Un nuovo importante rapporto sulla biodiversità e pandemie, redatto da 22 maggiori esperti nel mondo, avverte che se non ci sarà un cambiamento trasformativo nell’approccio globale alla gestione delle malattie infettive, future pandemie emergeranno più spesso, si diffonderanno più rapidamente, arrecheranno più danni all’economia mondiale e uccideranno più persone rispetto a COVID-19.
Convocati dalla Piattaforma intergovernativa di politica scientifica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici (IPBES) per partecipare a un seminario, in modalità virtuale, sulle connessioni tra il degrado della natura e l’aumento dei rischi pandemici, gli esperti concordano sul fatto che sfuggire all’era delle pandemie è possibile, ma che ciò richiederà un cambiamento profondo dell’approccio applicato: dalla reazione alla prevenzione.
COVID-19 è almeno la sesta pandemia sanitaria globale dalla Grande Pandemia Influenzale del 1918, e sebbene abbia le sue origini in patogeni trasmessi dagli animali, come tutte le pandemie, la sua comparsa è stata interamente determinata dalle attività umane, afferma il rapporto pubblicato a ottobre 2020.
Si stima che esistano attualmente altri 1,7 milioni di virus “non ancora conosciuti” che utilizzano mammiferi e uccelli come ospiti, di questi circa 850.000 potrebbero avere la capacità di infettare le persone.
“Non c’è un grande mistero sulla causa della pandemia COVID-19 – o di qualsiasi pandemia moderna”, ha affermato il dott. Peter Daszak, presidente di EcoHealth Alliance, chiamato a presiedere il seminario IPBES. “Le attività umane che causano il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità sono le stesse che, attraverso i loro impatti sul nostro ambiente,conducono al rischio di pandemia,. I cambiamenti nell’uso del territorio; l’espansione e l’intensificazione dell’agricoltura; e il commercio, la produzione e il consumo non sostenibili sconvolgono la natura e aumentano il contatto tra fauna selvatica, animali allevati, agenti patogeni e persone. Questo è il percorso verso le pandemie “.
Il Rapporto afferma che il rischio di pandemia può essere notevolmente ridotto riducendo le attività umane che causano la perdita di biodiversità, aumentando il livello di conservazione della natura mediante l’aumento delle aree protette e attraverso misure che riducono lo sfruttamento insostenibile delle regioni del pianeta ad alta biodiversità. Ciò ridurrà il contatto tra fauna selvatica, bestiame e esseri umani e aiuterà a prevenire la diffusione di nuove malattie.
“La schiacciante evidenza scientifica indica una conclusione molto positiva“, ha detto il dott. Daszak. “Possiamo contare su una crescente capacità di prevenire le pandemie, ma il modo in cui le stiamo affrontando in questo momento ignora in gran parte questa capacità. Il nostro approccio si è effettivamente impantanato: facciamo ancora affidamento sui tentativi di contenere e controllare le malattie dopo che si sono manifestate, attraverso vaccini e terapie. Possiamo sfuggire all’era delle pandemie, ma ciò richiede una maggiore attenzione alla prevenzione oltre alla reazione“. “I cambiamenti radicali che l’attività umana è stata in grado di produrre sul nostro ambiente naturale non devono essere sempre visti come eventi negativi. Questi forniscono anche una prova convincente del nostro potere di guidare il cambiamento necessario per ridurre il rischio di future pandemie, generando contemporaneamente vantaggi per la conservazione e riducendo il cambiamento climatico“.
Il rapporto afferma che fare affidamento sulle risposte alle malattie dopo la loro comparsa, per esempio ricorrendo a misure di salute pubblica e a soluzioni tecnologiche e in particolare alla rapida preparazione e alla distribuzione di nuovi vaccini e terapie, è un “percorso lento e incerto”, sottolineando come la reazione alle pandemie comporti una diffusa sofferenza umana e decine di miliardi dollari l’anno di danni all’economia globale.
Il rapporto offre anche una serie di opzioni politiche che aiuterebbero a ridurre e affrontare il rischio di pandemia. Tra queste:
• Istituire una commissione intergovernativa di alto livello sulla prevenzione delle pandemie allo scopo di: fornire ai decisori la migliore scienza ed evidenza sulle malattie emergenti; prevedere le aree ad alto rischio; valutare l’impatto economico di potenziali pandemie ed evidenziare le lacune conoscitive da colmare con le attività di ricerca. Questa commissione potrebbe anche coordinare la progettazione di unquadro di monitoraggio globale.
• Impegnare i Paesi a stabilire obiettivi o traguardi reciprocamente concordati nel quadro di un accordo o trattato internazionale, con chiari vantaggi per le persone, gli animali e l’ambiente.
• Istituzionalizzazione dell’approccio “One Health” nei governi nazionali per costruire la preparazione alle pandemie, migliorare i programmi di prevenzione delle pandemie e indagare e controllare le epidemie in tutti i settori.
• Sviluppare e incorporare (integrare) valutazioni del rischio di impatto sulla salute di malattie pandemiche ed emergenti nei principali programmi e progetti di sviluppo e di uso del suolo, riformando al contempo gli aiuti finanziari per l’uso del suolo in modo che i benefici e i rischi per la biodiversità e la salute siano riconosciuti e mirati esplicitamente.
• Garantire che il costo economico delle pandemie sia preso in considerazione nei processi di produzione e consumo, come pure nelle politiche e nei budget del governo.
• Favorire le trasformazioni necessarie per ridurre i modelli di consumo, di espansione dell’agricoltura globalizzata e di commercio che hanno portato a pandemie, anche includendo tasse o fiscalità su consumo di carne, produzione di bestiame e altre forme di attività ad alto rischio pandemico.
• Ridurre i rischi di malattie zoonotiche nel commercio internazionale di specie selvatiche attraverso: un nuovo partenariato intergovernativo “Salute e Commercio”; la riduzione o l’eliminazione delle specie ad alto rischio di malattia nel commercio della fauna selvatica; il rafforzamento dell’applicazione della legge in tutti gli aspetti del commercio illegale della fauna selvatica; e il miglioramento dell’educazione delle comunità locali nei siti hotspot delle malattie rispetto ai rischi per la salute legati al commercio di fauna selvatica.
• Valorizzare l’impegno e la conoscenza delle popolazioni indigene e delle comunità locali nei programmi di prevenzione delle pandemie, assicurando un maggior livello di sicurezza alimentare e riducendo il consumo di fauna selvatica.
• Colmare le lacune di conoscenza critica come quelle sui comportamenti a rischio, l’importanza del commercio illegale, non regolamentato, ma anche di quello legale e regolamentato della fauna selvatica in relazione al rischio di insorgenza di malattie e migliorare la comprensione della relazione tra degrado dell’ecosistema e ripristino, struttura del paesaggio e rischio di comparsa della malattia.