400 milioni di tonnellate l’anno. Finora, si stima siano state prodotte sette miliardi di tonnellate di plastiche a livello globale.

L’80 per cento di questi rifiuti sono dispersi nell’ambiente, mentre solo il 10% è riciclato (dati Oecd). Gli occhi di ricercatori, politici e ambientalisti sono puntati sui rifiuti plastici perché fonte di un secondo prodotto che può creare danni all’ambiente e agli organismi viventi: le microplastiche, se diametro inferiore ai cinque millimetri, mentre quelle inferiori a un micron sono dette nanoplastiche.

Le sorgenti dirette che danno origine a microplastiche sono molteplici: pneumatici, tessuti, cosmetici, vernici etc. Però le microplastiche si formano anche in modo indiretto dalla frammentazione di oggetti di grandi dimensioni, come i rifiuti plastici, sottoposti a radiazioni UV e alla degradazione meccanica e biologica.

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Fonte: abouthpharma.com




Plancton a rischio. È allarme per oceani e pesca

zoo planctonUn nuovo studio condotto dall’Università di Bristol, pubblicato su Nature, lancia un segnale d’allarme: se il riscaldamento globale di origine antropica non verrà contenuto, molte forme di vita marina rischiano l’estinzione entro la fine del secolo. La ricerca si concentra sul plancton, minuscoli organismi oceanici fondamentali per l’ecosistema marino, analizzando come hanno risposto a significativi aumenti di temperatura in passato e confrontandoli con le proiezioni future.

Il ruolo cruciale del plancton negli oceani

Il plancton rappresenta il fulcro della catena alimentare marina e svolge un ruolo essenziale nel ciclo del carbonio. Tuttavia, i risultati della ricerca mostrano che questi organismi non riescono a tenere il passo con la velocità dei cambiamenti climatici attuali. Questo mette a rischio non solo la loro sopravvivenza, ma anche quella di molte specie marine che dipendono da essi per il cibo, inclusi numerosi pesci di interesse commerciale.

Lo studio rivela che anche con scenari più ottimistici, come un aumento di temperatura di 2°C, il plankton non sarebbe in grado di adattarsi rapidamente. Il tasso di riscaldamento attuale supera di gran lunga quello osservato durante eventi climatici estremi del passato, come l’ultima Era Glaciale, rendendo impossibile una migrazione o un adattamento sufficiente.

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Fonte: pesceinrete.com




Dall’interazione robot-animali nuove soluzioni per affrontare la crisi climatica e ambientale

L’interazione tra robot e animali può offrire soluzioni innovative alla crisi climatica e ambientale. È questa la tesi proposta da due scienziati europei, Thomas Schmickl, professore presso l’University of Graz, e Donato Romano, ricercatore presso l’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in un articolo pubblicato sulla rivista Science Robotics.

“L’obiettivo è sviluppare simbiosi tra organismi viventi e macchine in grado di generare proprietà collettive emergenti utili per la comprensione della complessità biologica, promuovere una gestione ambientale sostenibile, ispirare soluzioni in ingegneria, e fornire supporto in ambienti estremi” spiega Romano.

La collaborazione tra robot e animali per salvare il pianeta

Nel lavoro Schmickl e Romano hanno raccolto gli esempi più rilevanti di nuovi sistemi di interazione tra animali e robot sviluppati negli ultimi anni. Il grande vantaggio dell’interazione robot-animale è quello di creare sistemi che sfruttano il comportamento naturale degli animali e le capacità tecnologiche dei robot per affrontare problemi complessi. I robot possono collaborare con le specie animali per monitorare e proteggere gli ecosistemi, sostenere la biodiversità e migliorare la resilienza ecologica. Collaborando, animali e robot sono in grado di svolgere compiti di cui né l’uno né l’altro sarebbero capaci da soli, come ripristinare habitat, controllare specie invasive o raccogliere dati ambientali in tempo reale in modo non invasivo. Queste sinergie possono inoltre contribuire a gestire risorse naturali in modo sostenibile e a mitigare gli effetti negativi delle attività umane sugli ecosistemi.

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Fonte: aboutpharma.com




È il Betanodavirus la causa della mortalità delle cernie nel Sud Italia

È un virus la causa della mortalità di cernie segnalata in queste ultime settimane nel Mediterraneo. Anche se non è un fenomeno nuovo, l’intensità con la quale si sta manifestando nel 2024 è fonte di preoccupazione tra i non addetti al settore. La mortalità anomala infatti sembra coinvolgere non solo le coste italiane (Puglia, Calabria e Sicilia) ma anche le coste del sud della Spagna e delle Isole Baleari.

L’encefalo retinopatia virale, questo il nome della malattia, è causata da un piccolo virus a RNA chiamato Betanodavirus. Questo agente virale è presente da molti anni nel Mediterraneo dove infetta numerose specie ittiche, sia allevate che selvatiche. Alcune specie, come spigole e cernie, sembrano essere particolarmente suscettibili e la malattia si manifesta con particolare gravità e mortalità elevata.

Il virus colpisce principalmente i tessuti nervosi (cervello, midollo spinale e retina) dei pesci alterandone la capacità di nuoto e di visione. Per questo molto spesso i pesci malati presentano lesioni cutanee (desquamazione ed escoriazioni) e lesioni oculari (cheratiti, panoftalmiti), e sono ritrovati a galleggiare a pelo d’acqua.

Grazie alla collaborazione con il prof. Antonio Terlizzi, professore ordinario di zoologia presso il Dipartimento di scienze della vita dell’Università di Trieste e direttore del Dipartimento di ecologia marina integrata della Stazione Zoologica di Napoli, numerosi soggetti di cernia (Epinephelus spp.) pescati morti o morenti lungo le coste pugliesi sono già stati analizzati dal Laboratorio di ittiovirologia dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), che ha confermato la diagnosi della virosi escludendo nel contempo altre cause di mortalità.

La dott.ssa Anna Toffan, responsabile del Laboratorio nonché responsabile del Laboratorio di referenza WOAH per questa malattia, grazie ad una estesa rete di contatti nel Mediterraneo, da anni monitora questi fenomeni.

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Fonte: IZS Venezie




La “firma” dell’inquinamento antropogenico da mercurio sul pesce consumato nel mondo

Uno studio condotto dall’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iia) di Rende (Cosenza) ha determinato, per la prima volta, la “firma” dell’inquinamento antropogenico da mercurio -in termini di settori di emissione e regioni geografiche di provenienza- sul consumo di pesce proveniente dalle diverse zone di pesca dell’Organizzazione delle Nazioni unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO).

La ricerca, pubblicata sulla rivista Environment International, ha incrociato modelli numerici e informazioni reperite in banche dati rese disponibili da istituzioni internazionali, tra cui i dati riferiti all’inventario globale delle emissioni di mercurio AMAP/UNEP 2013*, e ha quantificato il mercurio antropogenico emesso nel 2012 e depositato nel corso dello stesso anno nelle diverse zone di pesca. I ricercatori hanno, quindi, valutato la persistenza di tale inquinante tramite l’analisi del pesce consumato negli anni successivi (anni 2012-2021, il mercurio, infatti, è un inquinante persistente che ha effetti a lungo termine negli ecosistemi), e stimato la sua firma in ‰, sul pesce proveniente dalle varie “zone di pesca” consumato nel mondo.

Se nel Mar Mediterraneo -ovvero la zona di pesca 37- l’impatto maggiore è dato dalle emissioni di mercurio dagli impianti di produzione di energia presenti in Europa, a livello globale emerge che il settore produttivo che ha maggiore impatto in tutte le zone di pesca è quello delle miniere d’oro artigianali e su piccola scala (ASGM), mentre l’area geografica in cui sono maggiori le emissioni che favoriscono la contaminazione da mercurio è l’Asia Orientale.

Per quanto riguarda il Mar Mediterraneo, tra gli impianti di produzione di energia, quelli alimentati a carbone contribuiscono in modo quasi totalitario (oltre il 95%) all’inquinamento da mercurio. La maggior parte di queste emissioni provengono dall’Europa centrale e orientale (quasi il 40%) e dalla Germania (il 25%), mentre l’Italia contribuisce solo per il 2%.

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Fonte: cnr.it