Lo sviluppo del settore della carne coltivata dovrebbe preoccupare i veterinari?
La carne coltivata, impropriamente chiamata carne sintetica o artificiale, viene prodotta attraverso un processo di coltivazione in vitro di linee cellulari staminali prelevate direttamente dall’animale donatore. E’ una industria emergente, in una fase iniziale e presenta sfide tutte da superare, come i costi di produzione elevati, efficienza energetica, rischi microbiologici e chimici, accettazione da parte dei consumatori e sviluppo di mercati oligopolistici. Va osservato, tuttavia come i risultati di studi condotti negli ultimi anni la rendono, in una prospettiva a lungo termine, una alternativa ecologica alla produzione di carne convenzionale in quanto più sostenibile ed efficiente per soddisfare il fabbisogno proteico di una popolazione mondiale in rapida crescita. La carne coltivata è un’idea futuristica che deve essere vista come una preziosa opportunità, insieme alle alternative vegetali e proteiche per la transizione proteica sostenibile ed ecologica. Non è in antitesi rispetto all’allevamento tradizionale che negli ultimi anni, grazie alle nuove tecnologie di precisione e genetica innovativa e bio-sicurezza, ha garantito l’efficienza produttiva con ridotte emissioni e minore impatto ambientale. La transizione della carne coltivata dai laboratori agli impianti di produzione richiederà maggiori investimenti per la ricerca su efficienza dei bio-processi , ottimizzazione delle tecnologie, definizione di criteri per la valutazione della sicurezza. Allo stesso tempo andrà sviluppato un quadro normativo nazionale ed internazionale con standard di sicurezza alimentare di benessere animale e sostenibilità ambientale ed affrontate le questioni sociali e politiche, da cui derivano posizioni indebitamente polarizzate anche all’interno di gruppi di interesse notoriamente omogenei come ambientalisti e difensori dei diritti degli animali. La comunicazione giocherà un ruolo chiave, soprattutto quella rivolta ai non esperti (clienti, consumatori) e parti interessate (allevatori, legislatori, politici). Attualmente la ricerca sulla carne coltivata soffre di un approccio frammentato e isolato in diversi settori (ad esempio economia, alimentazione, salute, biotecnologia e ambiente), un gap che deve essere colmato promuovendo la collaborazione multidisciplinare tra industria, gruppi di ricerca, mondo accademico e autorità di regolamentazione e la condivisione dei database scientifici sia pubblici che privati. La ricerca necessita di modelli accurati. Per averli, c’è bisogno di dati migliori su cellule, composizione della biomassa, cinetica e consumo dei nutrienti ed efficienza energetica.
Nuove competenze veterinarie? I sistemi di controllo ufficiale oggi applicati alla carne convenzionale, dovranno essere adattati alle specificità dei nuovi contesti produttivi della carne coltivata ed avvalersi di nuovi strumenti e know how per la prevenzione e gestione dei rischi connessi ai diversi passaggi del processo di produzione e commercializzazione. Il passaggio dalla carne tradizionale a quella alternativa – che richiederà tempo per ragioni economiche e socio-culturali – solleva alcune preoccupazioni all’interno della professione veterinaria. I veterinari si stanno già chiedendo quale sarà l’impatto sul loro futuro professionale e se quelli che operano negli allevamenti – la categoria più vulnerabile nel mondo futuro della carne alternativa – sopravvivranno. Il sentimento comune è che la carne coltivata influenzerà da un lato gli allevatori e la comunità rurale, dall’altro produrrà un cambiamento tettonico nella professione. È indubbio che i veterinari avranno un ruolo fondamentale nel processo di bio-produzione di carne coltivata, a cominciare dalla valutazione della sanità e storia clinica degli animali donatori di linee cellulari, una fase ritenuta un fattore di rischio microbiologico e per l’attività di supervisione e verifica della conformità degli impianti di produzione e dei processi ai requisiti di sicurezza alimentare. Se i veterinari vogliono continuare a svolgere un ruolo chiave in un prospettiva a lungo termine – che è la scala temporale necessaria per trovare la carne coltivata sugli scaffali dei supermercati – dovranno reiventarsi. E non sarà la prima volta. La storia ci racconta che la professione veterinaria a partire dalla seconda rivoluzione industriale del XIX secolo, ha dovuto far fronte a diverse crisi esistenziali generate da trasformazioni socio-economiche del sistema produttivo industriale. Il cavallo, linfa vitale della professione, iniziò a perdere valore economico e fu sostituito dalle reti ferroviarie e in seguito dalle automobili. Negli Stati Uniti, molte scuole veterinarie chiusero negli anni ’20 per un forte calo del numero di cavalli. Ma altri cambiamenti arrivarono forieri di nuovi sbocchi professionali legati ai programmi di eradicazione delle malattie contagiose animali e allo sviluppo della medicina per animali da compagnia a partire dagli anni ’60. Il settore della carne coltivata confermerà le responsabilità dei veterinari in materia di sanità animale e sicurezza alimentare e aprirà nuove opportunità in molteplici aree scientifiche. L’allineamento della professione veterinaria alle nuove tecnologie richiederà la convergenza della ricerca in campo veterinario con altre discipline scientifiche, tra cui biotecnologia, biochimica, metabolomica, bioingegneria, ingegneria tissutale, ingegneria di processo, zootecnia, solo per citarne alcune. L’istruzione, la formazione e la motivazione sono fattori chiave per sviluppare nuove competenze veterinarie a beneficio della professione, della società, degli animali e dell’ambiente.
E’ molto probabile che la domanda di carne tradizionale continuerà a crescere per almeno un altro decennio prima di rallentare, momento in cui quella alternativa prenderà sempre più il sopravvento. Le stime fornite dalla società di consulenza AT Kearney prevedono che tra venti anni la carne coltivata rappresenterà il 35% del mercato della carne, mentre quella convenzionale solo il 40% . Con questo orizzonte, le innovazioni tecnologiche e le preoccupazioni ambientali potrebbero dare impulso al settore, unitamente ad un riconoscimento delle competenze veterinarie, in primis in quei paesi che hanno adottato un approccio politico più progressista alla lotta al cambiamento climatico, che, lo ricordiamo, è un campanello d’allarme per reinventare le nostre economie secondo principi etici, di sostenibilità ed efficienza, ripensare i consumi e riprogettare i nostri rapporti con la natura e all’interno delle nostre comunità.
Dott. Maurizio Ferri, Coordinatore scientifico della SIMeVeP