David Quammen: un delfino, una focena e due uomini hanno avuto l’influenza aviaria. Un avvertimento per tutti

All’inizio di settembre, gli scienziati dell’Università della Florida hanno confermato che un delfino – la cui carcassa era stata trovata a marzo scorso in un canale, lungo la Costa del Golfo – presentava un tipo di influenza aviaria altamente patogeno. Aveva un’infiammazione cerebrale.

Come dice il nome stesso, il virus dell’influenza aviaria è molto abile nel contagiare gli uccelli, ma talvolta si spinge oltre e prende altre direzioni. Pochi mesi dopo la morte del tursiope, un altro mammifero marino – una focena – è stato trovato spiaggiato e in fin di vita sulla costa occidentale svedese. Poco dopo il ritrovamento, la focena è deceduta, colpita dal medesimo virus. Tra questi due casi, ce n’è stato uno più preoccupante ancora in Colorado: dopo alcune analisi di laboratorio, un uomo è risultato positivo all’influenza aviaria. Era un carcerato impegnato a lavorare in vista della scarcerazione in un impianto di pollame, nel quale doveva procedere all’abbattimento selettivo dei volativi colpiti dal contagio.

Altre analisi hanno messo in discussione il contagio del soggetto, sussistendo il dubbio che il tampone di controllo potesse essere entrato semplicemente in contatto con virus presenti nel suo naso. Tuttavia, quello del carcerato canadese non è stato l’unico caso di essere umano risultato positivo all’influenza aviaria – per la precisione l’H5N1 – l’anno scorso. Intorno al Natale del 2021, anche un britannico di 79 anni, che viveva in contatto stretto con una ventina di anatre di sua proprietà, è risultato positivo al virus dell’influenza aviaria.

Se questi quattro eventi – un delfino morto, una focena morta, due uomini risultati positivi a un pericoloso virus aviario – non vi appaiono in relazione tra loro e vi sembrano insignificanti, forse dipende dal fatto che non avete sentito parlare di “viral chatter”, espressione coniata vari decenni fa il dottor Donald Burke, esperto ricercatore di malattie infettive ed ex rettore della University of Pittsburgh Graduate School of Public Health, per indicare il momento in cui un virus effettua in modo episodico un salto di specie, passando da animali selvatici a esseri umani e provocando talvolta una piccola catena di contagi. Si tratta di un segnale d’allarme dei focolai, spesso riconosciuto quando ormai è troppo tardi.

L’idea di viral chatter in sostanza allude all’emissione di un breve segnale periodico quando avviene un salto di specie

mi ha detto il dottor Burke undici anni fa.

I virus degli uccelli passano ai mammiferi. I virus dei pipistrelli passano agli uomini. Di solito, questi focolai e contagi occasionali arrivano a un punto morto, il che è un bene. Ma “occasionali” significa anche che uno schema si ripete, il che è male – o quanto meno allarmante. Ciò che questo schema segnala alle persone avvedute come il dottor Burke è che un dato virus “vuole” superare il divario tra ospiti animali ed esseri umani e diffondersi ovunque.

Dire che un virus “vuole” fare qualcosa è antropomorfismo, naturalmente, perché i virus non sono dotati di volontà propria. È soltanto la mera convenienza, e non un’intenzione malvagia, a determinare il loro comportamento. L’antropomorfismo, in ogni caso, può tornare utile. I segnali dell’influenza H5N1 indicano che il virus sta esplorando le sue prospettive tra vari mammiferi. Faremmo bene a ricordare che ciò ci riguarda direttamente da vicino.

Sono due le domande sul “viral chatter” che formulano gli esperti di malattie infettive: stiamo ascoltando con sufficiente attenzione per capire quello che implicano? Siamo pronti ad agire?

Non ogni persona contagiata diventa il paziente zero di un focolaio di considerevoli dimensioni, per non parlare di una pandemia. Tuttavia, quanti più casi si presentano – e tanti più segnali vi sono – tanto più è grande la possibilità che un contagio porti alla catastrofe. Gli esseri umani vivono molto vicini tra loro e sono interconnessi, il che significa che costituiscono una grandissima opportunità per qualsiasi virus in grado di contagiare i mammiferi.

L’H5N1 è soltanto uno di numerosi sottotipi di febbre aviaria passati all’uomo negli ultimi decenni, e le influenze sono soltanto uno dei modi con i quali i virus sono capaci di effettuare il salto tra specie. Ovviamente, i coronavirus sono altro ancora.

Quando nel luglio 2003 terminò l’epidemia originaria di Sars, sembrò che il virus fosse stato sradicato tra gli esseri umani – anche se in natura continuava a esistere. Però, quando dal dicembre 2003 al gennaio 2004 si presentarono quattro nuovi casi tra gli esseri umani, si scoprì che il virus aveva effettuato di nuovo un salto di specie, a quanto pare in un ristorante dove si tenevano in gabbia zibetti delle palme (ospiti intermedi del virus) serviti come pietanza. Ciò portò a due in un solo anno i casi di salto di specie del virus Sars. Quanti altri casi, però, non furono segnalati?

Il virus Nipah, altro esempio, fu individuato tra gli esseri umani in Malesia nel 1998, quando effettuò un primo salto di specie dai pipistrelli, tra i quali è di casa, ai maiali e un secondo salto ancora da questi ai coltivatori di maiali e ai commercianti di carne di maiale. I pipistrelli della frutta che lo ospitano sono molto diffusi un po’ ovunque in Asia meridionale e da allora il virus Nipah ha provocato decine di focolai in Bangladesh e in India orientale. Il suo tasso di letalità arriva ben al 75 per cento ma, per nostra fortuna, non si trasmette facilmente da persona a persona. La prossima volta che si presenterà può darsi che lo faccia… Riuscite a sentire i segnali?

«Non simulerò di essere un veggente» mi disse il dottor Burke. Previsione, disse, era una parola già molto forte per quello che faceva. «In ogni caso, si può affermare che da quella zona si sentono arrivare segnali, che si tratta di una zona pericolosa e che questi sono i virus di cui dovremmo preoccuparci». Le previsioni informate sulle aree a rischio rendono possibili due aspetti importanti per la prevenzione di una pandemia: la vigilanza nei riguardi dei contagi più inverosimili e dello scoppio imminente di un’epidemia per intervenire per tempo, e una risposta efficace e immediata per contenere i contagi e impedire che si diffondano. La necessità di una seria vigilanza sui virus non è nuova. Subito dopo che fu fondata nel 1948, l’Organizzazione Mondiale della Sanità predispose un osservatorio globale sull’influenza e un sistema di intervento (Global Influenza Surveillance and Response System), una rete di laboratori e di centri di coordinamento miranti a individuare e risalire ai ceppi influenzali, registrarne i trend, monitorare gli interventi di politica sanitaria nel mondo. Questo sforzo coinvolge oggi alcune istituzioni di primaria importanza in 124 Stati facenti parte dell’Oms e prevede la condivisione a livello globale delle informazioni genetiche ed epidemiologiche raccolte. Nel 2000, nella preoccupazione crescente di altri virus emergenti, i membri dell’Oms hanno creato qualcosa di più ambizioso ancora, il Global Outbreak Alert and Response Network, ideato per aiutare i Paesi nei quali dovessero presentarsi dei focolai a impedirne la diffusione a livello globale. Da allora, nel corso degli anni, sono state varate molte più iniziative e organizzazioni. Di recente, però, ho parlato di influenza aviaria con cinque illustri ricercatori di varie parti del mondo, chiedendo a ciascuno di essi un parere sulla vigilanza esercitata. Le loro risposte sono state cinque variazioni di “inadeguatezza”.

Uno dei modi migliori per esercitare la vigilanza è sottoporre a esami del sangue e di altri campioni biologici le persone apparentemente sane che vivono in situazioni di rischio, per esempio i coltivatori di pollame o di suini (che possono fungere da intermediari per i virus influenzali) o chi lavora nei mercati dove si vendono animali vivi in gabbia, uccelli e mammiferi le cui deiezioni si spargono ovunque e che respirano l’aria di un medesimo ambiente chiuso. Un altro modo molto efficace per vigilare sullo scoppio di un focolaio è la campionatura preventiva degli animali selvatici con i quali gli esseri umani vengono in contatto, per esempio le prede catturate dai cacciatori, i roditori che infestano gli edifici, le anatre e le oche selvatiche che si mescolano ai loro simili domestici nelle mangiatoie o negli specchi d’acqua all’aperto. In parte, in alcune comunità e situazioni commerciali lo si fa già, ma secondo gli esperti non lo si fa abbastanza.

I motivi dell’inadeguatezza comprendono errori delle organizzazioni, finanziamenti limitati, alcuni aspetti economici dell’industria del pollame, il mercato nero degli animali selvatici e lo scarso impegno da parte dei governi nazionali e locali. Nei Paesi a basso reddito vi è anche penuria di tecnici e di veterinari preparati, come anche una resistenza a condividere le informazioni e i dati e una certa opposizione a controllare i soggetti sani ma a rischio, mentre tra le nazioni più potenti e con buone risorse circolano sospetti reciproci (esacerbati dall’esperienza con la Covid-19).

L’inadeguatezza è deplorevole e pericolosa. Viviamo in un mondo di virus che stanno all’interno di creature cellulari di tutti i tipi: animali, piante, funghi, protozoi, batteri e altri microbi. Centinaia di migliaia di questi virus nei mammiferi e negli uccelli possono contagiare l’uomo, e il contagiato potrebbe essere in grado di trasmettere il virus a un’altra persona, e poi a un’altra e un’altra ancora. Se non sentiamo i segnali è soltanto perché non stiamo ascoltando attentamente.

David Quammen su The New York Times 31 ottobre 2022




Covid. Un clamoroso errore la chiusura del Cts

Se è vero come è vero che almeno i due terzi delle cosiddette “malattie infettive emergenti” traggono la propria origine da uno o più serbatoi animali, al pari di quanto sarebbe con ogni probabilità accaduto anche per SARS-CoV-2, il famigerato betacoronavirus responsabile della Covid-19, appare più che lecito domandarsi come mai sia stata adottata da “chi di dovere” l’infelice decisione di chiudere il “Comitato Tecnico-Scientifico“, popolarmente noto con l’acronimo CTS.

Nei suoi fugaci due soli anni di vita, il CTS ha infatti fornito al nostro Governo una serie di importanti raccomandazioni finalizzate alla complessa gestione della drammatica pandemia da SARS-CoV-2.

Nel frattempo, mentre il nostro mondo continuava pervicacemente a rimanere “Covid-centrico” e, nondimeno, “antropocentrico”, nuove ed ulteriori minacce sostenute da agenti infettivi a documentata capacità zoonosica si sono progressivamente affacciate all’orizzonte. Particolarmente degni di nota risultano, a tal proposito, il “cluster” di casi umani di encefalite/encefalomielite da “West Nile virus” (WNV) registratosi nei mesi scorsi in nord Italia con oltre 20 decessi, unitamente all’epidemia da “Monkeypox virus” segnalata in più di 100 Paesi, con oltre 60.000 casi osservati nell’uomo.

Di pari passo con l’allarmante incremento delle temperature medie segnalato in special modo nel corso degli ultimi 8 anni su scala planetaria, si sta osservando un contestuale aumento della frequenza delle infezioni umane ed animali veicolate da artropodi, come chiaramente testimoniato dal recente cluster di casi umani di encefalite/encefalomielite da WNV osservato in diverse Regioni settentrionali del nostro Paese.

In un siffatto contesto, ne consegue che non soltanto si sarebbe dovuta assicurare la necessaria continuità ed operatività al CTS, ma si sarebbe dovuta prevedere, al contrario, la cooptazione di almeno un Medico Veterinario al suo interno, cosa di fatto mai avvenuta.

Errare Humanum est, Perseverare autem Diabolicum!

Per buona pace, giustappunto, della “One Health”, la salute unica di uomo, animali e ambiente.

Giovanni Di Guardo

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




La general Food Law e l’EFSA compiono 20 anni

Bandiera Unione EuropeaGli europei hanno fiducia nella sicurezza dei loro alimenti, pur non sapendo, forse, che un solido quadro giuridico dell’UE protegge ogni aspetto della filiera alimentare. Alexandra Nikolakopoulou della DG SANTE parla della General Food law, adottata 20 anni fa, dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) da essa istituita e del modo in cui queste contribuiscono a garantire la sicurezza della produzione e della distribuzione di alimenti e mangimi.

La legislazione alimentare generale ha raggiunto i propri obiettivi da quando è stata adottata 20 anni fa?

Gli effetti del regolamento sulla legislazione alimentare generale non vanno sottovalutati. Adottato a seguito di una serie di incidenti alimentari verificatisi alla fine degli anni 1990, le sue definizioni comuni, i suoi obiettivi e principi generali hanno ridefinito e rimodellato la legislazione e la politica alimentare dell’UE. L’elemento più importante tra questi è il principio di analisi dei rischi, secondo cui la legislazione alimentare deve basarsi su dati scientifici.

Il regolamento ha istituito l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e stabilito il sistema di allarme rapido per gli alimenti e i mangimi (RASFF) e le principali procedure e strumenti per la gestione delle emergenze e delle crisi.

Quindi sì, la legislazione alimentare generale sta facendo ciò per cui è stata creata, ovvero contribuisce ad un’alta salvaguardia della vita umana e degli interessi dei consumatori in relazione agli alimenti, proteggendoli dai rischi lungo la filiera alimentare. Fornisce inoltre all’Unione europea uno dei sistemi di sicurezza alimentare più solidi ed efficienti al mondo.

Quest’anno l’EFSA celebra il suo ventesimo anniversario! In che modo contribuisce al funzionamento della filiera alimentare?

L’EFSA ha consolidato l’approccio scientifico all’elaborazione delle politiche e ha contribuito a fornire alle misure dell’UE una solida base scientifica. Ha mantenuto la fiducia nell’approvvigionamento alimentare e rafforzato le norme e la sicurezza alimentare dell’UE.

L’EFSA ha inoltre rilanciato la collaborazione con organismi scientifici nazionali ed internazionali e lo scambio di informazioni con gli Stati membri e la Commissione. Il risultato è stato la comprensione reciproca sui rischi connessi agli alimenti, la riduzione drastica del rischio di duplicazione e la diminuzione delle divergenze scientifiche con altri organismi di valutazione dei rischi.

Sebbene l’attività principale dell’EFSA consista nel valutare i rischi, essa informa e dialoga anche con il pubblico in merito ai rischi nella filiera alimentare attraverso campagne di sensibilizzazione (ad esempio, la campagna #EUChooseSafeFood).

I cittadini dell’UE sono preoccupati per la sicurezza alimentare?

In una recente indagine Eurobarometro sulla sicurezza alimentare nell’UE, sette intervistati su dieci in tutta l’UE (70%) hanno dichiarato di essere “personalmente interessati” al tema della sicurezza alimentare.

Se il prezzo degli alimenti resta il criterio che più influenza gli acquisti di prodotti alimentari, seguito dai gusti, quasi la metà dei consumatori pensa anche alla sicurezza alimentare. Il 41% dei cittadini dà per scontato che gli alimenti acquistati siano sicuri.

Dall’indagine risulta anche che la maggior parte dei cittadini riconosce che lo stato dell’ambiente, degli animali e delle piante incide sulla salute umana.

La legislazione alimentare generale è ancora adatta alla complessità della filiera alimentare?

Dall’adozione della legislazione alimentare generale, il contesto politico e socioeconomico si è evoluto, andando ad influire sulla percezione e sulle aspettative dei consumatori riguardo alla filiera alimentare. Eppure, questa legislazione resta attuale e pertinente nell’affrontare la complessità della filiera alimentare, come confermano le conclusioni della valutazione REFIT della Commissione del 2018 sull’adeguatezza ed efficacia della legislazione.

Inoltre, la legislazione alimentare generale è stata modificata nel 2019 dal regolamento sulla trasparenza per garantire un miglior coordinamento della comunicazione dei rischi e per rafforzare ulteriormente la limpidezza della valutazione dei rischi e l’affidabilità e l’indipendenza degli studi alla base delle valutazioni dell’EFSA, tutelando al contempo la legittimità delle informazioni commerciali riservate.

L’EFSA guarda avanti con la strategia 2027. Perché era necessaria una nuova strategia?

Il regolamento sulla trasparenza, in vigore dal 2021, ha rafforzato il ruolo dell’EFSA. A causa delle sue maggiori responsabilità e degli sviluppi politici a livello dell’UE, come il Green Deal, la strategia “dal produttore al consumatore”, la strategia in materia di sostanze chimiche sostenibili e la strategia sulla biodiversità, il fulcro delle attività dell’EFSA sta cambiando.  Anche crisi globali come la pandemia e l’attuale guerra in Ucraina hanno serie conseguenze sulla filiera alimentare, sulla disponibilità e sulla sicurezza degli alimenti. La strategia 2027 era necessaria per definire in che modo l’EFSA intende rispondere al presente contesto in evoluzione per offrire un servizio sempre migliore ai suoi clienti, ai partner, alle parti interessate e al pubblico in generale.

Fonte: Commissione europea




Elenco delle specie animali selvatici ed esotici che possono essere detenuti come animali da compagnia

Il 27 ottobre 2022 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Ministeriale 11 ottobre 2022 “Individuazione degli animali di specie selvatiche ed esotiche prelevate dal loro ambiente naturale come animali da compagnia”.

Il decreto indica un elenco di animali esotici salvatici che, (in deroga al divieto di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 5 agosto 2022, n. 135), possono essere prelevati dal loro ambiente naturale per la detenzione come animali da compagnia. L’elenco è stato predisposto secondo le attuali conoscenze scientifiche in base al rischio sanitario, al rischio per la biodiversità e alla compatibilità con la detenzione in cattività per ragioni comportamentali, fisiche, biologiche ed etologiche.

Pertanto, la lista prevede solo le 6 specie che secondo le conoscenze attuali non rappresentano un rischio per la biodiversità. Tale lista potrà essere aggiornata almeno ogni 5 anni.

Fonte: Ministero della salute




Online la Lista Rossa degli uccelli nidificanti in Italia

I dati aggiornati al 2021 fanno seguito alla valutazione del 2012

L’obiettivo principale della Lista Rossa degli uccelli nidificanti in Italia  è stato l’aggiornamento della valutazione del rischio di estinzione degli uccelli nidificanti in Italia, a dieci anni di distanza dall’ultima valutazione del 2012. Ciò ha consentito di valutare la tendenza nel tempo del rischio di estinzione per questo importante gruppo di vertebrati terrestri.

La valutazione ha riguardato tutte le specie di uccelli che nidificano nel nostro paese e per ogni specie è stata valutata l’intera popolazione nel suo areale italiano (Italia peninsulare, isole maggiori e, dove rilevante, isole minori).

Delle 278 specie valutate, cinque sono estinte nella regione, di cui una in tempi recenti (Gobbo rugginoso).

Le specie minacciate di estinzione sono un totale di 71 (erano 76 nel 2012), pari al 25.5% delle specie valutate (la percentuale stimata, corretta per le specie per le quali non è possibile determinare il rischio di estinzione, è pari al 26.6%).

Il 49% delle specie di uccelli nidificanti italiani non è a rischio di estinzione imminente.

Escludendo i cambiamenti “non genuini” intercorsi tra il 2012 e il 2021 nelle valutazioni di rischio di estinzione (per esempio, cambiamenti dovuti alle migliori conoscenze attuali rispetto al 2012), nel complesso il rischio di estinzione degli uccelli nidificanti italiani è aumentato. In particolare, 14 specie non sono più a rischio di estinzione, mentre 22 specie sono entrate in una categoria di rischio maggiore. Complessivamente le popolazioni degli uccelli nidificanti italiani sono stabili (28%) o in aumento (34%). Circa un quarto (24%) delle popolazioni sono in declino, mentre per il 14% delle specie la tendenza demografica è sconosciuta. La principale minaccia per gli uccelli nidificanti in Italia è rappresentata dal cambiamento dei sistemi naturali, seguito da inquinamento, cambiamenti climatici, agricoltura e acquacoltura. Il numero di specie minacciate dalle specie aliene invasive è invece piuttosto ridotto.

Quando le valutazioni sono ripetute a distanza di anni, come in questo lavoro, le Liste Rosse diventano uno strumento essenziale per monitorare lo stato della biodiversità. In questa occasione abbiamo valutato una riduzione generale del rischio di estinzione per gli uccelli italiani, sebbene per alcune specie abbiamo rilevato una situazione di crescente criticità. Questo tipo di informazioni può essere utilizzato per indirizzare le azioni di conservazione più efficaci per prevenire le estinzioni e conservare nel tempo il valore della biodiversità italiana.

Pagina Liste Rosse

Fonte: IUCN Italia




La disapplicazione dell’art. 15 della L. 689/1981 nella procedura di controversia: considerazioni in materia di analisi di mangimi

Il D. Lgs. 27/2021 ha suscitato non poche riflessioni, sin dalla sua entrata in vigore, in coloro che sono chiamati ad applicarlo su versanti diversi.

Nella sua versione originaria l’abrogazione in toto della L. 283/1962 s. m. e i. e del suo regolamento di esecuzione D.P.R. 327/1980 ha comportato una tale levata di scudi da indurre il legislatore a porre velocemente rimedio con decreto legge all’iniziale scelta abrogativa.

Infatti, con l’emanazione del D. L. 42/2021  hanno trovato di nuovo vita alcuni articoli della L. 283/1962 s.m. e i., tra cui gli artt. 5 e 6 contemplanti illeciti penali e relative sanzioni in materia d’igiene degli alimenti e delle bevande, e le disposizioni di esecuzione dei ‘resuscitati’ articoli della L. 283/1962 s.m. e i., contenute nel D.P.R. 327/1980.

L’iniziale cancellazione dei reati contravvenzionali previsti nella L. 283/1963 s.m. e i. ha probabilmente stimolato nel legislatore una consequenziale riflessione sulla utilità e utilizzabilità dell’art. 223 del D. Lgs 271/1983, tanto da indurlo a decretarne, nell’articolo 8, comma 5 del decreto in questione, la disapplicazione nei settori di interesse del Reg. UE 625/2019.

Leggi il contributo integrale di Antonio Di Luca – Alfredo Rossi del Gruppo di lavoro SIMeVeP Diritto e Legislazione veterinaria




Sorveglianza delle zanzare in Italia

L’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato, nell’ambito dei Rapporti ISTISAN, il rapporto “Sorveglianza delle zanzare in Italia” a cura di Marco Di Luca del Dipartimento Malattie Infettive del ISS.

Negli ultimi anni l’Italia è stata colpita da epidemie riconducibili alle Malattie Trasmesse da Vettori (MTV), quali febbre del West Nile, chikungunya e dengue. Le MTV, fortemente influenzate da clima e ambiente, possono presentare cicli di trasmissione complessi. Per migliorare la preparedness e le capacità di risposta, è necessario adottare un  approccio di intervento integrato (One Health), di cui la sorveglianza entomologica è parte essenziale. La raccolta del dato entomologico permette di valutare il rischio di diffusione di una MTV, ma risulta altrettanto cruciale per indirizzare  interventi di controllo e valutarne l’efficacia. Per questo motivo è nata l’idea di condividere conoscenze ed esperienze  relative alla sorveglianza entomologica, in particolare delle zanzare. Viene presentato lo stato dell’arte, sia di quei  sistemi di sorveglianza attualmente operativi sul territorio, sia di quelle esperienze, limitate nel tempo, frutto di specifici  progetti-pilota

Si legge nell’abstract.

Nella parte iniziale, viene descritto l’impianto dell’attuale PNA 2020-2025, ripercorrendo le  fasi della sua elaborazione, a cui hanno preso parte esperti e istituzioni diverse, per la prima volta
riuniti intorno ad un tavolo.

Il rapporto si articola poi in quattro sezioni, che rappresentano un compendio di esperienze sulla sorveglianza entomologica, realizzate sia nell’ambito di sistemi regionali più ampi, che di
iniziative progettuali specifiche e che riguardano:
– sorveglianza e risposta ai virus West Nile e Usutu;
– sorveglianza e risposta agli arbovirus trasmessi da Aedes;
– sorveglianza e risposta all’introduzione e diffusion.

Infine viene presentata una nuova frontiera della sorveglianza in ambito entomologico, che prevede la possibilità di implementare e gestire sistemi di riconoscimento degli artropodi, e in
particolare di quelli di interesse medico-veterinario, attraverso approcci di imaging, machine  learning e intelligenza artificiale.

Il documento non vuole essere una mera rassegna di attività entomologiche, svolte in maniera più o meno sistematica nelle varie Regioni, ma offrire modelli concreti, anche se non esaustivi, di buone pratiche per quelle autorità sanitarie incaricate di realizzare o rafforzare sul proprio territorio un idoneo sistema di sorveglianza e controllo delle MTV.

Leggi il documento sul sito ISS




Norme in contrasto con la normativa UE. La disapplicazione

Il personale della Pubblica Amministrazione, fra cui rientrano i medici veterinari di sanità pubblica, deve essere in grado di applicare la normativa effettivamente in vigore specie per quanto riguarda le competenze sanzionatorie, ma per norme succedutesi nel tempo e sullo stesso argomento si possono registrare elementi di ambiguità, se non di vera e propria incompatibilità.

La disapplicazione è un istituto giuridico poco conosciuto che si aggiunge a una serie di criteri per stabilire quale debba essere la norma prevalente da applicare in caso di contrasto tra una norma nazionale o regionale e una di rango europeo.

Ne parla diffusamente Vitantonio Perrone in un articolo recentemente pubblicato su Alimenti&Bevande




Al via One Health Award, Sorice fra gli speaker

E’ stato presentato oggi il One Health Award, una una tre giorni di dibattiti, approfondimenti e riflessioni con scienziati, divulgatori, opinion maker e giornalisti che interagiranno tra loro e con l’opinione pubblica, a Teramo dal 14 al 16 ottobre, nel corso di incontri in programma al Teatro Comunale e all’Università degli Studi di Teramo.

Un grande evento scientifico e allo stesso tempo divulgativo che farà di Teramo il centro della Salute Unica. È nel dna del nostro Istituto lavorare secondo l’approccio One Health, dagli interventi connessi al terremoto di L’Aquila al grande impegno profuso per contrastare il Covid-19. L’obiettivo di One Health Award è quello di promuovere con forza un cambio di passo radicale per prevenire la diffusione delle malattie attraverso l’integrazione di medicina umana, medicina veterinaria ed ecologia” ha detto il Direttore Generale dell’IZS dell’Abruzzo e del Molise Nicola D’Alterio in conferenza stampa.

L’apertura di OHA, venerdì 14 ottobre, è affidata alla Lectio Magistralis del CEO dell’American Society for Microbiology, Stefano Bertuzzi, che dichiara: “Dobbiamo ricordarci che l’uomo, la natura e il pianeta intero sono intimamente interconnessi tra loro, e lo saranno sempre di più, e che per questo la ricerca, la salute pubblica e le politiche sanitarie necessitano un approccio diverso per evitare quello che lo scrittore Gabriel Garcia Marquez inserì nel suo testamento: ‘La morte non arriva con la vecchiaia, ma con la dimenticanza’”.

Il Vicedirettore generale della FAO, Maurizio Martina, tra i protagonisti della tavola rotonda di sabato 15 ottobre “One Health One Earth. La salute globale, Istituzioni e politica davanti alla sfida più grande”, aggiunge: “Pandemia, cambiamenti climatici e contaminazione ambientale ci hanno dimostrato che attorno alle questioni alimentari si gioca una grande sfida per il futuro della salute e della terra. Queste minacce multisettoriali ci impongono di collaborare e promuovere approcci transdisciplinari come One Health, un ragionamento sistemico che collega tra di loro salute umana, animale, vegetale e ambientale per prevenire rischi per la salute per persone e animali, raggiungere la sicurezza alimentare e preservare le risorse naturali”.

Il Presidente SIMeVeP, Antonio Sorice è fra gli speaker dell’incontro “One Health e Sistema Sanitario Nazionale” che si terrà il 15 ottobre alle ore 10.30, insieme a Gianni Rezza, Direttore Generale Direzione Generale della prevenzione sanitaria, Ministero della Salute, Americo Cicchetti, Direttore di ALTEMS, Alta Scuola di Economia e Management dei sistemi sanitari, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Stefano Vella, Docente di Salute Globale, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

Momento unificante dei tre giorni è la consegna degli One Health Awards, destinati a eccellenze della ricerca sulla scena nazionale e internazionale, ma anche della divulgazione e dell’impegno per il pianeta affinché One Health, One Earth esca sempre di più dalla discussione accademica per entrare stabilmente nel dibattito pubblico.

Sono previsti quattro One Health Award destinati a:

Tutti gli eventi di OHA sono a ingresso libero. Per partecipare basta compilare il form all’indirizzo https://onehealthaward.it/partecipa/

 Sul sito https://onehealthaward.it/  è possibile consultare il programma ufficiale.




Cetacei e Malattia di Alzheimer

A dispetto del fatto che la malattia di Alzheimer rappresenta la più comune forma di demenza a livello globale, i modelli animali finora caratterizzati non sarebbero in grado di ricapitolarne in maniera adeguata l’intero spettro delle peculiari lesioni osservate in ambito cerebrale, ovverosia i depositi di ß-amiloide (Aß) e gli aggregati neurofibrillari di proteina tau (1).

Di particolare interesse appare, in proposito, la presenza di alterazioni “Alzheimer-like” recentemente osservate in sede encefalica in alcuni delfini appartenenti alle specie Stenella coeruleoalba e Tursiops truncatus, rinvenuti spiaggiati sulle coste spagnole (2). Analoghe lesioni sono state altresi’ descritte a livello del neuroparenchima cerebrale di esemplari di Cetacei appartenenti alla Famiglia Ziphiidae, in cui le stesse sono state messe in relazione di causa-effetto con reiterati episodi di ipossia a livello della compagine encefalica (3).

L’eziologia delle suddette alterazioni “Alzheimer-like” osservate nei Cetacei e’ stata ascritta alla β-metilamino-L-alanina (BMAA), una neurotossina di origine cianobatterica che sarebbe in grado di accumularsi all’interno delle catene trofiche marine e che era già stata associata in precedenza allo sviluppo di analoghe lesioni cerebrali nei Primati non umani (4). In un siffatto contesto, la posizione di vertice occupata in seno alle catene alimentari marine dai Cetacei Odontoceti (quali sono giustappunto i delfini) li predispone al “bioaccumulo” ed alla conseguente “biomagnificazione” di una folta gamma di “contaminanti ambientali persistenti” quali il “metil-mercurio” (MeHg), fattispecie quest’ultima che risulterebbe di particolare interesse alla luce del documentato sinergismo di azione tossica intercorrente fra BMAA e MeHg (5). A conferma di ciò, l’intensità e la “magnitudo” delle alterazioni “Alzheimer-like” risulterebbero accresciute a livello del tessuto cerebrale di delfini contestualmente esposti a BMAA e MeHg (6).

Dal punto di vista neuropatogenetico, appare significativo il ruolo esplicato dalla “proteina prionica cellulare” (PrPc) quale recettore ad alta affinita’ espresso sulla superficie delle cellule neuronali nei confronti degli oligomeri di ß-amiloide (Aß), oltre che come “mediatore” delle disfunzioni sinaptiche indotte dai succitati oligomeri (7). Ne consegue che sarebbe importante analizzare l’espressione della PrPc anche a livello della compagine encefalica di Cetacei con lesioni “Alzheimer-like”, al precipuo fine di poterli “candidare” quali validi modelli di studio nei confronti della neuropatologia e della neuropatogenesi comparate della malattia di Alzheimer (8).

References

  1. Querfurth, H.W., LaFerla, F.M. (2010). Alzheimer’s disease. N. Engl. J. Med. 362;329-344.
  2. Gunn-Moore, D., Kaidanovich-Beilin, O., Gallego Iradi, M.C., Gunn-Moore, F., Lovestone, S. (2018). Alzheimer’s disease in humans and other animals: A consequence of postreproductive life span and longevity rather than aging. Alzheimers Dement. 14:195-204.
  3. Sacchini, S., Díaz-Delgado, J., Espinosa de los Monteros, A., Paz, Y., Bernaldo de Quirós, Y., Sierra, E., Arbelo, M., Herráez, P., Fernández, A. (2020). Amyloid-beta peptide and phosphorylated tau in the frontopolar cerebral cortex and in the cerebellum of toothed whales: Aging versus hypoxia. Biol. Open 9(11):bio054734.
  4. Davis, D.A., Mondo, K., Stern, E., Annor, A.K., Murch, S.J., Coyne, T.M., Brand, L.E., Niemeyer, M.E., Sharp, S., Bradley, W.G., Cox, P.A., Mash, D.C. (2019). Cyanobacterial neurotoxin BMAA and brain pathology in stranded dolphins. PLoS One 14(3):e0213346.
  5. Rush, T., Liu, X., Lobner, D. (2012). Synergistic toxicity of the environmental neurotoxins methylmercury and beta-N-methylamino-L-alanine. Neuroreport 23:216-219.
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Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università  degli Studi di Teramo