10° Forum mondiale per l’alimentazione e l’agricoltura: il futuro della zootecnia

La FAO indica la strada per prodotti animali a basse emissioni di carbonio per sostenere l’alimentazione e i mezzi di sussistenza rurali

Il settore zootecnico è un pilastro per la sicurezza alimentare e il sostentamento rurale e la comunità internazionale deve collaborare per garantire il suo potenziale contributo allo sviluppo sostenibile, ha dichiarato oggi il Direttore Generale della FAO, Jose Graziano da Silva, intervenendo al 10° Forum mondiale per l’alimentazione e l’agricoltura che si è tenuto a Berlino dal 18 al 20 gennaio.

La FAO stima che oltre la metà dei poveri delle zone rurali del mondo siano piccoli allevatori e pastori. Tra i più poveri tra i poveri, essi dipendono dal bestiame per il proprio sostentamento.

Mentre i prodotti animali danno un grande contributo alla nutrizione e alla lotta contro la povertà, comportano anche impatti eccessivi sul clima e sull’ambiente e la salute degli animali è sempre più critica per la salute umana, ha affermato al 10mo Forum Globale per l’alimentazione e l’agricoltura di Berlino.

Bestiame e mezzi di sussistenza

Poiché la domanda di carne e di altri prodotti animali cresce in modo robusto, specialmente nei paesi in via di sviluppo, la questione dell’equità e di una distribuzione efficiente assume un’importanza crescente.

Più della metà dei poveri rurali del mondo fanno affidamento sul bestiame e devono essere dotati di competenze, conoscenze e tecnologie adeguate per partecipare e beneficiare di quella crescita piuttosto che “messi da parte espandendo grandi operazioni ad alta intensità di capitale“, ha affermato Graziano da Silva.

L’aumento del consumo di prodotti animali migliorerà la nutrizione, specialmente quella dei bambini piccoli nei paesi in via di sviluppo, la cui crescita cognitiva e fisica richiede micronutrienti cruciali come lo zinco e il ferro, senza dire che anche il consumo eccessivo comporta rischi. “Dobbiamo concentrarci su diete sane ed equilibrate“, ha detto.

Ha poi osservato che fonti alternative di proteine ​​- come pesce e legumi – sono disponibili e dovrebbero essere esplorate.

Abbassare l’impronta di carbonio

Poiché il bestiame genera più gas serra rispetto ad altre fonti alimentari – circa il 14,5% di tutte le emissioni antropogeniche – l’espansione del settore pone sfide alla biodiversità, accesso sostenibile all’acqua e, in particolare, agli obiettivi dell’Accordo di Parigi di limitare il modo in cui stanno aumentando le temperature medie globali.

Tuttavia, “è possibile raggiungere un settore zootecnico a basse emissioni di carbonio“, ha detto Graziano da Silva, sottolineando che le stime della FAO potrebbero rapidamente ridursi del 20-30% in tutti i sistemi di produzione adottando pratiche di allevamento note come pascolo rigenerativo, selezione del foraggio e migliore riciclaggio di sostanze nutritive ed energia dai rifiuti animali. Una migliore gestione dei pascoli e la capacità di immagazzinare il carbonio e la salute dei loro terreni è anche essenziale per aumentare la produzione zootecnica e non aver bisogno di ulteriori deforestazioni, ha aggiunto.

“Con pratiche migliori e rispettose del clima, possiamo rapidamente creare catene di approvvigionamento di bestiame più sostenibili e più “verdi “, ha affermato Graziano da Silva. Il quale ha poi esortato a cogliere l’opportunità dopo il vertice sul clima COP23, tenutosi l’anno scorso a Bonn, che ha indicato specificatamente di fare del miglioramento della gestione degli allevamenti una priorità.

La salute animale

Graziano da Silva si è inoltre concentrato sui problemi di salute animale, avvertendo che “l’emergenza di malattie si intensificherà nei prossimi anni, in quanto l’aumento delle temperature favorisce la proliferazione degli insetti“.

Le malattie zoonotiche con potenziale pandemico – come alcuni ceppi di influenza aviaria -“rappresentano una grande minaccia per le persone, gli animali e l’ambiente“.

La FAO ha una lunga esperienza nell’affrontare le malattie animali transfrontaliere, avendo tra l’altro guidato con successo l’eradicazione della peste bovina e una nuova campagna globale per sradicare la peste dei piccoli ruminanti.

La FAO riconosce anche la necessità di affrontare la resistenza antimicrobica (AMR), una grave minaccia per la salute umana esacerbata dall’abuso, dall’uso eccessivo o non necessario di antibiotici nel bestiame, che a livello mondiale consumano il triplo della quantità di antibiotici utilizzata dagli esseri umani.

Il Direttore Generale ha sottolineato che la FAO raccomanda l’immediata cessazione dell’uso di farmaci antimicrobici per promuovere la crescita animale. I farmaci antimicrobici dovrebbero essere utilizzati solo per curare malattie e alleviare sofferenze inutili, ha ricordato Graziano da Silva, mentre si dovrebbe ricorrere al loro uso preventivo solo in gravi circostanze. La FAO sta aiutando molti paesi a sviluppare e attuare piani d’azione nazionali in materia di AMR.

Dati e cifre: Modellare il futuro della zootecnia (in inglese)

Fonte: FAO




Adottata la prima strategia mondiale sul benessere animale

muccaNel corso della 85ª Sessione Generale Oie – Organizzazione mondiale della salute animale che si è svolta dal 21 al 26 maggio 2017 a Parigi, è stata adottata la prima strategia mondiale sul benessere animale.

Elaborata sulla base delle esperienze e risultati ottenuti con i piani regionali e le piattaforme già in uso, propone la visione di “un mondo dove il benessere degli animali sia rispettato, promosso ed evoluto, in modo da completare il perseguimento della salute animale, del benessere umano, dello sviluppo socioeconomico e della sostenibilità ambientale.

La strategia aveva avuto una prima approvazione alla 4 ª Conferenza globale Oie sul benessere animale che si è tenuta a Guadalajara in Messico a dicembre 2016.

La strategia raccomanda anche la creazione di un nuovo forum che fornisca una piattaforma per il dialogo tra esperti tecnici e parti interessate, favorendo la loro partecipazione e impegno nel programma di lavoro OIE.

E’ basata su 4 pilastri:
– Lo sviluppo di standard internazionali per il benessere animale basati sia su evidenze scientifiche e tenendo conto sia di aspetti etici che di esperienze pratiche.
– Il potenziamento delle capacità e delle attività di formazione dei Servizi veterinari
– La comunicazione con i governi, le organizzazioni nazionali e internazionali, i servizi veterinari, gli organismi di insegnamento e il pubblico generale per aumentare la sensibilità verso il benessere animale
– La progressiva attuazione delle norme OIE sul benessere degli animali e delle politiche corrispondenti

Consulta il documento, in inglese

A cura della segreteria SIMeVeP




Efsa-Ecdc: L’antibioticoresistenza nei batteri zoonotici resta elevata in uomo, animali e alimenti

efsa_ecdcAlcuni batteri presenti nell’uomo e negli animali continuano a presentare antibioticoresistenza, secondo quanto affermato in un nuovo rapporto pubblicato il 27 febbraio dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC). Il rapporto evidenzia alcune questioni emergenti e conferma che l’antibioticoresistenza è una delle più serie minacce per la salute pubblica, poiché riduce l’efficacia delle opzioni terapeutiche.

Vytenis Andriukaitis, commissario europeo per la salute e la sicurezza alimentare, ha ribadito il proprio impegno a combattere l’AMR: “I livelli di antibioticoresistenza differiscono ancora in maniera significativa da un Paese all’altro dell’UE. Per vincere questa battaglia dobbiamo unire le forze e mettere in atto politiche stringenti sull’impiego degli antibiotici in ogni ambito. È fondamentale che tutti rinnovino il ​​proprio impegno a combattere l’antibioticoresistenza concentrandosi sulle aree chiave definite dal piano d’azione europeo per una sola salute contro l’antibioticoresistenza“.

Tra le nuove risultanze, basate su dati del 2016, nel pollame è stata rilevata resistenza ai carbapenemi, un antibiotico non autorizzato per l’uso negli animali, e nell’uomo è stata trovata Salmonella Kentucky produttrice di ESBL caratterizzata da elevata resistenza alla ciprofloxacina, fenomeno segnalato per la prima volta in quattro Paesi.

Marta Hugas, direttore scientifico EFSA, ha dichiarato: “L’individuazione di resistenza ai carbapenemi nel pollame e al linezolid nello Staphylococcus aureus resistente alla meticillina nei suini è preoccupante perché questi antibiotici sono impiegati nell’uomo per curare infezioni gravi. È importante che i gestori dei rischi facciano seguire azioni concrete a queste risultanze“.

Mike Catchpole, direttore scientifico dell’ECDC, ha così commentato gli esiti: “Ci preoccupa come i batteri di Salmonella e Campylobacter nell’uomo mostrino livelli elevati di antibioticoresistenza. Il fatto che si continui a trovare batteri resistenti a più farmaci significa che la situazione non va migliorando. Occorre indagare sulle cause alla radice e prevenire la diffusione di ceppi altamente resistenti come Salmonella Kentucky produttrice di ESBL“.

Risultanze principali

Animali e cibi
•La resistenza agli antibiotici carbapenemici è stata rilevata a livelli molto bassi nel pollame e nella carne di pollo in due Stati membri (quindici ceppi batterici di E. coli). I carbapenemi sono usati per curare infezioni gravi nell’uomo e non sono autorizzati per l’uso negli animali.
•Due ceppi di Staphylococcus aureus resistenti alla meticillina associati ad animali d’allevamento, trovati nei suini, sono stati segnalati per resistenza al linezolid. Il linezolid è uno degli antimicrobici di ultima generazione per il trattamento delle infezioni provocate da MRSA ad alta resistenza.
•In ambito clinico è stata osservata resistenza congiunta a più antimicrobici di importanza critica a livelli da bassi a molto bassi in Salmonella (0,2%), Campylobacter (1%) ed E. coli (1%) presente nel pollame.
•Resistenza alla colistina è stata osservata a livelli bassi (2%) in Salmonella ed E. Coli nel pollame.
•La prevalenza di E. coli produttore di ESBL nel pollame varia notevolmente negli Stati membri da livelli bassi (inferiori al 10%) a estremamente elevati (oltre il 70%). I batteri che producono enzimi ESBL mostrano multifarmacoresistenza agli antibiotici beta-lattamici, una classe di antibiotici ad ampio spettro che comprende derivati della penicillina, cefalosporine e carbapenemi. Si tratta della prima volta che la presenza di E. coli produttore di beta-lattamasi (ESBL) ad ampio spettro viene monitorata nel pollame e nella carne di pollame.

Uomo
•Una su quattro infezioni nell’uomo è causata da batteri di Salmonella caratterizzati da resistenza a tre o più antimicrobici comunemente usati in medicina umana e animale. La percentuale è significativamente più alta in S. Kentucky e S. Infantis (rispettivamente il 76,3% e il 39,4%).
•Per la prima volta in quattro Paesi è stata riscontrata S. Kentucky produttrice di ESBL con elevata resistenza alla ciprofloxacina. Non è possibile combattere tali batteri con antibiotici di importanza critica.
•I batteri del genere Campylobacter, che provocano la più comune malattia veicolata da alimenti nell’UE, mostrano un’elevata resistenza ad antibiotici di largo utilizzo (resistenza alla ciprofloxacina 54,6% in C. jejuni e 63,8% in C. coli; resistenza alla tetraciclina 42,8% in C. jejuni e 64,8% in C. coli). I livelli di resistenza sono aumentati in due dei tre antibiotici analizzati (ciprofloxacina e tetraciclina) ma la resistenza congiunta ad antimicrobici di importanza critica è stabile e complessivamente bassa (0,6% in C. jejuni e 8,0% in C. coli). In alcuni Paesi, tuttavia, almeno una su tre infezioni da C. coli si è rivelata resistente a più antibiotici importanti, lasciando pochissime possibilità di curare infezioni gravi.

The European Union summary report on antimicrobial resistance in zoonotic and indicator bacteria from humans, animals and food in 2016

Date un’occhiata ai dati sull’antibioticoresistenza in Europa

Nota: La classificazione degli antibiotici come essenziali, molto importanti e importanti usata in questo articolo fa riferimento all’elenco degli antimicrobici di importanza critica dell’Organizzazione mondiale della sanità, 5° aggiornamento (2017).

Fonte: EFSA




Studio sui virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità rilevati in Italia nel 2016-2017

I ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie hanno effettuato uno studio sui virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) rilevati in Italia nel biennio 2016-2017, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica internazionale Emerging infectious disease.

Durante questo periodo i virus dell’influenza aviaria H5N8 e H5N5 sono stati identificati in voltatili selvatici e domestici in diverse regioni del Nord Italia. Tutti i casi in allevamenti di pollame si sono verificati in prossimità di zone umide, note come siti di riposo per gli uccelli acquatici migratori.

Lo studio evidenzia l’importanza di generare sequenze complete del genoma virale in modo tempestivo, per monitorare la diffusione virale e definire strategie appropriate di controllo della malattia. Questo, insieme all’intensificazione della sorveglianza negli uccelli selvatici nelle zone di importanza ecologica per i virus dell’influenza aviaria, può migliorare la comprensione delle vie di diffusione del virus e sostenere l’individuazione precoce di virus altamente patogeni per il pollame.

Tutte le info sul sito IZSVe




Superare gli ostacoli culturali legati al consumo di insetti come fonte alimentare

Un’abbondante fonte alimentare in tempi di insicurezza alimentare, con un solo intoppo – come possiamo infrangere la barriera dello “schifo” e servire gli insetti sui nostri piatti?

 Gli insetti contengono molte proteine, possono essere allevati producendo un minore impatto sulle risorse naturali rispetto agli allevamenti tradizionali e in enormi quantità. Non esistono tuttavia regolamenti chiari per introdurli nella nostra catena alimentare e persistono gli ostacoli alla loro diffusione – i risultati di un progetto dell’UE stanno aiutando a costruire un quadro generale.

Il lavoro svolto durante il progetto PROTEINSECT (Enabling the exploitation of Insects as a Sustainable Source of Protein for Animal Feed and Human Nutrition), finanziato dall’UE, ha aiutato a informare il riesame della sfida di incrementare il fascino, la sicurezza e la sostenibilità degli insetti come cibo.

Gli autori della relazione recentemente pubblicata nella rivista “Nutritional Bulletin” sostengono che gli insetti hanno generalmente livelli elevati di proteine animali e importanti micronutrienti, con una minore impronta ambientale rispetto alle alternative tradizionali, e che possono essere allevati con gli avanzi. Persistono tuttavia gli ostacoli culturali, sociali ed economici.

La relazione istituisce l’importanza storica dell’entomofagia da parte degli umani e le principali opportunità e barriere identificate dalla ricerca fino ad oggi, come quella condotta dal progetto PROTEINSECT, prestando particolare attenzione alle lacune di ricerca.

La relazione, descritta come revisione narrativa, sottolinea che ci sono domande riguardanti l’impatto dell’alimentazione degli insetti e come questa potrebbe influenzare la loro sicurezza come risorsa alimentare. Riflette su come conservare i benefici per l’ambiente dell’allevamento di insetti, anche incrementandone la produzione. Mette inoltre in evidenza la necessità della futura ricerca di istituire una metodologia chiara per la trasformazione e l’immagazzinamento, definire pratiche di allevamento e attuare regolamenti in materia di sicurezza degli alimenti e dei mangimi. Delinea gli ostacoli all’attuazione diffusa dell’entomofagia e i passi necessari per superarli.

La lunga storia di mangiare insetti

L’entomofagia non è una cosa nuova – esistono prove archeologiche che dimostrano che l’essere umano si è evoluto come specie entomofaga. La relazione spiega che in parti dell’Africa centrale, a volte, fino al 50 % delle proteine alimentari derivano dagli insetti e che il loro valore di mercato è più alto di quello di molte fonti di proteine animali alternative. Si stima che l’entomofagia è praticata in almeno 113 paesi, con oltre 2 000 specie commestibili documentate, e le Nazioni Unite ha raccomandato la pratica come possibile soluzione per garantire la fornitura alimentare mondiale.

Viene citato l’esempio della Tailandia dove, nel 1978, un’infestazione da locuste (Patanga succincta) si è trasformata in una campagna governativa per promuovere la commestibilità della locusta, che ha avuto un tale successo, che la locusta da parassita delle coltivazioni si è trasformata in uno snack popolare. In un’interessante inversione, il suo valore di mercato è ora tale che alcuni agricoltori coltivano colture specifiche per alimentarle. Ma mentre gli insetti vengono consumati come parte della dieta giornaliera in molti paesi del mondo, la relazione segnala che gli studi sulla consumazione umana di insetti sono ancora carenti nella ricerca e che attualmente non è possibile fornire raccomandazioni definitive riguardanti l’idoneità degli insetti per nutrire gli umani.

L’utilizzo come mangimi

Gli insetti sono ricchi di nutrienti, hanno un impatto ambientale ridotto, richiedono meno spazio e fanno già parte della dieta naturale di maiali, polli e pesci. La ricerca dimostra che incorporare gli insetti nel mangime dei polli da carne non sembra produrre una riduzione nei tassi di crescita e in alcuni casi ha incrementato i tassi di crescita dei pulcini. La sostituzione dell’olio di soia con larve di mosca Hermetia illucens si è dimostrata non avere un impatto sulla crescita o sulle prestazioni dei polli da carne, indicando che si tratta di un’alternativa possibile.

Un vantaggio sarebbe, tuttavia, di sostituire la farina e l’olio di pesce usati attualmente per i mangimi con farina di insetti, diminuendo così la pressione esercitata sulle riserve ittiche minacciate dalla pesca eccessiva per fornire mangime.

PROTEINSECT (Enabling the exploitation of Insects as a Sustainable Source of Protein for Animal Feed and Human Nutrition) si è concluso nel 2016. L’obiettivo del consorzio era di agevolare la valorizzazione degli insetti come fonte proteica alternativa per l’alimentazione umana e animale. L’articolo apparso in “Nutritional Bulletin”, con il titolo “Opportunities and hurdles of edible insects for food and feed”, è basato sulla scoperta di PROTEINSECT che il 66 % dei consumatori intervistati ritengono le larve di mosca un mangime adatto, oltre l’80 % vorrebbe saperne di più sugli insetti come mangime e il 75 % era d’accordo sul consumo di animali alimentati con insetti.

Fonte: CORDIS

 




Aggiornamenti sulla presenza in Ue della Malattia da deperimento cronico dei cervidi

wapitiI metodi diagnostici impiegati in Norvegia hanno rilevato la malattia da deperimento cronico (chronic wasting disease o CWD in breve) in renna, alce e cervo reale nel 2016 e 2017, affermano gli esperti dell’EFSA.

Finora si sapeva poco dell’efficacia dei metodi disponibili per il rilevamento della malattia in Europa – poiché la malattia non vi è mai stata riscontrata – ma l’esperienza fatta in Norvegia dimostra che tali metodi sono efficaci.

Gli esperti dell’EFSA hanno esaminato i limiti dell’indagine condotta tra il 2006 e il 2010 e non hanno potuto escludere la possibilità che la malattia fosse già presente in Europa prima del sondaggio, nonostante non fosse stato rilevato alcun caso.

Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Polonia e Svezia inizieranno a monitorare la malattia questo mese. Ciò in esito alle raccomandazioni espresse dall’EFSA nel 2017.

Nel gennaio del 2017 il gruppo di esperti scientifici dell’EFSA sui pericoli biologici ha individuato le attività e le misure di monitoraggio per prevenire l’introduzione e la diffusione della malattia verso l’UE e al suo interno. Gli esperti hanno inoltre esaminato nuove evidenze scientifiche sui possibili rischi per la salute pubblica.

Scientific opinion on chronic wasting disease (II)

Fonte: EFSA

Già nel 2013 “Argomenti” aveva dedicato alla CWD l’approfondimento monografico “Malattie da prioni. Chronic Wasting Disease dei cervidi: sorveglianza sanitaria, analisi del rischio e ricadute ispettive

Sulla comparsa della malattia in Norvegia,  si legga anche il recente “Chronic Wasting Disease nei cervidi: aggiornamenti sulla situazione in Norvegia“, a cura dell’IZS delle Venezie




Scoperta vulnerabilità del parassita Toxoplasma gondii

E’ un organello lisosomiale il “punto debole” del temuto Toxoplasma gondii, il protozoo presente in pratica in tutto il pianeta e in grado di parassitare l’uomo e moltissimi animali.

E’ il risultato della ricerca condotta dal prof. Manlio Di Cristina e dalla prof.Carla Emiliani, del dipartimento di Chimica, Biologia e Biotecnologie dell’Università di Perugia, in collaborazione con il gruppo del professore Vern Carruthers dell’University of Michigan, pubblicata nei giorni scorsi sulla rivista Nature Microbiology.

Lo studio è stato possibile grazie a finanziamenti americani da parte del National Institutes of Health (NIH) e dello Stanley Medical Research Institute, un’associazione americana no-profit per lo studio della schizofrenia, di cui da anni è destinatario il Gruppo di Ricerca. Negli ultimi anni, infatti, sarebbe stata ipotizzata una correlazione tra infezione da Toxoplasma e una maggior propensione a sviluppare la schizofrenia, le malattie bipolari e altri disturbi della personalità.

I ricercatori hanno identificato una vulnerabilita’ finora sconosciuta del parassita, ovvero la vitalita’ dello stadio cronico del parassita dipende dalla corretta funzionalita’ di un organello lisosomiale, che rappresenta una sorta di stomaco del parassita: dei composti in grado di interferire con la funzione di questo organello, causando l’impossibilita’ a digerire i nutrienti, conducono alla morte dei parassiti nelle cisti cerebrali.

A questo punto si aprono nuove prospettive per lo sviluppo di farmaci in grado attaccare il parassita allo stadio cistico e quindi debellare la patologia cronica. Infatti, mentre lo stadio acuto del parassita risulta sensibile ad alcuni farmaci, ad oggi non esistono terapie in grado di eliminare le cisti e quindi l’infezione cronica.

A cura della segreteria SIMeVeP




Il benessere animale nei macelli di suini italiani

I ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) hanno partecipato ad uno studio promosso dal centro di ricerca spagnolo IRTA per valutare il livello di benessere nei macelli suinicoli di 5 Paesi: Portogallo, Italia, Finlandia, Brasile e Spagna.

Lo studio è primo tentativo, condiviso e armonizzato tra realtà produttive differenti, di valutazione del benessere dei suini al macello utilizzando indicatori animal based,  ovvero basati sulla capacità di rilevare le risposte degli animali a eventi stressogeni, come il protocollo Welfare Quality® (WQ): uno strumento flessibile, standardizzato e scientificamente riconosciuto di valutazione del benessere degli animali basato su una valutazione semplice in forma di checklist, che può essere applicato in modo armonizzato nei diversi Stati membri.

Per i suini sono disponibili due distinti protocolli WQ, applicabili rispettivamente in allevamento e al macello. Mentre per l’allevamento sono già state definite delle soglie di accettabilità per tutti i diversi parametri proposti, per la fase di macellazione al momento i dati raccolti non consentono di definire valori certi di riferimento.

In Italia il protocollo WQ è stato applicato in 9 macelli di grandi dimensioni situati nel Nord del Paese.

Dal confronto tra Paesi emerge che i macelli italiani valutati possono garantire un livello soddisfacente di attenzione al benessere animale: la prevalenza di scivolamenti allo scarico varia tra l’1 e il 13%, le zoppie non superano il 2%, le carcasse con più di 10 lesioni variano tra il 2 e il 10%. Negli altri Paesi sono state registrate percentuali di scivolamenti fino al 57%, di zoppie fino al 14% e fino al 78% di carcasse con più di 10 lesioni.

Proprio la grande variabilità nei dati raccolti, frutto della diversità dei sistemi produttivi dei singoli Paesi coinvolti nel progetto, ribadisce l’importanza di lavorare in modo condiviso alla definizione di soglie di accettabilità e valori di riferimento per la valutazione del benessere al macello.

Tutte le informazioni sul sito dell’IZS delle Venezie




Piano offerta formativa 2018 in via di definizione

Piano-offerta-formativa

La Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva, provider accreditato standard n° 507,  sta definendo il Piano dell’Offerta Formativa per il 2018, da presentare al Ministero della Salute entro fine febbraio 2018.

Il “Pof” viene elaborato sulla base della rilevazione dei fabbisogni formativi degli iscritti, effettuata tramite i propri Referenti e articolazioni regionali.

 

Al momento sono previsti 12 corsi Ecm residenziali per:

  • Medici Veterinari (Discipline: Sanità Animale;  Igiene Prod., Trasf., Comm. e Cons. Alimenti di O.A; Igiene Allevamenti e delle Produz. Zootecniche)
  • Medici Chirurghi (Discipline: Igiene degli Alimenti e della Nutrizione; Malattie Infettive; Igiene, Epidemiologia e Sanità Pubblica; Medicina del Lavoro e Sicurezza  Ambienti di Lavoro)
  • biologi
  • Tecnici della Prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di Lavoro

Consulta il Pof provvisorio




Alzheimer e delfini

Tursiops-truncatusE’ di alcune settimane fa la notizia, riferita dalla prestigiosa Rivista statunitense Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association, di una peculiare forma di encefalopatia in alcuni esemplari di stenella striata (Stenella coeruleoalba) e di tursiope (Tursiops truncatus) rinvenuti spiaggiati lungo le coste spagnole.

Il lavoro in oggetto, a firma di Danièlle Gunn-Moore e collaboratori, riporta che i succitati animali, appartenenti a due specie cetologiche ampiamente diffuse nel Mediterraneo così come nelle acque temperate dei mari e degli oceani del nostro Pianeta, mostravano lesioni encefaliche sovrapponibili a quelle osservate nel cervello di pazienti umani con malattia di Alzheimer, vale a dire la presenza di “depositi e/o placche di beta-amiloide”, nonché di “aggregati neurofibrillari di proteina tau”.

Al di là del fatto che quella sopra menzionata costituisce la prima descrizione di una siffatta neuropatia centrale nei Cetacei e, più in generale, in qualsivoglia specie animale selvatica, questo studio riconosce il suo principale elemento di forza nell’identificazione della stenella striata e del tursiope quali “nuove” specie potenzialmente in grado di “ricapitolare” le caratteristiche neuropatologiche e, presumibilmente, anche i fondamentali aspetti neuropatogenetici tipici della malattia di Alzheimer.

Infatti, con la sola eccezione della specie felina e, assai di recente, pure del macaco, i modelli animali fino ad allora caratterizzati – ivi compresi quelli murini – sarebbero risultati capaci di “riassumere” solo una parte, più o meno consistente, dei succitati aspetti neuropatologici propri della malattia umana, che peraltro rappresenta la forma di demenza maggiormente diffusa a livello globale.

Ne consegue che i delfini e, più precisamente, stenella striata e tursiope potrebbero candidarsi come validi “modelli di neuropatologia comparata” per lo studio della malattia di Alzheimer, qualificandosi ancor più “compiutamente” in tal senso qualora anche nei delfini – come già documentato nella nostra specie – la “proteina prionica cellulare” fungesse da recettore nei confronti degli “oligomeri solubili di beta-amiloide”, molecole a spiccata azione neurotossica che svolgerebbero un ruolo cruciale nella patogenesi della malattia di Alzheimer.

Quest’ultima sottolineatura trova riscontro, unitamente ad un commento sull’intrigante articolo in questione, in una Letter to the Editor a firma del professor Giovanni Di Guardo, docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo, che è stata appena pubblicata su Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association.

Come riportato dal professor Di Guardo, l’espressione della proteina prionica cellulare è già stata descritta, nell’ambito di un precedente lavoro svolto in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana “M. Aleandri” e con l’Università degli Studi di Padova, a livello sia del tessuto cerebrale sia di una serie di organi e tessuti linfatici di Cetacei rinvenuti spiaggiati lungo le coste italiane, cosa che potrebbe agevolare l’acquisizione delle importanti conoscenze  neuropatogenetiche di cui sopra.

A tal fine non andrebbe minimamente trascurato, aggiunge Di Guardo, lo stato di conservazione/preservazione post-mortale in cui vengono rinvenuti i Cetacei spiaggiati, il grado di “freschezza/integrità” dei cui tessuti costituisce un prerequisito di cruciale rilevanza ai fini dello svolgimento di indagini laboratoristiche così delicate quanto sofisticate e, nondimeno, dell’attendibilità dei risultati ottenuti.