Cervelli in fuga, un’emorragia senza fine!

E’ da oltre mezzo secolo che l’Italia fa i conti, ahime/ahinoi, con la cosiddetta “fuga dei cervelli”, una drammatica emorragia di brillanti intelligenze e di preziose competenze che, una volta formatesi nelle nostre università, vanno a rendere ancor più prospera e rigogliosa l’economia e la società dei Paesi che le accolgono, in larga misura europei.

E, per quanto un’esperienza di studio, di ricerca e/o professionale all’estero possa tradursi, quantomeno in linea di principio, in un’operazione positiva e virtuosa per tutti quei Paesi che “esportano” Donne e Uomini di Scienza, la “conditio sine qua non” affinché ciò avvenga è che le competenze acquisite in terra straniera vengano spese in patria successivamente al rientro dei diretti interessati.

Questa purtroppo non è, come risulta ben noto, la situazione riguardante l’Italia, che molti, troppi studiosi e professionisti continuano ad abbandonare per non farvi più ritorno, complici in primis le remunerazioni salariali, assai inferiori rispetto a quelle dei Paesi ospitanti, fattispecie che le detrazioni fiscali già annunciate dal precedente Governo miravano tuttavia a mitigare.

E, mentre la politica tuttora continua a non battere un sol colpo su una materia cosi strategica e rilevante, che andrebbe iscritta fra le “top priorities” di qualsivoglia coalizione di governo e dalla quale dipendono in buona parte il futuro ed il progresso di ciascuna Nazione, le ricercatrici ed i ricercatori italiani si collocano all’ottavo posto nel mondo per la qualità della produzione scientifica! Un risultato quantomai meritorio e lusinghiero, che palesemente confligge con quella miserrima quota, pari a poco più dell’1% del proprio PIL, che il nostro Paese pervicacemente continua ad investire nel finanziamento pubblico della ricerca!

Errare Humanum est Perseverare Autem Diabolicum!

Giovanni Di Guardo
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Il GdL Filiere Fragili si rinnova

Cambio della guardia alla guida del Gruppo di Lavoro SIMeVeP “Filiere fragili e produzioni locali”, il GdL nato per impulso di Raffaella Moretti con l’intento di fare il punto circa il sistema dei controlli in sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare e la conseguente sua applicazione, ispirata ai principi di flessibilità previsti dalla vigente normativa, nelle produzioni animali e agroalimentari sostenibili e di nicchia, anche dette piccole produzioni locali che rappresentano le unità costituenti delle c.d. filiere fragili.

Alla Dott.ssa Moretti, cui va il sentito rigraziamento di SIMeVeP per il lavoro svolto in questi anni, subentra Angelo Citro.

Le eccellenze alimentari del nostro Paese poggiano su processi produttivi artigianali che fanno riferimento a culture e tradizioni vecchie di secoli, arricchite tra un passaggio generazionale e l’altro e costituiscono l’essenza stessa di interi territori, spesso marginali, dai quali originano veri e propri capolavori dell’agroalimentare universalmente conosciuti e apprezzati.

Tutto questo però non è più sufficiente a tenere in vita piccole aziende, generalmente a carattere familiare, che risultano di fatto annientate da soggetti economici più grandi e dominanti del mercato; dal mondo produttivo rurale emerge che una delle problematiche più sentite che limitano la sopravvivenza di queste piccole ma preziose realtà produttive, è quella di essere trattato alla stregua della grande industria alimentare, senza però avere alle spalle una struttura che gli consenta di gestire l’eccessivo peso burocratico.

Il Gdl ha pertanto come obiettivo principale quello di contribuire a sviluppare a pieno le potenzialità di tutte quelle realtà aziendali che operano in “filiera corta” fornendo, al piccolo produttore, un diverso modello di approccio culturale al binomio normative/pratiche produttive e sfruttando al massimo, le “previste e performanti potenzialità di flessibilità”, nell’applicazione delle norme stesse.

Il Gdl intende raggiungere i propri obiettivi attraverso la promozione, il patrocinio e la realizzazione di iniziative culturali, anche a carattere divulgativo, che prevedono l’intervento e la collaborazione di tutti gli interlocutori di Sanità Pubblica del SSN, Università e soggetti del mondo economico-produttivo e della società civile.

Per partecipare alle attività del gruppo di lavoro, scrivere a segreteria@veterinariapreventiva.it indicando nell’oggetto il gdl a cui si intende aderire, e nella mail nome, cognome, recapiti, ente di appartenenza e una breve presentazione dell’esperienza in materia.




La carne coltivata. Limiti, vantaggi e prospettive future

Una delle sfide che il mondo deve affrontare è quella di garantire cibo sufficiente per la popolazione, che si prevede raggiungerà 9-11 miliardi nel 2050. Secondo un rapporto della FAO per soddisfare il futuro fabbisogno alimentare, la produzione mondiale di carne dovrà essere più che raddoppiata, passando da 229 milioni di tonnellate nel 1999/2001 a 465 milioni di tonnellate entro il 2050.  La stessa organizzazione stima che con la crescita della popolazione e l’aumento dei redditi medi la domanda globale di prodotti di origine animale aumenterà fino al 70% tra il 2010 e il 2050,  mentre la carne fino al 15% entro il 2031 3 con effetti sulla salute, risorse ed ambiente.

Le necessità di approvvigionamento alimentare globale al netto degli effetti del cambiamento climatico hanno stimolato processi di innovazione tecnologica del settore agroalimentare per produrre cibo più sicuro, sostenibile, con ridotto impatto sull’ambiente ed offrire più scelte ai consumatori.

C’è necessità inoltre di sviluppare la ricerca sulle fonti proteiche alternative a quelle ottenibili con l’allevamento e macellazione degli animali come gli alimenti a base vegetale, gli insetti per il consumo umano, le micoproteine derivate da funghi, le alghe, gli ingredienti ottenuti con la fermentazione di precisione e la carne coltivata, perché le diete future probabilmente incorporeranno una combinazione di questi prodotti.

La carne coltivata è un tema che sta facendo discutere moltissimo con posizioni che vanno dal rifiuto di tutto ciò che è alimentazione artificiale (es. neofobia) all’apertura verso l’innovazione tecnologica e diversificazione dell’industria alimentare con nuovi prodotti che offrono vantaggi di tipo etico, migliore sostenibilità e bassa impronta di carbonio. La produzione di carne coltivata afferisce alla cosiddetta agricoltura cellulare, un campo di ricerca emergente dell’agri-biotecnologia che mira a produrre prodotti agricoli utilizzando cellule staminali, senza sacrificare animali o coltivazioni. Il processo utilizza le tecnologie della coltura cellulare ed ingegneria tissutale applicate da decenni nel settore delle biotecnologie (es. produzione di proteine ricombinanti, vaccini e farmaci, come l’insulina) e in medicina umana a partire dalle cellule staminali per rigenerare i tessuti o sostituire le cellule

Scarica gratuitamente il documento “La carne coltivata. Limiti, vantaggi e prospettive future” a cura di Maurizio Ferri, responsabile scientifico SIMeVeP




Il granchio blu, un’altra creatura aliena dei nostri mari

Nel solo triennio 2017-2019 sono state ben 70 le creature aliene censite nel Mediterraneo, fra le quali si segnalano in particolare Callinectes sapidus e Portunus segnis, due specie di granchio blu che stanno diffusamente colonizzando il Mare Adriatico. Originarie rispettivamente dalle coste atlantiche del Nord-America e da quelle africane dell’Oceano Indiano, la loro principale fonte di nutrimento e’ costituita da mitili e vongole, di cui sono pressoché insaziabili predatori.

La presenza di una o più specie aliene, oltre a caratterizzarsi per l’impatto esercitato sulle catene trofiche di una determinata area geografica, può altresi’ associarsi all’ingresso di “nuovi” agenti patogeni potenzialmente costituenti un’ulteriore minaccia per il già precario stato di salute e di conservazione degli ecosistemi marini ed oceanici.

Ne e’ un eloquente esempio “Wenzhou shark flavivirus“, un RNA-virus di recente identificazione fra gli squali dell’Oceano Pacifico, ai quali verrebbe trasmesso dai granchi blu della specie Portunus trituberculatus, che potrebbero a loro volta acquisire l’infezione dagli squali stessi.

Ove una siffatta evenienza venisse confermata anche fra gli squali popolanti il Mare Adriatico, stante la progressiva espansione del granchio blu in quest’area geografica, ciò potrebbe minare ulteriormente il già precario stato di salute e di conservazione di alcune specie di squalo ivi residenti, considerate a rischio di estinzione.

Ricerca, ricerca e ancora ricerca, sostenuta (beninteso!) da adeguate risorse economico-finanziarie: queste le parole-chiave necessarie per mettere la Comunità Scientifica in grado di studiare al meglio le complesse relazioni virus-ospite caratterizzanti gli ecosistemi marini, sempre e comunque nel rispetto dell’intramontabile principio/concetto della “One Health”, la salute unica di uomo, animali ed ambiente.

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo




Convegno PSA. Tutti uniti per combattere la malattia

Domani, 5 settembre, arriverà in Conferenza Stato Regioni “Piano Straordinario di catture, abbattimento e smaltimento dei cinghiali (Sus scrofa) e Azioni Strategiche per l’Elaborazione dei Piani di Eradicazione nelle Zone di Restrizione da Peste Suina Africana (PSA)” già approvato dalla Commissione Agricoltura della Conferenza.

Lo ha annunciato il Commissario straordinario alla Peste Suina Africana, Vincenzo Caputo, nel corso del Convegno “Peste Suina Africana: problema sanitario ed economico. Strategie di contenimento e di eradicazione” organizzato da Coldiretti con il patrocinio di ATS Bergamo e accreditato ECm dalla SIMeVeP che si è tenuto in 2 settembre nell’ambito della Fiera di Sant’Alessandro a Bergamo.

Le misure si pongono l’obiettivo di uscire entro tre anni dall’emergenza che è arrivata in Lombardia, regione dove si allevano la metà dei suini italiani e dove la Psa è ha già colpito con 5 focolai in allevamenti suinicoli in provincia di Pavia.

«Occorre mettere in campo una biosicurezza rafforzata con comportamenti consapevoli da parte dell’uomo – ha affermato Caputo – Si parte dalla disinfezione di mani e scarpe, i boschi vanno frequentati in sicurezza e sarà sempre più importante il coinvolgimento di sindaci e regioni. Dobbiamo salvare il comparto suinicolo, particolarmente importate per l’economia».

Francesco Feliziani, responsabile del laboratorio nazionale di riferimento per le pesti suine dell’Istituto zooprofilattico sperimentale Umbria e Marche, ha aggiunto che «il vaccino allo studio è uno strumento importante, ma non per l’Europa, dove esiste una filiera suinicola avanzata. Puntiamo sulla prevenzione, partendo dalla segnalazione tempestiva dei casi sospetti, tenuto conto che abbiamo un sistema diagnostico molto efficace».

Il presidente nazionale di Coldiretti, Ettore Prandini, ha concluso l’incontro, ribadendo che bisogna « fare tutto il possibile per non compromettere una delle filiere più importanti dell’agroalimentare italiano, apprezzato in tutto il mondo. Prestiamo la massima attenzione e ogni allevatore coinvolto verrà indennizzato. Non possiamo perdere la capacità produttiva di un comparto che muove più di 20 miliardi di euro e che rischierebbe di perdere mercati importanti. Uniamo le forze per uscirne il prima possibile in modo da garantire una prospettiva futura alle nuove generazioni».

Al Convegno sono intervenuti anche Mario Chiari, Ats Brescia – Referente PSA UO Veterinaria Regione Lombardia, il sottosegretario del Ministero dell’agricoltura, Patrizio La Pietra, Gabriele Borella, presidente di Coldiretti Bergamo, l’Assessore regionale all’Agricoltura Alessandro Beduschi, il consigliere regionale Davide Casati. Il Sottosegretario e l’Assessore hanno assicurato la massima attenzione da parte del Governo e della Regione lombardia e lo stanziamento di risorse per il settore suinicolo.

A coordinare i lavori della giornata il Presidente SIMeVeP, Antonio Sorice che ha sottolineato come siano isndispensabili azioni coordinate e sinergiche per contenere la diffusione della Peste Suina Africana nel nostro Paese ed evitare danni ingenti all’economia, compreso l’export dei prodotti agroalimentari italiani.

 

 

 




AMR. Sorice: passi avanti, ma il lavoro deve proseguire con continuità

Si è svolto ieri presso il ministero della Salute, l’incontro scientifico “L’antimicrobico resistenza: una minaccia globale”, prima iniziativa della seconda edizione del progetto “La Sanità che vorrei” promosso dalla Società italiana di malattie infettive e tropicali, in collaborazione con altre società scientifiche e associazioni di pazienticon l’obiettivo di favorire i processi di prevenzione e formazione sul tema dell’antibiotico-resistenza e le Ica, ossia le infezioni correlate all’assistenza.

L’antibiotico-resistenza e le Ica sono fenomeni in crescita in tutta Europa, con l’Italia che è tra i paesi con le peggiori performance. I dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, delle Nazioni Unite e del G20 stimano nel 2050 una mortalità per germi multiresistenti agli antibiotici analoga alle patologie oncologiche, con 10 milioni di decessi a livello globale. Già oggi in Europa, secondo l’Oms, si verificano ogni anno più di 670mila infezioni da germi antibiotico-resistenti che causano circa 33mila decessi. Di questi, un terzo avvengono in Italia, spesso a causa proprio dell’abuso di antibiotici, Paese con la più alta mortalità in Europa.

Nel contrasto all’antibiotico-resistenza, “é fondamentale il lavoro di sensibilizzazione, educazione e formazione di tutti i professionisti sanitari. All’interno del Pnrr è finanziato con circa 80 milioni di euro il piano straordinario di formazione sulle infezioni ospedaliere che conterà circa 150mila professionisti partecipanti entro la fine del 2024 e altri  140mila entro metà 2026″ ha detto il ministro della Salute Orazio Schillaci intervenendo al convegno.

Il ministro ha spiegato di avere portato il tema della formazione anche sui tavoli europei: “nella recente riunione del Consiglio Europeo della Salute in Lussemburgo il mese scorso, il curriculum dei nostri professionisti dovrebbe includere una formazione intersettoriale obbligatoria sulla prevenzione e il controllo delle infezioni, sui rischi ambientali, sulla biosicurezza associati all’antimicrobico-resistenza”, ha detto.

L’antibiotico-resistenza richiede un impegno sempre più forte anche nei tavoli e nei contesti internazionali e certamente sarà uno dei temi centrali nell’ambito della presidenza italiana del G7 del prossimo anno” ha infine annunciato Schillaci.

Fra i relatori dell’incontro anche il Presidente SIMeVeP, Antonio Sorice, che ha innanzitutto ricordato come il fenomeno dell’antimicrobicoresistenza come problema di sanità pubblica non riguarda i residui di antibiotici negli alimenti, che anzi non sono un problema considerato che gli esiti del Piano Nazionale Residui indicano come infinitesimali le positività.

Si tratta invece di un problema che va affrontato in ottica multidisciplinare e multiprofessionale. Per quanto riguarda la medicina veterinaria negli ultimi 10 anni sono stati compiuti passi notevoli nel contrasto del fenomeno, raggiungendo e anzi superando, grazie alla sinergia tra la medicina veterinaria pubblica e la medicina veterinaria privata, gli obiettivi posti dal PNCAR – Piano Nazionale di Contrasto all’Antibiotico-Resistenza 2017-2020 in termini non solo quantitativi ma anche qualitativi:

  • riduzione di oltre il 30% del consumo totale di antibiotici nel settore veterinario nel 2020 rispetto al 2016;
  • riduzione di oltre il 30% del consumo di antibiotici nelle formulazioni farmaceutiche per via orale (premiscele, polveri e soluzioni orali) nel settore veterinario nel 2020 rispetto al 2016;
  • riduzione di oltre il 10% del consumo dei “Critically important antimicrobials” (cefalosporine di III, IV e V generazione – flurochinolonici – macrolidi – glicopeptidi) nel settore veterinario nel 2020 rispetto al 2016;
  • riduzione a livelli di 5 mg/PCU del consumo della colistina nel settore veterinario nel 2020 rispetto al 2016“.

Sebbene ci si possa ritenere soddisfatti dall’aver raggiunto importanti obiettivi, il lavoro non può considerarsi concluso” ha detto Sorice. “E’ necessario proseguire in continuità con quanto fatto fin ora lavorando insieme alle altre categorie professionali, medici e farmacisti fra gli altri, per salvaguardare l’efficacia delle molecole salva vita“.

In ottica One Health, il Presidente ha ricordato anche le azioni di prevenzione e contrasto alle malattie infettive e zoonosi che stanno interessando l’Italia anche a causa del cambiamento climatico. Un accenno doveroso va fatto all’ondata di influenza aviaria: la mutazione attuale del virus indica un adattamento ai mammiferi  che “non esclude la possibilità che, continuando a modificarsi, possa assumere quelle caratteristiche necessarie a renderlo trasmissibile da un uomo all’altro” ha sottolineato il Presidente SIMeVeP.

La sorveglianza e il monitoraggio ad opera dei Servizi Veterinari sono fondamentali. La medicina veterinaria è al centro dell’equilibrio uomo-animale-ambiente” ha concluso Sorice.

A cura della segreteria SIMeVeP

 

 




I risultati del progetto EpiCovAir. Covid-19, la qualità dell’aria incide su rischio di infezione e mortalità

I risultati del progetto EpiCovAir su inquinamento atmosferico e COVID-19

Esiste un legame tra incidenza di infezioni da SARS-CoV2, mortalità per COVID-19 ed esposizione di lungo periodo (2016-2019) ad alcuni fra i principali inquinanti atmosferici nel nostro Paese, quali il biossido di azoto (NO2) e il particolato atmosferico (PM2.5 e PM10). Lo dimostrano i risultati di EpiCovAir, un progetto epidemiologico nazionale di ricerca su COVID-19 e inquinamento promosso dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (ISPRA-SNPA), in collaborazione con la Rete Italiana Ambiente e Salute (RIAS), presentati oggi durante un webinar nella sede dell’ISS.

Le indagini hanno riguardato circa 4 milioni di casi di SARS-CoV-2 e 125 mila decessi registrati dal Sistema Nazionale di Sorveglianza Integrata COVID-19 tra i 60 milioni di italiani residenti in 7800 comuni durante le prime tre ondate epidemiche (da febbraio 2020 a giugno 2021), con un’incidenza di 67 casi infetti su 1000 abitanti e un tasso di letalità di 31 decessi ogni 1000 persone contagiate.

La distribuzione geografica dell’infezione e dei decessi per COVID-19 mostra incidenza e letalità più alte nelle aree del nord Italia, che hanno anche più elevati livelli di inquinamento atmosferico di lungo periodo. Questo vale particolarmente nella prima ondata dell’epidemia, che si è originata e propagata a partire dalle regioni settentrionali, mentre le distribuzioni dei casi e dei decessi per COVID-19 sono più omogenee sul territorio nazionale nella seconda e terza fase pandemica.

Le associazioni con l’inquinamento atmosferico, più forti tra i soggetti anziani, rivelano che in Italia l’incidenza di nuovi casi cresce significativamente dello 0.9%, dello 0.3% e dello 0.3% per ogni incremento di 1 microgrammo per metro cubo (μg/m3) nei livelli di esposizione di lungo periodo a NO2, PM2.5 e PM10, rispettivamente.

Lo stesso vale per i tassi di letalità per COVID-19 che aumentano dello 0.6%, dello 0.7% e dello 0.3% ad ogni innalzamento di 1 μg/m3 nell’esposizione cronica rispettivamente agli stessi inquinanti.

Le analisi effettuate, spiegano gli autori, tengono conto di numerose variabili geografiche, demografiche, socio-economiche, sanitarie, così come della mobilità della popolazione durante la pandemia grazie ai dati forniti da ENEL X sui flussi di traffico per tutti i comuni italiani.

I risultati conseguiti da EpiCovAir”, afferma Ivano Iavarone, coordinatore del Progetto, “sono coerenti con le più recenti evidenze disponibili nella letteratura scientifica internazionale, e supportano la necessità di agire tempestivamente per ridurre le emissioni di inquinanti atmosferici ed il loro impatto sanitario, in linea con la recente proposta della Commissione Europea di una nuova Direttiva sulla qualità dell’aria e di contrasto alla crisi climatica”.

Sotto questo punto di vista, e non potendo escludere futuri rischi epidemici,” dichiarano congiuntamente i Presidenti ISS ed ISPRA-SNPA Silvio Brusaferro e Stefano Laporta “sarà importante individuare strategie sinergiche ed intersettoriali di prevenzione integrata che su scala europea, nazionale, regionale e locale accelerino l’implementazione di politiche improntate sui co-benefici, attraverso interventi strutturali in settori chiave quali i trasporti, l’industria, l’energia e l’agricoltura”.

 

I due lavori del progetto EpiCovAir, recentemente pubblicati, sono disponibili ai seguenti link:

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/37167483/

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/37154300/

Fonte; ISS




Toxoplasma gondii negli ovini: prevalenza sierologica al mattatoio in Italia e fattori di rischio ambientale

La toxoplasmosi è un zoonosi causata da Toxoplasma gondii (T. gondii) un parassita che può infettare una grande varietà di vertebrati terrestri e marini (mammiferi, uccelli, rettili, molluschi…). I felini, tra cui il gatto domestico, sono tuttavia i soli ospiti definitivi ed eliminano nell’ambiente delle resistentissime oocisti contenenti il parassita; quando altri animali appartenenti alle citate specie suscettibili le ingeriscono diventano ospiti intermedi; T. gondii si distribuisce quindi nei tessuti di elezione (tra cui quello nervoso e muscolare) andando a formare delle cisti in cui è contenuta un’altra forma infettante del parassita (i bradizoiti) .

La trasmissione all’uomo, come anche per gli altri ospiti intermedi, può verificarsi attraverso il consumo di carni non adeguatamente cotte proveniente da animali infetti, o tramite l’ingestione accidentale di oocisti mediante il contatto con le feci di gatti escretori, vegetali o acqua contaminata.

Tra le specie animali sensibili, le pecore mostrano una notevole suscettibilità nei confronti di T. gondii; anche in questa indagine, la sieropositività per T. gondii degli ovini si conferma infatti in linea con la maggior parte degli studi condotti negli ultimi 20 anni in Italia che riportano percentuali comprese tra il 40 e il 65%. Il trend relativo ad altre specie domestiche particolarmente sensibili come il maiale, rileva una  sieroprevalenza in diminuzione nella maggior parte del mondo.

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Disponibilità d’acqua, in Italia raggiunto il minimo storico

Nel 2022 colpito da siccità estrema circa il 20% del territorio nazionale
17 giugno 2023 Giornata mondiale della lotta alla desertificazione e alla siccità

Non si arresta il trend in calo registrato dall’ISPRA sul fronte della disponibilità idrica nazionale che nel 2022, con un valore medio che supera di poco i 221 mm (corrispondenti a un volume totale di 67 km3) e una riduzione di oltre il 51% rispetto alla media riferita al periodo 1951-2022, tocca il minimo storico. La riduzione sarebbe decisamente consistente (quasi il 50%) anche facendo riferimento solo all’ultimo trentennio climatologico 1991-2020.

Sicilia (–80,7%), Sardegna, (–73%) e Distretto idrografico del Fiume Po (–66%) sono le aree più colpite dal deficit idrico nel 2022.

Siccità, confermato il trend crescente. Nel 2022 circa il 20% del territorio nazionale versa in condizioni di siccità estrema e circa il 40% in siccità severa e moderata. In termini di persistenza delle condizioni di siccità, il 2022 risulta in Italia il terzo per gravità, preceduto solo dal 1990 e dal 2002.

Questi gli esiti delle ultime stime del BIGBANG, il modello realizzato dall’ISPRA che analizza la situazione  idrologica dal 1951 al 2022 fornendo un quadro di dettaglio delle componenti del bilancio idrologico e della risorsa idrica rinnovabile.

L’anno appena trascorso, con un record di 719 mm, segna il minimo nazionale anche in termini di precipitazione totale liquida e solida (un valore inferiore persino a quelli estremi minimi del 2007 e del 2017).

Nel 2022 il deficit di precipitazione annua interessa il territorio nazionale in maniera molto diversificata: l’area più colpita è il Nord Ovest, dove i valori raggiunti sono anche inferiori a –50% rispetto alla media di lungo periodo. Per tutto il territorio del Distretto idrografico del Fiume Po il deficit percentuale, sempre rispetto alla media di lungo periodo, raggiunge il –36%, con un valore di precipitazione annua di soli 650 mm (a fronte di una media annua di circa 1016 mm). Diminuzione elevata anche nel Distretto delle Alpi Orientaliche segna un –28%, con punte comprese tra –30% e –40%.

Meno preoccupanti, ma pur sempre notevoli, i deficit dell’ordine del –20%, registrati nel Distretto dell’Appennino Settentrionale e nel Distretto dell’Appenino Centrale con punte anche del –40%. Nel  Distretto idrografico dell’Appennino Meridionale il deficit medio per il 2022 pari al –9 %, risulta invece molto più contenuto, mentre nel Distretto della Sicilia si attesta a –26%, con punte dell’ordine del –50% nella zona orientale della Regione. Infine, nel Distretto della Sardegna il deficit di precipitazione medio annuo registra un –27%.

Fonte: ISPRA




Zanzare: le loro storie d’amore per combattere la malaria

artropodiDall’accoppiamento delle zanzare, nuove strategie per ridurre la diffusione della pericolosa infezione. Lo evidenzia uno studio di Cnr-Isc e Sapienza in collaborazione con l’Università degli Studi di Perugia, ora pubblicato su Scientific Reports

Osservare delle zanzare che si accoppiano può sembrare un’attività particolarmente bizzarra, ma che si sta rivelando essenziale nello sviluppo di nuove strategie di lotta contro la malaria. Le femmine di Anopheles gambiae sono vettori di trasmissione del plasmodio della malaria, che ogni anno è responsabile di centinaia di migliaia di decessi. Le tecniche sviluppate negli ultimi anni per contrastare questa malattia si basano su un principio molto semplice: meno zanzare, meno vettori di trasmissione, meno decessi. L’uso di zanzariere impregnate di insetticidi si è rivelato molto efficace negli ultimi 20 anni. Ma questo non basta. Le zanzare hanno sviluppato resistenze agli insetticidi, per cui, dopo una iniziale riduzione, il numero dei contagi annuali è ora in salita.

L’imperativo scientifico è quindi di identificare nuove strategie, da utilizzare in associazione con i metodi di controllo attualmente in uso. Attraverso un approccio ‘gene drive’, si cerca di sfruttare l’accoppiamento delle zanzare per diffondere modificazioni genetiche che rendano le zanzare sterili o incapaci di trasmettere il parassita della malaria. “Per valutare l’efficacia di queste tecniche innovative è necessario conoscere approfonditamente il meccanismo dell’accoppiamento”, spiega la Prof.ssa Roberta Spaccapelo, dell’Università degli Studi di Perugia, “sappiamo che questi insetti si accoppiano in volo e che i maschi si associano in gruppi, sciami di centinaia di individui, per essere più visibili e attrattivi alle femmine. Ma non ne sappiamo molto di più. Sono le femmine che entrano nello sciame a scegliere con quale maschio accoppiarsi? Come avviene la scelta? Ci sono delle caratteristiche che rendono alcuni maschi più attrattivi di altri?”

L’articolo ‘Characterization of lab-based swarms of Anopheles gambiae mosquitoes using 3D-video tracking’ appena pubblicato su Scientific Reports ( https://rdcu.be/ddj9E), nato da una collaborazione fortemente interdisciplinare tra il Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università degli studi di Perugia, il gruppo CoBBS (Collective Behavior in Biological Systems – www.cobbs.it) del Dipartimento di Fisica della Sapienza Università di Roma e dell’Istituto dei Sistemi Complessi del CNR, muove i primi passi per cercare di rispondere a questi interrogativi.

“Riprodurre sciami di Anopheles nell’ambiente controllato del laboratorio è stato un compito molto complicato. Abbiamo scelto di studiare questi sciami in gabbie molto grandi, per poter analizzare la dinamica di volo delle zanzare evitando potenziali effetti sul comportamento dovuti allo spazio confinato di gabbie piccole”, dice la Prof.ssa Irene Giardina della Sapienza.

“Abbiamo ripreso sciami di centinaia di zanzare con un sistema stereometrico di telecamere, che ci permette di ricostruire nello spazio tridimensionale le traiettorie di ogni singola zanzara nel gruppo. L’analisi di questi dati ci ha permesso di verificare che gli sciami ricreati in laboratorio hanno caratteristiche compatibili con quelle di sciami osservati in ambiente naturale“, spiega Stefania Melillo, ricercatrice dell’Istituto dei Sistemi Complessi del CNR. “La novità più importante presentata nell’articolo è che siamo riusciti a documentare vari eventi di accoppiamento: coppie di zanzare che volano insieme per un periodo di tempo che arriva anche a 15 secondi. Ma la cosa più stupefacente è sicuramente aver osservato e  documentato la competizione nell’accoppiamento. Più maschi che competono per accoppiarsi nello stesso momento con la stessa femmina.”

L’articolo rappresenta, quindi, il primo passo verso la comprensione della dinamica di accoppiamento nelle zanzare e costituisce un importante punto di riferimento per la comunità scientifica internazionale, per valutare l’efficacia delle nuove tecnologie per ridurre la popolazione di insetti così pericolosi per l’uomo.

Ulteriori sviluppi di questo studio, sia dal punto di vista sperimentale che modellistico, sono tema del progetto dal titolo: Demystifying mosquito sex: unraveling MOsquito SWARMs  with lab-based 3D video tracking (acronimo: MoSwarm), presentato congiuntamente dall’Università di Perugia e il CNR, appena finanziato dal MUR nell’ambito dei progetti PRIN 2022.

Fonte: CNR