Plastica e rifiuti in mare: molti derivano da attività marine

Rifiuti in mareL’Ispra (il centro studi del ministero dell’Ambiente) e la marineria di Chioggia hannno presentato alcuni i  risultati del progetto ML-REPAIR (REducing and Preventing, an integrated Approach to Marine Litter Management in the Adriatic Sea): in 10 mesi (da luglio 2018 ad aprile 2019) 6 barche della marineria di Chioggia hanno raccolto 14206 kg (14 tonnellate) di rifiuti in Alto Adriatico con l’iniziativa Fishing for Litter (FFL).

Un campione di 1196 kg (1 tonnellata) di rifiuti è stata analizzata da ricercatori ISPRA per determinare tipologia, materiale e possibili fonti degli oggetti trovati, per un totale di più di 7000 oggetti. Questi alcuni risultati:

  • Composizione: La plastica rappresenta da sola il 66% in peso dei rifiuti analizzati, seguita da materiale misto (16%), gomma (10%), tessile (5%) e metallo (3%), mentre carta, legno lavorato e vetro non rappresentano insieme neanche l’1% del totale.
  • Origine:

– La maggior parte degli oggetti raccolti (33% in peso) è costituita da oggetti di uso comune, molti dei quali usa e getta, come bottiglie, buste di plastica, lattine e imballaggi alimentari.

– Il 28% del peso degli oggetti presenti è invece riconducibile ad attività di mitilicoltura, in particolare sono state trovati ingenti quantitativi di retine utilizzate per l’allevamento delle cozze. Il 22% in peso dei rifiuti pescati dal fondo proviene da attività dipesca commerciale, in gran parte costituiti da pezzi di rete e strutture in gomma utilizzate per proteggere la parte di rete a contatto con il fondo. Il 16% è costituito da oggetti riconducibili ad attività legate al mare e alla navigazione, come ad esempio cime, cavi, parabordi, boe e galleggianti. Infine, gli oggetti connessi alla piccola pesca, come le reti da posta, le nasse e trappole, costituiscono lo 0,5% del totale analizzato.

Il settore della pesca può quindi contribuire significativamente alla risoluzione della problematica dei rifiuti in mare. In particolare, può avere un ruolo importante sia in termini di prevenzione, tramite un corretto smaltimento degli attrezzi da pesca dismessi, sia tramite la rimozione attiva dei rifiuti dal fondale durante le attività di pesca (Fishing for Litter).

I rifiuti depositati sui fondali marini provengono in gran parte da terra, arrivando al mare tramite i fiumi, il sistema fognario e dispersi dal vento, quando non intenzionalmente gettati. Il Fishing for Litter consiste nel facilitare il conferimento a terra, da parte dei pescatori, dei rifiuti che giornalmente restano intrappolati nelle reti durante le attività di pesca, un “servizio” per la società che molti di loro decidono di fare su base volontaria.

A cura della segreteria SIMeVeP




22kg di plastica nella pancia del capodoglio, il lavoro dei veterinari IZS

CapodoglioI veterinari dell’Istituto Zooprofilattico della Sardegna sono intervenuti, come da prassi, a seguito del ritrovamento di un capodoglio spiaggiato nei pressi di Porto Cervo per eseguire il primo sopralluogo e l’esame anatomo-patologico.

Per conoscere le cause certe della morte del cetaceo si dovrà attendere l’esito delle analisi, per cui saranno necessarie alcune settimane. Il solo rinvenimento della plastica non spiega di per sé la morte del cetaceo, le cui cause dovranno essere ora individuate attraverso esami specifici” afferma l’IZS in un comunicato che riportiamo integralmente poichè illustra il ruolo dei veterinari in questi casi:

«Venerdì 29 marzo un capodoglio, giovane femmina della lunghezza di otto metri, è stato trovato spiaggiato venerdì scorso a Cala Romantica, vicino Porto Cervo, nel nord-est della Sardegna.Il sopralluogo preliminare è stato svolto dai veterinari dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna della ASl, unitamente a Capitaneria di porto e personale del comune di Arzachena.

In seguito al sopralluogo, verificata l’impossibilità di svolgere la necroscopia sul luogo di ritrovamento, è stato concordato di spostare la carcassa in un’area idonea, dove eseguire tutti gli accertamenti sanitari e smaltire i resti. La rimozione del cetaceo e il trasporto sono stati effettuati grazie alla preziosa opera di Vigili del fuoco, Capitaneria di porto e Comune. Nella giornata di sabato 30 i veterinari dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, di concerto con il CERT (Cetaceans Stranding Emergency Response Team) della facoltà di Veterinaria di Padova hanno effettuato la necroscopia. Queste operazioni sono state eseguite secondo il protocollo operativo della Rete Nazionale Spiaggiamenti concordato dai Ministeri della Salute e dell’Ambiente che attribuisce la competenza degli accertamenti sanitari all’IZS competente per territorio in caso di spiaggiamenti ordinari (cetacei di grandezza inferiori ai 5 metri) e IZS unitamente al CERT per gli spiaggiamenti straordinari (spiaggiamenti di massa o di animali superiori ai 5 metri).

Nel caso specifico si è evidenziato che la femmina di Capodoglio, gravida con feto di circa due metri e mezzo, presumibilmente morto già prima della madre, ed era in uno scarso stato di nutrizione e, al momento del ritrovamento, in avanzato stato di decomposizione. Lo stomaco era ostruito da 22 kg di materiale plastico (sacchetti, piatti, tubi, e materiale vario), questo, unitamente alla mancanza di materiale alimentare, se non numerosi becchi di calamari, sta a testimoniare che l’animale non si alimentava da vario tempo. Per conoscere le cause certe della morte del cetaceo si dovrà attendere l’esito delle analisi, per cui saranno necessarie alcune settimane. Il solo rinvenimento della plastica non spiega di per sé la morte del cetaceo, le cui cause dovranno essere ora individuate attraverso esami specifici.

Purtroppo” – rileva il dott. Pintore – “l’ingestione di materiale plastico è sempre più diffusa e costituisce un reperto molto frequente negli animali che vivono in ambiente marino, sia che si tratti di cetacei che di tartarughe, causandone il progressivo indebolimento e anche la morte.”»




Slowfish 2019: consumare le specie aliene per limitarne la diffusione

Banco di pesceA Slow Fish 2019, appena concluso  si è parlato anche di cambiamento climatico e specie aliene. Lo ha fatto Gabriele Volpato, dell’Università di Scienze Gastronomiche, presentando la complessa relazione tra pesca e cambiamenti climatici.

Al 2018 sono state calcolate 263 specie non indigene nelle acque italiane, di cui il 68% ha stabilito popolazioni stabili lungo le nostre coste.

Nel mar Mediterraneo le specie autoctone sono in sofferenza mentre specie invasive come il barracuda giallo prosperano, e cefalopodi e meduse rappresentano una percentuale crescente di biomassa. Spiega Volpato, «dobbiamo adattare le nostre abitudini di consumo a questa nuova realtà. Il mahi-mahi si trova regolarmente nel nord del Mediterraneo, e sarebbe saggio iniziare a mangiare questo, piuttosto che esercitare la nostra pressione sulle specie autoctone».

I dati ci dicono che «la bioinvasione nel Mediterraneo è in costante aumento e, per quanto riguarda le specie provenienti dal Mar Rosso, il cambiamento climatico ha avuto un effetto determinante, sia attraverso la modifica delle correnti, che hanno consentito l’arrivo di queste specie dai mari orientali, sia rendendo l’ambiente più favorevole a specie tropicali» aggiunge Franco Andaloro, esponente del Comitato scientifico di Slow Fish. «Quindi se da un lato si riducono le specie introdotte volontariamente dall’uomo con l’acquacoltura, dall’altro aumenta la migrazione di quelle che arrivano attraverso il canale di Suez. La conservazione dell’ambiente è essenziale in quanto si è evidenziato che le specie aliene sono meno presenti in ambienti sani e protetti».

Un tema analizzato all’interno del programma di Slow Fish, dove cuochi e pescatori si sono confrontati e hanno raccontato come stanno cercando di trasformare un problema in una risorsa. «È infatti importante un loro utilizzo alimentare per limitarne la diffusione», conclude Andaloro.

A cura della segreteria SIMeVeP




Microplastiche e nanoplastiche nei prodotti ittici. Quali rischi per l’uomo?

microplasticheÈ stata pubblicata a giugno 2016, da parte del gruppo di esperti scientifici sui contaminanti nella catena alimentare (CONTAM) dell’EFSA, una relazione sulla presenza di particelle di microplastica e nanoplastica negli alimenti,  in particolare nei prodotti ittici

Il CONTAM ha provveduto a effettuare un riesame della letteratura scientifica attualmente disponibile in materia e a valutare  il rischio di esposizione per l’uomo attraverso il consumo di alimenti contaminati.

Il Ceirsa, Centro interdipartimentale di Ricerca e documentazione sulla sicurezza alimentare della Regione Piemonte- ASL TO 5, propone una sintesi del Documento “EFSA Panel on Contaminants in the Food Chain  – Presence of microplastics and nanoplastics in food, with particular focus seafood”.

Tenuto conto del fatto che i dati attualmente presenti su concentrazioni, tossicità e tossicocinetica sono estremamente ridotti e riguardano esclusivamente le microplastiche, mentre la comunità scientifica non dispone ancora di informazioni per quanto riguarda le nanoplastiche, dal documento Efsa emerge un  rischio di esposizione per l’uomo alle microplastiche in seguito al consumo di pesce basso, dal momento che nella maggior parte dei casi stomaco e intestino dei pesci vengono eliminati.

Il rischio può invece risultare maggiore quanto riguarda i molluschi bivalvi e i crostacei, di cui viene consumato il tratto gastroenterico.

In ogni caso l’Efsa in conclusione raccomanda un’ulteriore implementazione e standardizzazione dei metodi analitici per il rilevamento delle micro e nanoplasticheper al fine di valutare la loro presenza e quantificarla negli alimenti. Si rendono inoltre necessari ulteriori studi volti ad approfondire la tossicocinetica e tossicità di tali composti sia negli organismi marini che nell’uomo.

A cura della segreteria SIMeVeP




Annuario dati ambientali ISPRA: quasi 3.200 specie aliene minacciano biodiversità in Italia

Spreco alimentareBiodiversità, Clima, Inquinamento atmosferico, Qualità delle acque interne, Mare e ambiente costiero, Suolo, Rifiuti, Agenti fisici sono solo alcuni dei temi trattati nell’edizione 2018 dell’Annuario dei dati ambientali ISPRA, la pubblicazione scientifica di dati statistici e informazioni sull’ambiente realizzata dall’Istituto in stretta collaborazione con il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA).

La fauna in Italia conta oltre 60.000 entità. Volendo fare un confronto con l’Europa tra gli insetti, gli Ortotteri (grilli e cavallette) sono circa il triplo di quelli della Polonia, il decuplo della Gran Bretagna e della Norvegia e oltre 150 volte quelli dell’Islanda e il numero di specie dei Lepidotteri (farfalle) è più del doppio di quello della Gran Bretagna.

Resta alto il livello di minaccia: 120 specie di vertebrati terrestri sono minacciate per la perdita e la degradazione di habitat; sono 3.182 specie alloctone introdotte in Italia e potenzialmente invasive; tra i vertebrati, sono minacciati gli anfibi (36%) e i pesci ossei di acqua dolce (48%). Particolarmente minacciate il 42% delle 202 specie tutelate dalla Direttiva Habitat.

L’annuario misura anche la consistenza zootecnica nazionale delle principali specie allevate: rispetto al 2016, per la specie bovina continua il trend crescente, sebbene in misura più contenuta rispetto a quello registrato nel 2015. In crescita anche la specie bufalina con un incremento del 4,1%. Per la specie suina si osserva un leggero incremento (+1,1%) rispetto alla flessione registrata nel 2016. In leggera flessione la consistenza del patrimonio ovino, mentre la specie, caprina alla fine del 2017 risulta in netto arretramento (probabilmente dovuto alle restrizioni sui pascoli). Anche per gli equidi si registra una diminuzione del patrimonio complessivo con variazioni rilevanti nella  composizione tra le specie, con una notevole diminuzione dei cavalli a favore della componente asinina e degli ibridi (muli e bardotti) che, rispetto all’inizio del decennio, risultano aver quasi raddoppiato la loro consistenza

Dall’indagine campionaria condotta dall’ISTAT presso le aziende agricole che praticano allevamento,
emerge che in Italia, nel 2017 gli animali allevati sono oltre 9 milioni di bovini, 8,5 milioni di suini, 7,2
milioni di ovini e quasi 1 milione di caprini.

Per quanto riguara le tipologie dei capi allevati con metodo biologico in Italia il pollame (2.903.532 capi) e gli ovini (736.502 capi) sono le tipologie zootecniche maggiormente presenti nelle azienda biologiche.

Capitolo agricoltura

Capitolo pesca e acquacoltura

A cura della segreteria SIMeVeP

 

 




Consumo consapevole dei prodotti ittici, campagna informativa Assoittica

Per diffondere il consumo consapevole di prodotti ittici,  Assoittica Italia – l’Associazione Nazionale delle Aziende Ittiche che riunisce Aziende operanti, in tutto o in parte, nel settore ittico – ha lanciato in questi giorni una campagna d’informazione rivolta ai consumatori sui numerosi effetti positivi per la salute apportati da una dieta ricca di prodotti ittici.

Le informazioni inerenti la filiera ittica divulgate dai media spesso lasciano il consumatore in balia di allarmismi che disorientano e destabilizzano; sono state quindi predisposte  una serie di locandine semplici, fruibili e immediate che vengono pubblicate in momenti diversi in concomitanta con le festività natalizie con l’intento di raggiungere e informare il più possibile un consumatore sempre più attento ai prodotti, alla loro origine, alla biodiversità, alle caratteristiche nutrizionali e agli aspetti di sostenibilità.

La prima locandina pubblicata è dedicata al consumo di pesce e prodotti ittici in età scolare:

La seconda è sull’importanza del consumo di pesceper lo sviluppo del bambino, sia durante la gravidanza che nei primi anni di vita:

 

Le successive sono dedicate al contributo che il consumo regolare di prodotti ittici apporta all’invecchiamento sano, alla pratica sportiva, all’attività della serotonina, al contrasto dell’osteoporosi, allo sviluppo della vista nel bambino.

La campagna rientra nel progetto europeo SEAFOOD TOMORROW  acui Assoittica Italia, insieme a 35 partner europei, partecipa.

A cura della segreteria SIMeVeP




Intelligenza artificiale per contare i pesci del mare

Banco di pesceIn un recente articolo, pubblicato sulla rivista Scientific Report, un team internazionale di ricercatori
coordinato dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Imar), in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), l’Università Politecnica della Catalogna ed il Consiglio superiore di ricerca scientifica spagnolo (Csic), dimostra come la computer vision e l’intelligenza artificiale siano in grado di cambiare il modo in cui valutiamo l’abbondanza delle specie ittiche e le sue variazioni temporali.

“La tecnica messa a punto si basa su una metodologia di apprendimento automatico supervisionato,
ovvero un insieme di processi matematici che permettono ai computer di imparare a riconoscere e
contare in modo automatico individui fotografati nel loro ambiente naturale o i n prossimità di
strutture artificiali di osservazione”, spiega Simone Marini di Cnr -Ismar, coordinatore del team internazionale. “L’applicazione di questi algoritmi su migliaia di immagini dimostra come il
metodo possa essere utilizzato per tracciare in maniera affidabile le variazioni temporali di
abbondanza di pesci in diverse condizioni operative“.

Questa nuova metodica rappresenta un importante avanzamento per lo studio delle risorse e delle sue
variazioni, applicabile ad una grande varietà di ambienti come: le aree marine protette, le zone
costiere, le aree di mare aperto, sino alle zone più profonde degli oceani. La tecnologia si rivela di
particolare importanza anche per monitorare gli impatti antropici e le rapide conseguenze del
cambiamento climatico

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Farina di Gambero rosso della Louisiana nei mangimi per acquacoltura

gambero rosso della LouisianaSono stati presentati i risultati relativi al primo anno di attività del progetto SUSHIN, “SUstainable fiSH feeds INnovative ingredients”, che ha visto impegnati i ricercatori del Centro di Zootecnia e Acquacoltura del Consiglio per la ricerca in agricoltura e analisi dell’economia agraria (CREA), in collaborazione con l’Ente Parco Nazionale del Circeo e il Reparto Carabinieri per la Biodiversità di Fogliano, nel contenimento del Gambero rosso della Louisiana, una specie aliena invasiva presente in alcune aree del Parco, come le zone umide di Caprolace, Fogliano e Monaci.

Tale attività sperimentale, volta allo studio di potenziali ingredienti innovativi e sostenibili in acquacoltura, ha permesso la cattura di oltre 23.000 gamberi, limitando l’espansione di questa specie dannosa nel Parco.

Il progetto SUSHIN, infatti, ha come principale obiettivo quello di implementare soluzioni mangimistiche innovative per gli allevamenti di pesce italiani, salvaguardando la qualità e la sicurezza alimentare del prodotto ittico. Per far questo intende reperire e testare nuove materie prime per la formulazione di mangimi da acquacoltura che rispondano anche a esigenze di sostenibilità ambientale. In questo anno di attività, i ricercatori del Crea hanno sperimentato, insieme ad altre materie prime sottoutilizzate, una farina ottenuta da questo crostaceo. Tale farina ottenuta dal Gambero rosso della Louisiana è stata identificata come uno dei possibili ingredienti per i mangimi da acquacoltura da testare su specie allevate quali orata e trota iridea.

Siamo soddisfatti per i risultati raggiunti in questo anno di attività, è stato fatto un importante passo avanti in ambito di agricoltura biologica e sostenibilità ambientale, proprio perché trasformano questa seria minaccia per la biodiversità del Parco in mangime negli allevamenti di pesce certificati bio – dichiara il direttore dell’Ente Parco Paolo Cassola – E’ solo l’inizio di un duro e importante lavoro per salvaguardare il patrimonio naturalistico dell’area protetta e non solo“.

Fonte: Progetto Ager




Cetacei spiaggiati, il report 2017

spiaggiamentiSono 212 i cetacei spiaggiati lungo le coste italiane nel corso del 2017, 44 in meno rispetto all’anno precedente. Lo rileva, nel report annuale, il Centro di Referenza Nazionale per le Indagini Diagnostiche sui Mammiferi marini spiaggiati (C.Re.Di.Ma), istituito dal Ministero della Salute presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta.

Nella maggior parte dei casi si tratta di tursiopi (41,5%) e stenelle (33.9%). Gli eventi di spiaggiamento per gli altri mammiferi marini sono risultati sporadici.

Gli IIZZSS, coordinati dal C.Re.Di.Ma, hanno effettuato accertamenti diagnostici sul 50% degli esemplari spiaggiati, l’11% in più rispetto a quanto osservato nel 2016 e sono riusciti ad avanzare ipotesi di causa di morte per 69 soggetti:

  • nel 66.6% dei casi è stata accertata l’origine infettiva, confermando la persistente circolazione nei nostri mari di agenti virali (Morbillivirus, Herpesvirus) e protozoari (Toxoplasma gondii). Il riscontro sporadico di Brucella ceti, Salmonella typhimurium variante monofasica ed Erysipelothrix rhusiopathiae evidenzia la presenza di agenti zoonotici, importanti anche per l’impatto sulla salute pubblica; l’isolamento di 3 ceppi di Listeria monocytogenes nell’area tirrenica, conferma la contaminazione da agenti di origine terrestre nel Santuario Pelagos, a seguito della prima segnalazione nel 2015 in Liguria;
  • nel 29% dei casi la causa di morte è stata attribuita ad un’origine antropica;
  • nel 4.3% la morte è sopraggiunta per patologie naturali non infettive;
  • Nel 35% dei casi esaminati non è stato possibile avanzare ipotesi per le cause del decesso soprattutto per il cattivo stato di conservazione delle carcasse.

Consulta il Report C.Re.Di.Ma 2017 sullo spiaggiamento dei cetacei

Fonte: Ministero della salute




PCB e orche

OrcaIn un recente articolo pubblicato sulla prestigiosa Rivista Science dal Dr Jean Pierre Desforges e Collaboratori è stato predetto un drammatico declino numerico, superiore al 50%, che di qui alla fine di questo secolo interesserà la popolazione mondiale di orche (Orcinus orca).

La causa di questo impressionante calo demografico è stata ascritta dagli Autori del succitato articolo alle elevate concentrazioni di policlorobifenili (PCB) che le orche, in ragione del comprovato ruolo di “predatori apicali” che le colloca ai vertici delle catene trofiche marine, riescono ad accumulare nei propri tessuti corporei, specialmente a livello del “blubber”, vale a dire del grasso sottocutaneo.

Nonostante i 40 anni oramai trascorsi dalla messa al bando da parte degli USA dei PCB, contaminanti ambientali persistenti chimicamente affiliati alle famigerate diossine ed all’altrettanto famigerato DDT, pure messo al bando nel 1970, i livelli effettivi e/o presunti di tali sostanze nel blubber di esemplari appartenenti a più popolazioni di orche popolanti i diversi mari ed oceani del Pianeta verrebbero considerati da Desforges e Collaboratori pienamente capaci di inficiare lo stato di salute e di conservazione della specie, provocandone appunto nel giro dei prossimi 80 anni la drammatica contrazione numerica anzidetta.

All’articolo in parola ha fatto seguito la pubblicazione, ancora su Science, di una “Letter to the Editor” congiuntamente firmata dal Professor Giovanni Di Guardo, Docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Universita’ di Teramo, nonché dal Professor Antonio Fernandez, Docente di Anatomia Patologica Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Universidad de Las Palmas de Gran Canaria.

I due Studiosi, pur concordando sull’opportunità dell’ “allerta” generato dal contributo di Desforges e Collaboratori, osservano tuttavia che, in virtù del cospicuo numero di contaminanti chimici che le orche – al pari di tutti gli altri Cetacei Odontoceti -sarebbero in grado sia di accumulare sia di “biomagnificare” contestualmente in ambito tissutale, risulterebbe molto difficile se non addirittura impossibile “dissezionare” l’azione patogena esplicata dai soli PCB rispetto a quella svolta dalle altre sostanze presenti nelle succitate “miscele”. Inoltre, i potenti effetti immunotossici, unitamente a quelli esercitati sul sistema endocrino e sulla biologia riproduttiva dell’ospite da parte dei PCB, ricalcano in larga misura quelli esplicati da altri contaminanti ambientali, organoclorurati e non-organoclorurati, cosicché risulterebbe pressoché impossibile definire con precisione “chi fa cosa”.

La tossicità dei PCB sulle orche dovrebbe esser parimenti messa in relazione, commentano Di Guardo e Fernandez, sia con i livelli di espressione dei recettori per tali composti (AHR) presenti nei tessuti di tale specie cetologica sia con le capacità metaboliche della stessa nei confronti dei PCB, senza peraltro dimenticare l’importante ruolo svolto dalle micro-nanoplastiche quali “attrattori, concentratori e trasportatori” di molteplici contaminanti ambientali persistenti, che a seguito di catastrofici eventi quali gli “tsunami” potrebbero esser così veicolati a grandi distanze.

Pertanto, concludono Di Guardo e Fernandez, sono necessari ulteriori, approfonditi studi finalizzati a definire il reale impatto dei PCB sulle popolazioni di orche a livello globale.

Fonte: Comunicato stampa