Il Rapporto ISPRA sulla biodiversità in Italia

Ancora a rischio specie e habitat marini e terrestri. Necessari interventi di contrasto per il 35% delle specie esotiche piu’ pericolose

Situazione critica per le specie e gli habitat che popolano il nostro Paese: seppur tutelati ormai da decenni, sono in stato di conservazione sfavorevole il 54% della flora e il 53% della fauna terrestre, il 22% delle specie marine e l’89% degli habitat terrestri, mentre gli habitat marini mostrano status favorevole nel 63% dei casi e sconosciuto nel restante 37%.

E’ quanto emerge dal Rapporto ISPRA sulla biodiversità in Italia, disponibile on line sul sito dell’Istituto, che presenta il quadro aggiornato dello stato di conservazione delle specie animali e vegetali e degli habitat tutelati a livello comunitario presenti nel nostro Paese in ambito sia marino che terrestre. Il volume fornisce una sintesi commentata dei risultati che emergono dai dati italiani prodotti in risposta a direttive e regolamenti europei in materia di biodiversità e presenta i risultati emersi dalle tre rendicontazioni trasmesse dall’Italia alla Commissione
Europea nel 2019 nell’ambito delle Direttive Habitat e Uccelli e del Regolamento per il contrasto alle specie esotiche invasive.

L’Italia è tra i Paesi europei con maggior ricchezza di specie e habitat e con i più alti tassi di specie esclusive del proprio territorio; i dati presentati nel Rapporto, infatti, riguardano 336 specie di uccelli, 349 specie animali e vegetali e 132 habitat presenti nel nostro territorio e nei nostri mari, oltre che 31 specie esotiche invasive.

I risultati relativi all’avifauna mostrano che nonostante il 47% delle specie nidificanti presenti un incremento di popolazione o una stabilità demografica, il 23% delle specie risulta in decremento e il 37% è stato inserito nelle principali categorie di rischio di estinzione.

Inoltre il 35% delle specie esotiche invasive individuate come le più pericolose a scala europea presenti in Italia, non è stato ancora oggetto di alcun intervento gestionale finalizzato al contrasto. Ricchezza di specie e habitat sono accompagnati in Italia da elevata densità di
popolazione, forte pressione antropica e inarrestabile consumo di suolo.

In ambito terrestre tra le pressioni che minacciano la nostra biodiversità l’agricoltura è la principale causa di deterioramento per specie e habitat, seguita dallo sviluppo di infrastrutture e dall’urbanizzazione.

Tali pressioni sono tra le più ricorrenti anche per l’avifauna; in particolare le minacce connesse alle moderne pratiche agricole si ritiene abbiano inciso in modo determinante sulla drastica diminuzione delle popolazioni di specie tipiche degli ambienti agricoli, soprattutto in pianura e dove c’è maggiore utilizzo delle colture intensive.

In ambito marino il Rapporto mostra invece che le attività di prelievo e le catture accidentali rappresentano le maggiori fonti di pressione sulle specie di interesse comunitario, accompagnate dall’inquinamento, dai trasporti marittimi e dalla costruzione di infrastrutture, che insistono anche sulla maggioranza degli habitat marini, insieme alle attività con attrezzi da pesca che interagiscono fisicamente con i
fondali.

I risultati fanno emergere l’urgente necessità di un maggiore impegno nella conservazione e gestione di specie e habitat in Italia, anche in riferimento agli obiettivi della nuova Strategia Europea sulla Biodiversità per il 2030. È anche essenziale rafforzare gli sforzi di monitoraggio, perché le norme comunitarie impongono un salto di qualità nei dati che dovranno essere trasmessi nei prossimi anni.

Fonte: ISPRA




Preparazione e risposta alle pandemie influenzali: la rete di Epidemic Intelligence Nazionale

L’accordo sancito in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, il 25 gennaio 2021 sul «Piano strategico– operativo nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale (PanFlu) 2021 – 2023 » prevede di disporre di un sistema di Epidemic Intelligence Nazionale ossia un sistema che – comprendono tutte le attività volte  all’identificazione precoce di rischi in sanità pubblica, la loro validazione, valutazione e indagine –  consenta la rapida rilevazione e analisi di informazioni in base alle quali avviare indagini epidemiologiche e azioni di controllo sul territorio per identificare precocemente e monitorare eventi che possano costituire una emergenza  internazionale di sanità pubblica.

L’epidemic intelligence combina la sorveglianza basata su eventi e quella basata su indicatori. In Italia il Network Italiano di Epidemic Intelligence, finanziato nell’ambito di una azione centrale
del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM) costituisce un esempio di questa attività.

Con Decreto Direttoriale del 1° giugno 2021 è stata istituita la Rete di Epidemic Intelligence Nazionale (Rete), composta da analisti formati e certificati dall’Istituto Superiore di Sanità e dal ministero della Salute, designati dai rappresentanti dei servizi sanitari pubblici (Ministero, Iss, Regioni/Pa, Asl, Irccs, ecc.) sul territorio nazionale.

Il Ministero della salute ha diramato una Circolare per fornire indicazioni operative per l’implementazione della sorveglianza basata su eventi a livello nazionale.




Vespa velutina: sempre più apiari positivi in provincia di Massa-Carrara

Vespa VelutinaAumentano le segnalazioni da parte degli apicoltori della provincia di Massa-Carrara per la presenza di Vespa velutina presso i loro apiari.

Dopo la provincia di Imperia, fortemente colpita ormai da diversi anni, quelle di La Spezia e Massa-Carrara appaiono le provincie più problematiche per numero di nuove segnalazioni.

Alcune segnalazioni provengono anche dalla Lunigiana (Mulazzo MS e Castelnuovo Magra SP), mentre nei giorni scorsi un primo nido è stato trovato e neutralizzato nella zona di Riccò del Golfo, dove nel 2020 ne era già stato neutralizzato un altro

Fonte: stopvelutina.it




Grasselli: Salute del G20 resterà come una pietra miliare nella storia della sanità globale

Siamo orgogliosi di avere avuto l’onore di ospitare a Roma questa importante iniziativa che si conclude con un documento di 33 punti in cui si rinnova l’impegno già emerso nel recente Global Health Summit affinché si possa “aumentare e diversificare la capacità produttiva di vaccini globale, locale e regionale, sviluppando competenze per i Paesi a reddito medio-basso.

Il ministro Speranza ha giustamente affermato che: «Nessuno deve restare indietro nella campagna di vaccinazione e i paesi del G20 devono aiutare gli altri in un’ottica One Health».

Il tema One Health – ha dichiarato Aldo Grasselli, Presidente onorario della SIMeVeP Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva- assume finalmente una dimensione reale, esce dalle tavole dei convegni per diventare prassi operativa. Lo spill over delle malattie animali, il degrado ambientale, i mutamenti climatici, le migrazioni conseguenti, sono fattori di rischio che non hanno frontiere.

Agire in un’ottica One World – One Health – One Medicine significa mettere a frutto e integrare tutte le conoscenze e le professionalità che concorrono a mantenere sani uomini, animali e ambiente.

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Procedure operative per prevenire l’infestazione da Baylisascaris procyonis

Baylisascaris procyonis è un nematode endemico del Nordamerica e sporadicamente segnalato in altri Paesi: in Italia è stato segnalato per la prima volta nel 2021 da 5 procioni abbattuti nel territorio del  Casentino (AR).

L’infestazione è tipica del procione (ospite definitivo) e occasionalmente di altri carnivori, tra cui il cane, nei quali decorre in modo asintomatico con lo sviluppo di nematodi adulti  nell’intestino tenue (20-22 cm le femmine e 9-11 cm i maschi).

Numerosi ospiti paratenici (principalmente roditori, lagomorfi e uccelli selvatici) possono infestarsi sporadicamente attraverso l’ingestione di feci contenenti uova infettanti.

Operatori che a vario titolo manipolano procioni ed i soggetti di età pediatrica possono contagiarsi attraverso l’ingestione accidentale di feci o di materiale fecalizzato.

La maggior parte dei casi di contagio umano è stata riportata negli Stati Uniti.

Nonostante la baylisascariasi sia una rara zoonosi, la malattia nell’uomo è caratterizzata da evoluzione clinica molto grave legata alla migrazione larvale.

Sintomi aspecifici come: febbre, letargia e nausea possono svilupparsi già una settimana dall’esposizione. Le larve migrano attraverso una grande varietà di tessuti (fegato, cuore, polmoni, cervello, occhi) producendo una sindrome da larva migrans viscerale e larva migrans oculare, simili alla toxocariasi. Tuttavia, prediligendo il sistema nervoso centrale, a differenza delle larve di Toxocara, quelle di Baylisascaris si sviluppano fino a grandi dimensioni determinando gravi lesioni. Le anomalie neurologiche tendono a comparire da 2 a 4 settimane dopo l’ingestione di uova infettanti, come esito della meningoencefalite eosinofila, e comprendono alterazione dello stato mentale, irritabilità, anomalie cerebellari, atassia, stupor e coma. I trattamenti elminticidi sono spesso inefficaci a causa dei ritardi nella diagnosi e della scarsa attività larvicida nei confronti delle larve a localizzazione encefalica.

Pertanto, l’informazione e la prevenzione sono strumenti necessari per limitare il contagio.

L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana ha elaborato per la Regione Toscana delle Procedure operative per la manipolazione dei procioni e delle carcasse durante le fasi di abbattimento e cattura per prevenire il rischio di trasmissione all’uomo.




IZS Ve identifica una nuova specie di stafilococco proveniente dall’aria: Staphylococcus caeli

Il Laboratorio di batteriologia speciale della sezione di Treviso dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) ha identificato e dato il nome a una nuova specie di stafilococco.

Il genere stafilococco è costituito da diverse specie di batteri Gram positivi ampiamente diffusi in natura. Alcune di queste specie sono comuni abitanti della pelle e delle mucose sia di animali che dell’uomo, altre invece sono patogene. Tra le specie patogene più famose c’è sicuramente lo Staphylococcus aureus soprattutto a causa della comparsa di ceppi resistenti agli antibiotici ed in particolare alla meticillina.

Tali ceppi indicati con la sigla MRSA (Meticillin Resistant S. aureus) presentano resistenza agli antibiotici appartenenti alla famiglia delle penicilline e delle cefalosporine, e complicano quindi considerevolmente le possibilità terapeutiche e ne riducono le probabilità di successo. Questo tipo di resistenza è tipicamente conferita dal gene mecA; tale gene assieme alle sue varianti mecB e mecC sono stati isolati in varie specie di animali e nell’uomo.

L’isolamento di questo ceppo insolito e nominato inizialmente 82B è avvenuto durante le attività svolte per una ricerca finanziata dal Ministero della Salute (RC IZSVE 01/09 “Applicazione della PFGE, ricerca dei geni di virulenza e analisi del polimorfismo della proteina A in ceppi di S. aureus isolati da conigli da carne, con finalità epidemiologiche e diagnostiche”) che ha portato al primo isolamento di un clone MRSA ST398 nei conigli da carne, e i cui risultati sono stati pubblicati su International Journal of Systematic and Evolutionary Microbiology).

In particolare l’82B è stato isolato nel 2013 da un campionamento dell’aria di un allevamento da reddito della provincia di Padova. Il ceppo è parso subito anomalo in quanto si presentava resistente alla meticillina, quindi un potenziale MRSA, ma non era possibile arrivare a un’affidabile identificazione di specie, sia mediante prove biochimiche e molecolari che mediante spettrometria di massa. Inoltre, le prove di biologia molecolare eseguite per la rilevazione dei geni noti causa della resistenza alla meticillina, ossia il gene MecA e le varianti MecB e MecC, davano anch’esse risultati non conformi ai controlli utilizzati.

Leggi l’articolo integrale sul sito dell’IZS delle Venezie




One Health: modelli di prevenzione a 360°. Grasselli al Congresso SItI

Dal 3 al 6 novembre 2021 a Lecce si terrà il 54° Congresso Nazionale della Società Italiana di Igiene Medicina Preventiva e Sanità Pubblica  – SItI “La sanità pubblica nel post-Covid. Occasioni di rilancio per una prevenzione integrata“.

Fra i principali temi che verranno trattati: l’approccio one health nello scenario attuale di transizione ecologica ed epidemiologica, i nuovi modelli organizzativi e la preparedness come funzione essenziale della Sanità Pubblica, le prospettive di innovazione dell’assistenza territoriale e della prevenzione alla luce del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la revisione delle reti ospedaliere, la centralità delle risorse umane per la Sanità Pubblica, lo sviluppo del Piano Nazionale della Prevenzione 2021-2025 e dei relativi piani regionali, la buona comunicazione in era pandemica, nonché l’attualità e le opportunità di innovazione in campo vaccinale nel post-Covid.

Temi che saranno affrontati attraverso plenarie, tavole rotonde, simposi e letture,workshop, comunicazioni orali e poster/pitch.

Nel pomeriggio della giornata di apertura il Presidente Onorario SIMeVeP, Aldo Grasselli interverrà alla Sessione Plenaria 1 “One Health, se non oggi quando? Dalla transizione ecologica alla transizione epidemiologica” con una relazione su “One Health: modelli di prevenzione a 360″.

 




Antibiotici per gli animali: SIMeVeP sostiene il voto contrario alla risoluzione ENVI

Il 13 luglio 2021 la Commissione ENVI (Commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare) del Parlamento europeo ha adottato (con 38 voti a favore, 18 contrari e 22 astensioni) una proposta di risoluzione per opporsi all’atto delegato della Commissione europea del 26 maggio 2021 sui criteri per la designazione degli antibiotici da riservare al trattamento di alcune infezioni nell’uomo che integra il Regolamento Ue 2019/6.

L’atto delegato descrive in dettaglio i criteri per la designazione degli antimicrobici da riservare all’uomo, vietandone l’uso in tutti gli animali, sulla base del parere scientifico dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA), dell’EFSA, dell’OIE e dell’OMS.

La proposta di risoluzione approvata da ENVI, che sarà sottoposta al voto del Parlamento europeo il 15 Settembre 2021, suggerisce di inserire tutti gli antimicrobici di importanza critica con priorità più alta (colistina, macrolidi, fluorochinoloni e cefalosporine di 3a e 4a generazione) nell’elenco OMS riservato agli esseri umani, vietandone l’uso negli animali.

Nell’ambito di una serie di iniziative della veterinaria europea e italiana, SIMeVeP ha sottoscritto la lettera aperta di FVE  e EPRUMA indirizzata ai Parlamentari europei affinchè respingano attraverso il proprio voto la proposta di risoluzione e adottino l’atto delegato con il fine di preservare la salute e il benessere di tutti gli animali.

Sebbene la proposta di ENVI risponda da un lato alla necessità di proteggere l’uso dell’antibiotico nell’uomo, dall’altra si fonda su interpretazioni errate dell’uso di antibiotici nel settore animale nonché delle raccomandazioni dell’OMS.

A riguardo va sottolineato come gli antimicrobici – somministrati solo quando necessario e dopo aver preso in considerazione tutte le strategie alternative – rimangano un presidio indispensabile per assicurare la sanità e benessere degli animali, in quanto anche in condizioni ottimali di allevamento gli animali possono ammalarsi e necessitano di essere trattati per evitare sofferenze e ciò risponde all’imperativo sancito dal Trattato di Lisbona che riconosce gli animali come esseri senzienti e capaci di soffrire.

Inoltre se consideriamo che alcune infezioni animali zoonotiche, e cioè trasmissibili dagli animali all’uomo, se non trattate, possono rappresentare una minaccia per la sanità pubblica la proposta di Envi, qualora approvata, metterebbe a serio rischio non solo la salute animale, ma anche il benessere animale, la salute pubblica e la sicurezza degli alimenti, mentre l’atto delegato contiene una proposta equilibrata, basata sulla scienza e che realizza l’approccio One Health.

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Ecm, meno di tre mesi per mettersi in regola. Dal 2022 si torna alla normalità

EcmNon ci saranno ulteriori proroghe per il recupero del debito formativo relativo al triennio 2017-2019 nonché per lo spostamento dei crediti maturati per il recupero del debito formativo relativo al triennio formativo 2014-2016. Gli obblighi formativi per i trienni in questione vanno dunque assolti entro il 31/12/2021. Lo hanno ribadito in differenti occasioni il Sottosegretario alla salute Pierpaolo Sileri e il Ministro alla Salute, Roberto Speranza.

Non sono in discussione ulteriori proroghe o eventuali deroghe. I medici, come tutti gli altri operatori sanitari, avranno circa tre mesi di tempo per assolvere il loro obbligo formativo. Poi scatteranno controlli e sanzioni che potranno andare da un semplice avvertimento fino alla radiazione“, ha annunciato il Sottosegretario in un’intervista.

La formazione continua Ecm è fondamentale, dobbiamo lavorare perché si ripristini un adeguato e normale percorso che valorizzi la formazione. Questa crisi ci ha insegnato quanto la formazione sia importante. Il nostro personale sanitario è fondamentale e abbiamo bisogno che sia sempre formato adeguatamente, in grado di leggere i cambiamenti sia epidemiologici che del servizio sanitario nazionale” ha detto il Ministro.

Ricordiamo che per il triennio 2017-2019 deve essere acquisito un totale di 150 ecm con possibilità di recupero entro il 31 dicembre 2021.

Chi usufruisce della proroga non può però usufruire delle riduzioni previste, quindi non si applicano:

  • la riduzione nella misura di 30 crediti,  ai professionisti sanitari che nel precedente triennio hanno maturato un numero di crediti compreso tra 121 e 150;
  • riduzione nella misura di 15 crediti, ai professionisti sanitari che nel precedente triennio hanno maturato un numero di crediti compreso tra 80 e 120.

Inoltre i crediti che si utilizzeranno nel 2021 per recuperare quelli del triennio precedente non saranno validi per raggiungere la soglia dei 150 previsti per il triennio 2020-2022.

Per il triennio 2020-2022 i crediti Ecm da acquisire sono 150, ma l’art. 5 bis “Disposizioni in materia di formazione continua in medicina” della legge  17 luglio 2020, n. 77 (Legge di Conversione del “Decreto Rilancio”), riconosce una riduzione pari a un terzo del totale per i professionisti che hanno continuato a svolgere la propria attivita’ professionale nel periodo dell’emergenza derivante dal COVID-19.

A cura della segreteria SIMeVeP

 

 

 

 




Covid-19, il lungo viaggio dagli animali all’uomo

Secondo un lavoro appena pubblicato in forma di preprint, ovvero non ancora sottoposto a peer review (“revisione tra pari”), il betacoronavirus responsabile della Covid-19, SARS-CoV-2, sarebbe emerso nel 2019 in Cina differenziandosi in due distinti “lineages”, A e B, il secondo apparentemente più diffuso rispetto al primo e circolante ab initio nell’ormai famoso mercato del pesce di Wuhan, da dove si sarebbe progressivamente propagato al resto del mondo, dando vita alla drammatica pandemia con la quale conviviamo oramai da quasi due anni.

Secondo gli autori del contributo in questione, i due “lineages” potrebbero aver tratto origine da un primario ospite o “serbatoio” animale, che molti studiosi identificherebbero nei pipistrelli del genere Rinolophus, analogamente a quanto già accertato per i due coronavirus responsabili della SARS e della MERS.

Qualora l’origine naturale di SARS-CoV-2 – ritenuta più probabile e plausibile rispetto a quella artificiale o “laboratoristica” – dovesse risultare comprovata dalle ricerche future, la comparsa, più o meno contemporanea, di due distinti clusters virali potrebbe recare con sé una serie di intriganti implicazioni: prima fra tutte, non un singolo, bensì due salti di specie (spillover) separati che il “progenitore” di SARS-CoV-2 avrebbe compiuto dal mondo animale all’uomo. Ipotesi affascinante, ma pur sempre un’ipotesi!

I detrattori dell’origine naturale sostengono, di contro, che SARS-CoV-2 abbia avuto origine nei laboratori dell’Istituto di Virologia di Wuhan, dove tre ricercatori avrebbero sviluppato i sintomi della malattia già a novembre 2019, almeno un mese prima che la Cina comunicasse l’avvenuta identificazione del nuovo coronavirus. In verità, una serie di studi condotti in Europa e altrove avevano consentito di rilevare la presenza del virus nella popolazione umana già diversi mesi prima di quella data.

Cosa ci dicono i dati sull’origine del virus

L’origine “laboratoristica” di SARS-CoV-2 viene teorizzata sulla base della cosiddetta “gain of function”, l’acquisizione di nuove funzioni conseguente alle manipolazioni genetiche effettuate in laboratorio. Fra queste rientrerebbe, in primis, la capacità del virus di infettare le nostre cellule e di propagarsi nella nostra specie.

Su questo fondamentale crocevia l’ipotesi dell’origine artificiale si interseca, giustappunto, con quella dell’origine naturale di SARS-CoV-2, che risulterebbe avvalorata da una serie di dati, sia storici che attuali:
– i primi ci rimandano agli agenti responsabili delle cosiddette malattie infettive emergenti, che nel 70% e più dei casi avrebbero una comprovata o sospetta origine animale e, più nello specifico, ai due betacoronavirus della SARS e della MERS, originanti da un serbatoio animale “primario” (pipistrelli) e da un ospite “intermedio” (zibetto e dromedario, rispettivamente);
– per i secondi, invece, l’elevata similitudine genetica (oltre il 96%) che SARS-CoV-2 condivide con altri due coronavirus isolati in Cina dai pipistrelli (RA-TG13 e RmYN02) renderebbe plausibile la sua origine naturale.

Tutto ciò non senza aver posto adeguata enfasi sul lungo viaggio che in un paio di anni avrebbe portato SARS-CoV-2 a infettare, in condizioni assolutamente naturali, un elevato numero di specie animali domestiche (gatto, cane) e selvatiche (visone, tigre, leone, puma, leopardo delle nevi, lontra, gorilla, cervo a coda bianca), nonché a evolvere in una serie di temibili varianti, quali ad esempio la “cluster 5”, che si sarebbe selezionata per l’appunto negli allevamenti di visoni olandesi e danesi, per esser quindi trasmessa dal visone stesso all’uomo.

Giovanni Di Guardo
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

Lettera pubblicata anche su Il Mattino e su saperescienza.it