Monitoraggio dell’approvvigionamento e disponibilità alimentare in tempo di crisi, nuovo incontro EFSCM

Si è riunito recentemente il gruppo tecnico European Food Security Crisis Preparedness and Response Mechanism – EFSCM, il Meccanismo europeo di preparazione e risposta alle crisi in materia di approvvigionamento alimentare costituito a seguito della crisi COVID-19 nell’ambito della strategia Farm to Fork.

Il meccaniscmo è stato reso necessario a causa dal crescente impatto dei cambiamenti climatici e del degrado ambientale, nonché dai rischi legati alla salute pubblica (come ad esempio proprio la pandemia Covid-19), dalle minacce informatiche o dai cambiamenti geopolitici, come la guerra in Ucraina, che impattano sulla produzione alimentare e possono generare crisi alimentari.

All’incontro ha partecipato Maurizio Ferri, Coordinatore scientifico SIMeVeP.

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Bilancio Bancoalimentare Anno 2022: 110mila tonnellate di cibo distribuite

La Onlus registra un aumento di richieste di aiuto e fa appello ad aziende, enti e istituzioni per realizzare nuove partnership nel 2023 al fine di dare risposte concrete al bisogno crescente

Le difficoltà legate allo scoppio della guerra in Ucraina, all’aumento dell’inflazione e alla crescita dei prezzi delle materie prime e dei costi dell’energia non hanno fermato neanche nel 2022 l’attività di recupero e redistribuzione di cibo che Banco Alimentare realizza ogni giorno in tutta Italia. Quest’anno la Onlus stima di aver distribuito 110.000 tonnellate di cibo, salvandone dallo spreco 42.500 con un risparmio di circa 92.225 tonnellate di CO2 equivalente non emesse.

Siamo preoccupati per la situazione che stiamo vedendo nel nostro Paese – afferma Giovanni Bruno, presidente della Fondazione Banco Alimentare Onlus – con sempre più persone e famiglie che si trovano in povertà assoluta o che rischiano di scivolarci nonostante abbiano un lavoro. Dall’inizio dell’anno sono state 85.000 in più le richieste ricevute dalle 7.600 strutture caritative che sosteniamo in tutta Italia: si tratta di un aumento consistente di richieste che ha fatto salire a 1.750.000 le persone che aiutiamo. Si tratta sempre più di italiani, di famiglie con figli in cui la presenza di un reddito non garantisce più la possibilità di arrivare alla fine del mese con le proprie forze. E questo a fronte di una situazione che conferma le stime dell’anno di meno 8% rispetto al 2021 del cibo recuperato e redistribuito”.

Per rispondere in maniera sempre più efficace all’aumento delle richieste di aiuto è fondamentale far crescere la collaborazione tra le aziende della filiera agroalimentare, le istituzioni e le realtà del terzo settore: è questo l’appello che Banco Alimentare rivolge a tutti gli attori in campo per realizzare nuove partnership nel 2023.

La rete delle 21 Organizzazioni territoriali Banco Alimentare ha portato avanti nel 2022 l’attività quotidiana di recupero e redistribuzione degli alimenti, facendo fronte non solo all’aumento delle richieste di aiuto ma anche all’aumento del 45% dei propri costi di gestione tra logistica, trasporti ed energia elettrica e al calo del 30% delle donazioni economiche da aziende e privati.

Banco Alimentare può contare sulla disponibilità di tempo e sulle competenze di oltre 1.800 volontari, attivi in tutta Italia e che permettono lo svolgimento dell’operatività quotidiana. Ogni giorno collabora con migliaia di aziende che donano alimenti, fondi, con cui sono progettate iniziative a sostegno della mission. Questo ha permesso di costruire alleanze solide e durature nel tempo che, oltre ad essere un enorme valore da far crescere, rende profondamente grati e responsabili di ogni bene ricevuto in dono. Banco Alimentare è cresciuto in capacità logistica, progettuale e di interlocuzione con vari soggetti, anche istituzionali: chiude l’anno con la certezza che ogni sfida che avrà la possibilità di affrontare il prossimo anno, lo vedrà accompagnato e sostenuto dall’amicizia operativa di tanti partner con cui ogni giorno cerca di costruire una realtà più sostenibile e inclusiva per tutti.

È importante anche nel 2023 dare continuità al sostegno che da 33 anni forniamo alle strutture caritative con noi convenzionate, riuscendo a mantenere gli stessi livelli del 2022 – aggiunge Bruno –. Non cerchiamo solo donazioni ma partnership con aziende, enti e istituzioni e cercheremo di promuoverle sempre di più nel corso del nuovo anno. Punteremo anche ad aumentare gli investimenti per cercare di ridurre i nostri costi di gestione, ad esempio introducendo il fotovoltaico nel nostro magazzino più grande a Parma e in qualche altra sede regionale. Non ultimo sarà fondamentale ottimizzare l’attività quotidiana con ulteriori sviluppi dal punto di vista della digitalizzazione”.

 




La lista Rossa dei vertebrati italiani 2022

L’Italia mostra un notevole livello di biodiversità soprattutto in termini di ricchezza di specie. Gli ambienti italiani ospitano una fauna molto diversificata tra le più ricche dei paesi europei. Complessivamente circa il 10% della fauna italiana è endemica, vale a dire presente esclusivamente nel nostro paese. La ricca diversità di specie animali e vegetali presente in Italia è soggetta a minacce concrete dovute all’attività umana.

La Lista Rossa dei vertebrati italiani rappresenta i risultati del lavoro di aggiornamento della valutazione della Lista Rossa IUCN realizzata nel 2013; la metodologia IUCN impone infatti l’aggiornamento entro i dieci anni successivi alla prima stesura. Nel corso della valutazione condotta nel 2013 furono considerate presenti 672 specie di vertebrati terrestri o d’acqua dolce, nella valutazione di aggiornamento il numero è leggermente aumentato fino a 700.

Le specie vertebrate in pericolo critico (CR) sono in totale 40. Di queste quelle che si sono aggravate rispetto alla valutazione del 2013 sono: la Savetta, il Carpione del Garda, il Temolo adriatico, il Geotritone del sarrabus, il Mignattino comune, l’Orecchione sardo.

Entrano nella valutazione di “pericolo critico” (prima assenti per carenza di dati o non valutati): lo Squalo volpe, la Trota mediterranea, il Falco pescatore, il Voltolino, lo Schiribilla.

Le specie classificate “in pericolo” (EN) sono 65.

Gli obiettivi della Lista Rossa sono cinque:

1 – Creazione di una rete di esperti per la valutazione del rischio di estinzione delle specie di vertebrati in Italia;

2 – valutazione del rischio di estinzione per tutte le specie di vertebrati terrestri e un gruppo di vertebrati marini;

3 – Identificazione delle principali minacce antropogeniche ai vertebrati valutati e delle azioni di conservazione necessarie per contrastarle;

4 – Identificazione delle specie e degli ambienti a maggior rischio in Italia;

5 – Creazione e mantenimento di una base di riferimento utile a valutare la tendenza dello stato di conservazione della biodiversità in Italia, garantendo la possibilità l’andamento, nel tempo, del rischio di estinzione delle specie confrontando le valutazioni precedenti.

Lista Rossa dei Vertebrati italiani 2022

 

 

 




In aumento i casi di influenza aviaria nel pollame e negli uccelli acquatici

I casi di infezione da virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) sono aumentati nel pollame e negli uccelli acquatici dall’estate. E’ quanto si afferma nell’ultimo rapporto curato dall’EFSA, dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie e dal Laboratorio di riferimento dell’UE (EURL).

Mentre il numero di segnalazioni di casi di virus HPAI nelle colonie riproduttive di uccelli marini è calato rispetto al precedente periodo di segnalazione (giugno-settembre 2022), il numero di casi negli uccelli acquatici e nel pollame è invece aumentato. Si sospetta che l’aumento del numero di focolai infettivi  nel pollame a partire dall’estate sia legato alla propagazione del virus tramite uccelli acquatici. Informazioni specifiche sull’andamento dei casi sono disponibili in un prodotto interattivo o dashboard pubblicato quest’oggi dall’EFSA.

L’epidemia di HPAI in corso è la più vasta mai osservata in Europa. Nel primo anno dell’epidemia, da ottobre 2021 a settembre 2022, sono stati notificati in 37 Paesi europei un totale di 2 520 focolai nel pollame, 227 focolai nei volatili in cattività e 3 867 casi nei volatili selvatici. Negli allevamenti interessati dal virus sono stati abbattuti circa 50 milioni di volatili. L’insolita persistenza dell’HPAI nei volatili selvatici e nel pollame per tutta l’estate del 2022 indica che per la prima volta non c’è stata una netta separazione tra la fine del primo anno dell’epidemia e l’inizio della stagione HPAI di quest’anno, iniziata nell’ottobre 2022.

L’ECDC, che ha ugualmente contribuito alla stesura del rapporto, ha concluso che il rischio di infezione per la popolazione umana dell’UE/SEE in genere è basso, e da basso a medio per le persone esposte al virus per motivi professionali.

Dando seguito a una richiesta della Commissione europea, l’EFSA sta valutando la disponibilità di vaccini contro l’HPAI per il pollame oltre che potenziali strategie vaccinali. I risultati di questo studio, a cui contribuiscono anche l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) e l’EURL, saranno disponibile nella seconda metà del 2023.

Atti scientifici di riferimento




Progetti SIMeVeP. Risk based meat safety assurance system. An introduction to key concepts for future training of official veterinarians

È stato pubblicato sulla rivista Food Control l’articolo dal titolo ‘ Risk based meat safety assurance system – An introduction to key concepts for future training of official veterinarians’ elaborato da uno dei 5 gruppi di lavoro (gruppo di lavoro “formazione, comunicazione e monitoraggio del sistema di assicurazione della sicurezza delle carni”), del quale è componente per la SIMeVeP Maurizio Ferri, nell’ambito della rete RIBMINS (“Risk-based meat inspection and integrated meat safety assurance)” di COST Action 18105.

L’iniziativa COST  European Cooperation in Science and Technology è un programma intergovernativo di cooperazione europea nella ricerca scientifica e tecnologica nato nel 1971 di cui l’Italia è paese fondatore.

Questi gli highlights:

– Il sistema convenzionale di sicurezza della carne in Europa si sta attualmente spostando verso un approccio più basato sul rischio e sulla scienza.

– È stato proposto un sistema di garanzia della sicurezza della carne basato sul rischio e integrato (RB-MSAS) per affrontare i pericoli più rilevanti identificati da EFSA.

– I veterinari ufficiali (VU) svolgono un ruolo essenziale come gestori del rischio in questo nuovo quadro.

– Le sfide future sono legate a nuovi strumenti di formazione avanzata per i VU.

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Di Guardo fra i migliori scienziati italiani segnalati dalla Stanford University

Giovanni Di GuardoLa Rivista scientifica internazionale “Pathogens” ha appena reso noto che 70 dei 450 Membri del proprio Comitato Editoriale sono stati inclusi nella classifica degli “World’s Top 2% Scientists”.

La classifica in oggetto, che di anno in anno viene elaborata – a far tempo dal 1960 – dalla prestigiosa Università statunitense di Stanford, si compone di due distinte sezioni, la prima dedicata al “prestigio ed al merito scientifico permanenti”, la seconda al “prestigio ed al merito scientifico nel solo anno di riferimento”.

Per quanto specificamente attiene a quest’ultima, sono ben 11 le Scienziate e gli Scienziati italiani che fanno parte dell’elenco anzidetto, fra cui il Prof. Giovanni Di Guardo – già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo.

Si tratta di un quantomai prestigioso riconoscimento che ancora una volta onora la Comunità Scientifica del nostro Paese, la quale come risulta ben noto si colloca all’ottavo posto nel mondo per la qualità della propria produzione scientifica.

E tanto più encomiabile, meritorio e rimarchevole appare tutto ciò allorquando si pensi che il nostro Paese continua insensatamente e pervicacemente ad investire una quota del PIL ben al di sotto di quella spesa dalla media dei Paesi dell’Unione Europea nel finanziamento pubblico della ricerca.




Master di II Livello in “One Health in Sanità Pubblica”

Partirà a gennaio 2023 il master di secondo livello “One Health in Sanità Pubblica” che vede fra i docenti anche Aldo Grasselli, Segretario Nazionale SIVeMP. Il corso di studi è stato ideato, organizzato e promosso, congiuntamente da: Università di Pisa, Università degli Studi di ROMA “Tor Vergata” e Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana.

La formazione dei professionisti nel campo della salute unica richiede nuove conoscenze, attitudini e capacità di fare, da qui l’obiettivo del Master, completare le conoscenze dei partecipanti in un’ottica One Health, con elementi relativi alla salute dell’ambiente, delle persone e degli animali, evidenziandone connessioni e legami.

È indirizzato a professionisti di più aree di formazione che vogliano acquisire competenze trasversali di sanità animale, salute umana e tutela dell’ambiente, per agire simultaneamente in un quadro globale multiprofessionale capace di integrare ambiti scientifici diversi in nuovi modelli integrati di lavoro.

L’approccio One Health nella gestione della sanità pubblica – afferma il Prof. Mazzei – direttore del Master, è oggi un fatto incontrovertibile.  In virtù di questo è indispensabile l’integrazione delle conoscenze e delle competenze. La gestione delle azioni per la salute unica, richiede nuove visioni, nuove capacità di collaborazione, attitudini orientate all’ascolto e alla capacità di lavorare in team compositi multidisciplinari.

Organizzato in 20 moduli che alternano attività seminariali in presenza, attività didattica on-line, lavori in campo per studio di casi complessi, il programma del Master contribuisce al perseguimento dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU: 3. benessere e salute.

Posti disponibili: 22 min. fino a 25. Scadenza domanda di ammissione: 30/11/2022.

Data Inizio corsi: 15/01/2023

Requisiti di ammissione: varie lauree magistrali lauree specialistiche lauree vecchio ordinamento dell’area medica, biologica, agro-zootecnica, veterinaria.

Informazioni, costi e iscrizioni

Programma dettagliato




David Quammen: un delfino, una focena e due uomini hanno avuto l’influenza aviaria. Un avvertimento per tutti

All’inizio di settembre, gli scienziati dell’Università della Florida hanno confermato che un delfino – la cui carcassa era stata trovata a marzo scorso in un canale, lungo la Costa del Golfo – presentava un tipo di influenza aviaria altamente patogeno. Aveva un’infiammazione cerebrale.

Come dice il nome stesso, il virus dell’influenza aviaria è molto abile nel contagiare gli uccelli, ma talvolta si spinge oltre e prende altre direzioni. Pochi mesi dopo la morte del tursiope, un altro mammifero marino – una focena – è stato trovato spiaggiato e in fin di vita sulla costa occidentale svedese. Poco dopo il ritrovamento, la focena è deceduta, colpita dal medesimo virus. Tra questi due casi, ce n’è stato uno più preoccupante ancora in Colorado: dopo alcune analisi di laboratorio, un uomo è risultato positivo all’influenza aviaria. Era un carcerato impegnato a lavorare in vista della scarcerazione in un impianto di pollame, nel quale doveva procedere all’abbattimento selettivo dei volativi colpiti dal contagio.

Altre analisi hanno messo in discussione il contagio del soggetto, sussistendo il dubbio che il tampone di controllo potesse essere entrato semplicemente in contatto con virus presenti nel suo naso. Tuttavia, quello del carcerato canadese non è stato l’unico caso di essere umano risultato positivo all’influenza aviaria – per la precisione l’H5N1 – l’anno scorso. Intorno al Natale del 2021, anche un britannico di 79 anni, che viveva in contatto stretto con una ventina di anatre di sua proprietà, è risultato positivo al virus dell’influenza aviaria.

Se questi quattro eventi – un delfino morto, una focena morta, due uomini risultati positivi a un pericoloso virus aviario – non vi appaiono in relazione tra loro e vi sembrano insignificanti, forse dipende dal fatto che non avete sentito parlare di “viral chatter”, espressione coniata vari decenni fa il dottor Donald Burke, esperto ricercatore di malattie infettive ed ex rettore della University of Pittsburgh Graduate School of Public Health, per indicare il momento in cui un virus effettua in modo episodico un salto di specie, passando da animali selvatici a esseri umani e provocando talvolta una piccola catena di contagi. Si tratta di un segnale d’allarme dei focolai, spesso riconosciuto quando ormai è troppo tardi.

L’idea di viral chatter in sostanza allude all’emissione di un breve segnale periodico quando avviene un salto di specie

mi ha detto il dottor Burke undici anni fa.

I virus degli uccelli passano ai mammiferi. I virus dei pipistrelli passano agli uomini. Di solito, questi focolai e contagi occasionali arrivano a un punto morto, il che è un bene. Ma “occasionali” significa anche che uno schema si ripete, il che è male – o quanto meno allarmante. Ciò che questo schema segnala alle persone avvedute come il dottor Burke è che un dato virus “vuole” superare il divario tra ospiti animali ed esseri umani e diffondersi ovunque.

Dire che un virus “vuole” fare qualcosa è antropomorfismo, naturalmente, perché i virus non sono dotati di volontà propria. È soltanto la mera convenienza, e non un’intenzione malvagia, a determinare il loro comportamento. L’antropomorfismo, in ogni caso, può tornare utile. I segnali dell’influenza H5N1 indicano che il virus sta esplorando le sue prospettive tra vari mammiferi. Faremmo bene a ricordare che ciò ci riguarda direttamente da vicino.

Sono due le domande sul “viral chatter” che formulano gli esperti di malattie infettive: stiamo ascoltando con sufficiente attenzione per capire quello che implicano? Siamo pronti ad agire?

Non ogni persona contagiata diventa il paziente zero di un focolaio di considerevoli dimensioni, per non parlare di una pandemia. Tuttavia, quanti più casi si presentano – e tanti più segnali vi sono – tanto più è grande la possibilità che un contagio porti alla catastrofe. Gli esseri umani vivono molto vicini tra loro e sono interconnessi, il che significa che costituiscono una grandissima opportunità per qualsiasi virus in grado di contagiare i mammiferi.

L’H5N1 è soltanto uno di numerosi sottotipi di febbre aviaria passati all’uomo negli ultimi decenni, e le influenze sono soltanto uno dei modi con i quali i virus sono capaci di effettuare il salto tra specie. Ovviamente, i coronavirus sono altro ancora.

Quando nel luglio 2003 terminò l’epidemia originaria di Sars, sembrò che il virus fosse stato sradicato tra gli esseri umani – anche se in natura continuava a esistere. Però, quando dal dicembre 2003 al gennaio 2004 si presentarono quattro nuovi casi tra gli esseri umani, si scoprì che il virus aveva effettuato di nuovo un salto di specie, a quanto pare in un ristorante dove si tenevano in gabbia zibetti delle palme (ospiti intermedi del virus) serviti come pietanza. Ciò portò a due in un solo anno i casi di salto di specie del virus Sars. Quanti altri casi, però, non furono segnalati?

Il virus Nipah, altro esempio, fu individuato tra gli esseri umani in Malesia nel 1998, quando effettuò un primo salto di specie dai pipistrelli, tra i quali è di casa, ai maiali e un secondo salto ancora da questi ai coltivatori di maiali e ai commercianti di carne di maiale. I pipistrelli della frutta che lo ospitano sono molto diffusi un po’ ovunque in Asia meridionale e da allora il virus Nipah ha provocato decine di focolai in Bangladesh e in India orientale. Il suo tasso di letalità arriva ben al 75 per cento ma, per nostra fortuna, non si trasmette facilmente da persona a persona. La prossima volta che si presenterà può darsi che lo faccia… Riuscite a sentire i segnali?

«Non simulerò di essere un veggente» mi disse il dottor Burke. Previsione, disse, era una parola già molto forte per quello che faceva. «In ogni caso, si può affermare che da quella zona si sentono arrivare segnali, che si tratta di una zona pericolosa e che questi sono i virus di cui dovremmo preoccuparci». Le previsioni informate sulle aree a rischio rendono possibili due aspetti importanti per la prevenzione di una pandemia: la vigilanza nei riguardi dei contagi più inverosimili e dello scoppio imminente di un’epidemia per intervenire per tempo, e una risposta efficace e immediata per contenere i contagi e impedire che si diffondano. La necessità di una seria vigilanza sui virus non è nuova. Subito dopo che fu fondata nel 1948, l’Organizzazione Mondiale della Sanità predispose un osservatorio globale sull’influenza e un sistema di intervento (Global Influenza Surveillance and Response System), una rete di laboratori e di centri di coordinamento miranti a individuare e risalire ai ceppi influenzali, registrarne i trend, monitorare gli interventi di politica sanitaria nel mondo. Questo sforzo coinvolge oggi alcune istituzioni di primaria importanza in 124 Stati facenti parte dell’Oms e prevede la condivisione a livello globale delle informazioni genetiche ed epidemiologiche raccolte. Nel 2000, nella preoccupazione crescente di altri virus emergenti, i membri dell’Oms hanno creato qualcosa di più ambizioso ancora, il Global Outbreak Alert and Response Network, ideato per aiutare i Paesi nei quali dovessero presentarsi dei focolai a impedirne la diffusione a livello globale. Da allora, nel corso degli anni, sono state varate molte più iniziative e organizzazioni. Di recente, però, ho parlato di influenza aviaria con cinque illustri ricercatori di varie parti del mondo, chiedendo a ciascuno di essi un parere sulla vigilanza esercitata. Le loro risposte sono state cinque variazioni di “inadeguatezza”.

Uno dei modi migliori per esercitare la vigilanza è sottoporre a esami del sangue e di altri campioni biologici le persone apparentemente sane che vivono in situazioni di rischio, per esempio i coltivatori di pollame o di suini (che possono fungere da intermediari per i virus influenzali) o chi lavora nei mercati dove si vendono animali vivi in gabbia, uccelli e mammiferi le cui deiezioni si spargono ovunque e che respirano l’aria di un medesimo ambiente chiuso. Un altro modo molto efficace per vigilare sullo scoppio di un focolaio è la campionatura preventiva degli animali selvatici con i quali gli esseri umani vengono in contatto, per esempio le prede catturate dai cacciatori, i roditori che infestano gli edifici, le anatre e le oche selvatiche che si mescolano ai loro simili domestici nelle mangiatoie o negli specchi d’acqua all’aperto. In parte, in alcune comunità e situazioni commerciali lo si fa già, ma secondo gli esperti non lo si fa abbastanza.

I motivi dell’inadeguatezza comprendono errori delle organizzazioni, finanziamenti limitati, alcuni aspetti economici dell’industria del pollame, il mercato nero degli animali selvatici e lo scarso impegno da parte dei governi nazionali e locali. Nei Paesi a basso reddito vi è anche penuria di tecnici e di veterinari preparati, come anche una resistenza a condividere le informazioni e i dati e una certa opposizione a controllare i soggetti sani ma a rischio, mentre tra le nazioni più potenti e con buone risorse circolano sospetti reciproci (esacerbati dall’esperienza con la Covid-19).

L’inadeguatezza è deplorevole e pericolosa. Viviamo in un mondo di virus che stanno all’interno di creature cellulari di tutti i tipi: animali, piante, funghi, protozoi, batteri e altri microbi. Centinaia di migliaia di questi virus nei mammiferi e negli uccelli possono contagiare l’uomo, e il contagiato potrebbe essere in grado di trasmettere il virus a un’altra persona, e poi a un’altra e un’altra ancora. Se non sentiamo i segnali è soltanto perché non stiamo ascoltando attentamente.

David Quammen su The New York Times 31 ottobre 2022




Covid. Un clamoroso errore la chiusura del Cts

Se è vero come è vero che almeno i due terzi delle cosiddette “malattie infettive emergenti” traggono la propria origine da uno o più serbatoi animali, al pari di quanto sarebbe con ogni probabilità accaduto anche per SARS-CoV-2, il famigerato betacoronavirus responsabile della Covid-19, appare più che lecito domandarsi come mai sia stata adottata da “chi di dovere” l’infelice decisione di chiudere il “Comitato Tecnico-Scientifico“, popolarmente noto con l’acronimo CTS.

Nei suoi fugaci due soli anni di vita, il CTS ha infatti fornito al nostro Governo una serie di importanti raccomandazioni finalizzate alla complessa gestione della drammatica pandemia da SARS-CoV-2.

Nel frattempo, mentre il nostro mondo continuava pervicacemente a rimanere “Covid-centrico” e, nondimeno, “antropocentrico”, nuove ed ulteriori minacce sostenute da agenti infettivi a documentata capacità zoonosica si sono progressivamente affacciate all’orizzonte. Particolarmente degni di nota risultano, a tal proposito, il “cluster” di casi umani di encefalite/encefalomielite da “West Nile virus” (WNV) registratosi nei mesi scorsi in nord Italia con oltre 20 decessi, unitamente all’epidemia da “Monkeypox virus” segnalata in più di 100 Paesi, con oltre 60.000 casi osservati nell’uomo.

Di pari passo con l’allarmante incremento delle temperature medie segnalato in special modo nel corso degli ultimi 8 anni su scala planetaria, si sta osservando un contestuale aumento della frequenza delle infezioni umane ed animali veicolate da artropodi, come chiaramente testimoniato dal recente cluster di casi umani di encefalite/encefalomielite da WNV osservato in diverse Regioni settentrionali del nostro Paese.

In un siffatto contesto, ne consegue che non soltanto si sarebbe dovuta assicurare la necessaria continuità ed operatività al CTS, ma si sarebbe dovuta prevedere, al contrario, la cooptazione di almeno un Medico Veterinario al suo interno, cosa di fatto mai avvenuta.

Errare Humanum est, Perseverare autem Diabolicum!

Per buona pace, giustappunto, della “One Health”, la salute unica di uomo, animali e ambiente.

Giovanni Di Guardo

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




La general Food Law e l’EFSA compiono 20 anni

Bandiera Unione EuropeaGli europei hanno fiducia nella sicurezza dei loro alimenti, pur non sapendo, forse, che un solido quadro giuridico dell’UE protegge ogni aspetto della filiera alimentare. Alexandra Nikolakopoulou della DG SANTE parla della General Food law, adottata 20 anni fa, dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) da essa istituita e del modo in cui queste contribuiscono a garantire la sicurezza della produzione e della distribuzione di alimenti e mangimi.

La legislazione alimentare generale ha raggiunto i propri obiettivi da quando è stata adottata 20 anni fa?

Gli effetti del regolamento sulla legislazione alimentare generale non vanno sottovalutati. Adottato a seguito di una serie di incidenti alimentari verificatisi alla fine degli anni 1990, le sue definizioni comuni, i suoi obiettivi e principi generali hanno ridefinito e rimodellato la legislazione e la politica alimentare dell’UE. L’elemento più importante tra questi è il principio di analisi dei rischi, secondo cui la legislazione alimentare deve basarsi su dati scientifici.

Il regolamento ha istituito l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e stabilito il sistema di allarme rapido per gli alimenti e i mangimi (RASFF) e le principali procedure e strumenti per la gestione delle emergenze e delle crisi.

Quindi sì, la legislazione alimentare generale sta facendo ciò per cui è stata creata, ovvero contribuisce ad un’alta salvaguardia della vita umana e degli interessi dei consumatori in relazione agli alimenti, proteggendoli dai rischi lungo la filiera alimentare. Fornisce inoltre all’Unione europea uno dei sistemi di sicurezza alimentare più solidi ed efficienti al mondo.

Quest’anno l’EFSA celebra il suo ventesimo anniversario! In che modo contribuisce al funzionamento della filiera alimentare?

L’EFSA ha consolidato l’approccio scientifico all’elaborazione delle politiche e ha contribuito a fornire alle misure dell’UE una solida base scientifica. Ha mantenuto la fiducia nell’approvvigionamento alimentare e rafforzato le norme e la sicurezza alimentare dell’UE.

L’EFSA ha inoltre rilanciato la collaborazione con organismi scientifici nazionali ed internazionali e lo scambio di informazioni con gli Stati membri e la Commissione. Il risultato è stato la comprensione reciproca sui rischi connessi agli alimenti, la riduzione drastica del rischio di duplicazione e la diminuzione delle divergenze scientifiche con altri organismi di valutazione dei rischi.

Sebbene l’attività principale dell’EFSA consista nel valutare i rischi, essa informa e dialoga anche con il pubblico in merito ai rischi nella filiera alimentare attraverso campagne di sensibilizzazione (ad esempio, la campagna #EUChooseSafeFood).

I cittadini dell’UE sono preoccupati per la sicurezza alimentare?

In una recente indagine Eurobarometro sulla sicurezza alimentare nell’UE, sette intervistati su dieci in tutta l’UE (70%) hanno dichiarato di essere “personalmente interessati” al tema della sicurezza alimentare.

Se il prezzo degli alimenti resta il criterio che più influenza gli acquisti di prodotti alimentari, seguito dai gusti, quasi la metà dei consumatori pensa anche alla sicurezza alimentare. Il 41% dei cittadini dà per scontato che gli alimenti acquistati siano sicuri.

Dall’indagine risulta anche che la maggior parte dei cittadini riconosce che lo stato dell’ambiente, degli animali e delle piante incide sulla salute umana.

La legislazione alimentare generale è ancora adatta alla complessità della filiera alimentare?

Dall’adozione della legislazione alimentare generale, il contesto politico e socioeconomico si è evoluto, andando ad influire sulla percezione e sulle aspettative dei consumatori riguardo alla filiera alimentare. Eppure, questa legislazione resta attuale e pertinente nell’affrontare la complessità della filiera alimentare, come confermano le conclusioni della valutazione REFIT della Commissione del 2018 sull’adeguatezza ed efficacia della legislazione.

Inoltre, la legislazione alimentare generale è stata modificata nel 2019 dal regolamento sulla trasparenza per garantire un miglior coordinamento della comunicazione dei rischi e per rafforzare ulteriormente la limpidezza della valutazione dei rischi e l’affidabilità e l’indipendenza degli studi alla base delle valutazioni dell’EFSA, tutelando al contempo la legittimità delle informazioni commerciali riservate.

L’EFSA guarda avanti con la strategia 2027. Perché era necessaria una nuova strategia?

Il regolamento sulla trasparenza, in vigore dal 2021, ha rafforzato il ruolo dell’EFSA. A causa delle sue maggiori responsabilità e degli sviluppi politici a livello dell’UE, come il Green Deal, la strategia “dal produttore al consumatore”, la strategia in materia di sostanze chimiche sostenibili e la strategia sulla biodiversità, il fulcro delle attività dell’EFSA sta cambiando.  Anche crisi globali come la pandemia e l’attuale guerra in Ucraina hanno serie conseguenze sulla filiera alimentare, sulla disponibilità e sulla sicurezza degli alimenti. La strategia 2027 era necessaria per definire in che modo l’EFSA intende rispondere al presente contesto in evoluzione per offrire un servizio sempre migliore ai suoi clienti, ai partner, alle parti interessate e al pubblico in generale.

Fonte: Commissione europea