Migliorare l’uso delle date di conservazione e scadenza per prevenire lo spreco alimentare

AlimentiLa Commissione europea Ue ha pubblicato uno studio sull’utilizzo delle date di conservazione e scadenza nel sistema di etichettatura e sulle altre informazioni fornite sulle etichette degli alimenti, ai fini della prevenzione dei rifiuti alimentari.

Ne emerge che lo spreco alimentare generato annualmente in Unione europea (88 milioni di tonnellate di cibo) collegato alle data di conservazione e scadenza ammonta fino al 10% del totale, dunque un uso migliore e la comprensione delle date date utilizzate – da parte di tutti gli attori della filiera alimentare – aiuterebbe a prevenire lo spreco .

Lo studio ha riguardato l’applicazione pratica della legislazione Ue sull’uso delle date indagando come queste siano utilizzate sul mercato, sia dagli Operatori del Settore Alimentare che dalle Autorità di controllo. Attraverso 109 visite in negozi di 8 Stati membri (Germania, Grecia, Ungheria, Paesi Bassi, Polonia, Slovacchia, Spagna e Svezia) sono state raccolte e analizzate le date etichettate su 2.296 prodotti provenienti da 1,058 marchi alimentari relativi a 10 prodotti alimentari predefiniti (frutta/verdura pre-confezionata, pane affettato preconfezionato, pesce fresco, prosciutto affettato, latte fresco, yogurt, formaggio a pasta dura, succo fresco refrigerato, pasta fresca pre-preparata e ketchup).

Lo studio ha effettivamente verificato un’ampia diversità di utilizzo delle date indicate in etichetta (non solo in relazione al tipo di prodotto alimentare preso in esame, ma anche variazioni da Stato a Stato), oltre a una scarsa leggibilità della stessa (sull’11% dei prodotti campionati) che non facilita la comprensione da parte del consumatore.

L’analisi evidenzia che l’utilizzo delle date da parte degli OSA è influenzato da diversi fattori come la sicurezza alimentare e considerazioni tecnologiche, le prassi consuetudinarie nazionali e fattori specifici delle aziende produttrici .

Lo studio sottolinea quindi come l’innovazione e la cooperazione fra tutti gli attori della filiera alimentare possono giocare un ruolo importante nella prevenzione dello spreco alimentare e che, per alcuni settori, sarebbero necessarie delle indicazioni ulteriori da parte della autorità di controllo, ad esempio per facilitare la ridistribuzione del cibo che ha superato il Termine Minimo di Conservazione (TMC) “da consumarsi preferibilmente entro“.

In particolare sono necessarie linee guida tecniche per le aziende produttrici su come determinare la data di conservazione, come scegliere fra le diciture “da consumarsi entro” e “da consumarsi preferibilmente entro“, consigli per la conservazione e l’estensione della vita commerciale dei prodotti; alle aziende sono anche richieste azioni specifiche per rimediare al problema delle etichette illeggibili.

Così come sono ritenute necessarie campagne di divulgazione rivolte ai consumatori per migliorare la comprensione della data di scadenza e del TMC e aiutarli quindi a fare scelte informate.

La Commissione considera il tema della date di conservazione e scadenza dei prodotti alimentari come parte del “Piano per l’economia circolare”. Per esaminare i risultati dello studio sarà creato, nell’ambito della Piattaforma sulle perdite e sullo spreco alimentare, uno specifico sottogruppo di lavoro per discutere delle possibili implicazioni per la prevenzione dello spreco alimentare con l’obiettivo di individuare le opzioni (legislative e non) da percorrere e di guidare l’azione coordinata degli attori coinvolti.

Lo studio ha provveduto anche a una revisione dei dati per identificare le principali categorie alimentari che contribuiscono allo spreco verificando che frutta e verdura rappresentano il 33% del totale (16,2 milioni di tonnellate) dei rifiuti alimentari evitabili nell’Ue a 28. Seguono prodotti da forno (21%, 10,5 milioni di tonnellate), pesce e carni (10%, 4,8 milioni di tonnellate) e prodotti lattiero-caseari (10%, 4,7 milioni di tonnellate).

Intervenire sulle date in etichetta per ridurre gli sprechi, conclude lo studio, avrebbe comunque senso in particolare per alcuni prodotti, come latte e yogurt, succhi di frutta freschi, carne refrigerata e pesce.

Lo studio “Market study on date marking and other information provided on food labels and food waste prevention“.

A cura della segreteria SIMeVeP




Al via il Progetto GoJelly: le meduse come risorsa

medusaL’Ispa-Cnr partecipa al progetto di ricerca europeo GoJelly sull’uso di meduse per la realizzazione di nuovi prodotti come fertilizzanti in agricoltura, ma anche mangimi sostenibili per acquacoltura o novel food. Il progetto è stato finanziato dall’UE con 6 milioni di euro.

Le meduse, creature certamente affascinanti, in alcune situazioni, possono tuttavia essere molto dannose, ad esempio, alcune specie tropicali sono tra gli animali più tossici esistenti. L’aumento delle temperature dell’acqua, l’acidificazione degli oceani e l’eccessiva attività di pesca sembrano favorirne la proliferazione. Sempre più spesso, sulle coste Europee, le meduse si presentano in enormi masse in grado di procurare gravi danni alle aziende di acquacoltura e maricoltura e di bloccare i sistemi di raffreddamento delle centrali elettriche localizzate vicino alla costa. Possiamo trovare una soluzione razionale a questa minaccia emergente?

Un consorzio di quindici istituzioni scientifiche e aziende provenienti da otto Paesi coordinato da Geomar Helmholtz Center for Ocean Research di Kiel ha proposto un’idea innovativa. Mediante il progetto GoJelly, finanziato dall’Unione europea con sei milioni di euro per un periodo di quattro anni, si cercherà di utilizzare le meduse facendole diventare una risorsa. “Nella sola Europa, la specie aliena Mnemiopsis leidyi introdotta mediante le acque di zavorra, raggiunge una biomassa di un miliardo di tonnellate.”, dice Jamileh Javidpour di Geomar, coordinatore del progetto GoJelly.

Nel progetto GoJelly saranno sviluppate, in primo luogo, ricerche di base, dal momento che il ciclo vitale di molte specie di meduse è ancora solo scarsamente conosciuto ed è pressoché impossibile prevedere i fenomeni di proliferazione. “Questo è ciò su cui vorremmo lavorare in modo da ridurre le grandi masse di meduse che raggiungono le coste”, spiega Javidpour.

Contemporaneamente, i partner del progetto lavoreranno al secondo obiettivo della proposta che punta a dare risposte alla domanda: cosa fare con la biomassa catturata?

I ricercatori considerano di impiegare alcune specie di meduse per la produzione di alimenti. “In alcune culture, come quella asiatica, le meduse sono già sul menù. Quando il prodotto finale sarà più vicino al gusto occidentale, e sarà prodotto nel rispetto delle leggi europee sulla sicurezza alimentare, potrà essere favorevolmente accolto dai consumatori”, sottolinea Antonella Leone, ricercatrice del Cnr, Istituto di scienze delle produzioni alimentari di Lecce. Infine, ancora più importante, è il fatto che le meduse contengono collagene, una sostanza molto ricercata nell’industria cosmetica.

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Apicoltura, nuova legge in Regione Veneto

apicolturaIl Consiglio Regionale del Veneto ha approvato il 28 novembre scorso una nuova Legge Regionale sull’apicoltura denominata “Norme per la tutela, lo sviluppo e la valorizzazione dell’apicoltura”, che è costituita da 13 articoli che vanno a integrare e modificare la precedente legge regionale 18 aprile 1994, n. 23.

Analisi della legge a cura di Gianluigi Bressan, referente nazionale del Gruppo di lavoro SIMeVeP Prodotti dell’alveare e sicurezza alimentare




Ecdc: zanzare Aedes aegypti alle porte dell’Ue

Il Centro Europeo per il Controllo delle Malattie (Ecdc) lancia l’allarme e invita i Paesi europei a rafforzare la sorveglianza sulle zanzare, perchè la temibile ‘Aedes aegypti‘, portatrice di diverse malattie tropicali da Zika alla febbre gialla, è ormai alle porte del continente.

Dal 2007, scrivono gli esperti, la specie vive stabilmente a Madeira, intorno al Mar Nero, e sulla costa turca.

Nel 2017 è tornata in Egitto, e la Spagna ha riportato alcuni ritrovamenti nelle Canarie.

Se non saranno prese misure – avvertono gli esperti – la zanzara si diffonderà con molta probabilità nelle aree estreme dell’Europa, che potrebbero diventare un serbatoio per l’introduzione dei vettori nel continente. Questo aumenterebbe il rischio di focolai locali di virus“.

La aegypti, ricorda l’Ecdc, è stata endemica nell’Europa meridionale fino a metà del ‘900, le condizioni climatiche europee permettono una proliferazione in caso di reintroduzione.

Fonte: Ansa

Scheda informativa Ecdc su Aedes aegypti (in inglese)

Schede informative e infografiche Ecdc sulle diverse speciedi artropodi vettori (in inglese)

Mappe ECDC sulla presenza e distribuzione in Europa degli artropodi vettori

Linee guida ECDC per la sorveglianza delle zanzare autoctone e delle zanzare invasive in UE




Nuovi alimenti. Insetti a tavola grande opportunità con filiera controllata

farina-insettiIl 1 gennaio 2018 entrerà in applicazione il Regolamento (UE) n. 2283/2015 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015, relativo ai nuovi alimenti (Novel food che comprende il consumo di insetti), e che modifica il Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga il Regolamento (CE) n. 258/97 del Parlamento europeo e del Consiglio e il Regolamento (CE) n. 1852/2001 della Commissione.

L’aspetto innovativo del Regolamento è l’introduzione del consumo degli insetti per uso umano (food) ed estende l’utilizzo degli insetti come fonte proteica nell’alimentazione animale (feed).

In occasione del Convegno “ONE HEALTH – ONE MEDICINE Attualità, potenzialità e potenziamento dei Dipartimenti di Prevenzione e delle politiche per la protezione della salute“, Massimo Meazza, referente del Gruppo di lavoro SIMeVeP “World food, novel food” è stato intervistato da Sanità informazione




Efsa conferma, bassa incidenza delle TSE in Unione europea

muccaL’EFSA ha pubblicato il suo secondo rapporto sintetico a dimensione UE sul monitoraggio delle encefalopatie spongiformi trasmissibili (TSE).

Le TSE sono una famiglia di malattie che colpisce il cervello e il sistema nervoso dell’uomo e degli animali. Ne fanno parte l’encefalopatia spongiforme bovina (BSE), la scrapie e la malattia da deperimento cronico (CWD o Chronic wasting disease). Fatta eccezione per la BSE classica, non vi è alcuna prova scientifica che le TSE possano essere trasmesse all’uomo.

Il rapporto presenta risultati sulla base dei dati raccolti da tutti gli Stati membri dell’UE nonché da Islanda, Norvegia e Svizzera per l’anno 2016.

Le principali risultanze sono:
•Su 1 352 585 animali testati sono stati segnalati nell’UE 5 casi di BSE nei bovini, nessuno dei quali è entrato nella catena alimentare. Solo uno di questi è stato classificato come BSE classica e ha riguardato un animale nato dopo l’entrata in vigore nel 2001 del divieto UE sull’uso di proteine animali nell’alimentazione degli animali d’allevamento.
•685 casi di scrapie in pecore (su 286 351 testate) e 634 in capre (su 110 832 testate) sono state riferiti nell’UE.
•Nessun caso di CWD in alcuno dei 2 712 cervidi testati (ad es. renne e alci) nell’UE. Tuttavia in Norvegia sono stati segnalati cinque casi di CWD: 3 tra le renne selvatiche e 2 tra gli alci.

E’ la prima volta dallo scoppio dell’epidemia di BSE e dalla prima segnalazione di casi di BSE che il Regno Unito non ne segnala alcuno.

EUSR on Transmissible Spongiform Encephalopathies in 2016

Fonte: EFSA

Qui il rapporto precedente




Il nuovo Codice della Protezione civile e il soccorso agli animali nelle emergenze: il ruolo dei servizi veterinari

Entra in vigore oggi il Decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1 (Raccolta 2018) Codice della protezione civile pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.17 del 22-01-2018).

Obiettivo del nuovo codice è: “il rafforzamento complessivo dell’azione del servizio nazionale di protezione civile in tutte le sue funzioni, con particolare rilievo per le attività operative in emergenza”.

Il decreto rappresenta l’evoluzione tecnico-scientifica, politica e bioetica della “visionaria” legge 225 del 1992 che più di 25 anni fa istituiva il Servizio nazionale di Protezione civile.

In relazione alle attività che riguardano il mondo veterinario, pubblico e privato, e le sue istituzioni ufficiali, culturali, scientifiche, professionali e sindacali, il nuovo codice introduce in modo esplicito tra le finalità e le attività da svolgere le azioni di soccorso e di assistenza degli animali, colpiti da eventi derivanti da fenomeni naturali o da attività umane (le cosiddette “emergenze non epidemiche”).
E’ doveroso ricordare che durante ogni emergenza e calamità negli ultimi decenni il soccorso a tutte le categorie di animali, siano essi d’affezione o da reddito, è sempre stato assicurato direttamente o attraverso attività di coordinamento da parte dei servizi veterinari, componenti del Sistema sanitario nazionale e inseriti tra le strutture operative del Sistema nazionale di Protezione civile nella Funzione 2. Oggi però con l’esplicito riferimento legislativo agli animali si intende codificare, riconoscere, rafforzare e qualificare gli interventi in loro soccorso, togliendoli a un certo spontaneismo che spesso li hanno caratterizzati e adeguando il dettato normativo alle mutate sensibilità collettive.

IL SOCCORSO AGLI ANIMALI, LE NOVITÀ

Il Decreto 1 é una norma complessa che richiederà tempo per essere studiata nel dettaglio e applicata dalle varie componenti che intervengono durante emergenze e catastrofi. Si richiamano qui solo alcuni articoli fondamentali che sono stati integrati dal legislatore.

Articolo 1 (Definizione e finalità del Servizio nazionale della protezione civile)
Il Servizio nazionale della protezione civile, di seguito Servizio nazionale, definito di pubblica utilità, è il sistema che esercita la funzione di protezione civile costituita dall’insieme delle competenze e delle attività volte a tutelare la vita, l’integrità fisica, i beni, gli insediamenti, gli animali e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo.

Articolo 2 comma 6 (Attività di protezione civile)
La gestione dell’emergenza consiste nell’insieme, integrato e coordinato, delle misure e degli interventi diretti ad assicurare il soccorso e l’assistenza alle popolazioni colpite dagli eventi calamitosi e agli animali e la riduzione del relativo impatto, anche mediante la realizzazione di interventi indifferibili e urgenti ed il ricorso a procedure semplificate, e la relativa attività di informazione alla popolazione.

Va segnalato che le integrazioni normative al testo del decreto sono frutto anche della meritoria mobilitazione delle associazioni di volontariato che, nel corso dell’evento “Sisma Centro Italia”, hanno bene rappresentato, in termini operativi, l’evoluzione della concezione di animale nel comune sentire. Non solo a norma di legge, l’animale viene sempre più considerato un essere senziente degno di attenzione, soccorso e cura anche, o meglio, soprattutto, nel corso di emergenze.
Queste novità sono altresì rivolte a rafforzare e qualificare quanto già avviene per tutti gli animali domestici negli interventi in caso di terremoti, alluvioni, nevicate eccezionali da parte degli enti che, nel corso di emergenze di protezione civile, sono stati individuati sin dal 1992 come i referenti istituzionali in materia: i Servizi veterinari pubblici.

I Servizi veterinari, infatti, anche nelle emergenze, non perdono le loro prerogative di Autorità competenti ma operano in un contesto articolato per funzioni specialistiche – le aree di sanità animale, igiene degli alimenti di origine animale e igiene degli allevamenti – al fine di affrontare al meglio le richieste di intervento.

I NUOVI LEA (LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA)

L’attività dei Servizi veterinari pubblici nelle emergenze non epidemiche è stata inoltre ribadita e puntualizzata anche nei nuovi Lea (Livelli essenziali di assistenza) di cui al Decreto del presidente del Consiglio dei Ministri 12 gennaio 2017: “Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.”
Infatti l’Allegato 1: Prevenzione Collettiva e Sanità Pubblica al punto B14 prevede anche per i Servizi Veterinari:

  • fra i programmi: “…la gestione delle emergenze da fenomeni naturali o provocati (climatici e nucleari, biologici, chimici, radiologici)”;
  • fra i Componenti del programma: “…la partecipazione alla gestione delle emergenze” ;
  • fra le Prestazioni: “… la comunicazione alla popolazione e alle istituzioni in merito alle ricadute sulla salute, la partecipazione alla predisposizione di piani e protocolli operativi in accordo con altre istituzioni coinvolte, la partecipazione all’attività delle unità di crisi”.

Riconfermato anche nel nuovo testo il concorso delle professione veterinaria alle attività di protezione civile anche tramite gli Ordini e il rispettivo Consiglio nazionale e attraverso la presenza veterinaria anche in componenti, enti, istituti e agenzie nazionali che svolgono funzioni in materia di protezione civile.

Se da una parte vi è una riconferma del ruolo e della validità della professione veterinaria pubblica e privata, il decreto 1 invita comunque a fare riflessioni per potere migliorare le capacità di risposta in un mondo che evolve rapidamente in termini di variazioni climatiche e soprattutto di eventi estremi avversi che si sommano a drammatici ricorrenti fenomeni calamitosi che colpiscono il nostro Paese in modo più o meno esteso.

L’analisi degli interventi effettuati nel corso degli ultimi anni da parte della componente veterinaria pubblica e privata, pur essendo sicuramente apprezzabili anche sotto il profilo mediatico, fa emergere una mancanza di completa di conoscenza/comprensione della dinamica del ciclo della gestione dell’evento calamitoso (Dmc).

Come riportato nelle Linee Guida dell’Organizzazione mondiale per la salute degli animali (OIE), pubblicate nel maggio 2016, esiste tutta una serie di indicazioni per la gestione dei disastri e la riduzione del rischio in relazione alla salute e protezione (welfare) degli animali e alla sanità pubblica veterinaria, con l’obiettivo di rafforzare la capacità dei servizi veterinari negli Stati membri.

I recenti eventi di emergenza evidenziano la necessità di portare tutti i componenti della gestione delle catastrofi ad agire insieme in piani di risposta coerenti a entrambi livelli nazionali e internazionali utilizzando un approccio multidisciplinare per raggiungere l’optimum efficienza ed efficacia.

FASI DELLA GESTIONE DEL CICLO DEL DISASTRO
Le quattro le fasi del DMC (Disaster Management Cycle)

Per comprendere l’importanza delle indicazioni fornite dall’OIE è utile evidenziare che anche in Italia le azioni si concentrano quasi in via esclusiva sulla risposta, ma una gestione efficace del disastro deve includere tutte e quattro le fasi del DMC (Disaster Management Cycle) che comprendono: mitigazione e prevenzione, preparazione, risposta e recupero.

L’evidenza è rappresentata dal fatto che le azioni, anche in termini non epidemici nell’abituale campo d’azione dei Servizi veterinari pubblici e la Prevenzione, sono decisive per affrontare e superare con successo gli eventi calamitosi.

Tali azioni si attuano nel fornire un contributo attivo alla pianificazione d’emergenza sviluppata ad ogni livello istituzionale, dal nazionale al comunale, rendendo congrui e compatibili i propri piani interni d’emergenza che devono (vedi Lea) essere sviluppati per operare correttamente nei centri operativi attivati nel corso delle emergenze.

L’operazione non è tuttavia facile considerando che raramente i Servizi veterinari vengono coinvolti da parte degli Enti preposti alla stesura dei Piani d’Emergenza e, pertanto l’analisi del rischio in termini veterinari che, sin dall’origine della stesura dei documenti, è alla base della pianificazione non viene fatta, o non viene realizzata correttamente, in quanto realizzata da soggetti non competenti.

Bisogna riconoscere che tale situazione si realizza peraltro anche per l’oggettiva mancanza di formazione di base e specialistica dei veterinari sin dall’Università, in cui nel corso di studi anche post laurea non è previsto alcun insegnamento relativo alle emergenze non epidemiche e le conoscenze, e quindi le competenze, vengono il più delle volte e con evidenti limiti, legate alle esperienze acquisite direttamente sul campo in caso di richiesta di intervento.

La scarsa considerazione del problema comporta anche negli Enti di appartenenza una conseguente sottovalutazione dell’assegnazione delle risorse, sia umane che strumentali e una difficoltà strutturale di cooperazione sia con l’Autorità di Protezione civile che con le parti interessate del settore privato e non governativo, come le organizzazioni di volontariato che, non essendo adeguatamente gestite corrono talvolta il rischio di dare risposte operative non sempre coerenti con le decisioni strategiche e con il coordinamento tattico, scelto in funzione dell’obiettivo.

Altro elemento cardine per affrontare con successo le emergenze è prevedere addestramenti ed esercitazioni, anche in rapporto con gli altri attori coinvolti nell’emergenza, per definire un allenamento tecnico sugli aspetti organizzativi e operativi della gestione del disastro. In pratica chi fa cosa e in quale modo.

CONCLUSIONI
In conclusione, accogliamo con favore le integrazioni normative del decreto 1/2018, anche perché rafforzano gli obiettivi per la gestione delle emergenze non epidemiche, da sempre compito dei servizi veterinari.

Crediamo invece sia indispensabile cogliere l’opportunità che l’applicazione della norma ai vari livelli può rappresentare per l’intera classe veterinaria: acquisire nuove capacità professionali ed essere in grado di fornire una risposta valida e in linea con i tempi durante le emergenze non epidemiche, contribuendo a realizzare una società resiliente.

Antonio Tocchio
Vicepresidente EMERVET




Biodiversità: dalla Fao un nuovo database per tutelare le risorse genetiche animali

La FAO ha lanciato un nuovo database digitale che permetterà ai paesi di monitorare meglio, e di gestire più efficacemente le proprie risorse genetiche animali, oltre a fornire un’allerta rapida in caso di rischio di estinzione.

Il Domestic Animal Diversity Information System (DAD-IS) è la fonte di informazioni globali sulla diversità genetica animale più completa al mondo.

La biodiversità delle circa 40 specie animali che sono state addomesticate per l’uso in agricoltura e per la produzione alimentare è di importanza vitale per la sicurezza alimentare e per lo sviluppo rurale. Molte razze evolutesi localmente, alcune a rischio di estinzione, hanno caratteristiche che le rendono resilienti agli stress climatici, alle malattie e ai parassiti. Negli anni si sono adattate ad ambienti caratterizzati da condizioni difficili.

mappa-estinzione-razze-fao

Nella versione rinnovata, il database DAD-IS include nuovi indicatori per monitorare il rischio di estinzione delle razze, indicando quelle che richiedono un intervento urgente.

Il sistema vanta un’interfaccia rivisitata e di più facile utilizzo, offre un più agevole accesso alle informazioni attraverso un seti di filtri, e – per la priva volta – include una serie di indicatori per monitorare i progressi verso il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs).

Il database è il frutto di 30 anni di raccolta di dati da 182 paesi. Al momento contiene informazioni su circa 9.000 razze di bovini e pollame, incluso caratteristiche peculiari, distribuzione e demografia delle razze, oltre a più di 4.000 immagini.

DAD-IS è uno strumento essenziale per pianificatori, decisori politici e scienziati che desiderano analizzare i trend, formulare decisioni e previsioni informate, sostenere lo sviluppo e l’implementazione di accordi internazionali come il Global Plan of Action for Animal Genetic Resources [Piano di Azione Globale per le Risorse Genetiche Animali, N.d.T.] e altre politiche e strategie nazionali per la gestione delle risorse genetiche animali.

Colmare i gap di informazione

La FAO stima che al mondo circa il 25 per cento delle razze animali domestiche locali siano oggi a rischio di estinzione. Esempi includono le razze bovine Inyambo in Ruanda o Limiá in Spagna, i suini H’mong in Vietnam, le pecore Criollo Uruguayo in Urugai.

DAD-IS è uno strumento potente per informare i decisori politici su rischi potenziali, ma un database è valido tanto quanto le informazioni che contiene” afferma Roswitha Baumung, esperta di Produzione animale della FAO. “Mancano ancora grandi quantità di dati. Non abbiamo avuto accesso a informazioni per monitorare il rischio estinzione di circa due terzi dei bovini e delle specie volatili al mondo“. “I motivi sono molteplici. Alcuni paesi possono non aver raccolto i dati rilevanti, mentre altri possono non aver nominato un coordinatore nazionale per la gestione delle risorse genetiche animali responsabile dell’inserimento dei dati nel sistema. Approfittiamo di questo momento per invitare i paesi a fornire dati sugli animali domestici utilizzando la piattaforma che lanciamo oggi. I dati sono vitali per la salvaguardia della diversità delle specie bovine e contribuiranno a sfamare la crescente popolazione mondiale del futuro” conclude.

Nuovi indicatori relativi agli SDG

Con l’adozione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs, acronimo inglese) nel 2015, la funzione di DAD-IS in quanto deposito di dati globali si è ampliata.

Il sistema permette ai paesi di conservare informazioni rilevanti e di calcolare facilmente indicatori relativi all’ Obiettivo di Sviluppo numero 2 su Fame Zero in merito al mantenimento della diversità genetica degli animali da allevamento e addomesticati, inclusi gli indicatori 2.5.1 e 2.5.2.

Fonte: FAO




Cause di morte del lupo nel territorio agro-silvo-pastorale del Parco nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise

E’ pubblicato sul n° 3/2017 di Argomenti l’articolo “Cause di morte del lupo nel territorio agro-silvo-pastorale del Parco nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise” di N. Piscopo, V. Peretti, A. Martinelli, F. Esposito, M.A. Forgione, E. Scioli, L. Gentile, L. Esposito.

La distribuzione del lupo, lungo la catena appenninica,
subisce una drastica riduzione alla fine degli anni ‘50
del novecento.
Da una stima del 1972, sul territorio italiano, risultavano essere
presenti circa 100 lupi, suddivisi in 4 aree principali: 1.
una grande area tra Abruzzo, Molise, Lazio orientale, Umbria
e Marche; 2. una tra Lazio settentrionale e Toscana meridionale;
3. una tra Campania, Basilicata e Calabria settentrionale;
4. altopiano della Sila.
La situazione relativa alla presenza del Canis lupus, nell’ultimo censimento del 2012 riconosciuto in ambito scientifico, in Europa e Italia è di circa 12.375 individui. Partendo dai dati ufficiali si evince che la popolazione del lupo in Italia è stimata in un range che va da 600 a 800 esemplari suddivisi nelle popolazioni alpine (Italia, Francia, Austria, Slovenia, Svizzera) e peninsulari o appenniniche.

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Valutazione del rischio: le relazioni dell’incontro Efsa-Autorità italiane

Il 14 e 15 dicembre il Direttore esecutivo dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), Bernhard Url, ha incontrato la Direzione generale degli organi collegiali per la tutela della salute (DGOCTS) del Ministero della Salute, che rappresenta l’Autorità nazionale di riferimento di EFSA.

Nella prima giornata si è svolto anche un incontro con i trenta Organismi scientifici nazionali designati ex art. 36 del Reg. (CE) n. 178/2002, che collaborano con EFSA (organizzazioni e enti che svolgono vari compiti per conto dell’agenzia, in particolare l’attività preparatoria ai pareri scientifici, l’assistenza scientifica e tecnica, la raccolta di dati e l’individuazione di rischi emergenti; ne fanno parte:  ISS – CREA – CNR – ENEA – IZS AM – IZSPB – IZSLT – IZSLER – IZSPLVA – IZSSIC – IZSUM – IZSM – IZSVe  -UNIBO – Università Cattolica del Sacro Cuore  – ASST Fatebenefratelli Sacco – UNIPMN – UNIBA – UNIFG – UNIMI – UNIPA – UNIPR – UNIPV – UNIPG – Sapienza Università di Roma – ISPRA – Università di Napoli Federico II – UNIMORE – UNITO – Fondazione Edmund Mach), e con gli esperti nazionali impegnati nei Network dell’Autorità europea, da cui è emersa la volontà di sviluppare ulteriormente la collaborazione con Efsa, anche con il sostegno dell’Istituto superiore di sanità, che rappresenta il Focal Point  (punto di raccordo tecnico-scientifico) italiano di Efsa.

Il Ministero della salute ha pubblicato le relazioni: