Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC): un’analisi giuridica e scientifica

Cambiamenti climaticiIl 20 febbraio scorso è stato pubblicato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC). In considerazione dell’importanza del documento e della rilevanza degli aspetti giuridici e scientifici coinvolti, la direzione della Rgaonline e la redazione di Scienza in rete, due riviste che, nei diversi settori del diritto e dell’informazione scientifica, da tempo collaborano condividendo articoli, contributi e riflessioni in materia di ambiente, hanno deciso di organizzare un esame congiunto del Piano. In questo numero pubblichiamo quindi i commenti pervenuti da collaboratori delle due riviste. Il PNACC è stato approvato dal Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica con un decreto del 21 dicembre 2023 ed è consultabile sul sito del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, al link: Clima: Approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici | Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (mase.gov.it) e sulla piattaforma nazionale adattamento cambiamenti climatici, al link: https://climadat.isprambiente.it.

Rinviando ai contributi che trattano specificatamente alcuni aspetti del PNACC, offriamo qui alcuni dati generali. Il PNACC è lo strumento di attuazione della Strategia nazionale di adattamento ai cambiamento climatici del 2015, cui è affidato il compito di indicare le modalità per affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici come definiti nella Strategia europea di adattamento ai cambiamenti climatici adottata nel 2013 e successivamente modificata nel 2021.

L’approvazione del Piano ha richiesto sei anni: la prima bozza è stata pubblicata nel 2018 dal governo Gentiloni, ma non è stata adottata dai tre governi successivi (i due di Giuseppe Conte e quello guidato da Mario Draghi). Nel 2022 Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica del governo guidato da Giorgia Meloni, ha pubblicato una nuova bozza, avviando la fase di consultazione. Il 21 dicembre 2023 è arrivata l’approvazione definitiva.

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Fonte: scienzainrete.it




I Pfas vengono riemessi nell’aria dalle onde oceaniche

Un gruppo di ricercatori dell’Università di Stoccolma ha scoperto che i Pfas vengono riemessi nell’aria dalle onde oceaniche con una frequenza maggiore rispetto a quanto si pensasse.

Lo studio, pubblicato su Science Advances, mette in discussione l’idea che mari e oceani diluiscano i PFAS che arrivano dai fiumi, asserendo invece che spingano queste sostanze di nuovo verso riva. I livelli di riemissione dovuti alla risacca, stima lo studio, possono essere paragonabili o superiori a quelli di altre fonti.

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Fonte: fosan.org




La Biobanca Nazionale Zootecnica a tutela della nostra biodiversità

La biodiversità, ossia la varietà di forme di vita presenti sulla Terra, è uno dei pilastri fondamentali per il funzionamento degli ecosistemi e per il benessere dell’umanità. Negli ultimi decenni, l’importanza della biodiversità è stata riconosciuta sempre più ampiamente poiché la sua perdita rappresenta una minaccia significativa per l’equilibrio ecologico, per l’agricoltura, per la sicurezza alimentare e per la medicina.

In Italia, l’importanza delle biodiversità zootecniche è testimoniata dalla ricchezza di razze allevate sia per numero che per varietà. Infatti, il nostro Paese con oltre 30 razze bovine, 70 razze ovicaprine, 23 equine e asinine e 6 suine autoctone, alle quali si sommano le razze avicunicole (conigli, polli, oche, anatre, tacchini, piccioni) che nel complesso ammontano a circa 100, è considerato un vero e proprio hot-spot di diversità zootecnica.

Il tessuto ecosistemico, sociale e culturale italiano si è evoluto con, e grazie, alla nostra biodiversità. Quindi, soprattutto in questi tempi di cambiamenti climatici e innovazioni, è nostra responsabilità tutelare il patrimonio zootecnico per ragioni:

  • Ambientali: le biodiversità aumentano la resilienza degli ecosistemi agli stress come cambiamenti climatici e malattie.
  • Socioculturali ed Ecosistemiche: la biodiversità zootecnica sostiene servizi vitali come la produzione di cibo e la tutela dei paesaggi. Le razze adattate ai loro ambienti aumentano la resilienza delle popolazioni animali.
  • Produttive, di Mercato e di Sicurezza Alimentare: la varietà di colture e specie animali garantisce la sicurezza alimentare e aumenta la resistenza alle malattie e alle variazioni climatiche. La diversità genetica permette lo sviluppo di tipi genetici più adattabili e produttivi.
  • Scientifiche: la biodiversità funge da risorsa preziosa per la scoperta e lo sviluppo di farmaci, trattamenti e processi, nonché per ricercare specifici marcatori di resistenza per talune malattie.
  • Storiche: le razze autoctone rappresentano un patrimonio culturale legato alla storia delle comunità.
  • Etiche/Estetiche: preservare la biodiversità zootecnica implica il rispetto delle tradizioni e dei legami storici. Le razze autoctone contribuiscono alla diversità visiva e alla bellezza dell’ambiente rurale.

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Fonte: Ruminantia




Giornata Mondiale dell’Acqua. In Italia nel 2023 ridotta del 18% la disponibilità di acqua rispetto alla media annua calcolata dal 1951

La disponibilità di risorsa idrica nell’anno 2023 conferma il trend negativo registrato da diversi anni in Italia, anche se come mostrato dalle stime del BIGBANG (il modello idrologico nazionale realizzato dall’ISPRA) può considerarsi un anno in ripresa rispetto al 2022.

Nel nostro Paese la disponibilità di risorsa idrica per l’anno 2023 è stimata in 112,4 miliardi di metri cubi, a fronte di un valore di precipitazione totale di 279,1 miliardi di metri cubi. Nel corso dell’anno si è comunque manifestata una certa ripresa rispetto al 2022, anno in cui la disponibilità di risorsa idrica ha raggiunto 67 miliardi di metri cubiil minimo storico dal 1951 e corrispondente a circa il 50% della disponibilità annua media (137,8 miliardi di metri cubi), calcolata sul periodo 1951–2023.

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Fonte: Ispraambiente.it




Vespa velutina, primo nido a Firenze

vespa velutinaUn nido di Vespa velutina è stato ritrovato in provincia di Firenze, nel comune di San Casciano Val di Pesa, sulle colline del Chianti fiorentino.

La notizia è stata data alcuni giorni fa, dopo che la rete StopVelutina, gestita dal Crea Agricoltura e Ambiente, ha verificato la segnalazione.

Il nido è stato individuato il primo di marzo da alcuni pescatori a Bargino, una piccola località del comune di San Casciano Val di Pesa, che lo hanno notato tra i rami spogli di un albero.

Sono quindi intervenuti i tecnici dell’Arpat, l’Associazione Regionale Produttori Apistici Toscani, che hanno provveduto ad effettuare la segnalazione alla rete StopVelutina che ha poi confermato l’identificazione.

Nella stessa zona lo scorso anno erano stati osservati alcuni esemplari di calabrone asiatico in caccia davanti ad un apiario.

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Fonte: agronotizie.it




Europa impreparata ad affrontare la rapida evoluzione dei rischi climatici

Cambiamenti climaticiCome si è visto già negli ultimi anni, in Europa caldo estremo, siccità, incendi boschivi e inondazioni sono destinati ad acuirsi anche in base agli scenari più ottimistici in materia di riscaldamento globale e a incidere sulle condizioni di vita in tutto il continente. L’AEA ha pubblicato i risultati della prima European Climate Risk Assessment (EUCRA) (valutazione europea dei rischi climatici) mai effettuata quale contributo all’individuazione delle priorità politiche in materia di adattamento ai cambiamenti climatici e in supporto ai settori sensibili al clima.

Ne emerge che in Europa le politiche e gli interventi di adattamento non tengono il ritmo con la rapida evoluzione dei suddetti rischi. In molti casi, un adattamento incrementale non sarà sufficiente. Inoltre, poiché numerose misure volte a migliorare la resilienza ai cambiamenti climatici richiedono molto tempo, possono essere necessari interventi urgenti anche per rischi non ancora critici.

Alcune regioni d’Europa sono aree in cui si concentrano rischi climatici multipli. L’Europa meridionale è particolarmente a rischio a causa degli incendi boschivi nonché degli effetti delle ondate di calore e della scarsità di acqua sulla produzione agricola, sul lavoro all’aria aperta e sulla salute umana. Le inondazioni, l’erosione e l’infiltrazione di acqua salata minacciano le regioni costiere europee a bassa quota, comprese molte città densamente popolate.

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Fonte: European Environment Agency




La terza transizione epidemiologica

Nel dicembre 2023 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato un allarme relativo al forte incremento dei casi di dengue nel mondo, sottolineando come il rischio globale per questa malattia debba ora considerarsi elevato. La diffusione della dengue non ha lasciato indenne l’Europa, e men che meno il nostro paese. In Italia nel 2023 si sono registrati 362 casi e un decesso, il numero più elevato mai osservato.

L’Antropocene (1), l’epoca geologica nella quale siamo recentemente entrati, viene descritta come un’epoca in cui i processi e le condizioni geologiche planetarie sono fortemente influenzati dalle attività umane. I fenomeni associati all’Antropocene includono: marcate perturbazioni dei cicli di elementi quali carbonio, azoto, fosforo e vari metalli che hanno a loro volta determinato cambiamenti ambientali tra cui il riscaldamento globale, l’innalzamento del livello dei mari, l’acidificazione degli oceani; rapidi cambiamenti nella biosfera, con distruzione di habitat, perdita di biodiversità, espansione di specie invasive; proliferazione e dispersione globale di nuovi “minerali” e “rocce” tra cui cemento, ceneri volanti e plastica. Molti di questi cambiamenti persisteranno per millenni o più e stanno alterando il “sistema Terra”. Molti di questi fenomeni inoltre contribuiscono a plasmare e rideterminare i processi di salute e malattia, la cui traiettoria si sta modificando e dispiegando in quella che può essere definita “la terza transizione epidemiologica” (2).

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Fonte: saluteinternazionale.info




PE: via libera alla legge sul ripristino della natura

Il Parlamento ha adottato la prima legge dell’UE per ripristinare gli ecosistemi degradati

  • I Paesi dell’UE dovranno ripristinare almeno il 30% degli habitat in cattive condizioni entro il 2030, il 60% entro il 2040 e il 90% entro il 2050
  • Possibilità di sospendere temporaneamente le disposizioni sugli ecosistemi agricoli in circostanze eccezionali
  • Oltre l’80% degli habitat europei è in cattivo stato

La nuova legge fissa l’obiettivo di ripristinare almeno il 20% delle zone terrestri e marine dell’UE entro il 2030 e tutti gli ecosistemi entro il 2050.

La normativa europea sul ripristino della natura, concordata con i governi dell’UE, è stata approvata con 329 voti favorevoli, 275 contrari e 24 astensioni. Il regolamento mira a garantire il ripristino degli ecosistemi degradati in tutti i Paesi dell’UE, contribuire al raggiungimento degli obiettivi europei in materia di clima e biodiversità e migliorare la sicurezza alimentare.

Per conseguire gli obiettivi fissati dall’UE, entro il 2030 gli Stati membri dovranno ripristinare il buono stato di salute di almeno il 30% degli habitat contemplati dalla nuova legge (che vanno da foreste, praterie e zone umide a fiumi, laghi e coralli). Questa percentuale aumenterà poi al 60% entro il 2040 e al 90% entro il 2050. In linea con la posizione del Parlamento, fino al 2030 la priorità andrà accordata alle zone Natura 2000. I paesi dell’UE dovranno garantire che le zone ripristinate non tornino a deteriorarsi in modo significativo. Inoltre, dovranno adottare piani nazionali di ripristino che indichino nel dettaglio in che modo intendono raggiungere gli obiettivi.

Ecosistemi agricoli

Per migliorare la biodiversità negli ecosistemi agricoli, i paesi dell’UE dovranno registrare progressi in due di questi tre indicatori: indice delle farfalle comuni; percentuale di superficie agricola con elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità; stock di carbonio organico nei terreni minerali coltivati. Dovranno anche adottare misure per migliorare l’indice dell’avifauna comune, dato che gli uccelli sono un buon indicatore dello stato di salute generale della biodiversità.

Poiché le torbiere sono una delle soluzioni più economiche per ridurre le emissioni nel settore agricolo, i paesi dell’UE dovranno ripristinare almeno il 30% delle torbiere drenate entro il 2030 (almeno un quarto dovrà essere riumidificato), il 40% entro il 2040 e il 50% entro il 2050 (con almeno un terzo riumidificato). La riumidificazione continuerà a essere volontaria per agricoltori e proprietari terrieri privati.

Come richiesto dal Parlamento, la legge prevede un freno di emergenza che, in circostanze eccezionali, consentirà di sospendere gli obiettivi relativi agli ecosistemi agricoli qualora questi obiettivi riducano la superficie coltivata al punto da compromettere la produzione alimentare e renderla inadeguata ai consumi dell’UE.

Altri ecosistemi

La legge impone anche di registrare una tendenza positiva in diversi indicatori che riguardano gli ecosistemi forestali e di piantare tre miliardi di nuovi alberi. Gli Stati membri dovranno inoltre ripristinare almeno 25.000 km di fiumi, trasformandoli in fiumi a scorrimento libero, e garantire che non vi sia alcuna perdita netta né della superficie nazionale totale degli spazi verdi urbani, né di copertura arborea urbana.

Citazione

Dopo la votazione, il relatore César Luena (S&D, ES) ha dichiarato: “Oggi è un grande giorno per l’Europa, perché passiamo dalla protezione e dalla conservazione della natura al suo ripristino. La nuova legge ci aiuterà anche a rispettare molti dei nostri impegni internazionali in materia di ambiente. Inoltre, ripristinerà gli ecosistemi degradati senza compromettere il settore agricolo, lasciando agli Stati membri una grande flessibilità. Vorrei ringraziare i ricercatori per averci fornito le evidenze scientifiche e per il loro impegno nel combattere il negazionismo climatico. E vorrei ringraziare anche i giovani per averci ricordato che non abbiamo né un pianeta B, né un piano B.”

Prossime tappe

Una volta approvato anche dal Consiglio, sarà pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’UE ed entrerà in vigore 20 giorni dopo.

Contesto

Oltre l’80% degli habitat europei è in cattivo stato. Il 22 giugno 2022 la Commissione europea ha proposto una legge sul ripristino della natura per contribuire al recupero a lungo termine della natura danneggiata nelle zone terrestri e marine dell’UE, per raggiungere gli obiettivi dell’UE in materia di clima e biodiversità e per rispettare gli impegni internazionali dell’UE, in particolare il quadro globale di Kunming-Montreal per la biodiversitàSecondo la Commissione, la nuova legge apporterebbe notevoli benefici economici, in quanto ogni euro investito si tradurrebbe in almeno 8 euro di benefici.

Questa legge risponde alle aspettative dei cittadini in materia di protezione e ripristino di biodiversità, paesaggio e oceani di cui alla proposta 2, paragrafi 1, 3, 4 e 5, delle conconclusioni della Conferenza sul futuro dell’Europaclusioni della Conferenza sul futuro dell’Europa.

Fonte: Parlamento europeo




L’orso polare, un’iconica creatura sempre più minacciata per mano dell’uomo!

Alla principale minaccia rappresentata dal riscaldamento globale, i cui effetti appaiono oltremodo amplificati ai poli terrestri, risultano particolarmente esposti gli orsi polari (Ursus maritimus) (1), vista e considerata la crescente difficoltà sperimentata dagli stessi nel procacciarsi le proprie prede, a motivo del progressivo scioglimento dei ghiacciai. A tal proposito, un recente lavoro descrive una serie di rilevanti adattamenti ecologici, comportamentali e dietetico-nutrizionali posti in essere dalla specie in esame, al precipuo fine di sopperire alla crescente difficoltà di cacciare gli animali acquatici tradizionalmente costituenti la sua principale fonte alimentare (1).

Alla ricerca di substrati nutritivi alternativi rispetto a questi ultimi, sempre piu’ spesso condotta in condizioni precarie ed in ambito terrestre dagli orsi polari, corrisponderebbe un progressivo scadimento delle condizioni generali e dello status nutrizionale della specie. Cio’ fa il paio, inevitabilmente, con uno stress perdurante, sulle cui deleterie ricadute sanitarie ho ritenuto doveroso richiamare l’attenzione della Comunità Scientifica attraverso un “Commentary” recentemente apparso sul prestigioso “Nature Microbiology Community Forum” (2). Come risulta ben noto, infatti, ad una condizione di stress cronico si associa un’accresciuta produzione di cortisolo, con conseguente soppressione della risposta immunitaria dell’ospite (3). E, se da un lato appare oltremodo plausibile che le sempre piu’ malnutrite popolazioni di orsi polari stiano sperimentando una condizione di stress cronico persistente, andrebbe parimenti sottolineato che il contestuale incremento della cortisolemia potrebbe accrescerne, dall’altro lato, la suscettibilità nei confronti di un’ampia gamma di agenti patogeni, con tutte le nefaste conseguenze che ciò comporterebbe sul loro gia’ precario stato di salute e di conservazione.

Degno di particolare menzione risulta, in un siffatto contesto, Toxoplasma gondii, un agente protozoario dotato di comprovata capacità zoonosica ed in grado d’infettare numerose specie di mammiferi acquatici, ivi compresi gli orsi polari. Al riguardo, elevati tassi di sieroprevalenza verso T. gondii erano già stati evidenziati in uno studio condotto sulla popolazione di orsi polari residente alle Isole Svalbard (Norvegia), ove gli esemplari di sesso maschile mostravano livelli di anticorpi sierici ben più elevati che in quelli di sesso femminile e doppi, all’incirca, rispetto a quelli rinvenuti in una precedente indagine svolta nella medesima regione geografica (4).

In aggiunta a quanto sopra, la posizione di “predatori di vertice” notoriamente occupata dagli orsi polari all’interno delle catene trofiche in ambito marino li renderebbe capaci di bioaccumulare e di biomagnificare, a livello dei propri distretti corporei, un gran numero di contaminanti ambientali persistenti ad azione immunotossica, come ad esempio il metil-mercurio (metil-Hg) (5).

Ne deriva pertanto che l’immunosoppressione associata alla risposta da stress cronico conseguente al perdurante stato di malnutrizione, congiuntamente all’elevato carico di xenobiotici immunotossici progressivamente accumulati e biomagnificati in ambito tissutale, non potrà che rendere gli orsi polari maggiormente suscettibili nei confronti di un crescente numero di agenti microbici, con tutti i catastrofici effetti che ciò produrrà sul già precario stato di salute e di conservazione della specie in questione.

Concludo queste mie riflessioni e considerazioni ponendo in particolare risalto l’esigenza che la complessa ed articolata gestione sanitaria della sempre più minacciata popolazione globale di orsi polari necessiti di un approccio integrato e multidisciplinare, diffusamente permeato ed ispirato al principio/concetto della “One Health”, la salute unica di uomo, animali ed ambiente.

Bibliografia 

1) Pagano, A.M., Rode, K.D., Lunn, N.J., et al. Polar bear energetic and behavioral strategies on land with implications for surviving the ice-free period. Nat Commun 15, 947 (2024). https://doi.org/10.1038/s41467-023-44682-1.
2) Di Guardo, G. Enhanced infection susceptibility as a consequence of chronic starvation in polar bears. Nature Community Microbiology Forum, February 21, 2024.
https://communities.springernature.com/posts/enhanced-infection-susceptibility-as-a-consequence-of-chronic-starvation-in-polar-bears
3) O’Leary, A. Stress, emotion, and human immune function. Psychol. Bull.108, 363-382 (1990). doi: 10.1037/0033-2909.108.3.363.
4) Jensen, S.K., Aars, J., Lydersen, C., et al. The prevalence of Toxoplasma gondii in polar bears and their marine mammal prey: evidence for a marine transmission pathway?. Polar. Biol 33, 599–606 (2010). https://doi.org/10.1007/s00300-009-0735-x
5) St Louis, V.L., Derocher, A.E., Stirling, I., et al. Differences in mercury bioaccumulation between polar bears (Ursus maritimus) from the Canadian high- and sub-Arctic. Environ. Sci. Technol. 45, 922-928 (2011). doi: 10.1021/es2000672.

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

Sullo stesso tema è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista British Medical Journal (BMJ) una “Letter to the Editor” del Prof. Di Guardo con riferimento all’articolo “Alaskapox: First human death from zoonotic virus is announced

 




Dovremmo eradicare le zanzare?

«Se pensiamo ad animali come i ratti, è sempre bene eradicarli nelle isole in cui sono stati introdotti», afferma Jérémy Bouyer, direttore della ricerca presso il Centro di ricerca agricola francese per lo sviluppo internazionale (CIRAD). «In tutta sincerità, possiamo considerare Aedes albopictus e Aedes aegypti alla stregua di topi volanti.» Le zanzare sono vettori di malattie come la malaria e la febbre gialla, che causano la morte di milioni di persone. Questi insetti proliferano dove è presente acqua stagnante, ad esempio nelle paludi e all’interno di rifiuti di plastica, di lattine per bevande e di vecchi pneumatici. «Se si eradica un elemento appena introdotto, si torna di fatto a una situazione di equilibrio», spiega Bouyer. «Quando la specie è endemica, però, bisogna chiedersi se sia saggio eliminarla o meno.» In un ecosistema ogni organismo svolge un ruolo specifico e la sua rimozione può avere un effetto domino nella rete alimentare, dal momento che il predatore di un animale è di solito la preda di un altro. La scomparsa di una specie può anche indebolire l’ecosistema nel suo complesso, persino portandolo al collasso. Nel caso delle zanzare, questa non sembra una prospettiva possibile, poiché i loro predatori (uccelli, ragni e libellule) sono generalisti e si nutrono anche di altri insetti.

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Fonte: Commissione Europea