Procedure e tecniche di campionamento degli alimenti destinati all’alimentazione umana

Si svolgerà il 19 marzo presso l’Aula Magna del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Bari il corso ECM “Procedure e tecniche di campionamento degli alimenti destinati all’alimentazione umana” organizzato dalla Asl Bari, con la partecipazione dell’Ordine dei Medici Veterinari della Provincia di Bari, della Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva e dell’associazione Italiana Veterinari Igienisti.

La legislazione comunitaria e nazionale definisce i tenori massimi di contaminanti chimici e microbiologici negli alimenti destinati all’alimentazione umana, che devono essere monitorati dalle Autorità Competenti per la verifica della loro conformità. I risultati analitici ottenuti possono essere condizionati dalla procedura utilizzata per la preparazione del campione destinato al laboratorio, così come dalle temperature di trasporto e conservazione del campione. Il campionamento pertanto svolge un ruolo cruciale in tutte le attività analitiche, soprattutto nella quantificazione di contaminanti distribuiti in modo eterogeneo all’interno di un lotto/partita di alimento.

Per tale ragione, l’Unione Europea ha individuato specifici metodi di campionamento in relazione al tipo di alimento e all’analita da ricercare e, quando non disponibili, ha dettato i criteri per la loro selezione, tenendo conto anche degli standard accettati a livello internazionale. La corretta applicazione delle procedure di campionamento, tuttavia, non può prescindere da un’adeguata formazione del personale addetto ai controlli ufficiali.

L’evento si propone di fornire agli operatori del Servizio Sanitario Nazionale che si occupano di sicurezza alimentare strumenti utili per un corretto campionamento delle matrici alimentari promuovendo la conoscenza della legislazione europea e nazionale per le attività di campionamento degli alimenti destinati all’alimentazione umana, la corretta applicazione dei metodi di campionamento per il Controllo Ufficiale dei contaminanti chimici e microbiologici, oltre che le corrette modalità di redazione della reportistica necessaria a documentare correttamente le attività di campionamento con l’ausilio degli strumenti “tradizionali” (cartacei) e informatici.

Lo strumento delle analisi di laboratorio nelle attività di Controllo Ufficiale è efficace se garantisce la correttezza del dato analitico, mediante il perseguimento di un costante ed elevato livello di “Qualità e sicurezza del dato” fin dalle primissime attività di identificazione della matrice alimentare da sottoporre ad analisi. Affinché i risultati delle misurazioni siano accettati come validi dalle parti interessate è necessario, non solo che le analisi siano eseguite secondo i requisiti previsti dalla norma ISO 17025, ma che anche le fasi pre e post analitiche siano correttamente attuate. L’evento si propone quindi di illustrare come il campionamento (prelievo, identificazione del campione, manipolazione, compilazione della richiesta di analisi, trasporto) influenzi significativamente la qualità del dato di laboratorio e, di conseguenza, le eventuali azioni esecutive da intraprendere.

Scarica il programma

 




Dengue: un problema di sanità globale

La dengue è una malattia virale acuta causata dal virus dengue (DENV), un virus a RNA del genere Flavivirus appartenente alla famiglia Flaviviridae, e spesso viene trasmessa all’uomo attraverso
la puntura delle zanzare Aedes, prevalentemente Aedes aegypti o Ae. albopictus.

Ad oggi è considerata forse la più importante malattia virale trasmessa da zanzare all’uomo e ha un impatto economico significativo, per i conseguenti costi sanitari globali, stimati in oltre 8,9 miliardi di dollari all’anno.

Nel contesto della prevenzione della dengue, una prospettiva One Health consentirebbe di affrontare le complesse relazioni tra la malattia, i  suoi vettori (zanzare Aedes) e i loro
habitat ecologici.

Ne parlano Ivan Corti e Maurizio Ferri in un articolo pubblicato su La Settimana Veterinaria




PE: via libera alla legge sul ripristino della natura

Il Parlamento ha adottato la prima legge dell’UE per ripristinare gli ecosistemi degradati

  • I Paesi dell’UE dovranno ripristinare almeno il 30% degli habitat in cattive condizioni entro il 2030, il 60% entro il 2040 e il 90% entro il 2050
  • Possibilità di sospendere temporaneamente le disposizioni sugli ecosistemi agricoli in circostanze eccezionali
  • Oltre l’80% degli habitat europei è in cattivo stato

La nuova legge fissa l’obiettivo di ripristinare almeno il 20% delle zone terrestri e marine dell’UE entro il 2030 e tutti gli ecosistemi entro il 2050.

La normativa europea sul ripristino della natura, concordata con i governi dell’UE, è stata approvata con 329 voti favorevoli, 275 contrari e 24 astensioni. Il regolamento mira a garantire il ripristino degli ecosistemi degradati in tutti i Paesi dell’UE, contribuire al raggiungimento degli obiettivi europei in materia di clima e biodiversità e migliorare la sicurezza alimentare.

Per conseguire gli obiettivi fissati dall’UE, entro il 2030 gli Stati membri dovranno ripristinare il buono stato di salute di almeno il 30% degli habitat contemplati dalla nuova legge (che vanno da foreste, praterie e zone umide a fiumi, laghi e coralli). Questa percentuale aumenterà poi al 60% entro il 2040 e al 90% entro il 2050. In linea con la posizione del Parlamento, fino al 2030 la priorità andrà accordata alle zone Natura 2000. I paesi dell’UE dovranno garantire che le zone ripristinate non tornino a deteriorarsi in modo significativo. Inoltre, dovranno adottare piani nazionali di ripristino che indichino nel dettaglio in che modo intendono raggiungere gli obiettivi.

Ecosistemi agricoli

Per migliorare la biodiversità negli ecosistemi agricoli, i paesi dell’UE dovranno registrare progressi in due di questi tre indicatori: indice delle farfalle comuni; percentuale di superficie agricola con elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità; stock di carbonio organico nei terreni minerali coltivati. Dovranno anche adottare misure per migliorare l’indice dell’avifauna comune, dato che gli uccelli sono un buon indicatore dello stato di salute generale della biodiversità.

Poiché le torbiere sono una delle soluzioni più economiche per ridurre le emissioni nel settore agricolo, i paesi dell’UE dovranno ripristinare almeno il 30% delle torbiere drenate entro il 2030 (almeno un quarto dovrà essere riumidificato), il 40% entro il 2040 e il 50% entro il 2050 (con almeno un terzo riumidificato). La riumidificazione continuerà a essere volontaria per agricoltori e proprietari terrieri privati.

Come richiesto dal Parlamento, la legge prevede un freno di emergenza che, in circostanze eccezionali, consentirà di sospendere gli obiettivi relativi agli ecosistemi agricoli qualora questi obiettivi riducano la superficie coltivata al punto da compromettere la produzione alimentare e renderla inadeguata ai consumi dell’UE.

Altri ecosistemi

La legge impone anche di registrare una tendenza positiva in diversi indicatori che riguardano gli ecosistemi forestali e di piantare tre miliardi di nuovi alberi. Gli Stati membri dovranno inoltre ripristinare almeno 25.000 km di fiumi, trasformandoli in fiumi a scorrimento libero, e garantire che non vi sia alcuna perdita netta né della superficie nazionale totale degli spazi verdi urbani, né di copertura arborea urbana.

Citazione

Dopo la votazione, il relatore César Luena (S&D, ES) ha dichiarato: “Oggi è un grande giorno per l’Europa, perché passiamo dalla protezione e dalla conservazione della natura al suo ripristino. La nuova legge ci aiuterà anche a rispettare molti dei nostri impegni internazionali in materia di ambiente. Inoltre, ripristinerà gli ecosistemi degradati senza compromettere il settore agricolo, lasciando agli Stati membri una grande flessibilità. Vorrei ringraziare i ricercatori per averci fornito le evidenze scientifiche e per il loro impegno nel combattere il negazionismo climatico. E vorrei ringraziare anche i giovani per averci ricordato che non abbiamo né un pianeta B, né un piano B.”

Prossime tappe

Una volta approvato anche dal Consiglio, sarà pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’UE ed entrerà in vigore 20 giorni dopo.

Contesto

Oltre l’80% degli habitat europei è in cattivo stato. Il 22 giugno 2022 la Commissione europea ha proposto una legge sul ripristino della natura per contribuire al recupero a lungo termine della natura danneggiata nelle zone terrestri e marine dell’UE, per raggiungere gli obiettivi dell’UE in materia di clima e biodiversità e per rispettare gli impegni internazionali dell’UE, in particolare il quadro globale di Kunming-Montreal per la biodiversitàSecondo la Commissione, la nuova legge apporterebbe notevoli benefici economici, in quanto ogni euro investito si tradurrebbe in almeno 8 euro di benefici.

Questa legge risponde alle aspettative dei cittadini in materia di protezione e ripristino di biodiversità, paesaggio e oceani di cui alla proposta 2, paragrafi 1, 3, 4 e 5, delle conconclusioni della Conferenza sul futuro dell’Europaclusioni della Conferenza sul futuro dell’Europa.

Fonte: Parlamento europeo




Pubblicazione. ONE HEALTH: una salute unica e una sola scienza Protect our future too from zoonosi

Tra aprile e ottobre 2023, a Roma e Palermo, si sono svolti due Convegni che hanno riunito diversi esperti delle Professioni Sanitarie nell’ambito della medicina umana e veterinaria, tra cui infettivologi, entomologi, epidemiologi, parassitologi, medici veterinari, medici di medicina generale e climatologi, per raccogliere testimonianze e punti di vista su come applicare un efficace approccio One Health per il controllo e il monitoraggio delle malattie da vettore zoonotiche.

L’elemento condiviso da tutti i professionisti coinvolti, emerso dai vari tavoli di discussione, è stato l’importanza di un approccio One Health, ovvero un metodo “olistico” per la gestione della salute umana, animale e ambientale, riconoscendo l’interconnessione e l’interdipendenza tra di esse, e punto chiave nell’agenda delle istituzioni globali.

La pubblicazione “ONE HEALTH: una salute unica e una sola scienza Protect our future too from zoonosis”, realizzata con il contributo di MSD Animal Health, ripercorre gli argomenti affrontati nel corso dei due Convegni e approfondisce il tema One Health, le sue radici e le sue sfide.




Necessario proseguire gli sforzi per combattere l’antibiotico-resistenza nell’uomo e negli animali

Secondo un rapporto pubblicato dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) congiuntamente al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), la resistenza dei batteri Salmonella e Campylobacter agli antimicrobici di uso comune continua a essere osservata di frequente nell’uomo e negli animali.

La resistenza congiunta ad antimicrobici di importanza primaria in medicina umana rimane però molto bassa, tranne che in alcuni tipi di Salmonella e Campylobacter coli in alcuni Paesi.

È inoltre aumentata la percentuale di isolati di Escherichia coli da animali destinati alla produzione di alimenti che presentano una “suscettibilità completa” o “zero resistenza” ai principali antimicrobici. Questo dato, insieme alla diminuzione della prevalenza di isolati di E. coli produttori di ESBL o AmpC – enzimi che possono rendere inefficaci alcuni antibiotici – dimostra i progressi compiuti nella riduzione dell’antibiotico-resistenza (AMR) in E. coli da animali destinati alla produzione di alimenti in diversi Stati membri dell’UE.

Hanno dichiarato Carlos Das Neves, direttore scientifico dell’EFSA, e Mike Catchpole, direttore scientifico dell’ECDC: “Anche se abbiamo registrato risultati positivi grazie alle misure attuate per ridurre l’AMR, è essenziale continuare a unire le forze per controbattere questa minaccia mondiale. L’approccio One Health ci ricorda che per affrontare l’antibiotico-resistenza è necessario congiungere le forze tra diversi settori: quello della salute umana, della salute animale e dell’ambiente“.

Per Salmonella la resistenza ai carbapenemi è stata riscontrata in isolati dall’uomo, ma non da animali destinati alla produzione di alimenti; per E. coli la resistenza ai carbapenemi è stata rilevata in isolati da animali da produzione alimentare. Sebbene l’insorgenza di resistenza ai carbapenemi sia attualmente segnalata a livelli molto bassi in isolati sia dall’uomo che da animali, negli ultimi anni un numero crescente di Paesi ha segnalato la presenza di batteri produttori di enzimi carbapenemasi in varie specie animali. Ciò richiede attenzione e ulteriori indagini dal momento che i carbapenemi sono una classe di antibiotici di ultima istanza e qualsiasi rilevamento di resistenza ad essi è motivo di preoccupazione.

Tra il 2013 e il 2022, in pazienti umani, almeno la metà dei Paesi dichiaranti ha osservato tendenze all’aumento della resistenza ai fluorochinoloni in isolati di Salmonella Enteritidis e Campylobacter jejuni, solitamente associata al pollame. Questo dato è preoccupante per la salute pubblica poiché nelle rare occasioni in cui le infezioni da Salmonella o Campylobacter evolvono in malattie gravi, i fluorochinoloni sono tra gli antimicrobici utilizzati per il trattamento.

Un terzo dei Paesi ha osservato tendenze alla diminuzione della resistenza ai macrolidi in isolati di Campylobacter dall’uomo, in particolare per C. coli. Questo dato è degno di nota perché l’aumento della resistenza ai fluorochinoloni fa sì che i macrolidi diventino sempre più importanti per il trattamento delle infezioni alimentari gravi nell’uomo.
In due terzi dei Paesi dichiaranti la resistenza di isolati umani a penicilline e tetracicline è diminuita nel tempo in Salmonella Typhimurium, solitamente associata a maiali e vitelli. Questi antimicrobici sono utilizzati spesso per trattare infezioni batteriche nell’uomo e negli animali.

La resistenza agli antimicrobici rimane un grave problema di salute pubblica che deve essere affrontato su diversi fronti e da più soggetti. Sono necessarie misure specifiche per ridurre la comparsa e la diffusione di batteri resistenti agli antimicrobici. Tra questi promuovere un uso oculato degli antimicrobici, supportare il miglioramento delle prassi di prevenzione e controllo delle infezioni, incrementare la ricerca e l’innovazione nello sviluppo di nuovi antimicrobici nonché l’attuazine di politiche e procedure a livello nazionale.

L’EFSA sta pubblicando sul proprio sito diverse pagine interattive per comunicare sul tema, ad esempio:

Storymaps

AMR Monitoring
AMR in indicator E. coli
AMR in Campylobacter
Monitoring MRSA

Dashboards

AMR Key indicators dashboard
AMR occurrence dashboard

Una pagina offre una visualizzazione interattiva dei dati sui livelli di resistenza nell’uomo, negli animali e negli alimenti, Paese per Paese, nel 2021 e nel 2022.

Antobiotico-resistenza in Europa

Infografica interattiva

Come negli anni precedenti, i dati sulla resistenza agli antibiotici contenuti in cibi e acque destinati al consumo umano vengono invece presentati nella pubblicazione dell’ECDC “Surveillance Atlas of Infectious Diseases” (rispettivamente alle voci: campilobatteriosi, salmonellosi e shigellosi).

Fonte: EFSA

FESPA
FVM



AMR: la connessione tra la riduzione dell’uso degli Antibiotici e la diminuzione dell’antibioticoresistenza

L’ultimo rapporto inter-agenzia JIACRA IV del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e Agenzia europea per i medicinali (EMA) sull’analisi integrata del consumo di antimicrobici e della comparsa di resistenza antimicrobica (AMR) nei batteri provenienti dall’uomo e animali da produzione alimentare nell’Unione europea (JIACRA IV – 2019-2021) se da un lato riafferma l’importanza di ridurre il consumo di antibiotici sia negli animali da produzione alimentare che nell’uomo, dall’altro offre prove convincenti di una connessione tra la riduzione dell’uso di antibiotici e la diminuzione dei batteri resistenti agli antibiotici.

La resistenza antimicrobica rappresenta una grave minaccia per la salute pubblica e animale. Si stima che, ogni anno, la resistenza antimicrobica provochi la morte di oltre 35.000 persone nell’Unione europea e nello Spazio economico europeo (UE/SEE) e secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). comporti un onere significativo sui sistemi sanitari europei, con un costo approssimativo di 11,7 miliardi di euro all’anno.

Il rapporto segue l’approccio One Health laddove sottolinea l’interdipendenza tra la salute umana e quella animale e implementa la cooperazione di ECDC, EFSA ed EMA.  Gli sforzi congiunti delle tre agenzie richiedono: – un’azione incisiva e continua per contrastare la resistenza antimicrobica a livello nazionale, dell’UE e globale  nei settore animale ed umano,  una sorveglianza armonizzata del consumo di antimicrobici e della resistenza antimicrobica e studi mirati per approfondire la comprensione della diffusione della resistenza antimicrobica.

Il rapporto fornisce dati riguardanti il consumo di antibiotici e la resistenza antimicrobica in Europa relativi al periodo 2019-2021 e sottolinea il potenziale per invertire le tendenze attraverso azioni e politiche adeguate.  In particolare, l’analisi include le tendenze nel consumo di antimicrobici e nella resistenza antimicrobica nei batteri Escherichia coli (E. coli) provenienti sia dall’uomo che dagli animali destinati alla produzione alimentare, e fornisce preziose informazioni sul panorama in evoluzione dal 2014 al 2021.  Tra i risultati emerge il dato significativo di riduzione del 44% del consumo di antibiotici negli animali da produzione alimentare, correlata a una diminuzione della resistenza agli antibiotici osservata nei batteri E. coli riscontrati sia negli animali che nell’uomo.

Il rapporto evidenzia inoltre l’associazione tra l’uso di specifici gruppi di antibiotici e la resistenza sia nell’uomo che negli animali destinati alla produzione alimentare. Nell’uomo, l’uso di importanti gruppi di antibiotici, tra cui carbapenemi, cefalosporine di terza e quarta generazione e chinoloni, viene collegato alla resistenza di E. coli.  Allo stesso modo, negli animali destinati alla produzione alimentare, l’uso di chinoloni, polimixine, aminopenicilline e tetracicline è associato alla resistenza agli antibiotici nei batteri E. coli.

Inoltre, il rapporto sottolinea la potenziale trasmissione della resistenza batterica dagli animali destinati alla produzione alimentare all’uomo.  Campylobacter jejuni e il Campylobacter coli,  presenti negli animali da reddito hanno il potenziale di diffondersi all’uomo attraverso gli alimenti e contribuire alla resistenza antimicrobica.

Andrea Ammon, direttore dell’ECDC ha sottolineato come ‘occorrono maggiori sforzi per ridurre il consumo non necessario di antibiotici per affrontare la minaccia rappresentata dalla resistenza antimicrobica per la salute pubblica. Inoltre, il rafforzamento dei programmi di immunizzazione e il miglioramento delle pratiche di prevenzione e controllo delle infezioni nelle comunità e nelle strutture sanitarie sono essenziali per ridurre il fabbisogno di antibiotici.

Bernhard Url, direttore esecutivo dell’EFSA afferma che usare meno antibiotici nella produzione zootecnica è vantaggioso: nella maggior parte dei paesi che hanno ridotto l’uso di antibiotici, c’è stata una corrispondente diminuzione dei livelli di resistenza. Ciò significa che gli sforzi nazionali funzionano. Inoltre evidenzia come  l’impegno dell’UE nei confronti dell’approccio One Health, salvaguarda sia la salute animale che quella pubblica globale.

Conclude Emer Cooke, direttore esecutivo dell’EMA  ‘L’accesso a dati affidabili sul consumo e sulla resistenza nell’uomo e animali fa davvero la differenza nella lotta contro la resistenza antimicrobica. Attraverso progetti congiunti come JIACRA, i paesi europei ottengono preziose informazioni sull’impatto delle misure che adottano. Ciò consente loro di intraprendere ulteriori azioni per promuovere l’uso prudente degli antibiotici’.

Maurizio Ferri
Responsabile scientifico SIMeVeP




L’orso polare, un’iconica creatura sempre più minacciata per mano dell’uomo!

Alla principale minaccia rappresentata dal riscaldamento globale, i cui effetti appaiono oltremodo amplificati ai poli terrestri, risultano particolarmente esposti gli orsi polari (Ursus maritimus) (1), vista e considerata la crescente difficoltà sperimentata dagli stessi nel procacciarsi le proprie prede, a motivo del progressivo scioglimento dei ghiacciai. A tal proposito, un recente lavoro descrive una serie di rilevanti adattamenti ecologici, comportamentali e dietetico-nutrizionali posti in essere dalla specie in esame, al precipuo fine di sopperire alla crescente difficoltà di cacciare gli animali acquatici tradizionalmente costituenti la sua principale fonte alimentare (1).

Alla ricerca di substrati nutritivi alternativi rispetto a questi ultimi, sempre piu’ spesso condotta in condizioni precarie ed in ambito terrestre dagli orsi polari, corrisponderebbe un progressivo scadimento delle condizioni generali e dello status nutrizionale della specie. Cio’ fa il paio, inevitabilmente, con uno stress perdurante, sulle cui deleterie ricadute sanitarie ho ritenuto doveroso richiamare l’attenzione della Comunità Scientifica attraverso un “Commentary” recentemente apparso sul prestigioso “Nature Microbiology Community Forum” (2). Come risulta ben noto, infatti, ad una condizione di stress cronico si associa un’accresciuta produzione di cortisolo, con conseguente soppressione della risposta immunitaria dell’ospite (3). E, se da un lato appare oltremodo plausibile che le sempre piu’ malnutrite popolazioni di orsi polari stiano sperimentando una condizione di stress cronico persistente, andrebbe parimenti sottolineato che il contestuale incremento della cortisolemia potrebbe accrescerne, dall’altro lato, la suscettibilità nei confronti di un’ampia gamma di agenti patogeni, con tutte le nefaste conseguenze che ciò comporterebbe sul loro gia’ precario stato di salute e di conservazione.

Degno di particolare menzione risulta, in un siffatto contesto, Toxoplasma gondii, un agente protozoario dotato di comprovata capacità zoonosica ed in grado d’infettare numerose specie di mammiferi acquatici, ivi compresi gli orsi polari. Al riguardo, elevati tassi di sieroprevalenza verso T. gondii erano già stati evidenziati in uno studio condotto sulla popolazione di orsi polari residente alle Isole Svalbard (Norvegia), ove gli esemplari di sesso maschile mostravano livelli di anticorpi sierici ben più elevati che in quelli di sesso femminile e doppi, all’incirca, rispetto a quelli rinvenuti in una precedente indagine svolta nella medesima regione geografica (4).

In aggiunta a quanto sopra, la posizione di “predatori di vertice” notoriamente occupata dagli orsi polari all’interno delle catene trofiche in ambito marino li renderebbe capaci di bioaccumulare e di biomagnificare, a livello dei propri distretti corporei, un gran numero di contaminanti ambientali persistenti ad azione immunotossica, come ad esempio il metil-mercurio (metil-Hg) (5).

Ne deriva pertanto che l’immunosoppressione associata alla risposta da stress cronico conseguente al perdurante stato di malnutrizione, congiuntamente all’elevato carico di xenobiotici immunotossici progressivamente accumulati e biomagnificati in ambito tissutale, non potrà che rendere gli orsi polari maggiormente suscettibili nei confronti di un crescente numero di agenti microbici, con tutti i catastrofici effetti che ciò produrrà sul già precario stato di salute e di conservazione della specie in questione.

Concludo queste mie riflessioni e considerazioni ponendo in particolare risalto l’esigenza che la complessa ed articolata gestione sanitaria della sempre più minacciata popolazione globale di orsi polari necessiti di un approccio integrato e multidisciplinare, diffusamente permeato ed ispirato al principio/concetto della “One Health”, la salute unica di uomo, animali ed ambiente.

Bibliografia 

1) Pagano, A.M., Rode, K.D., Lunn, N.J., et al. Polar bear energetic and behavioral strategies on land with implications for surviving the ice-free period. Nat Commun 15, 947 (2024). https://doi.org/10.1038/s41467-023-44682-1.
2) Di Guardo, G. Enhanced infection susceptibility as a consequence of chronic starvation in polar bears. Nature Community Microbiology Forum, February 21, 2024.
https://communities.springernature.com/posts/enhanced-infection-susceptibility-as-a-consequence-of-chronic-starvation-in-polar-bears
3) O’Leary, A. Stress, emotion, and human immune function. Psychol. Bull.108, 363-382 (1990). doi: 10.1037/0033-2909.108.3.363.
4) Jensen, S.K., Aars, J., Lydersen, C., et al. The prevalence of Toxoplasma gondii in polar bears and their marine mammal prey: evidence for a marine transmission pathway?. Polar. Biol 33, 599–606 (2010). https://doi.org/10.1007/s00300-009-0735-x
5) St Louis, V.L., Derocher, A.E., Stirling, I., et al. Differences in mercury bioaccumulation between polar bears (Ursus maritimus) from the Canadian high- and sub-Arctic. Environ. Sci. Technol. 45, 922-928 (2011). doi: 10.1021/es2000672.

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

Sullo stesso tema è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista British Medical Journal (BMJ) una “Letter to the Editor” del Prof. Di Guardo con riferimento all’articolo “Alaskapox: First human death from zoonotic virus is announced

 




Progetto ‘DottorVet’, a Bergamo i medici veterinari nelle scuole

Col progetto ‘DottorVet’ i medici veterinari entrano nelle scuole per raccontare agli studenti l’importanza della loro professione per la salute di persone e animali, con particolare attenzione alle attività di controllo che garantiscono qualità e sicurezza della filiera agroalimentare.

L’iniziativa è promossa dall’Ordine dei Medici Veterinari di Bergamo e dal Dipartimento Veterinario di Ats Bergamo ed è stata presentata in una conferenza stampa, nella sede bergamasca di Ats, a cui è intervenuto l’assessore regionale alla Casa e Housing sociale, Paolo Franco.
Veterinari e ‘DottorVet’: benessere collettivo

Ho accolto molto volentieri – ha detto l’assessore Franco – l’invito di Ats Bergamo. E plaudo a questa iniziativa molto rilevante dal punto di vista educativo e sociale, che rappresenterà per i ragazzi una grande occasione di arricchimento. Gli studenti potranno approfondire aspetti della professione veterinaria che hanno ricadute fondamentali sulla nostra vita quotidiana e sul benessere collettivo”.
L’iniziativa nelle classi

Il progetto, rivolto ai ragazzi tra gli 11 e i 13 anni della scuola secondaria di primo grado della provincia di Bergamo, partirà a marzo e si protrarrà anche nell’anno scolastico 2024/2025. I medici veterinari terranno lezioni gratuite in collaborazione con aziende ‘food’ della Bergamasca.

“I medici veterinari – ha proseguito Franco – hanno scelto un lavoro che richiede una vera e propria vocazione. Dimostrano quotidianamente competenza, accuratezza, responsabilità, empatia e coraggio. Sono lieto che la loro esperienza possa arrivare ai nostri ragazzi, i quali hanno sempre bisogno di esempi positivi e insegnamenti per il futuro”.

Fonte: Regione Lombardia

Il sito del Progetto: https://dottorvet.info/




Che viaggio fa il virus West Nile?

artropodiNonostante sia stato isolato quasi 90 anni fa – nel 1937 nella zona del Nilo occidentale dell’Uganda – e sia uno dei virus più diffusi al mondo, solo negli ultimi anni il West Nile Virus (WNV) è entrato nel vocabolario comune, destando interesse presso l’opinione pubblica e una crescente preoccupazione da parte delle autorità sanitarie.

Al centro delle dinamiche di diffusione del virus ci sono uccelli e zanzare: gli uccelli infetti vengono punti dalle zanzare che a loro volta si infettano e possono trasmettere nuovamente il virus ad altri uccelli. Le zanzare che si nutrono del sangue anche di esseri umani, cavalli e altri mammiferi, possono trasmettere il virus anche a loro. Tuttavia esseri umani, equidi e altri mammiferi sono ospiti accidentali “a fondo cieco”, ovvero non sviluppando concentrazioni elevate di virus nel sangue non possono quindi trasmetterlo ad altre zanzare.

Nella maggior parte dei casi l’infezione nell’uomo è asintomatica. I casi sintomatici si presentano per lo più con manifestazioni leggere riconducibili a una comune influenza, mentre le forme più gravi possono coinvolgere il sistema nervoso in particolare negli anziani o in coloro che hanno un sistema immunitario compromesso.

In qualità di Centro di Referenza Nazionale per le malattie esotiche degli animali e di Laboratorio di Referenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale per la West Nile da anni monitoriamo e studiamo il virus costantemente – esordisce il DG dell’IZS di Teramo Nicola D’Alterio – “La situazione non deve destare allarmismi, tuttavia i dati del 2023, in calo rispetto al 2022, ci dicono che in Italia sono stati confermati 332 casi di infezione da West Nile virus nell’uomo, di cui 190 con coinvolgimento neurologico. Tra i casi confermati sono stati notificati 27 decessi, tutti nelle regioni del nord Italia. Questi numeri ci obbligano a tenera alta la guardia”.

Come ricercatori il nostro compito è comprendere le modalità di trasmissione dell’infezione in modo da pianificare interventi preventivi – conclude D’Alterio  “la prevenzione è un’arma fondamentale perché non esiste un vaccino per proteggere l’uomo dal virus: ad esempio bisogna evitare il più possibile le punture di zanzara tramite l’uso di repellenti cutanei, insetticidi ad uso domestico e soggiornare in ambienti riparati da zanzariere”.

Recentemente sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature Communications sul virus West Nile i risultati di uno studio condotto dall’IZS di Teramo, in collaborazione con l’Università di Trento, la Fondazione Edmund Mach e l’Istituto Pasteur di Dakar in Senegal. Lo studio ha esplorato le modalità di diffusione del WNV, scoprendo percorsi complessi e inaspettati che legano Africa ed Europa. I ricercatori hanno utilizzato tecniche avanzate di analisi genetica e filogeografica ricostruendo così la dinamica evolutiva dei vari ceppi del virus West Nile nel tempo e nello spazio. La combinazione dei due metodi ha permesso di tracciare le rotte di diffusione del virus, fornendo dettagli sulle sue origini e sulla modalità con cui si è diffuso nel corso del tempo. In particolare la ricerca si è concentrata sui due principali lineage del virus, L1 e L2, che hanno percorsi e storie evolutive diversi.

In proposito la ricercatrice Giulia Mencattelli, prima autrice dello studio, fa notare che è interessante quanto scoperto in relazione al lineage 1: “Esiste un vero e proprio ‘corridoio’ tra Senegal, Marocco e i Paesi europei del Mediterraneo occidentale come Portogallo, Spagna, Francia e Italia, ma secondo le nostre analisi non è un corridoio a senso unico: avvengono anche incursioni che vanno dall’Europa all’Africa”.

Il responsabile del Laboratorio di Sanità Pubblica dell’IZS di Teramo, Giovanni Savini, coordinatore del gruppo di ricerca, specifica riguardo alle diverse dinamiche evolutive dei due lineages: “Dai risultati ottenuti sembra che L1 si diffonda più efficientemente di L2 sebbene infettino le stesse specie di uccelli e utilizzino gli stessi vettori. La diversa suscettibilità degli uccelli all’infezione rappresenta solo uno dei possibili fattori che hanno determinato queste differenze, sappiamo infatti ancora poco del ruolo delle zanzare come vettori e della loro recettività all’infezione. Questi sono tutti aspetti del ciclo vitale del virus ancora poco conosciuti e che intendiamo esplorare”.

Proprio l’integrazione dei dati genetici virali con informazioni relative ai movimenti degli uccelli migratori e alla suscettibilità all’infezione delle varie specie potrà portare a una comprensione più profonda di come il virus si diffonde, con l’obiettivo di prevedere e quindi mitigare l’impatto delle future epidemie, costituendo un modello di studio anche per altri virus emergenti.

Fonte: IZS Abruzzo e Molise




Ecdc. Aumentano nel 2022 le infezioni di origine alimentare segnalate nell’Ue/See

Sul banco degli imputati in primis listeriosi ed Escherichia coli Shiga tossine. Entrambe possono causare sintomi gravi, ma la prima può provocare meningite, sepsi o, nelle donne in gravidanza, aborto spontaneo, mentre lo Stec può causare spesso insufficienza renale, nei bambini colpiti.

Le infezioni di origine alimentare da listeriosi e da Escherichia coli Shiga tossine (Stec) nell’UE/SEE sono aumentate superando, nel 2022, i livelli pre pandemia. Malattie che possono causare sintomi gravi, la listeriosi può provocare meningite, sepsi o, nelle donne in gravidanza, aborto spontaneo, mentre lo Stec può causare spesso insufficienza renale, nei bambini colpiti. Nessun aumento invece per la salmonellosi e la campilobatteriosi che tipicamente causano ogni anno il maggior numero di casi di malattie di origine alimentare e idrica .

Questo il quadro tracciato dalle Relazioni epidemiologiche annuali 2022 pubblicate dall’Ecdc.

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