Differenze di genere in COVID-19: l’importanza dei dati disaggregati per sesso

La pandemia da COVID-19 sta colpendo tutta la popolazione, anche se in modo diverso, a causa di vari fattori, tra i quali anche il sesso e il genere che sembrano svolgere un ruolo molto importante. In particolare il genere (vale a dire l’insieme delle caratteristiche definite socialmente che distinguono il maschile dal femminile) determina importanti differenze su come questa pandemia influenzi la vita quotidiana delle persone. Un esempio è proprio quello recentemente riportato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che mette in luce il dato allarmante dei numerosi episodi di violenza domestica che tante donne sono costrette a subire, a causa della condivisione continuativa degli spazi con uomini maltrattanti, con conseguenti e reiterate situazioni di disagio fisico e psicologico.

Tuttavia, ancor più evidenti durante un’epidemia o una pandemia come questa, sono le differenze di sesso, ovvero quelle differenze dovute alle caratteristiche biologiche con le quali una persona nasce (per esempio i cromosomi sessuali e gli ormoni sessuali). Per poter capire davvero quale sia il peso del sesso e del genere in questa patologia abbiamo però bisogno di dati aggiornati e disaggregati.

Mancanza di dati disaggregati per sesso e genere

Prima di approfondire l’argomento delle differenze di sesso nel contesto della pandemia da COVID-19, vale la pena ricordare che l’immagine che si può dipingere è destinata ad essere incompleta, poiché non tutti i Paesi hanno raccolto e riportano i propri dati disaggregati per sesso e genere. L’articolo “Sex, gender and COVID-19: Disaggregated data and health disparities” pubblicato sul blog della rivista BMJ Global Health il 24 marzo 2020 ha esaminato i dati dei 20 Paesi che avevano il numero più alto di casi confermati di COVID-19, a quel momento. Di queste 20 nazioni, Belgio, Malesia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti non avevano fornito dati disaggregati o suddivisi per sesso. L’Italia, da sempre molto impegnata nello studio delle differenze di genere, ha invece rilasciato da subito dati disaggregati. In seguito alcuni Paesi hanno reso disponibili i propri dati ma ad oggi rimangono una minoranza i Paesi che forniscono dati completi differenziati per sesso.

Decessi: gli uomini muoiono di più delle donne

Global Health 50/50, un’organizzazione internazionale che promuove l’uguaglianza di genere nell’assistenza sanitaria, ha iniziato a raccogliere i dati disaggregati per sesso su COVID-19 riportati finora dai governi nazionali e disponibili pubblicamente. Dall’analisi, oltre al tema dell’under-reporting dei dati disaggregati per sesso, emerge chiaramente una più alta proporzione di decessi per COVID-19 negli uomini rispetto alle donne in quasi tutti i Paesi che forniscono dati completi. In Italia secondo i dati riportati nel bollettino della sorveglianza integrata (aggiornamento del 23 aprile 2020), la percentuale di letalità per gli uomini è circa il doppio di quella delle donne (17,1% e 9,3% rispettivamente). Differenze simili sono riportate in molti altri Paesi europei (fra cui Grecia, Olanda, Danimarca, Belgio e Spagna) ed extraeuropei (come Cina e Filippine). In alcuni Paesi, come Tailandia e Repubblica Domenicana, il rapporto maschi/femmine (M/F) risulta ancora più alto, superiore cioè a 3:1 (3,8 e 3,2 rispettivamente). Tra le nazioni che forniscono i dati differenziati per sesso, solo l’India e il Pakistan mostrano una proporzione lievemente più alta nelle donne decedute per COVID-19, con un rapporto M/F pari a 0,9.

Diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 in donne e uomini

Più incerta è la situazione sulle differenze di sesso e genere per quanto riguarda i casi diagnosticati. I dati disponibili non sono sufficienti per trarre una conclusione sui tassi di infezione suddivisi per sesso, almeno fino a quando non conosceremo la percentuale di persone di ciascun sesso che si sono sottoposte al tampone. In Italia, come in altri Paesi, tra cui Belgio, Olanda, Portogallo e Danimarca è stata riportata una maggiore percentuale di casi tra le donne. In altri, come Singapore, Pakistan e India, l’infezione sembra essere molto più frequente nei maschi.

In Italia, come in altri Paesi, la maggior parte degli operatori sanitari infetti è donna

Un dato italiano molto importante è quello dei casi di infezione tra gli operatori sanitari, ad oggi infatti il 69% degli operatori infetti è donna. Altre nazioni, come Stati Uniti, Spagna e Gremania riportano dati simili (73%, 72% e 75% rispettivamente). Questo dato potrebbe essere giustificato dalla più alta percentuale di donne in questa categoria professionale ma saranno necessari ulteriori studi per poter giungere a delle conclusioni più certe.

Perché i dati disaggregati per sesso sono importanti

Conoscere le reali differenze di sesso e genere in termini di incidenza e letalità rappresenta il primo passo per investigare i meccanismi biologici e/o sociali alla base di queste differenze al fine di identificare strategie preventive e bersagli terapeutici specifici per uomini e donne. Politiche di intervento che prendano in considerazione le esigenze delle donne che lavorano in prima linea, per esempio come operatrici sanitarie, potrebbero aiutare a prevenire i più alti tassi di infezione che vediamo nel sesso femminile in questa fascia di popolazione. Inoltre, uomini e donne tendono a reagire in modo diverso ai potenziali vaccini e trattamenti, quindi avere accesso a dati disaggregati per sesso risulterebbe fondamentale per condurre studi clinici più appropriati. Tenere quindi in considerazione il sesso e il genere in relazione alla salute non deve essere considerata una componente aggiuntiva ed opzionale, ma un aspetto necessario a garantire efficacia ed equità ai sistemi sanitari di ogni Paese.

Risorse utili

Fonte: EPICENTRO aggiornamento al 25 aprile 2020




Il contributo dei medici veterinari per la sanità animale e per la gestione dell’infezione umana Covid-19 in un’ottica one-health

SIMeVeP sostiene progetti volti a ridurre le future epidemie zoonotiche attraverso la conoscenza dei fattori che determinano la potenziale trasmissione di agenti patogeni dagli animali all’uomo. Questi progetti basati sull’evidenza sono ben sintonizzati con l’approccio multidisciplinare One-Health.

Nel contesto attuale di pandemia Covid-19, caratterizzato dall’incertezza sugli sviluppi epidemiologici ed esacerbata da una infodemia dilagante, è prioritario fornire al pubblico e al consumatore informazioni scientifiche verificate sull’origine e diffusione delle zoonosi, rimarcando la differenza tra i patogeni presenti negli animali selvatici con potenziale pandemico e quelli che colpiscono gli animali domestici (es. bovini e suini). Questo esercizio comunicativo si propone in sostanza di confutare le teorie prive di fondamento scientifico che fanno dell’agricoltura zootecnica su larga scala, più o meno intensiva, il capro espiatorio dell’attuale pandemia di Covid-19 e di evidenziare il contributo della veterinaria, in un sistema globale di prevenzione, a garanzia della protezione sanitaria degli allevamenti, della salute degli animali, del loro benessere e della sicurezza degli alimenti di origine animale.
Il documento SIMeVeP




Indicazioni ad interim sul contenimento del contagio da SARS-CoV-2 e sull’igiene degli alimenti nell’ambito della ristorazione e somministrazione di alimenti.

Il Gruppo di lavoro ISS Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare COVID-19, di cui fa parte anche il Presidente SIMeVeP Antonio Sorice, ha elaborato il Rapporto ISS COVID-19 n. 32/2020 “Indicazioni ad interim sul contenimento del contagio da SARS-CoV-2 e sull’igiene degli alimenti nell’ambito della ristorazione e somministrazione di alimenti”.

Il rapporto approfondisce le tematiche connesse al contenimento del contagio e all’igiene degli alimenti nell’ambito della ristorazione pubblica nella “fase 2” dell’epidemia di COVID-19.

Il settore della ristorazione costituisce un ambito di particolare rilievo poiché, all’interno dei locali deputati alla somministrazione degli alimenti, possono realizzarsi simultaneamente condizioni di rischio quali affollamento, limitato ricambio d’aria, permanenza prolungata e – in relazione al consumo dei pasti – impossibilità di garantire l’utilizzo delle mascherine.

Inoltre, il consumo di alimenti e bevande determina l’esposizione ravvicinata al viso di mani, oggetti e prodotti, potenziali veicolo del virus.

Risulta pertanto particolarmente importante l’applicazione del distanziamento fisico e delle altre misure di mitigazione del rischio, un’attenta ridefinizione dell’organizzazione degli esercizi commerciali e un innalzamento delle garanzie igienico-sanitarie.

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Prevenire la trasmissione di SARS CoV 2 dall’uomo ai mammiferi selvatici. Linee guida OIE

L’Oie, Organizzazione mondiale per la sanità animale ha elaborato delle linee guida rivolte ai lavoratori che operano a contatto con la fauna selvatica, in particolare mammiferi.

Secondo le conoscenze attuali, il virus SARS CoV 2 è da considerare un patogeno umano di probabile origine zoonotica la quale tuttavia ancora non è stata identificata con certezza, né è stato identificato l’animale “ospite intermedio” che acquisendo il virus lo avrebbe poi trasmesso all’uomo. Sarebbero quindi gli esseri umani ad agire come serbatoio del virus e a sostenerne la trasmissione, anche nei confronti di altri animali, come confermato anche da due recenti studi scientifici [*].

L’attenzione su possibili zoonosi inverse era già stata posta da Ilaria Capua (“COVID-19. La prima epidemia a evolvere in panzoozia?“) e Giovanni Di Guardo (“Nuovo coronavirus, dagli animali all’uomo, dall’uomo agli animali e……..“), che appellandosi all’approccio One Health, hanno sottolineato il pericolo derivante dal coinvolgimento di altre specie animali suscettibili nei confronti SARS-CoV-2, fra cui anche primati non umani.

Al momento la trasmissione uomo-animale del virus ha riguardato cani e gatti domestici, visoni da allevamento, tigri e leoni in cattività.

Ma il rischio di trasmissione da uomo ad animale selvatico non in cattività desta parecchia preoccupazione anche per l’Oie: se alcune specie selvatiche diventassero a loro volta reservoir del virus si complicherebbe ulteriormente l’azione di controllo della salute pubblica, aumenterebbero i rischi di zoonosi e di trasmissione ad altre specie animali, con notevoli impatti sulla salute e sulla conservazione della fauna selvatica.

In tal senso le linee guida sono state sviluppate dall’Oie per ridurre al minimo il rischio di trasmissione della SARS CoV 2 dalle persone ai mammiferi selvatici in libertà e sono rivolte in particolare, alle persone che operano con la fauna selvatica sia sul campo, sia a diretto contatto (Manipolazione) che indiretto (Entro 2 metri o in uno spazio ristretto) con mammiferi selvatici liberi, o che lavorano in situazioni in cui tali animali possono entrare in contatto con superfici o materiali contaminati da infezioni.

[*] Possibility for reverse zoonotic transmission of SARS-CoV-2 to free-ranging wildlife: A case study of bats e Jumping back and forth: anthropozoonotic and zoonotic transmission of SARS-CoV-2 on mink farms

A cura della segreteria SIMeVeP




A proposito dell’intervista a Luc Montagnier

Giovanni Di GuardoDi recente è stata diffusa un’intervista al virologo francese Luc Montagnier (premio Nobel per la medicina nel 2008) sull’origine del VIRUS SARS-CoV-2 che ha destato molto stupore nell’opinione pubblica. Su tale intervento ci sono pervenuti alcuni commenti del prof. Giovanni Di Guardo, che volentieri ospitiamo:

Il professor Luc Montagnier è senza dubbio un Grande della Medicina, come dimostra il Premio Nobel di cui e’ stato insignito nel 2008 (che tuttavia, a onor del vero, avrebbe dovuto condividere con Robert Gallo, co-scopritore del virus dell’Aids, HIV), ma da qui a dire che le Sue “certezze” siano quelle della Comunità Scientifica, che di prove sull’origine naturale di SARS-CoV-2 ne ha gia’ fornite parecchie (si veda, in proposito, l’autorevole studio recentemente pubblicato su Nature Medicine), ce ne corre davvero tanto…..(e c’è chi, come il professor Clerici, ha gia’ preconizzato, sulle pagine dell’autorevole Journal of Virology, la comparsa di SARS-CoV-3, anch’esso di origine naturale!).

Quanto sopra anche alla luce delle pregresse, fondamentali evidenze scientifiche sulla cui scorta anche SARS-CoV e MERS-CoV, i due “illustri” predecessori di SARS-CoV-2, avrebbero avuto anch’essi un’origine naturale! La Storia della Medicina (Historia Magistra Vitae!) ci ha fornito nel tempo molti esempi di virus (e, più in generale, di agenti patogeni) capaci di effettuare il fatidico “salto di specie” uomo-animale, a tal punto che oltre il 70% degli agenti responsabili delle cd “malattie infettive emergenti” riconoscerebbero un comprovato o sospetto “serbatoio animale”……e, chissà quali e quante sorprese ci riserverà il futuro, andando avanti di questo passo (incremento demografico, deforestazione, riscaldamento globale, crescente contaminazione da composti chimici e plastiche a livello globale, etc. etc.).

Dobbiamo stare pronti (Estote Parati!), come professioni sanitarie e come professionisti sanitari, a tutti i livelli, incrementando (ed, in una serie di casi, pure attivando!) una quantomai ampia ed intensa collaborazione interdisciplinare (nel segno di “One Health”, che spesso appare ai miei occhi più uno “slogan” piuttosto che un sano e salvifico concetto e principio al quale ispirare e ricondurre costantemente i nostri comportamenti e le nostre azioni in ambito di sanità pubblica!).

Un’ultima considerazione in merito ai singolari contenuti dell’intervista rilasciata da Luc Montagnier (sul ruolo dell’inquinamento elettromagnetico preferirei sorvolare, visto che epidemie e pandemie esistono “dalla notte dei tempi”!): quale folle mente utilizzerebbe un “backbone coronavirale” per mettere a punto un eventuale vaccino nei confronti di HIV (virus notoriamente assai mutevole peraltro, anche nel corso di una singola infezione in un singolo individuo!) quando esistono vettori virali di espressione (vedi Adenovirus, per esempio) ben più innocui?

Giovanni Di Guardo
Università di Teramo
Facoltà di Medicina Veterinaria




Di Guardo: Spagnola e Covid, un confronto sbagliato

Con una lettera al Direttore di quotidianosanità.it, il Prof. Giovanni Di Guardo – Docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria,  Università di Teramo, Facoltà di Medicina Veterinaria – propone una riflessione sulla correttezza dei parallelismi e confronti che spesso vengono proposti fra COVID-19 e influenza Spagnola e le pandemie causate rispettivamente dalla circolazione dei virus  SARS-CoV-2 e IAV-H1N1, a partire dall’esistenza di terapie antibiotiche, del tutto assenti nel caso dell’influenza spagnola, disponibili per curare le complicanze dovute a batteri d’irruzione secondaria.

Sarebbe interessante, purtuttavia – afferma Di Guardo – acquisire dati affidabili in merito alla reale prevalenza delle complicanze settiche nei pazienti CoViD-19-affetti, al precipuo fine di poter stabilire quale sia stato l’effettivo ruolo svolto dai batteri d’irruzione secondaria negli oltre 880.000 casi di malattia ad esito letale ufficialmente accertati su scala globale.

Alle succitate opzioni terapeutiche oggigiorno disponibili per gli individui SARS-CoV-2-infetti colpiti da sindromi respiratorie complicate da germi d’irruzione secondaria fa da “contraltare”, infatti, l’allarmante escalation delle infezioni sostenute da batteri antibiotico-resistenti, responsabili di almeno 10.000 decessi su base annua in Italia, fattispecie quest’ultima che “conferisce” al nostro Paese un triste primato per tale parametro nel Vecchio Continente”.




L’Opinione: Sui focolai di Covid-19 nei macelli e i recenti attacchi all’industria della carne

Proponiamo la lettura del contributo di Beniamimo Cenci Goga pubblicato su “Ruminantia”

“Tornano, a cicli ricorrenti, discussioni e polemiche sul ruolo della carne e in generale degli alimenti di origine animale nella dieta dei consumatori. È ancora fresca nella memoria la controversia suscitata dalla pubblicazione dell’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) sulle carni rosse e sul rischio posto dai nitriti usati come additivi. In quell’occasione, come scienziati e ricercatori, giungemmo alla conclusione del consumo moderato, senza demonizzare i prodotti di salumeria e le carni rosse in particolare. È però evidente che se la comunicazione è lacunosa e se i media rilanciano le notizie senza il corretto approfondimento, la miscela che ne risulta può essere esplosiva e danneggiare sia consumatori che i produttori.

Questa volta l’attenzione dei media si sta concentrando sulla recrudescenza di casi di Covid-19 e su focolai con apparente origine da stabilimenti di macellazione. Le notizie più drammatiche in tal senso giungono dal lontano Brasile, anche se delle avvisaglie si erano avute già un paio di settimane fa dalla Germania e, sebbene in parte edulcorate dalla stampa, anche dagli Stati Uniti. In Brasile, per voce di un procuratore distrettuale, Priscilla Dibi Schvarcz, i macelli sono dei punti di contaminazione per Covid-19 a causa delle condizioni che obbligano gli operai a lavorare a stretto contatto. Per esempio, la maggiore prevalenza di Covid-19 sembra essere localizzata nello stato Rio Grande do Sul dove c’è la maggior concentrazione di macelli industriali. Ancora più recente è la notizia diramata dal «The telegraph» il 19 giugno 2020, su un cluster presso lo stabilimento Kober a Cleckheaton nel West Yorkshire, a sud di Leeds. L’impianto di proprietà Asda, è stato chiuso dopo il riscontro di alcuni casi di Covid-19.

L’industria della carne in Italia sta fronteggiando l’emergenza in maniera egregia, assicurando l’approvvigionamento della popolazione in maniera continua grazie anche al supporto dei sevizi veterinari che durante l’emergenza hanno continuato le attività di controllo, audit, supervisione e vigilanza. Con le repentine disposizioni temporanee per l’esecuzione dei controlli ufficiali nell’emergenza da Covid-19, i servizi veterinari hanno coniugato efficienza e sicurezza al servizio dei produttori e dei cittadini.”

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1° bollettino di aggiornamento bibliografico dell’ISS

issL’ISS ha dato il via lla pubblicazione di un bollettino di aggiornamento bibliografico a cura del Gruppo di lavoro ISS “Aggiornamento scientifico COVID-19”. Si tratta di uno strumento di documentazione indirizzato agli operatori sanitari, basato sulla breve recensione di articoli scientifici internazionali che aiutano a descrivere la complessità e gli aspetti trasversali che l’epidemia COVID19 (o Sars-CoV-2) sta ponendo alla sanità pubblica.

Il documento si compone di schede riassuntive che descrivono obiettivi, risultati, metodologia e rilevanza degli llo studio nonchè il link agli studi originali che vengono raggruppati per aree tematiche:

-Comunicazione e formazione
-Diagnosi di laboratorio
-Epidemiologia
-Infection control
-Patologia e clinica
-Preparedness
-Tecnologie a supporto
-Altro

A cura dell segreteria SIMeVeP

 




Covid-19, il report bisettimanale dell’ISS

issL’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato ieri i dati del report bisettimanale della Sorveglianza integrata COVID-19 con l’appendice al bollettino con il dettaglio regionale  e l’Infografica bisettimanale relativa alle caratteristiche dei pazienti deceduti positivi a COVID-19 in Italia.




k9 S.a.R. Camp Italia, il contributo di Emervet

Si è conclusa il 4 ottobre la seconda edizione del  k9 S.a.R. Camp Italia, il Raduno Internazionale Unità Cinofile da Soccorso che ha visto la partecipazione di 185 volontari, 54 cani da soccorso, 12 associazioni cinofile, regioni partecipanti, 1 nazione estera esercitarsi per 48 ore ininterrotte in una simulazione di emergenza reale con difficoltà crescente per ogni sito del raduno, in condizioni climatiche difficili per testare le U.C operative in una esercitazione completa di nuove tecnologie applicate al soccorso.
Le attività si sono avvalse anche dell’mpiego di droni dotati di telecamere infrarossi per ricerca notturna con altoparlante, per dare le indicazioni al disperso.
All’interno dello scenario è stata allestita a più di 1000 metri di altitudine una tendopoli dotata di attrezzature veterinarie necessarie per contrastare e prevenire qualunque evenienza possibile durante le esercitazioni, un generatore d’ossigeno e una mini sala operatoria per intervenire d’urgenza, a supporto dei cani che hanno preso parte alle attività operative in modo rapido e tempestivo.
Proprio all’assitenza veterinaria dei cani da ricerca e soccorso che, operando su territori impervi e accidentati, possono incorrere in incidenti procurandosi ferite da taglio, lacerazioni e contusioni degli arti, si è dedicato per Emervet il Medico Veterinario Alessio Ceriani.

Il TGR Abruzzo, nell’edizione serale del 4 ottobre, ha dedicato un servizio all’iniziativa e al ruolo di Emervet (min. 6.15)