Giornata europea degli antibiotici: i dati dell’ISS sull’antibioticoresistenza in Italia

antibioticoresistenzaIn Italia, nel 2018, le percentuali di resistenza alle principali classi di antibiotici per gli otto patogeni sotto sorveglianza (Staphylococcus aureus, Streptococcus pneumoniae, Enterococcus faecalis, Enterococcus faecium, Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa e Acinetobacter species) si mantengono più alte rispetto alla media europea, pur nell’ambito di un trend in calo rispetto agli anni precedenti.

Inoltre, gli oltre 2.000 casi diagnosticati nel 2018 – anche questo un dato costante – di infezioni nel sangue causate da enterobatteri produttori di carbapenemasi (CPE), ovvero di enzimi che distruggono i carbapenemi (una classe di antibiotici ad ampio spettro) evidenziano la larga diffusione nel nostro Paese di tali batteriemie. Sono questi i dati aggiornati, pubblicati in vista dell’imminente European Antibiotic Awareness Day (18 novembre 2019) e della World Antibiotic Awareness Week (18–24 novembre 2019), della Sorveglianza Nazionale dell’antibiotico-resistenza (AR-ISS) e della Sorveglianza delle CPE, coordinate entrambe dall’Istituto Superiore di Sanità.

“Purtroppo, il nostro Paese detiene il triste primato, nel contesto europeo, della mortalità per antibiotico-resistenza – dichiara Annalisa Pantosti, Responsabile della Sorveglianza AR-ISS – Infatti, dei 33.000 decessi che avvengono in Europa ogni anno per infezioni causate da batteri resistenti agli antibiotici, oltre 10.000 succedono in Italia”.

Gli ultimi dati disponibili – continua l’esperta – mostrano che i livelli di antibiotico-resistenza e di multi-resistenza delle specie batteriche sotto sorveglianza sono ancora molto alti, nonostante gli sforzi notevoli messi in campo finora, come la promozione di un uso appropriato degli antibiotici e di interventi per il controllo delle infezioni nelle strutture di assistenza sanitaria. In questo contesto, il “Piano Nazionale di Contrasto dell’Antibiotico-Resistenza (PNCAR) 2017-2020”, rappresenta un’occasione per migliorare e rendere più incisive le attività di contrasto del fenomeno a livello nazionale, regionale e locale”.

Patogeni super resistenti

Le percentuali di resistenza alle cefalosporine di terza generazione (29%) e ai fluorochinoloni (42%) in Escherichia coli si sono confermate di gran lunga maggiori rispetto alla media europea, anche se in leggero calo rispetto agli ultimi anni.

Si è osservata una diminuzione significativa nella percentuale di isolati di Klebsiella pneumoniae resistenti ai carbapenemi, che sono passati dal 37% nel 2016 al 30% nel 2018, mentre per E. coli, anche se il valore si è confermato molto basso (0,6%), è risultato in leggero aumento rispetto agli anni precedenti. La resistenza ai carbapenemi è risultata frequente, anche se in diminuzione, nelle specie Pseudomonas aeruginosa (16%) e Acinetobacter (82%).

Per Staphylococcus aureus, la percentuale di isolati resistenti alla meticillina (MRSA) si è mantenuta stabile intorno al 34%, mentre incrementi significativi si sono riscontrati nella percentuale di isolati di Enterococcus faecium resistenti alla vancomicina, passata dal 6% nel 2012 al 19% nel 2018. Per Streptococcus pneumoniae si è osservata una tendenza alla diminuzione sia per la percentuale di isolati resistenti alla penicillina che per quelli resistenti all’eritromicina.

Le batteriemie

Secondo i dati della Sorveglianza Nazionale dedicata alle batteriemie causate da Enterobatteri produttori di carbapenemasi (CPE), gli oltre 2.000 casi diagnosticati e segnalati nel 2018 evidenziano la larga diffusione in Italia delle CPE, soprattutto in pazienti ospedalizzati. In particolare:

  • nel periodo 2016-2018, l’incidenza dei casi segnalati è costante;
  • l’Italia centrale è l’area con maggiore incidenza di casi segnalati ed è l’unica ad aver mostrato un aumento del tasso di incidenza rispetto al 2017: 4,4 casi su 100.000 residenti (nel 2017 erano 3,8 su 100.000), seguita dal Sud e dalle Isole (3,1 su 100.000 residenti) e dal Nord (2,8 su 100.000 residenti). Nel Centro, la Regione con la più alta incidenza è il Lazio (5,9 su 100.000 residenti), nel Sud e Isole la Puglia (6 su 100.000 residenti) e nel Nord l’Emilia-Romagna (5,2 su 100.000 residenti).
  • i soggetti maggiormente coinvolti sono maschi (65,2%), in una fascia di età compresa tra 60 e 79 anni (48,5%), ospedalizzati (86,1%) e, tra questi, la maggioranza si trova nei reparti di terapia intensiva (38,3%);
  • il patogeno maggiormente diffuso è Klebsiella pneumoniae (97,7%) con enzima KPC (Klebsiella pneumoniae carbapenemasi); a fine 2018, si osserva però un aumento di altri enzimi, in particolare NDM (New Delhi metallo beta lattamasi).

 La Sorveglianza AR-ISS

Hanno partecipato alla Sorveglianza Nazionale AR-ISS 98 laboratori distribuiti su tutto il territorio nazionale (erano 55 nel 2017). Rispetto all’anno precedente è aumentata la copertura nazionale (dal 21% al 36%).

Dai dati di copertura per Regione, emerge che la Sicilia è l’unica ad avere una copertura ancora molto bassa. Sei Regioni (Valle d’Aosta, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Campania) e le Province Autonome di Bolzano e Trento hanno partecipato alla sorveglianza con le proprie reti regionali.

Il 99% dei patogeni è stato ottenuto da sangue e l’1% da liquor. Nella maggiore parte degli isolati è stato isolato E. coli (38,3%), seguito da S. aureus (19,9%), K. pneumoniae (13,7%), E. faecalis (9,7%), P. aeruginosa (7,1%), E. faecium (5,4%), Acinetobacter spp. (3,2%) e S. pneumoniae (2,7%).

La Sorveglianza delle CPE

La Sorveglianza delle batteriemie da enterobatteri produttori di carbapenemasi (CPE), istituita nel 2013, raccoglie e analizza le segnalazioni dei casi di batteriemie da K. pneumoniae ed E. coli resistenti ai carbapenemi e/o produttori di carbapenemasi da tutto il territorio nazionale, con l’obiettivo di monitorare la diffusione e l’evoluzione di queste infezioni e sviluppare strategie di contenimento adeguate. I dati analizzati si basano sulle segnalazioni anonime e individuali inviate dagli Ospedali/Aziende ospedaliere e dalle Unità sanitarie locali al Ministero della Salute e all’ISS, dove vengono raccolte, registrate in un database dedicato e analizzate dal Dipartimento Malattie Infettive dell’ISS.

Nel 2018 sono state inviate segnalazioni da 19 Regioni/Province Autonome. Non hanno segnalato casi il Molise e la Basilicata che, insieme alla Valle d’Aosta, non avevano segnalato casi neanche nel 2017. Complessivamente le segnalazioni sono giunte da 209 Ospedali/Aziende sanitarie/Unità sanitarie locali.

Fonte: ISS




Premiati i vincitori del Premio di laurea 2018

Nell’ambito del Convegno “Da spreco a risorsa: utilizzo solidale delle ‘eccedenze’ alimentari” che si è tenuto a Firenze il 3 ottobre, si è svolta la cerimonia di premiazione del Premio tesi di laurea 2018 che ha visto, per la prima volta l’assegnazione di due premi ex equo.

Domenico Sciota e il relatore il Prof. Giovanni Di Guardo

 

Alla presenza del Presidente Onorario SIMeVeP, Dott. Aldo Grasselli e del Presidente SIMeVeP Dott. Antonio Sorice, nel corso della cerimonia sono stati premiati i vincitori dott. Michele Luca D’Errico per la tesi: “Valutazione dell’antibiotico-resistenza al meropenem in microrganismi di origine umana, suina e bovina“, relatrice la Prof.ssa Silvia Bonardi, Università di Parma e il dott. Domenico Sciota per la tesi: “Ricerca della PrPsc nelle ghiandole surrenali di ovini di razza sarda infettati sperimentalmente con l’agente della scrapie“, relatore il Prof. Giovanni Di Guardo, Università di Teramo.

Michele Luca D’Errico e la relatrice Prof. Silvia Bonardi

Ricordiamo che fino al 31 gennaio 2020 è possibile partecipare all’edizione 2019 del Premio, istituito per promuovere e incentivare lo studio delle tematiche legate alla Sanità Pubblica Veterinaria e alla Sicurezza Alimentare e sostenere quegli studenti di veterinaria che decidono di approfondirle.

Inoltre, per favorire l’avvicinamento degli studenti alle attività di sanità pubblica, la SIMeVeP offre l’iscrizione gratuita agli studenti di Medicina Veterinaria.




Da spreco a risorsa: utilizzo solidale delle “eccedenze” alimentari – Firenze 3 ottobre 2019

Spreco alimentareLa SIMeVeP organizza il corso ECM “Da spreco a risorsa: utilizzo solidale delle “eccedenze” alimentari” che si terrà a Firenze il 3 ottobre 2019, rivolto ai medici veterinari in qualità di protagonisti nel recupero delle eccedenze e il contrasto allo spreco alimentare

I partecipanti avranno l’opportunità di acquisire conoscenze relative al significato di spreco lungo la catena alimentare e della shelf life dei prodotti, nonché aggiornamenti sulla normativa in materia, conseguendo competenze sulle molteplici possibilità di applicare, nel corso della loro attività professionale, processi di food saving al fine di poter  trasformare “lo spreco” in una risorsa.

Programma e scheda di iscrizione saranno a disponibili a breve




Microplastiche: brevettato a Catania brevetto per quantificarle

Microplastiche al microscopio

Microplastiche al microscopio

Da oggi sarà possibile, per la prima volta al mondo, determinare e quantificare le microplastiche inferiori a 10 micrometri con una elevata sensibilità.

L’invenzione, già brevettata in Italia, frutto della ricerca dal titolo “Metodo per l’estrazione e la determinazione di microplastiche in campioni a matrici organiche e inorganiche”, porta la firma del Laboratorio di Igiene Ambientale e degli Alimenti dell’Università di Catania.

La ricerca – già pubblicata su riviste scientifiche internazionali come la prestigiosa “Water Research” (Elsevier) e presentata in diversi congressi internazionali – è stata condotta dal direttore del LIAA Laboratorio di Igiene Ambientale e degli Alimenti, prof.ssa Margherita Ferrante, dalla ricercatrice prof.ssa Gea Oliveri Conti e dal PhD Pietro Zuccarello.

L’originalità e l’inventività di questa metodologia – che permette la reale quantificazione delle microplastiche inferiori a 10 micron fino alle nano per quasi tutte le tipologie di plastica – è stata accettata per tutte e dieci le rivendicazioni depositate nella domanda di brevetto. Le attuali metodologie pubblicate in ambito internazionale, infatti, come ad esempio la tecnica µFTIR e µRAMAN mostrano numerose limitazioni nell’identificazione e determinazione delle particelle plastiche inferiori ai 10 micrometri. Prima di questa invenzione tutte le metodologie di estrazione di microplastiche ad oggi internazionalmente accettate prevedono un processo di filtrazione per la raccolta delle microparticelle e microfibre plastiche. Un processo selettivo dimensionale, quello adottato fino ad oggi, che però non consentiva di riconoscere le particelle con diametro inferiore al poro del filtro utilizzato con conseguente perdita irrimediabile delle micro- e nanoplastiche.
L’Università di Catania, inoltre, nel marzo scorso ha depositato la domanda di estensione del Brevetto Internazionale (PCT/IB2019/051838) al fine di proteggere l’invenzione in moltissimi paesi tra cui tutti quelli comunitari, ma anche Russia, Cina, Giappone, Korea, Taiwan, Canada, Usa e Australia.

Il brevetto – che ha reso il LIAA l’unico laboratorio in grado di determinare le microplastiche con dimensione inferiore ai 10 µm a livello mondiale – ha permesso all’ateneo di Catania di siglare diverse collaborazioni scientifiche con vari atenei del territorio nazionale, ma anche con centri di ricerca in Tunisia, Austria e a breve con la Columbia University negli Stati Uniti.
Il LIAA, inoltre, sta sviluppando applicazioni del brevetto in campo ambientale, alimentare e medico al fine di meglio comprendere le interazioni ad oggi sconosciute tra microplastica e cellule nell’ottica di chiarire la relazione tra microplastiche ambientali e salute.

Exposure to microplastics (<10 μm) associated to plastic bottles mineral water consumption: The first quantitative study
Reply for comment on “Exposure to microplastics (<10 μm) associated to plastic bottles mineral water consumption: The first quantitative study by Zuccarello et al. [Water Research 157 (2019) 365–371]”

Fonte: Università degli Studi di Catania




Vespa velutina è arrivata in Italia dall’Europa e non direttamente dai paesi d’origine dell’Asia sud-orientale

vespa velutinaUno studio filogenetico basato sul confronto delle sequenze del gene mitocondriale della citocromo ossidasi I (cox1) di esemplari raccolti in Italia di Vespa velutina, calabrone dalle zampe gialle originario delle aree tropicali e subtropicali del sud-est asiatico, ha permesso di appurare che questi provengono dalla diffusione verso sud di una popolazione stabilitasi in Francia. È quanto emerge da una ricerca condotta dal Centro di referenza nazionale per l’apicoltura dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) in collaborazione con il Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione (BCA) dell’Università di Padova, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Biological Invasions.

Un’altra ricerca ha rilevato la presenza di forme replicative del virus della cella reale nera (BQCV) e del virus Kashmir (KBV) in esemplari di Vespa velutina rinvenuti in Italia. L’analisi delle sequenze virali mostra un’elevata percentuale di identità con sequenze di virus rilevate in Europa in Apis mellifera. Considerando l’attività predatoria di Vespa velutina, questa similarità genetica suggerisce che il calabrone asiatico possa contrarre questi virus nutrendosi e nutrendo le sue larve con api da miele infette e avere, di conseguenza, un ruolo nella loro diffusione.

Tutte le informazioni sul sito dell’IZS delle Venezie

 




La gestione dei Soa, una questione controversa

Sottoprodotti di origine alimentareLa gestione dei Soa – Sottoprodotti di Origine Animale, disciplinata da ultimo dal Regolamento 1069/2009 “Norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale e ai prodotti derivati non destinati al consumo umano e che abroga il regolamento (CE) n.1774/2002 (regolamento sui sottoprodotti di origine animale)”, oltre ad afferire alla prevenzione dei pericoli sanitari e ambientali, ha importanti ricadute economiche, sia perchè può alimentare il circuito virtuoso dell’economia circolare, sia perchè influisce direttamente sui costi degli stessi produttori dei Soa.

La questione, legata in particolare agli esercizi al dettaglio quali pescherie e macellerie, è affrontata dal Vice Presidente SIMeVeP, Vitantonio Perrone, in un contributo pubblicato da “La Settimana Veterinaria”.




Benessere degli avicoli al macello: Efsa individua i pericoli e propone misure

logo-efsaL’EFSA ha proposto alcune misure per ridurre i pericoli legati al benessere animale più comunemente osservati durante la macellazione del pollame sia a fini di produzione alimentare sia per finalità di controllo delle malattie infettive.

Una esaustiva disamina tratta tutto il processo di macellazione, dall’arrivo e lo scarico dei volatili, fino allo stordimento, al dissanguamento e all’abbattimento. Nel documento vengono individuati una serie di pericoli che danno adito a questioni di benessere come dolore, sete, fame o limitazioni dei movimenti, e vi si propongono, ove possibile, misure di prevenzione e correzione.

La maggior parte dei pericoli è il risultato di carenze da parte degli addetti, ad esempio mancanza di adeguata formazione professionale e di personale qualificato. Il parere dell’EFSA sottolinea l’importanza di disporre di personale adeguatamente formato a gestire le diverse fasi della macellazione con una chiara individuazione dei vari ruoli e responsabilità.

Si tratta del primo parere scientifico di una serie di aggiornamenti in materia di tutela del benessere degli animali al macello richiesti dalla Commissione europea. Nel 2020 saranno pubblicati altri pareri su suini (a marzo), bovini (a giugno) e altre specie (a dicembre).

I pareri si baseranno tutti sulle più recenti conoscenze scientifiche disponibili e vengono elaborati in consultazione con esperti in materia di benessere degli animali degli Stati membri dell’UE.

Le risultanze saranno utilizzate dalla Commissione europea nei dibattiti con l’Organizzazione mondiale della salute animale (OIE) finalizzati ad allineare gli approcci al benessere degli animali in fase di macellazione.

Slaughter of animals: poultry
Killing for purposes other than slaughter: poultry

Fonte: EFSA




Rifiuti in mare: il 75% è plastica. Nelle reti dei pescatori più scarti che pesci

plastica mareCon i rifiuti abbiamo “toccato il fondo”: più del 70% di quelli marini è depositata nei fondali italiani e il 77% è plastica.

Il mare di Sicilia, con 786 oggetti rivenuti e un peso complessivo superiore ai 670 kg, conferma la sua collocazione tra le discariche sottomarine più grandi del Paese, seguita dalla Sardegna con 403 oggetti nella totalità delle 99 cale e un peso totale di 86,55kg. La situazione varia da area ad area e in base alle zone monitorate: nei fondali rocciosi, dai 20 ai 500 m di profondità, le concentrazioni più alte di rifiuti sul fondo si rilevano nel Mar Ligure (1500 oggetti per ogni ettaro), nel golfo di Napoli (1200 oggetti per ogni ettaro) e lungo le coste siciliane (900 oggetti per ogni ettaro).

Questi i principali risultati delle attività condotte dall’Ispra e dal Sistema per la protezione dell’Ambiente SNPA, per monitorare la qualità dei nostri mari. La situazione che ne emerge appare molto grave e rappresenta la prima base conoscitiva di riferimento sulla quantità dei rifiuti marini nei diversi comparti (fondali marini, colonna d’acqua e spiagge).

Complessivamente ogni anno, circa 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare, di cui il 7% nelle acque del Mediterraneo.

Ma come arrivano in mare? Sicuramente attraverso i fiumi che costituiscono la principale via di trasporto dei rifiuti marini. I risultati emersi dal monitoraggio condotto dall’ISPRA, nell’ambito del progetto europeo MEDSEALITTER negli anni 2017 e 2018, mostrano i trend e i range di densità dei macrorifuti galleggianti in alto mare, vicino la fascia costiera, e vicino la foce dei fiumi. I dati parlano chiaro: la foce dei fiumi presenta il maggior quantitativo di rifiuti galleggianti (più di 1000 oggetti per km2) e vicino la costa tra i 10 e i 600 oggetti per km2. Più ci si allontana in mare aperto e più il numero di oggetti scende a 1 ‐ 10 per km2.

Allarmante la situazione dei fondali italiani: nella regione Adriatico‐Ionica la media degli scarti rinvenuti supera i 300 rifiuti ogni km2, dei quali l’’86% è plastica, in particolare usa e getta (il 77%). Imballaggi industriali e alimentari, borse/shopper e bottiglie di plastica, comprese le retine per la mitilicoltura (queste ultime particolarmente abbondanti lungo le coste italiane), sono i rifiuti più comuni.

L’area costiera a sud del delta del Po (983 rifiuti al km2), quella settentrionale (910 rifiuti al km2) e meridionale (829 rifiuti al km2) di Corfù e le acque di fronte a Dubrovnik (559 rifiuti al km2) sono le località adriatiche –ioniche con la maggiore densità di rifiuti in fondo al mare. Fondamentale la collaborazione dei pescatori nel monitoraggio dei fondali marini condotta in Adriatico dal 2013 al 2019: rinvenute nelle reti di 224 pescherecci coinvolti in due progetti di ricerca europei DEFISHGEAR e MLREPAIR, 194 tonnellate i rifiuti “incastrati”. Solo nella marineria di Chioggia raccolte 45 tonnellate.

E la situazione non migliora salendo in superfice: le quantità di macroplastiche rinvenute raggiungono una densità media che oscilla all’incirca tra i 2 e i 5 oggetti flottanti per km2, mentre la densità media delle microplastiche, ossia particelle più piccole di 5 mm, è compresa tra 93 mila e le 204 mila microparticelle per km2 . Non va meglio neanche lungo le spiagge: i litorali nazionali “ospitano” dai 500 ai 1000 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia.

Quello dei rifiuti marini è un problema che supera i confini nazionali. Lo dimostrano i risultati ottenuti dall’analisi dei rifiuti ingeriti dalla tartaruga marina Caretta caretta dal progetto europeo INDICIT condotto dal 2017 al 2019. Su 1406 tartarughe analizzate (458 vive e 948 morte), il 63% presentava plastica ingerita e quasi il 58% degli esemplari vivi di Caretta caretta aveva plastica nelle feci. I valori riscontrati in Italia non si discostano da quelli rilevati nell’ Atlantico (70.91%) e nel Mediterraneo (61.95%).

Fonte: ISPRA




Aggiornato l’elenco delle specie esotiche invasive di rilevanza unionale, cosa fare in caso di possesso

Plotosus lineatusE’ pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 26 luglio 2019 il Regolamento di Esecuzione (UE) 2019/1262 che modifica il regolamento di esecuzione (UE) 2016/1141 per aggiornare l’elenco delle specie esotiche invasive di rilevanza unionale.

Si tratta del secondo aggiornamento intervenuto dall’approvazione della prima lista unionale.

In base a una specifica valutazione del rischio condotta a livello europeo, nel nuovo elenco sono state inserite 17 nuoce specie, 13 vegetali e 4 animali:

  • Acacia saligna (Labill.) H.L.Wendl. (Acacia cyanophylla Lindl.),
  • Acridotheres tristis Linnaeus, 1766,
  • Ailanthus altissima (Mill.) Swingle,
  • Andropogon virginicus L.,
  • Arthurdendyus triangulatus (Dendy, 1894) Jones & Gerard (1999),
  • Cardiospermum grandiflorum Sw.,
  • Cortaderia jubata (Lemoine ex Carrière) Stapf,
  • Ehrharta calycina Sm.,
  • Gymnocoronis spilanthoides (D.Don ex Hook. & Arn.) DC.,
  • Humulus scandens (Lour.) Merr.,
  • Lepomis gibbosus Linnaeus, 1758,
  • Lespedeza cuneata (Dum.Cours.) G.Don (Lespedeza juncea var. sericea (Thunb.) Lace & Hauech),
  • Lygodium japonicum (Thunb.),
  • Plotosus lineatus (Thunberg, 1787),
  • Prosopis juliflora (Sw.) DC.,
  • Salvinia molesta D.S. Mitch. (Salvinia adnata Desv.),
  • Triadica sebifera (L.) Small (Sapium sebiferum (L.) Roxb.)

che si aggiungono alle 49 specie già inserite nel primo elenco unionale e nel primo aggiornamento

Inoltre  sono stati riveduti  i nomi scientifici di alcune specie e alcuni codici NC figuranti nell’elenco precedente dell’Unione, pertanto il regolamento di esecuzione (UE) 2016/1141 viene modificato dal presente Regolamento che entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione in GU. A quel punto, anche per le nuove specie inserite in elenco scatterà il divieto di utilizzo, vendita e movimentazione.

L’Italia ha stabilito, con il Decreto Legislativo n. 230 del 15 dicembre 2017 “Adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 1143/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014, recante disposizioni volte a prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive”, che chi detiene uno o più esemplari di specie esotiche inclusi negli elenchi delle specie esotiche invasive di rilevanza unionale o nazionale è tenuto a farne denuncia al Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare entro i termini previsti dall’articolo 26 del decreto.

I possessori di animali da compagnia appartenenti a specie esotiche invasive possono continuare a custodirli a condizione di:

  • essere in possesso dell’animale prima dell’entrata in vigore del Decreto 230/2017, o nel caso di aggiornamento dell’Elenco di specie esotiche invasive prima dell’entrata in vigore dello stesso;
  • denunciare il possesso dell’animale al Ministero dell’Ambiente entro il 31 agosto 2019 (d.l. 91/2018 articolo 3)
  • adottare opportune misure per impedire la fuga dell’animale;
  • adottare opportune misure per impedire la riproduzione dell’animale

C’è tempo fino al 31 agosto 2019 per presentare la denuncia di possesso, secondo le indicazioni dello stesso Ministero

A cura della segreteria SIMeVeP




Il gambero rosso della Louisiana è arrivato in Bassa Atesina

I tecnici dell’Ufficio caccia e pesca, in collaborazione con i Forestali dell’Ispettorato Bolzano 1 e con gli appassionati del gruppo di lavoro Südtiroler Bachkrebs, hanno verificato la presenza del gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii) in alcune fosse della Bassa Atesina.

Si tratta di una specie altamente invasiva, per dimensioni e capacità riproduttive molto più forte delle specie di gamberi d’acqua dolce autoctone. Il gambero rosso genera danni ai corsi d’acqua, perché si inserisce nella catena alimentare al livello degli anfibi nostrani, tritoni, rane, salamandre eccetera, prendendone il posto e distruggendo in tal modo gli equilibri ecologici degli ecosistemi acquatici. Scava gallerie profonde che alla lunga provocano l’erosione delle sponde e un’alterazione consistente della flora e della microfauna ripariale. Inoltre, può trasmettere malattie con effetti catastrofici per il gambero nostrano e per altre specie autoctone, come la peste del gambero.

Come abbia fatto ad arrivare in Alto Adige è impossibile da stabilire, “ma in ogni caso è accaduto a causa dell’uomo“, affermano i tecnici dell’Ufficio caccia e pesca: la globalizzazione dei trasporti anche di organismi viventi ha portato la specie in Europa, dove è particolarmente diffusa nella Penisola Iberica, nella Pianura Padana ed in misura minore in altre regioni europee.

In passato è accaduto che i tecnici dell’Ufficio, controllando l’acqua che conteneva pesci destinati ad essere seminati in un corso d’acqua altoatesino vi avessero trovato, anche alcuni gamberi della Louisiana insieme ad altri pesci esotici: non sempre – affermano i tecnici – i pescicoltori fanno attenzione come dovrebbero alla purezza del materiale ittico che vendono, ma in quel caso un ordinario controllo ha prevenuto l’improvvida liberazione dei gamberi rossi. A seguito di quel fatto l’Ufficio ha vietato qualsiasi semina di specie ciprinicole (carpe, tinche, lucci) provenienti da fuori provincia.

Molto maggiore è invece il rischio che il gambero si diffonda, a seguito dello svuotamento di acquari privati, in un corso d’acqua. Molte persone infatti, quando vogliono disfarsi di animali che hanno detenuto in casa, per non farli morire decidono di liberarli in natura.

Si tratta però – avvisano i tecnici dell’Ufficio – di un’azione che può portare a conseguenze insospettatamente devastanti per gli ecosistemi e per questo è vietata dalla legge. Il principio sancito dalla direttiva Habitat, è che ciascuno deve preoccuparsi di conservare le specie, animali e vegetali, autoctone del territorio in cui vive, cioè quelle presenti da diverse centinaia di anni. È evidente quindi che qualsiasi immissione di specie straniere “ingombranti”, in quanto più vitali e potenti di quelle locali collocate al medesimo livello della catena alimentare, può provocare gravi danni alla conservazione delle specie locali e quindi causarne, in casi estremi, l’estinzione.

Non bisogna quindi – ammonisce l’ Ufficio Caccia e pesca – mai liberare animali e nemmeno piante di provenienza esotica in natura. Se appartengono alla lista di specie invasive di cui al Decreto Legislativo 230/2017 si rischiano sanzioni salate; per alcune specie, come la tartaruga dalle orecchie gialle (Trachemys scripta), è sanzionata anche la detenzione non autorizzata”.

Fonte: Provincia autonoma di Bolzano