Lo stress termico ha un effetto drammatico sugli animali selvatici e sull’intero ecosistema

Cambiamenti climaticiLo stress termico prolungato, connesso alla disidratazione e all’impossibilità di dissipare calore, può avere effetti drammatici sugli animali selvatici, in particolare sugli uccelli, fino a condurre alla morte. Per evitare questo esito infausto, basterebbe avere alcuni accorgimenti nella progettazione e costruzione delle strutture destinate ad ospitarli.

Ecco la conclusione a cui sono giunti i ricercatori dell’Università degli Studi di Milano e dell’Università di Padova che, assieme all’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), al CNR-IRSA e alla Provincia di Matera, hanno appena pubblicato i risultati dell’esperimento empirico su Global Change Biology, in Open Access.
L’aumento di frequenza e intensità delle ondate di calore nell’area mediterranea negli anni recenti, una conseguenza della crisi climatica in atto, sta infatti avendo profonde ripercussioni sulla biodiversità di questa zona, ma lo studio degli effetti degli eventi estremi è tuttavia complicato dalla loro relativa imprevedibilità temporale e richiede studi di lungo periodo.

 Lo studio è stato condotto a Matera durante le ondate di calore che hanno investito il sud Italia nel giugno 2021 e 2022, dove si sono registrate temperature superiori a 37°C per più giorni consecutivi, condizioni estreme di temperatura mai verificate in quest’area nei 20 anni precedenti. I ricercatori hanno sperimentato una metodologia innovativa di raffrescamento dei nidi, per quantificare sperimentalmente l’effetto dell’esposizione a ondate di calore intense e prolungate sul successo riproduttivo di una specie di uccello rapace coloniale caratteristico delle regioni mediterranee, il falco grillaio (Falco naumanni).

Matera ospita infatti ospita una delle maggiori colonie riproduttive mondiali di questa specie, con circa un migliaio di coppie nidificanti, ed è parte integrante del patrimonio culturale della città. Un tempo estremamente abbondante, il falco grillaio è un piccolo rapace migratore (circa 140 g) di interesse conservazionistico a livello europeo, tutelato dalla Direttiva Uccelli, che ha subito un drastico declino delle popolazioni nella seconda metà del secolo scorso, causato dall’intensificazione agricola e da eventi di siccità nella regione del Sahel dove trascorre l’inverno.

Nelle regioni mediterranee, la specie nidifica in aree urbane, in cavità di edifici, monumenti e pareti rocciose, e frequenta spesso cassette nido posizionate appositamente dai ricercatori per studiarne l’ecologia e il comportamento riproduttivo e per favorirne la conservazione.

Il raffrescamento sperimentale è avvenuto mediante una semplice ombreggiatura delle cassette nido, che ha consentito di abbassare la temperatura interna delle cassette nido di circa 4°C rispetto a quelle non ombreggiate. Il successo riproduttivo della specie nelle cassette nido non schermate è stato drammaticamente ridotto: solo un terzo delle uova deposte ha generato pulcini pronti all’involo, mentre nelle cassette nido ombreggiate tale valore rientra nella norma (circa 70%). Nelle cassette nido non ombreggiate si sono verificati diffusi episodi di mortalità dei pulcini, tutti in corrispondenza con le giornate più calde (con temperatura dell’aria superiore a 37°C all’ombra e temperature interne delle cassette nido superiori a 44°C), mentre tali eventi sono risultati molto rari nelle cassette nido ombreggiate. Inoltre, i pulcini cresciuti in cassette nido schermate sono risultati essere in condizioni fisiche decisamente migliori e di taglia maggiore, caratteristiche che ne promuovono la sopravvivenza una volta involati.

“Questi risultati evidenziano come fenomeni di temperature estreme, in passato estremamente rari e in alcuni casi mai registrati prima, possano avere effetti profondi e molto rapidi sulle popolazioni di animali selvatici. Considerato che gli scenari di cambiamento climatico prevedono un ulteriore aumento della frequenza e intensità delle ondate di calore nei prossimi decenni, in particolare nella regione mediterranea, ciò potrebbe rappresentare una ulteriore grave minaccia per la biodiversità delle regioni colpite”spiega il prof. Diego Rubolini dell’Università Statale di Milano.

Tra l’altro, l’attuale persistenza dell’anticiclone africano ha determinato nel 2023 condizioni ancora più calde rispetto al 2021-2022 e i risultati preliminari delle nostre attività di monitoraggio indicano un effetto ancora peggiore sui falchi grillai rispetto a quanto osservato in precedenza.
“Questi risultati suggeriscono anche che limitati accorgimenti nella progettazione e costruzione di strutture destinate ad ospitare animali selvatici, come un incremento dell’isolamento termico delle cassette nido, debbano essere attentamente considerati in quanto possono favorire in maniera significativa il successo dei progetti di conservazione in uno scenario di riscaldamento globale”conclude il prof Andrea Pilastro, dell’Università di Padova.
Lo studio è stato realizzato con il parziale supporto del programma di finanziamento LIFE della Comunità Europea (progetto LIFE FALKON, www.lifefalkon.eu) e del MUR (PRIN 2017).

Fonte: lescienze.it




Biodiversità. Gambero della Lousiana diventa cavia per un progetto di studio nell’Appennino

“A cura dell’Ateneo parmigiano – rende noto Francesco Vincenzi, Presidente di ANBI (Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue) – l’interessante progetto di ricerca mira ad elaborare protocolli per il monitoraggio dei livelli d’inquinamento da nano e micro plastiche, nonchè dei residui ambientali dell’antiparassitario ivermectina, rilevati nei gamberi rossi, considerati una specie sentinella; lo studio porterà alla stesura di lavori scientifici da pubblicare su riviste internazionali.”

A livello più complessivo, “Life Claw” (Crayfish lineages conservation in north-western Apennine), giunto al quarto dei previsti cinque anni di attività, punta a conservare e migliorare la popolazione di gamberi autoctoni (Austropotamobius pallipes) attraverso un programma di conservazione a lungo termine nell’area dell’Appennino NordOccidentale di Emilia-Romagna e Liguria.

“Significativo è che questa importante azione sia svolta, grazie anche alla partecipazione di volontari appartenenti a cinque associazioni piscatorie, che hanno accolto la proposta di collaborazione dopo essere stati formati dai partner di progetto con sessioni teoriche e pratiche” evidenzia Luigi Bisi, Presidente del Consorzio di bonifica di Piacenza.

Fonte: agricultura.it

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Individuata una seconda specie di granchio blu nel Mar Adriatico

Uno studio del Cnr-Irbim intercetta l’arrivo del Portunus segnis, una seconda specie aliena di crostaceo, rilevata dopo il Callinectes sapidus, che ha già colonizzato i settori più orientali del Mediterraneo. Il lavoro è pubblicato su BioInvasion Records

Dopo il Callinectes sapidus, granchio blu originario delle coste atlantiche americane che ha recentemente invaso le principali aree di produzione dei molluschi bivalvi dell’Adriatico con severi impatti ecologici ed economici nelle regioni del Veneto e dell’Emilia Romagna, un team di ricerca dell’Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irbim) di Ancona ha dimostrato la presenza nel Mar Adriatico di una seconda specie di granchio blu, il Portunus segnis, originario del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano occidentale.

Lo studio, pubblicato dalla rivista BioInvasion Records, fornisce la prima evidenza della presenza del granchio blu del Mar Rosso nel Mar Adriatico.

“Il granchio blu del Mar Rosso, morfologicamente ed ecologicamente simile al granchio blu Atlantico C. sapidus, ha già colonizzato, attraverso il Canale di Suez, i settori più orientali del Mediterraneo, con conseguenze inizialmente drammatiche per la pesca tunisina. Questa specie è oggi una delle risorse di pesca più importanti per la Tunisia, trasformata e commercializzata nei mercati esteri”, afferma Ernesto Azzurro, dirigente di ricerca del Cnr-Irbim. “Anche il granchio blu del Mar Rosso – come il granchio blu americano – trova il suo habitat ideale tra gli ambienti lagunari e il mare aperto e può sviluppare popolazioni con altissime abbondanze”.

La specie, oggi segnalata nella regione Marche (Ancona) grazie alla cattura di un singolo esemplare, era stata già osservata in Sicilia.

Fonte: CNR

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Linee guida per monitoraggio biotossine nelle aree di produzione e stabulazione molluschi bivalvi

L’Ufficio 2 – Igiene degli alimenti ed esportazioni della Direzione Generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e della nutrizione del Ministero della Salute ha diffuso una nota sulla pubblicazione delle Linee Guida per la valutazione del rischio per la gestione uniforme del monitoraggio delle biotossine marine nelle aree di produzione e stabulazione dei molluschi bivalvi a livello nazionale.

Il Regolamento (UE) 2019/627, in conformità al regolamento (UE) 2017/625, stabilisce, per i molluschi bivalvi, che nei periodi di raccolta la frequenza del campionamento ai fini dell’analisi delle tossine abbia cadenza settimanale. Tuttavia, tale frequenza può essere ridotta o aumentata in determinate zone classificate di stabulazione o di produzione o per determinati tipi di molluschi bivalvi vivi in base a una valutazione del rischio dell’Autorità Competente relativa alla presenza di tossine o fitoplancton.

Lo scopo delle Linee Guida è quindi quello di fornire un supporto alle Autorità Competenti (AC) regionali e locali per l’elaborazione della valutazione del rischio che può portare a una diminuzione o a un aumento della frequenza dei controlli.

Sul sito del Laboratorio Nazionale di Riferimento per il monitoraggio delle biotossine marine (LNR-BM) Centro Ricerche Marine di Cesenatico (CRM) sono disponibili quattro documenti:

  • Procedura Operativa per la Valutazione del Rischio;
  • Modulo per la Valutazione del Rischio;
  • Esempio di compilazione Modulo Valutazione del Rischio;
  • Istruzioni Operative Monitoraggio fitoplancton tossico.

La valutazione del rischio è soggetta ad una rivalutazione periodica e deve necessariamente essere riportata in modo completo dalle AC in un documento ufficiale a giustificazione della riduzione della frequenza settimanale per il monitoraggio delle biotossine marine nei molluschi bivalvi. Questa procedura può essere soggetta a modifiche e/o integrazioni, in relazione all’evoluzione delle conoscenze scientifiche ed in base all’esperienza acquisita dalle stesse AC dall’applicazione dei Regolamenti Comunitari.

Per approfondire consulta la pagina dedicata del sito del Laboratorio Nazionale di Riferimento per il monitoraggio delle biotossine marine (LNR-BM) Centro Ricerche Marine di Cesenatico




Pubblicato il rapporto “Clima in Italia nel 2022”

Cambiamenti climaticiIl Rapporto “Clima in Italia nel 2022”, pubblicato dall’ISPRA con cadenza annuale dal 2006, quest’anno diventa un prodotto SNPA. Grazie al coinvolgimento del Sistema nazionale per la protezione ambientale, si arricchisce di approfondimenti sul clima anche a scala regionale e locale, nonché su aspetti idro-meteo-climatici e meteo-marini più rilevanti dell’anno in esame.

La prima parte del volume descrive l’andamento del clima nel corso dell’ultimo anno e aggiorna la stima delle variazioni climatiche negli ultimi decenni in Italia sulla base di dati, statistiche, indici e indicatori climatici derivati dal Sistema nazionale per la raccolta, l’elaborazione e la diffusione di dati Climatologici di Interesse Ambientale (SCIA).

La seconda parte raccoglie contributi di approfondimento, dalla scala nazionale alla scala locale, sui principali elementi che hanno caratterizzato il 2022: la siccità e la scarsità idrica, il caldo, gli eventi idro-meteo-climatici e meteo-marini significativi. Il 2022 è infatti stato un anno caratterizzato da temperature e siccità record.

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Fonte: snpambiente.it




Ecco tutta la quantità di plastica che inaliamo ogni settimana

microplasticheRespiriamo minuscole particelle di plastica che trovano poi casa all’interno dei nostri polmoni.

Le microplastiche sono pezzi piccolissimi di detriti plastici con una lunghezza inferiore ai 5 mm generati dallo smaltimento e dalla rottura dei prodotti di consumo e dei rifiuti industriali. Ogni anno, circa 42 000 tonnellate di microplastiche finiscono nell’ambiente. Questa situazione, che può condurre a potenziali effetti gravi sulla salute pubblica e sull’ambiente, non è tuttavia evitabile: mangiamo e beviamo microplastiche, che sono scambiate dalla fauna marina per cibo.

Cosa fanno le microplastiche quando si trovano dentro di noi?

Una nuova ricerca pubblicata sulla rivista «Physics of Fluids» suggerisce che le microplastiche pongano una minaccia più seria alla salute rispetto a quanto ritenuto. «Sono state trovate milioni di tonnellate di queste particelle in microplastica nell’acqua, nell’atmosfera e nel suolo. La produzione globale di microplastica è in aumento e anche la densità di questo materiale nell’atmosfera registra un significativo incremento», ha dichiarato Mohammad S. Islam, autore principale attivo presso l’Università tecnologica di Sydney, in un comunicato stampa dell’American Institute of Physics. «Per la prima volta, nel 2022, gli studi hanno individuato microplastiche all’interno delle vie aeree umane profonde, il che solleva preoccupazioni sui gravi rischi di natura respiratoria per la salute.» I contaminanti e le sostanze chimiche tossici si raccolgono all’interno del naso e nella parte posteriore della gola e, grazie alle loro piccole dimensioni, restano intrappolati nelle vie respiratorie.

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Fonte: Commissione Europea




Sviluppare alimenti e mangimi in modo sostenibile, con l’aiuto dei microbi

Con le sue innovazioni riportate nell’Innovation Radar dell’UE, il progetto SIMBA ha fatto passi da gigante nell’identificazione dei microbiomi terrestri e acquatici che possono contribuire a rendere sostenibili l’agricoltura e l’acquacoltura europee.

I microbi apportano diversi benefici all’agricoltura e alla produzione di alimenti e mangimi. Dal suo avvio nel 2018, il progetto SIMBA, finanziato dall’UE, ha studiato quali miscele microbiche, o microbiomi, sono più adatte a diversi scopi. Ha anche cercato nuovi modi sostenibili per utilizzare i microbi nell’agricoltura e nella produzione alimentare. «Nel migliore dei casi, l’uso dei microbi potrebbe rivoluzionare l’agricoltura. Ad esempio, se le patate potessero essere coltivate in terreni salati, si potrebbe utilizzare l’acqua di mare per l’irrigazione in aree attualmente non adatte alla coltivazione. Stiamo lavorando anche su questo aspetto nell’ambito del progetto», spiega la dott.ssa Anne Pihlanto del Natural Resources Institute Finland (Luke) in una notizia pubblicata sul sito web del progetto SIMBA.

Di nuovo sul radar dell’Europa

Nel maggio 2023, per la seconda volta, una delle innovazioni sviluppate nell’ambito del progetto SIMBA è stata riportata sull’Innovation Radar della Commissione europea. Innovation Radar è una piattaforma dell’UE che fornisce informazioni sulle innovazioni all’avanguardia finanziate dall’UE e sviluppate dai principali ricercatori europei. Secondo un’altra notizia pubblicata sul sito web del progetto, l’innovazione intitolata «Identification of candidate plant growth-promoting microbes and bioactive compounds to formulate microbial consortia inoculants» (Identificazione di microbi candidati a promuovere la crescita delle piante e di composti bioattivi per la formulazione di inoculi di consorzi microbici) contribuirà in modo sostanziale al raggiungimento degli obiettivi di SIMBA. Il livello di maturità dell’innovazione è stato classificato nella fase di «esplorazione». Sebbene le innovazioni di questa categoria siano nelle prime fasi di maturità tecnologica, le organizzazioni responsabili del loro sviluppo dimostrano già un elevato livello di impegno. I principali innovatori di questo lavoro provengono dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (l’ENEA), partner del progetto SIMBA.

Sviluppare mangimi e alimenti

Nella prima notizia, la dott.ssa Pihlanto di Luke illustra la divisione del lavoro del progetto nella catena del valore della piscicoltura. Luke ha utilizzato materie prime riciclate nello sviluppo dei mangimi, mentre il suo partner sta sviluppando mangimi per pesci fermentando i flussi laterali dell’industria alimentare. Gli esperti del progetto stanno studiando l’impatto del mangime sulla crescita e sulla salute dei pesci e stanno valutando la sostenibilità dell’intera catena del valore, confrontandola con il mangime per pesci contenente soia. «È interessante confrontare non solo gli effetti ambientali, ma anche l’impatto sociale esercitato dall’uso della soia e dei flussi laterali, a partire dalle condizioni di lavoro degli agricoltori», osserva la ricercatrice. Gli scienziati di Luke hanno anche deciso di sviluppare alimenti a partire da fave, piselli e lenticchie, legumi che costituiscono ottime fonti di proteine, ma che contengono sostanze che compromettono l’assorbimento dei nutrienti e causano anche disturbi di stomaco in alcune persone. «Il nostro obiettivo è ridurre la quantità di sostanze nocive fermentando le materie prime con diversi ceppi di batteri dell’acido lattico e propionico. Abbiamo anche combinato le materie prime con l’avena e sviluppato diverse preparazioni, come il porridge crudo e lo yogurt», spiega la dott.ssa Pihlanto. I ricercatori del progetto SIMBA (Sustainable innovation of microbiome applications in food system) stanno ora valutando la composizione e la digeribilità degli alimenti sviluppati, con risultati interessanti, come osserva la dott.ssa Pihlanto: «Abbiamo testato il gusto in molte fasi. Sorprendentemente, lo stesso ceppo batterico può influenzare materie prime diverse in modi molto diversi. Il gusto di una diventa chiaramente migliore, quello dell’altra peggiore».

Fonte: Commissione Europea




Attenti al pesce scorpione. Due nuovi avvistamenti in Calabria

Avvistati nelle acque calabresi due esemplari di pesce scorpione Pterois miles, specie aliena originaria del Mar Rosso, il primo catturato pochi giorni fa in località ‘Le Castella’ (KR) da pescatori professionisti alla profondità di circa 24 metri, il secondo avvistato e fotografato in data 25 giugno durante un’immersione ricreativa lungo le coste di Marina di Gioiosa Ionica (RC), da un subacqueo a circa 12 metri di profondità.
Gli avvistamenti sono stati prontamente segnalati a ISPRA, alla Capitaneria di Porto di Crotone e al progetto AlienFish dell’Ente Fauna Marina Mediterranea, coinvolti insieme al CNR-IRBIM nella campagna di allerta denominata Attenti a quei 4!

Locandina

Fonte: ISPRA




I risultati del progetto EpiCovAir. Covid-19, la qualità dell’aria incide su rischio di infezione e mortalità

I risultati del progetto EpiCovAir su inquinamento atmosferico e COVID-19

Esiste un legame tra incidenza di infezioni da SARS-CoV2, mortalità per COVID-19 ed esposizione di lungo periodo (2016-2019) ad alcuni fra i principali inquinanti atmosferici nel nostro Paese, quali il biossido di azoto (NO2) e il particolato atmosferico (PM2.5 e PM10). Lo dimostrano i risultati di EpiCovAir, un progetto epidemiologico nazionale di ricerca su COVID-19 e inquinamento promosso dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (ISPRA-SNPA), in collaborazione con la Rete Italiana Ambiente e Salute (RIAS), presentati oggi durante un webinar nella sede dell’ISS.

Le indagini hanno riguardato circa 4 milioni di casi di SARS-CoV-2 e 125 mila decessi registrati dal Sistema Nazionale di Sorveglianza Integrata COVID-19 tra i 60 milioni di italiani residenti in 7800 comuni durante le prime tre ondate epidemiche (da febbraio 2020 a giugno 2021), con un’incidenza di 67 casi infetti su 1000 abitanti e un tasso di letalità di 31 decessi ogni 1000 persone contagiate.

La distribuzione geografica dell’infezione e dei decessi per COVID-19 mostra incidenza e letalità più alte nelle aree del nord Italia, che hanno anche più elevati livelli di inquinamento atmosferico di lungo periodo. Questo vale particolarmente nella prima ondata dell’epidemia, che si è originata e propagata a partire dalle regioni settentrionali, mentre le distribuzioni dei casi e dei decessi per COVID-19 sono più omogenee sul territorio nazionale nella seconda e terza fase pandemica.

Le associazioni con l’inquinamento atmosferico, più forti tra i soggetti anziani, rivelano che in Italia l’incidenza di nuovi casi cresce significativamente dello 0.9%, dello 0.3% e dello 0.3% per ogni incremento di 1 microgrammo per metro cubo (μg/m3) nei livelli di esposizione di lungo periodo a NO2, PM2.5 e PM10, rispettivamente.

Lo stesso vale per i tassi di letalità per COVID-19 che aumentano dello 0.6%, dello 0.7% e dello 0.3% ad ogni innalzamento di 1 μg/m3 nell’esposizione cronica rispettivamente agli stessi inquinanti.

Le analisi effettuate, spiegano gli autori, tengono conto di numerose variabili geografiche, demografiche, socio-economiche, sanitarie, così come della mobilità della popolazione durante la pandemia grazie ai dati forniti da ENEL X sui flussi di traffico per tutti i comuni italiani.

I risultati conseguiti da EpiCovAir”, afferma Ivano Iavarone, coordinatore del Progetto, “sono coerenti con le più recenti evidenze disponibili nella letteratura scientifica internazionale, e supportano la necessità di agire tempestivamente per ridurre le emissioni di inquinanti atmosferici ed il loro impatto sanitario, in linea con la recente proposta della Commissione Europea di una nuova Direttiva sulla qualità dell’aria e di contrasto alla crisi climatica”.

Sotto questo punto di vista, e non potendo escludere futuri rischi epidemici,” dichiarano congiuntamente i Presidenti ISS ed ISPRA-SNPA Silvio Brusaferro e Stefano Laporta “sarà importante individuare strategie sinergiche ed intersettoriali di prevenzione integrata che su scala europea, nazionale, regionale e locale accelerino l’implementazione di politiche improntate sui co-benefici, attraverso interventi strutturali in settori chiave quali i trasporti, l’industria, l’energia e l’agricoltura”.

 

I due lavori del progetto EpiCovAir, recentemente pubblicati, sono disponibili ai seguenti link:

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/37167483/

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/37154300/

Fonte; ISS




Disponibilità d’acqua, in Italia raggiunto il minimo storico

Nel 2022 colpito da siccità estrema circa il 20% del territorio nazionale
17 giugno 2023 Giornata mondiale della lotta alla desertificazione e alla siccità

Non si arresta il trend in calo registrato dall’ISPRA sul fronte della disponibilità idrica nazionale che nel 2022, con un valore medio che supera di poco i 221 mm (corrispondenti a un volume totale di 67 km3) e una riduzione di oltre il 51% rispetto alla media riferita al periodo 1951-2022, tocca il minimo storico. La riduzione sarebbe decisamente consistente (quasi il 50%) anche facendo riferimento solo all’ultimo trentennio climatologico 1991-2020.

Sicilia (–80,7%), Sardegna, (–73%) e Distretto idrografico del Fiume Po (–66%) sono le aree più colpite dal deficit idrico nel 2022.

Siccità, confermato il trend crescente. Nel 2022 circa il 20% del territorio nazionale versa in condizioni di siccità estrema e circa il 40% in siccità severa e moderata. In termini di persistenza delle condizioni di siccità, il 2022 risulta in Italia il terzo per gravità, preceduto solo dal 1990 e dal 2002.

Questi gli esiti delle ultime stime del BIGBANG, il modello realizzato dall’ISPRA che analizza la situazione  idrologica dal 1951 al 2022 fornendo un quadro di dettaglio delle componenti del bilancio idrologico e della risorsa idrica rinnovabile.

L’anno appena trascorso, con un record di 719 mm, segna il minimo nazionale anche in termini di precipitazione totale liquida e solida (un valore inferiore persino a quelli estremi minimi del 2007 e del 2017).

Nel 2022 il deficit di precipitazione annua interessa il territorio nazionale in maniera molto diversificata: l’area più colpita è il Nord Ovest, dove i valori raggiunti sono anche inferiori a –50% rispetto alla media di lungo periodo. Per tutto il territorio del Distretto idrografico del Fiume Po il deficit percentuale, sempre rispetto alla media di lungo periodo, raggiunge il –36%, con un valore di precipitazione annua di soli 650 mm (a fronte di una media annua di circa 1016 mm). Diminuzione elevata anche nel Distretto delle Alpi Orientaliche segna un –28%, con punte comprese tra –30% e –40%.

Meno preoccupanti, ma pur sempre notevoli, i deficit dell’ordine del –20%, registrati nel Distretto dell’Appennino Settentrionale e nel Distretto dell’Appenino Centrale con punte anche del –40%. Nel  Distretto idrografico dell’Appennino Meridionale il deficit medio per il 2022 pari al –9 %, risulta invece molto più contenuto, mentre nel Distretto della Sicilia si attesta a –26%, con punte dell’ordine del –50% nella zona orientale della Regione. Infine, nel Distretto della Sardegna il deficit di precipitazione medio annuo registra un –27%.

Fonte: ISPRA