Le esperienze della sanità pubblica nei terremoti a 41 anni di distanza dal terremoto dell’Irpinia

Ogni anno il Cervene ricorda il 23 novembre 1980 con un evento da tenersi in una delle aree colpite dal sisma dell’Irpinia. Negli anni scorsi, gli eventi si sono tenuti in Irpinia presso l’Abbazia del Goleto, a Pertosa (SA) presso la Fondazione MIdA e nel 2020 in modalità remoto con ospiti da tutta Italia. Si tratta di una data rilevante per la nascita della Disastrologia veterinaria ad opera del Prof. Adriano Mantovani, che con la sua equipe di giovani medici veterinari intervenne dopo il sisma, ponendo le basi per una nuova prospettiva organizzativa di medicina veterinaria in emergenze non epidemiche.

Quest’anno il ricordo, la commemorazione ma soprattutto il dibattito sulle calamità e le emergenze si terrà a Mercogliano in provincia di Avellino, con una serie di appuntamenti che inizieranno il 21 novembre con una giornata di formazione per i volontari di protezione civile e proseguirà la mattina del 23 Novembre con una sessione del Corso di formazione in “Sicurezza alimentare nelle emergenze” organizzato dall’Università Federico II di Napoli, e una tavola rotonda pomeridiana con la presenza delle Istituzioni locali.

Tra gli interventi di quest’anno, prestigiosa e preziosa sarà la Lectio Magistralis su Adriano Mantovani da parte di Romano Marabelli, Consigliere Sostituto del Direttore Generale dell’OIE (Organizzazione mondiale della sanità animale).

 




Ispra: il clima in italia nel 2020 e il trend 1961/2020

Cambiamenti climaticiIl 2020 è stato un anno prevalentemente caldo in Italia, con condizioni di siccità estese a tutto il territorio nazionale, soprattutto nei primi mesi dell’anno. Eventi meteorologici estremi hanno
interessato diverse aree del nostro Paese; particolarmente rilevante è stata la forte perturbazione che, fra il 2 e il 3 ottobre, ha portato precipitazioni intense e persistenti su diverse regioni, in particolare sul nord-ovest, investito da piogge alluvionali.

Sono alcune informazioni estratte dal XVI Rapporto “Gli indicatori del clima in Italia”, che illustra l’andamento del clima nel corso del 2020 e aggiorna la stima delle variazioni climatiche negli ultimi decenni in Italia. Il rapporto si basa in gran parte su dati e indicatori climatici elaborati attraverso il Sistema nazionale per la raccolta, l’elaborazione e la diffusione di dati Climatologici di Interesse Ambientale (SCIA, www.scia.isprambiente.it), realizzato dall’Ispra in collaborazione e con i dati  el Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente e delle altre reti di osservazione presenti sul territorio nazionale. I dati e le informazioni sul clima in Italia vengono trasmessi all’Organizzazione Meteorologica Mondiale e contribuiscono a comporre il quadro conoscitivo sull’evoluzione del clima a scala globale.

Qualche dato nel dettaglio.
TEMPERATURA
Mentre a scala globale sulla terraferma il 2020 è stato l’anno più caldo della serie storica – con un’anomalia di +1.44 °C rispetto al valore climatologico di riferimento 1961-1990 – in Italia è stato
il quinto anno più caldo dal 1961, registrando un’anomalia media di +1.54°C. A partire dal 1985, le anomalie sono state sempre positive, ad eccezione del 1991 e del 1996. Il 2020 è stato il
ventiquattresimo anno consecutivo con anomalia positiva rispetto al valore normale; il decennio 2011-2020 è stato il più caldo dal 1961.

Ad eccezione di ottobre, in tutti i mesi del 2020 la temperatura media in Italia è stata superiore alla norma, con un picco di anomalia positiva a febbraio (+2.88°C), seguito da agosto (+2.49°C). La
stagione relativamente più calda è stata l’inverno, che con un’anomalia media di +2.36°C, si colloca al secondo posto della serie storica.

Gli indici degli estremi di temperatura confermano che le notti e i giorni freddi mostrano una chiara tendenza a diminuire mentre i giorni e le notti calde mostrano una chiara tendenza ad aumentare.

Per quanto riguarda la temperatura superficiale dei mari italiani, il 2020, con un’anomalia media di +0.95°C, si colloca al quarto posto dell’intera serie dal 1961. Negli ultimi 22 anni la temperatura media superficiale del mare è stata sempre superiore alla media; nove degli ultimi dieci anni hanno registrato le anomalie positive più elevate di tutta la serie. Nel 2020 le anomalie sono state positive in tutti i mesi dell’anno, con i valori massimi ad agosto (+1.7°C) e a maggio (+1.4°C).

PRECIPITAZIONI
Il 2020 è stato il 23° anno meno piovoso dal 1961. Sull’intero territorio nazionale, i mesi mediamente più secchi sono stati gennaio (-75%) e febbraio (-77%), seguiti da novembre, aprile e
maggio, mentre dicembre è stato il mese mediamente più piovoso, con un’anomalia di +109%. Al Nord il mese più piovoso si conferma dicembre, con un picco di anomalia positiva di +182%,
seguito da ottobre (+69%) e giugno (+50%); anche al Centro il mese più piovoso si conferma dicembre, con un picco di anomalia positiva di +92%, seguito da giugno (+45%); al Sud e Isole i
mesi relativamente più piovosi sono stati settembre (+67%) e luglio (+58%). Novembre è stato il mese più secco al Nord (-85%), gennaio al Centro (-69%) e al Sud e Isole (-78%).

Anche nel 2020 non sono mancati eventi di precipitazione intensa.

I valori più elevati di precipitazione giornaliera sono stati registrati in occasione dell’evento alluvionale di inizio ottobre.
In un’ampia zona del Piemonte settentrionale, il 2 ottobre sono state registrate precipitazioni cumulate giornaliere comprese fra 400 e 500 mm; nella parte occidentale della Liguria e all’estremo
confine meridionale del Piemonte si sono superati localmente i 350 mm di precipitazione.

Indici climatici rappresentativi delle condizioni di siccità: valori elevati del numero di giorni asciutti, superiori a 300 giorni, si registrano in diverse aree del territorio nazionale, con punte di 341
giorni a Pescara e a Capo Carbonara (SU).

Il numero massimo di giorni asciutti consecutivi nell’anno ha raggiunto i valori più alti in Sardegna ed in Sicilia (fino a 90 giorni secchi consecutivi) e i valori più bassi sulla dorsale appenninica e su Alpi e Prealpi (fino a 20 giorni).

Fonte: ISPRA




SARS-CoV-2, l’intrigante ed allarmante caso dei cervi a coda bianca statunitensi

Il cervo a coda bianca (Odocoileus virginianus) è, in ordine di tempo, l’ultima specie che si aggiunge al già consistente novero di quelle naturalmente e/o sperimentalmente suscettibili nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2, il famigerato betacoronavirus che ha sinora mietuto oltre 5 milioni di vittime nel mondo, 130.000 e più delle quali in Italia.

Il cervide in questione, la cui marcata sensibilità all’infezione sperimentalmente indotta era già stata documentata da un precedente studio che aveva parimenti dimostrato un’elevata omologia di sequenza fra il recettore virale ACE-2 della stessa e quello umano, albergherebbe infatti, nel 40% dei campioni di emosiero ottenuti da esemplari residenti nella regione nord-orientale degli USA, anticorpi anti-SARS-CoV-2. Tassi di prevalenza anticorpale ancor più consistenti, pari a circa l’80% degli individui esaminati, sarebbero stati altresì rilevati in occasione di un’ulteriore indagine condotta fra i cervi a coda bianca dell’Iowa, i cui risultati sono stati appena pubblicati in forma di “preprint (vale a dire senza che il manoscritto sia stato ancora sottoposto alla cosiddetta “revisione tra pari”, alias peer review“).

Nello specifico, quest’ultimo lavoro ha confermato i dati già emersi dai succitati studi condotti nei mesi precedenti, con particolare riferimento all’elevato grado di suscettibilità nei confronti di SARS-CoV-2 da parte dei cervi a coda bianca che, una volta acquisita l’infezione – con ogni probabilità dall’uomo, leggasi “spillover uomo-cervo” -, sarebbero stati capaci di propagarla all’interno della propria specie senza che ciò esitasse, peraltro, nella comparsa di una malattia clinicamente manifesta, eccezion fatta per sporadici casi d’infezione paucisintomatici. I cervi dell’Iowa, inoltre, sarebbero risultati sensibili ad alcune “varianti” di SARS-CoV-2 identificate nella nostra specie, quali in primis la “B.1.2” e la “B.1.311“.

Diversamente da quanto osservato poco più di un anno fa negli allevamenti intensivi di visoni dei Paesi Bassi e della Danimarca (ove lo “stamping out” di massa ha comportato l’abbattimento di ben 17 milioni di esemplari!), non è stato sinora documentato alcun caso di trasmissione di SARS-CoV-2 dai cervi a coda bianca all’uomo (leggasi “spillback cervo-uomo”). Ciononostante, quello dei visoni olandesi e danesi, che avrebbero “restituito” in forma mutata all’uomo una variante di SARS-CoV-2 (“cluster 5“) selezionatasi nel loro organismo a seguito della pregressa trasmissione del virus agli stessi da parte dell’uomo, costituisce a mio avviso un precedente degno della massima attenzione, come sottolineo peraltro in una miaLetter to the Editor” appena pubblicata sulla prestigiosa Rivista Veterinary Record.

E’ oramai assodato, infatti, che SARS-CoV-2 è un agente patogeno dotato di notevole “plasticità”, come eloquentemente testimoniano le numerosissime varianti virali (“variants of concern” e “variants of interest“) comparse e circolanti in ogni angolo del Pianeta. Queste ultime sono il frutto, a loro volta, dei cicli replicativi che il virus compie all’interno sia delle nostre cellule sia di quelle delle numerose specie animali domestiche e selvatiche che a SARS-CoV-2 risultano sensibili. Il genoma di SARS-CoV-2 consta di circa 30.000 nucleotidi e si stima che, ad ogni replicazione coinvolgente 10.000 delle succitate basi azotate, possa corrispondere la comparsa di una mutazione genetica. Ovviamente esistono varie tipologie di mutazione e, senza entrare troppo nei “tecnicismi”, solo un ridotto numero di esse permetterà al virus di acquisire “nuove” caratteristiche fenotipiche (alias la cosiddetta “gain of function“), quali ad esempio una più spiccata virulenza e/o un’accresciuta capacità di diffusione/trasmissione interumana e di colonizzazione delle nostre cellule, se non addirittura di elusione della risposta immunitaria indotta dall’infezione o dalla vaccinazione, caratteristiche che la ben nota variante “delta” sembra ricapitolare in maniera quantomai efficace al proprio interno.

Come se tutto ciò non bastasse, un caso d’infezione sostenuta dalla variante “alfa” di SARS-CoV-2, precedentemente nota come variante “inglese“, è stato accertato alcuni mesi fa in Piemonte in un gatto i cui proprietari erano risultati affetti da CoViD-19, mentre un altro studio appena pubblicato su Veterinary Record descrive ancora una volta la presenza della variante alfa in due gatti ed in un cane con sospetta miocardite in Francia, i cui proprietari avevano manifestato nelle settimane antecedenti sintomi respiratori da CoViD-19.

Come affrontare tutto ciò? La risposta è una ed una sola: mediante un approccio “olistico” e multidisciplinare, mirabilmente riassunto dall’espressione “One Health“, la “salute unica” di uomo, animali ed ambiente, che appare ulteriormente enfatizzata dalla presunta origine di SARS-CoV-2 dal mondo animale, al pari di quanto avvenuto per i suoi “illustri predecessori” rappresentati dai betacoronavirus della SARS e della MERS (rispettivamente nel 2002-2003 e nel 2012) e, nondimeno, per gli agenti responsabili delle cosiddette “malattie infettive emergenti”, che in almeno il 70% dei casi trarrebbero la propria origine – dimostrata o quantomeno sospetta – da uno o più “serbatoi” animali.

A dispetto di quanto sopra, spiace constatare che nel “Comitato Tecnico-Scientifico”, popolarmente noto con l’acronimo CTS, non sieda ancora un solo Medico Veterinario, a distanza dei quasi due anni oramai trascorsi dalla sua istituzione!

Giovanni Di Guardo
Gia’ Professore di Patologia Generale e
Fisiopatologia Veterinaria
all’Universita’ di Teramo




One Health: modelli di prevenzione a 360°, intervento di Grasselli al Congresso SItI

Il Presidente Onorario SIMeVeP, Aldo Grasselli ha partecipato ai lavori alla sessione plenaria “ONE HEALTH, SE NON OGGI QUANDO? DALLA TRANSIZIONE ECOLOGICA ALLA TRANSIZIONE EPIDEMIOLOGICA“, moderata da Alberto Fedele e Walter Ricciardi, che si è tenuta durante la prima giornata del 54° congresso della SItI – Società Italiana di Igiene “La sanità pubblica nel post-Covid. Occasioni di rilancio per una prevenzione integrata”.

Alla Sessione plenaria hanno partecipato, insieme a Grasselli: Alberto Fedele, Maria Teresa Montagna, Espedito Moliterni, Gianni Rezza (La Salute Planetaria nella prospettiva della Sanità Pubblica),  Margherita Ferrante (La transizione ecologica per il contrasto ai cambiamenti climatici), Antonella De Donno (Il caso Xylella in Puglia: risvolti ambientali e agroalimentari d’interesse sanitario)

Sintesi dell’intervento “One Health: modelli di prevenzione a 360°” di Aldo Grasselli




Medicina unica per la sanità: sogno o realtà?

Il Presidente Onorario SIMeVeP, Aldo Grasselli, sarà relatore al corso ECM “Medicina unica per la sanità: sogno o realtà?” che si terrà il 20 novembre 2021 presso il Dipartimento di Scienze Veterinarie (DSV-UniTo), Università degli Studi di Torino.

Il corso, organizzato anche con il sostegno di SIMeVeP e FVM,  intende mettere in luce l’importanza della comunicazione bidirezionale tra medici e veterinari per il concetto di medicina unica per prevenire potenziali emergenze e affrontare le Antropozoonosi traendo spunto dalla pandemia COVID-19.

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Di Guardo: “I vaccini, una vera e propria manna per il mondo intero!”

Sono un veterinario che per quasi 20 anni ha insegnato patologia generale e fisiopatologia veterinaria all’Universita’ di Teramo e, mantenendo fede all’identità culturale appannaggio della categoria professionale cui mi vanto e mi onoro di appartenere, mi preme sottolineare che la ragion storica all’origine delle Facoltà di Medicina Veterinaria nel Vecchio Continente, nate dapprima in Francia ed in Italia a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, si deve alla peste bovina.

Questa malattia, sostenuta da un virus imparentato con quello del morbillo e che illo tempore era causa di gravissime perdite fra le mandrie di mezza Europa, è stata dichiarata ufficialmente eradicata a livello globale nel 2011 – a distanza di 250 anni esatti dall’istituzione della prima Facoltà di Medicina Veterinaria, fondata nel 1761 a Lione – grazie alle campagne di vaccinazione effettuate sulla popolazione bovina.

Analoga sorte è toccata al vaiolo, anch’esso debellato su scala planetaria nel 1980 grazie alle vaccinazioni di massa della popolazione umana.

Ai giorni nostri il “nemico pubblico” da combattere si chiama SARS-CoV-2, il betacoronavirus che ha sinora mietuto oltre 5 milioni di vittime nel mondo! Gli efficaci vaccini di cui disponiamo a distanza di un solo anno dall’identificazione del virus – quasi un miracolo (!) – costituiscono, come è ben noto, una formidabile arma nel contrasto alla diffusione di SARS-CoV-2, con particolare riferimento alle forme gravi e ad esito letale di CoViD-19.

Di contro, la mancata vaccinazione di ampie fette di popolazione, oltre a “mettere le ali” al virus (come sta avvenendo in diversi Paesi dell’est Europa), si traduce di fatto in un accresciuto rischio di comparsa di nuove varianti, non di rado più contagiose e/o patogene rispetto a quelle circolanti, come chiaramente testimoniato dalle varianti delta, delta plus, lambda e mu, di gran lunga prevalenti e dominanti la scena epidemiologica in molti Paesi se non addirittura in interi Continenti.

In un siffatto contesto, non andrebbe parimenti tralasciato il ruolo che gli animali potrebbero giocare nell’insorgenza di nuove varianti virali. Se da un lato, infatti, il range delle specie suscettibili nei confronti dell’infezione naturale e/o sperimentale da SARS-CoV-2 appare in progressiva espansione, come recentemente documentato dai “cervi a coda bianca” (Odocoileus virginianus) nella regione nord-orientale degli Stati Uniti d’America, l’emblematico “precedente” rappresentato dagli allevamenti intensivi di visoni nei Paesi Bassi e in Danimarca (ove ben 17 milioni di questi animali sono stati abbattuti!) dovrebbe essere adeguatamente enfatizzato: nei visoni allevati in questi due Paesi è stata accertata già nel 2020, infatti, la presenza di una nuova variante di SARS-CoV-2, denominata “cluster 5” e contraddistinta dalla mutazione Y453F a livello della glicoproteina “spike” (S), che si sarebbe “selezionata” a seguito della pregressa acquisizione del virus umano da parte dei visoni, che gli stessi avrebbero quindi “restituito” all’uomo.

Repetita iuvant e, cosa non meno importante, Historia magistra vitae!

Giovanni Di Guardo
Gia’ Professore di Patologia Generale e
Fisiopatologia Veterinaria
all’Universita’ di Teramo

 




Cambiamenti climatici: la zootecnia sotto accusa

Cambiamenti climaticiNon sorprende più di tanto veder mettere sotto accusa il settore degli allevamenti di animali da reddito, dato che la zootecnia  è da diverso tempo sottoposta alle attenzioni dell’associazionismo animalista, che trova ampia audience in trasmissioni televisive e inchieste giornalistiche. Le criticità certo non mancano in questo settore, ma l’approccio è assai spesso ideologico e non contribuisce al necessario confronto,  cedendo il più delle volte a una contrapposizione esasperata che, piuttosto che a un suo miglioramento, propone l’auspicio della sua scomparsa.

Ma se le critiche, anche aspre, si rivolgono prevalentemente  e scontatamente all’allevamento intensivo, di recente tale coinvolgimento in negativo ha interessato anche il settore della zootecnia
biologica. Anch’essa viene vista infatti in qualche modo criptica e soprattutto, tra le altre cose, come una delle responsabili dell’emissione di gas serra, di cui è ormai da tempo acclarato il
contributo al riscaldamento globale e quindi ai  cambiamenti climatici.

Continua a leggere il contributo di Vitantonio Perrone, VicePresidente SIMeVeP, su La Settimana Veterinaria.




Covid, One Health e la Metagenomica

dnaLa pandemia di COVID-19 ci ha insegnato che la diagnosi clinica delle infezioni umane emergenti, nonostante la tempestività, non è sufficiente per arginare e controllare l’insorgenza dei focolai, soprattutto quando a causarli sono patogeni in grado di sostenere efficacemente la trasmissione interumana. Ci ricorda inoltre che, per prevenire e rispondere efficacemente alle future emergenze occorre una strategia rinnovata che poggi su due pilastri chiave: l’integrazione delle infrastrutture genomiche/metagenomiche all’interno di programmi di intelligence epidemica e la mobilizzazione delle diverse professionalità che collaborano per la sorveglianza delle malattie emergenti, che è One Health.

Covid-19 con i suoi effetti trasformazionali ha accelerato i tempi dei programmi di sorveglianza genomica, stimolato la condivisione globale del genoma di SARS-CoV-2 e generato una scala di sequenziamento senza precedenti che ha superato l’influenza, l’HIV ed i patogeni di origine alimentare. Ha anche indicato la strada da percorrere per una più efficace collaborazione intersettoriale e transdisciplinare e per la creazione di una base scientifica integrata utile al riconoscimento precoce delle sindromi di malattie insolite ed identificazione rapida di serbatoi animali (trasmissione pre-diagnostica), ancora prima dell’individuazione dell’agente o agenti causali nei casi clinici. E’ fin troppo evidente come l’attesa di prove sostanziali della trasmissione interumana abbia reso i successivi sforzi di contenimento della pandemia inefficaci se non impossibili.

L’ampia circolazione dei coronavirus tra gli animali selvatici, il probabile salto di specie (spillover) di SARS CoV-2 dai pipistrelli all’uomo (o tramite un ospite intermedio) ed il rapido aumento delle varianti SARS-CoV-2 in ospiti non umani, con il potenziale rischio di reinfezione umana, sono condizioni che richiedono attività di monitoraggio più estese con l’acquisizione delle sequenze genomiche dei virus, necessari per poter sviluppare mappe regionali del rischio ed attuare programmi di sorveglianza mirati. SARS-CoV-2 presenta un patchwork genetico unico, a cui hanno contribuito diversi progenitori ed è il risultato di un complesso processo evolutivo e di ricombinazione nei corredi genetici. A volte, la ricombinazione può trasformare un virus non minaccioso in una nuova minaccia, come è il caso della ricombinazione di due coronavirus isolati di recente nei cani in Indonesia con la formazione di un ceppo ibrido che ha infettato otto bambini. Lavori recenti indicano che la distribuzione geografica dei virus SARS-CoV-2 correlati sia molto più ampia di quanto ritenuto in precedenza.

La ricostruzione filogenetica di un frammento genomico chiave per il tropismo e lo spettro degli ospiti di SARS-CoV-2 ha permesso di individuare tre coronavirus nei pipistrelli della specie Rhinolophus spp. nel nord del Laos, geneticamente più simili a SARS-CoV-2 rispetto a RaTG13, ritenuto essere il suo parente più stretto. Sono nuovi virus che presentano un dominio RBD di legame al recettore che differisce di poco rispetto a SARS-CoV- 2, e diversamente dagli altri coronavirus SARS-CoV-2-correlati sono capaci di legarsi fortemente al recettore ACE2 espresso dalle cellule umane. Ciò suggerisce che SARS-CoV-2 abbia potuto acquisire la capacità di trasmissione interumana solo mediante una selezione evolutiva naturale e smentisce l’ipotesi del virus costruito in laboratorio. Pertanto, se la selezione è naturale, l’origine di SARS-CoV-2 deve essere cercata nei serbatoi naturali, in primis nei pipistrelli.

Questi sono gli obiettivi di altri studi di sorveglianza dei nuovi coronavirus condotti negli ultimi mesi in Cambogia, Cina e Tailandia, e parzialmente finanziati con 125 milioni di dollari dall’USAID per il progetto DEEP VZN (Discovery & Exploration of Emerging Pathogens Viral Zoonoses), che opera in Africa, Asia e America Latina. Riguardo ad altri potenziali serbatoi, di recente è stato dimostrato come il sito di scissione della furina S1/2, determinante per il tropismo virale, replicazione e patogenesi di SARS-CoV-2, non presente in genere nei coronavirus dei pipistrelli, sia invece comune nelle sequenze associate ai roditori. Le conferme provengono da altri studi.

Come suggerito di recente su Lancet, One Health è il filo conduttore dei programmi di sorveglianza genomica/metagenomica integrata, che combinano le infezioni umane a quelle degli animali (fauna selvatica e vettori) e alla circolazione ambientale dei patogeni. I potenziali siti di campionamento per le analisi dovrebbero includere sia le zone di maggiore interazione tra uomo e animali selvatici, e quindi a maggiore probabilità di eventi di spillover virale (es. parchi, siti di ecoturismo, foreste), sia luoghi associati ad un rischio più elevato di circolazione virale, come gli aerei a lunga distanza, le stazioni della metropolitana, ma anche i macelli, le acque reflue urbane ed i rifiuti animali.

In sostanza la minaccia di una nuova malattia X con potenziale epidemico o pandemico deve essere affrontata in una prospettiva One Health, utilizzando strumenti di sorveglianza integrata basati su sistemi di informazione geografica, telerilevamento di dati ed epidemiologia molecolare. Le buone intenzioni esistevano già nel 2004, quando l’OMS, la FAO e l’OIE indicarono congiuntamente le direzioni da seguire, ma ciò non è stato sufficiente per prevedere la pandemia di COVID-19. Per il futuro si spera che le raccomandazioni formulate dai leader dell’UE, del G7 e del G20 in occasione dell’Assemblea Mondiale della Sanità nel maggio 2021, e la promessa di importanti investimenti della Commissione Europea per rafforzare l’infrastruttura dedicata alle varianti SARS- CoV-2, forniscano il terreno ideale per affrontare e prevenire le future minacce pandemiche.

Maurizio Ferri
Coordinatore Scientifico SIMeVeP




Raid incendiario nella casa di un veterinario pubblico

Nei giorni scorsi Marcello Di Franco, medico veterinarioin servizio presso la Asl Caserta, Presidente Fespa nonchè componente della Task Force regionale per l’applicazione di un Piano straordinario di eradicazione di brucellosi e tubercolosi, già vittima in precedenza di minacce, ha subito l’ennesimo atto intimidatorio a causa delle attività di controllo ufficiale svolte in allevamenti infetti.

La SIMeVeP esprime solidarietà e vicinanza al collega e si appella alle istituzioni, per conto delle quali i veterinari di sanità pubblica operano a tutela della salute pubblica, perchè diano concretezza, con determinazione e fermezza, alle misure previste per prevenire atti intimidatori e sostenere le vittime di violenza.

 

 




Proposta di sterilizzazione farmacologica per nutrie e scoiattoli grigi

Scoiattolo_grigioLe specie aliene o esotiche invasive –  cioè quegli animali e piante  e microorganismi originari di altre regioni geografiche, introdotte volontariamente o accidentalmente in un ambiente naturale nel quale normalmente non risiedono e che insediandosi alterano gli ecosistemi –  rappresentano una minaccia per l’ambiente e la biodiversità.

Il Decreto Legislativo 15 dicembre 2017, n. 230  prevede una serie di misure di gestione volte all’eradicazione, al controllo demografico o al contenimento delle popolazioni delle specie esotiche invasive di rilevanza unionale, transnazionale o nazionale.

Recentenemente la Lav ha proposto al governo di finanziare  la ricerca per lo sviluppo del vaccino contraccettivo sia nel caso degli scoiattoli grigi sia nel caso delle nutrie