Le PAT nell’economia circolare

economia circolareLe proteine animali trasformate (PAT) derivano esclusivamente da materiale a basso rischio definito di categoria 3 dal Reg. 1069/2009 sui sottoprodotti, ovvero parti di animali (ossa, frattaglie, ecc.) dichiarati idonei al consumo umano a seguito di ispezione prima della macellazione. Costituiscono dunque un prodotto del rendering, un processo di sterilizzazione e stabilizzazione che converte i tessuti animali in materiali utilizzabili.

L’industria del rendering ogni anno in Europa gestisce 18 milioni di tonnellate di materiale animale, che in un’economia circolare viene ritrasformato in prodotti farmaceutici, cere e biodiesel, mangimi ricchi di proteine di alta qualità per l’industria degli alimenti per animali domestici e acquacoltura, combustibili, oleochimica, fertilizzanti. Il rendering, con gli attuali volumi di produzione industriale, è pertinente alla sfida climatica, inoltre utilizzando l’energia pulita che deriva dai sottoprodotti per produrre calore ed energia, può essere considerato a impatto zero di CO2.

Per garantire la sicurezza per l’uso nell’alimentazione animale la produzione avviene solo in stabilimenti approvati ai sensi del Reg. 1069/2009 e Reg. di esecuzione 142/2011 ed è sostenuta da rigidi controlli veterinari per prevenire la diffusione di malattie degli animali e zoonosi, garantire la tracciabilità e la sicurezza.

Ne parla il dott. Maurizio Ferri in un articolo pubblicato su La Settimana Veterinaria




One Health. L’ECDC assume la presidenza della Task Force inter-agenzie europea

L’European Centre for Disease Control and Prevention (ECDC) assume la presidenza della One Health Task Force, creata nel 2023 per consentire alle agenzie UE di contribuire con successo all’implementazione dell’approccio One Health in Europa. La task force comprende l’Agenzia europea dei medicinali (EMA), lo stesso Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA). Hanno partecipato al secondo incontro della task force, avvenuto nei giorni scorsi presso l’EMA ad Amsterdam, anche rappresentanti della Direzione generale per la salute e la sicurezza alimentare europea.

La presidenza della task force ruota annualmente e, a settembre 2024, l’ECDC ha assunto quindi questo ruolo. L’obiettivo principale dell’incontro è stata la discussione delle azioni delineate in cinque obiettivi strategici del quadro d’azione della task force interagenzia One Health: coordinamento strategico, coordinamento della ricerca, rafforzamento delle capacità, coinvolgimento degli stakeholder, attività interagenzia congiunte. L’ECDC guida i lavori sul quarto obiettivo per coinvolgere gli stakeholder di riferimento (tra cui istituzioni UE, Stati membri, organismi multilaterali e altri attori chiave esterni) per sviluppare e implementare attività di comunicazione coordinate su One Health. Tra gli altri punti all’ordine del giorno, l’ECDC ha presentato i risultati preliminari di interviste semi-strutturate qualitative con alcuni paesi UE/SEE sulla visione, i fattori abilitanti e gli ostacoli all’implementazione dell’approccio One Health a livello nazionale.

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Fonte: quotidianosanita.it




I maiali sono possibili vettori dell’epatite E nell’uomo

I maiali possono fungere da veicolo di trasmissione per un ceppo del virus dell’epatite E, HEV, comune nei ratti, che è stato recentemente legato a infezioni umane. Lo rivela uno studio dell’Ohio State University, riportato sulla rivista PNAS Nexus. Da quando è stato segnalato il primo caso umano in una persona con sistema immunitario depresso a Hong Kong nel 2018, sono stati registrati almeno 20 casi umani in totale, anche in persone con funzioni immunitarie normali. Le persone infettate dall’HEV dei ratti non hanno riferito di essere state esposte a questi animali, lasciando indefinita la causa dell’infezione.

Tra i principali sospetti delle infezioni umane da HEV, in molti casi, è il consumo di carne di maiale cruda, che rappresenta una via potenziale anche per l’HEV dei ratti. I ricercatori hanno scoperto che un ceppo di HEV dei ratti, isolato dall’uomo, può infettare i suini ed è stato trasmesso tra animali che vivevano in condizioni simili a quelle di una fattoria. I ratti sono comuni nelle stalle dei suini, il che suggerisce che l’industria della produzione di carne suina potrebbe essere un ambiente in cui l’HEV dei ratti potrebbe proliferare, sino ad arrivare agli esseri umani. “Vogliamo sempre sapere quali virus potrebbero essere in arrivo, quindi dobbiamo conoscere la genetica di questo virus nell’improbabile caso in cui negli Stati Uniti accada qualcosa che permetta all’HEV dei ratti di espandersi”, dichiara Scott Kenney, professore associato di medicina preventiva veterinaria presso l’Ohio State con sede nel Center for Food Animal Health del College of Food, Agricultural, and Environmental Sciences del campus di Wooster e autore senior dello studio.

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Fonte: sanitainformazione.it




Vespa velutina in Puglia e in Corsica

vespa velutinaL’espansione di Vespa velutina segna due record con i ritrovamenti dell’insetto a centinaia di chilometri di distanza dalla zona in cui ormai è pressoché stabile, cioè la Liguria e la Toscana.

Di questi giorni la notizia, riportata dalla rete StopVelutina, del ritrovamento di un adulto dell’insetto in un apiario nel comune di Lecce, in Puglia.

Al momento si tratta di una segnalazione isolata, a cui non sono seguiti altri ritrovamenti né di singoli individui né di nidi.

Ma in ogni caso si tratta del primo ritrovamento del calabrone asiatico in Puglia e anche del punto più a Sud d’Italia raggiunto da questa specie.

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Fonte: agronotizie.it




La carne coltivata: soluzioni per la riduzione dei costi di produzione

Numerosi studi e pubblicazioni di Life cycle assessment (LCI) peer reviewed hanno dimostrato che la carne coltivata offre l’opportunità,  insieme agli alimenti di origine vegetale, di rendere la produzione  delle proteine animali più sostenibile. Utilizzando l’agricoltura cellulare, la carne coltivata riduce le emissioni di azoto, l’uso del suolo e le preoccupazioni per il benessere degli animali,  offrendo una soluzione sostenibile per soddisfare la domanda globale di proteine.

E’ indubbio che la produzione di carne coltivata debba affrontare una serie di sfide economiche, tecnologiche e sociali.  Una di queste è relativa al costo elevato dei terreni di coltura con ingredienti  di tipo farmaceutico, dei fattori di crescita e proteine ricombinanti. Per essere un’alternativa praticabile alla produzione di carne convenzionale e per lo scale up,  l’agricoltura cellulare richiede l’analisi costo-efficacia dei materiali, l’ottimizzazione delle formulazioni dei terreni di coltura per massimizzare la produzione e il consolidamento delle relative filiere di approvvigionamento.

Le tecniche tradizionali di produzione di carne coltivata si basano su terreni chimicamente indefiniti che utilizzano il siero fetale bovino (FBS), con i limiti economici ed etici, e terreni chimicamente definiti che utilizzano fattori di crescita specifici.   La voce di costo maggiore per lo scale-up della produzione è rappresentata dai terreni di coltura, che contengono nutrienti e fattori di crescita.  Tuttavia, è possibile ridurre i costi con un ventaglio di soluzioni che prevedono:

  • selezione di ingredienti a costo inferiore
  • utilizzo di quantità inferiori di terreni di coltura
  • nuove formulazioni di terreni di coltura che attraverso la modellazione delle vie metaboliche consentono una crescita cellulare efficiente
  • sostituzione dei componenti farmaceutici dei terreni a costo elevato con quelli di qualità alimentare o per mangimi
  • fonti proteiche alternative (es. nuove proteine ottenibili con l’uso della luce per (piattaforma fotomolecolare)
  • fattori di crescita alternativi e/o loro riciclo
  • ingegnerizzazione delle linee cellulari per ridurre i rapporti di conversione del mangime e sprechi (lattato e ammoniaca)
  • uso di cellule immortalizzate (es. fibroblasti di pollo) che si adattano a un terreno con poco siero o serum free.
  • riciclo dei terreni.

Microalghe come fonte di glucosio

La maggior parte del glucosio nei terreni di coltura tradizionali per la carne coltivata in laboratorio proviene dalla coltivazione di cereali come mais e grano, che incidono sull’ambiente a causa del consumo di acqua e dell’uso di fertilizzanti e pesticidi.  Ricerche recenti assegnano alle microalghe un ruolo fondamentale nel futuro della carne coltivata nel renderla meno dipendente dagli input di cereali ed animali e con molti altri benefici.  Uno studio condotto in Giappone ha dimostrato che diversi ceppi di microalghe (C. littorale, C. vulgaris) possono fornire alle colture cellulari glucosio, aminoacidi e altri nutrienti.  La coltivazione di microalghe,  che non richiede fertilizzanti e pesticidi e con ridotto consumo di acqua,  può anche avvenire su terreni non adatti all’agricoltura,  comprese le aree urbane ed alimentare un sistema circolare di coltura cellulare in cui i terreni di coltura residui a fine ciclo che contengono ammoniaca e lattati possono alimentare le microalghe in grado a loro volta di rimuovere fino all’80% dell’ammoniaca e 16% di fosforo. L’obiettivo immediato è di avere un sistema chiuso di 30 metri quadri in grado di produrre un chilogrammo di carne coltivata al giorno entro il 2030.

Fonte: https://www.nature.com/articles/d42473-024-00083-6.

Questo sistema circolare, che funziona senza l’aggiunta di nutrienti derivati ​​dai cereali e sieri animali,  potrà contribuire per la futura produzione di carne coltivata alla riduzione dell’impatto ambientale e del consumo di risorse/energia.  Un importante composto di scarto nelle cellule animali coltivate è l’L-Lattato, utilizzato naturalmente dalla maggior parte delle alghe.  Per rimuovere il lattato nei terreni di scarto e sviluppare un sistema di coltura di cellule animali sostenibile, ricercatori giapponesi hanno introdotto nel Synechococcus, cianobatterio unicellulare molto diffuso nell’ambiente marino, un gene da Escherichia coli che codifica per la L-lattato deidrogenasi che converte il lattato in piruvato, un metabolita che a sua volta può essere convertito in glucosio dalle cellule.  Numerosi laboratori di ricerca e aziende in Asia, Europa e Stati Uniti perseguono concetti simili.  Alcune aziende come Mewery stanno persino co-coltivando le cellule animali con le microalghe che simultaneamente consumano ammoniaca, forniscono ossigeno, esprimono fattori di crescita ricombinanti e diventano parte del prodotto finale.  Una strategia che potrebbe fornire una soluzione meno dispendiosa in termini di energia e terra per la produzione di terreni di coltura su larga scala.  Studi futuri dovranno confrontare i costi e l’impatto ambientale della produzione di carne coltivata integrata con le microalghe rispetto ai mezzi più convenzionali di produzione di input per i terreni.

Gli idrolizzati

Due nuovi studi di Life cycle assessment (LCA) sui terreni di coltura cellulare per la carne coltivata pubblicati da Tufts University Center for Cellular Agriculture (TUCCA) e University of Helsinki hanno confermato l’impatto ambientale dei terreni e mostrato come l’uso di proteine vegetali, come ad esempio gli isolati proteici di colza o idrolizzati agricoli di prodotti animali (es. da albumi d’uovo) possano sostituire le proteine ricombinanti ad alto impatto o il siero animale e dunque  ridurre in modo significativo l’impatto ambientale. L’orientamento degli studi futuri vede la modellazione dei processi di produzione alimentare di aminoacidi su larga scala,  di proteine ricombinanti e altri fattori di produzione  nonché processi per la preparazione e la spedizione di formule in polvere finite.  Nel primo studio americano la riduzione dell’utilizzo di FBS nei terreni di coltura dal 10 al 2% (v/v) ha consentito di ridurre tutte le voci di impatti ambientale studiati.  Ulteriori riduzioni sono state ottenute quando FBS viene completamente sostituita da terreni di base come  DMEM/F12, Essential 8™, idrolizzati proteici e fattori di crescita ricombinanti.  L’uso del suolo è stato il meno ridotto,  in quanto condizionato dall’estrazione dell’amido per produrre glucosio per il terreno  DMEM/F12.  Il terreno di coltura con idrolizzati proteici dall’albume d’uovo ha ottenuto le più alte riduzioni di impatto rispetto al mezzo contenente FBS.  Uno studio australiano ha dimostrato che gli idrolizzati di erba Kikuyu, erba medica e pellet per l’allevamento di bovini a certe condizioni promuovono la crescita delle cellule mioblastiche C2C12 in terreni contenenti lo 0,1% e lo 0% di siero.  Questi effetti in terreni privi di siero sono più pronunciati quando gli idrolizzati da pellet di mangime per bovini vengono combinati con i promotori della crescita come insulina, transferrina e selenio.  Uno studio simile della Texas A&M University ha dimostrato il potenziale dell’isolato proteico dell’erba medica (alfalfa protein) come componente promettente di terreni di coltura privi di siero per la proliferazione delle cellule satelliti bovine BSC. Questi risultati confermano che le materie prime esistenti e a basso costo possono fornire una fonte nutritiva adatta per le cellule in coltura e sottolineano la necessità di una ricerca continua sulle fonti proteiche alternative e nuove formulazioni di terreni di coltura per supportare la produzione sostenibile ed etica dei terreni per la crescita cellulare.  GFI, una organizzazione non profit che sostiene la ricerca, le politiche e gli investimenti necessari per le proteine alternative, ha dichiarato che entro la fine del 2024 finanzierà diversi progetti sull’ottimizzazione degli idrolizzati. L’impulso per gli studi futuri dovrà focalizzare sulla modellazione dei processi di produzione alimentare degli attuali fornitori su larga scala di aminoacidi, proteine ricombinanti e altri fattori di produzione che servono l’industria, nonché sui processi per la preparazione e la spedizione di formule in polvere finite come quelle perseguite in nuove strutture. Nutreco, che ha precedentemente collaborato con diverse startup nel settore per fornire input di terreni a basso costo, ha annunciato l’apertura del primo stabilimento commerciale che produrrà in quantità industriali  terreni di coltura cellulare in polvere di qualità alimentare.

Nuovi fattori di crescita e proteine ricombinanti

I fattori di crescita, contenuti anche nel FSB e le proteine ​​ricombinanti, necessari per aiutare le cellule muscolari a crescere,  per via del loro costo elevato costituiscono un’altra importante  voce di costo per la produzione di carne coltivata.  La ricerca è attualmente orientata sia alla  produzione di proteine ​​a partire da batteri,  funghi o piante come sistemi di espressione, sia alla loro sostituzione con alternative vegetali, in particolare per le proteine ​​utilizzate ad alte concentrazioni nei terreni come l’albumina e la transferrina.  Ricercatori giapponesi hanno ottenuto la riduzione di FBS, e dunque evitato l’uso del feto,  incubando il terreno di coltura cellulare con cellule provenienti da organi di animali da allevamento, come fegati o placente,  che secernono i fattori di crescita. In questo modo non sarà più necessario ricorrere al costoso processo di purificazione dei fattori di crescita derivati da altre fonti.

Dott. Maurizio Ferri e Dott.ssa Maria Grazia Cofelice – SIMeVeP




Sempre a proposito di “One Health”: clima, ambiente e salute…

Sulla Rivista “The Lancet/Planetary Health” è stata pubblicato di recente il Report di un Gruppo di Ricerca della Rivista dal titolo “Un mondo giusto su un pianeta sicuro …”, gruppo coordinato dal Prof. Joyeeta Gupta.
Nel Report gli autori affermano che “la salute del pianeta e della sua gente è a rischio. Il deterioramento dei beni comuni globali, ovvero i sistemi naturali che sostengono la vita sulla Terra, sta esacerbando l’insicurezza energetica, alimentare e idrica e aumentando il rischio di malattie, disastri, sfollamenti e conflitti”. [https://www.thelancet.com/journals/lanplh/article/PIIS2542-5196(24)00042-1/fulltext?dgcid=raven_jbs_aip_email]

Il Gruppo di Ricerca parte nel suo ragionamento cercando di quantificare quelli che chiama “i confini sicuri e giusti del sistema Terra” (ESB) e provano a quantificare “l’accesso minimo alle risorse naturali necessarie per la dignità umana e per consentire la fuga dalla povertà”. La definizione che danno di ESB è la seguente: “descrizioni quantitative (quando possibile) e qualitative dei confini oltre i quali la stabilità e la resilienza dei processi del sistema Terra sono minacciate e gli esseri umani potrebbero essere sostanzialmente danneggiati”. Gli autori considerano che gli ESB vanno oltre i confini planetari combinando elementi dal livello locale a quello globale con conoscenze provenienti da domini di scienze biofisiche e sociali.

Pertanto si cerca nel Report di descrivere “un corridoio sicuro e giusto” essenziale per garantire una salute umana e planetaria sostenibile e resiliente e prosperare nell’Antropocene.
Definiscono “sicuro” la stabilità biofisica del sistema Terra in base a principi di giustizia che includono la riduzione al minimo dei danni, il soddisfacimento delle esigenze di accesso minime e la ridistribuzione delle risorse e delle responsabilità per migliorare la salute e il benessere umani.

La base del corridoio è definita dagli impatti dell’accesso globale minimo a cibo, acqua, energia e infrastrutture per la popolazione globale, in base alle variabili con cui hanno definito gli ESB. Ne discende che vivere all’interno del corridoio è necessario, perché superare gli ESB e non soddisfare i bisogni di base minaccia la salute umana e la vita sulla Terra.
Tuttavia, il semplice “rimanere all’interno del corridoio” non garantisce giustizia perché all’interno del corridoio le risorse possono anche essere distribuite in modo iniquo, aggravando la salute umana e causando danni ambientali.

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Fonte: quotidianosanità.it




Primo caso di Trichinella spiralis in un lupo nella provincia di Rieti

Presso il laboratorio della sezione di Rieti del nostro Istituto, è stata confermata la positività per Trichinella sp. in un lupo trovato morto in provincia di Rieti nel luglio 2024. Le larve di Trichinella sono state identificate tramite microscopia ottica, a seguito della digestione artificiale di un campione di muscolo tibiale craniale.
L’identificazione molecolare delle larve isolate, eseguita presso il Laboratorio Europeo di Riferimento per i Parassiti dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), ha evidenziato un’infestazione mista da Trichinella spiralis e Trichinella britovi.
Questa è la prima segnalazione della specie T. spiralis nella fauna selvatica nel Centro Italia, la seconda in Italia nell’ultimo decennio, dopo il caso di una volpe in Emilia-Romagna nel 2016.
Negli ultimi due anni, nella provincia di Rieti sono state registrate altre otto positività: quattro nei cinghiali e quattro nei lupi. In sei di questi, l’identificazione di specie effettuata dall’ISS ha confermato la presenza di T. britovi.
Tra i parassiti del genere Trichinella, T. spiralis è la specie più frequentemente associata a casi di malattia nell’uomo in Europa, ed è nota per causare sintomi più gravi rispetto a T. britovi, specie endemica.
La rilevazione di T. spiralis apre nuovi scenari sull’epidemiologia della trichinellosi in Italia e ha notevoli implicazioni per la sanità pubblica, sottolineando l’importanza della sorveglianza sanitaria della fauna selvatica per il monitoraggio precoce degli agenti infettivi emergenti nei territori.

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Fonte: IZS Lazio e Toscana




Vespa velutina per la prima volta in provincia di Modena

vespa velutinaVespa velutina, il calabrone asiatico che sta invadendo l’Italia Nord occidentale, è arrivato per la prima volta in provincia di Modena.

Due esemplari maschi sono stati trovati a Pievepelago (Mo), una località sul versante modenese dell’Appennino tosco emiliano.

A darne notizia, come sempre, è stata la rete StopVelutina coordinata dal Crea, il Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria, dopo la segnalazione arrivata domenica scorsa da parte di un apicoltore socio dell’Arpat, l’Associazione Regionale Produttori Apistici Toscani, che ha ritrovato i due esemplari in una trappola per il monitoraggio dei calabroni in apiario.

La località infatti e molto vicina al confine di regione con la Toscana e a pochi chilometri di distanza in linea d’aria dalla Garfagnana, la zona montana sul versante lucchese dell’Appennino dove ormai da alcuni anni si sta cercando disperatamente di contrastare l’espansione del calabrone asiatico.

È quindi molto probabile che gli insetti siano provenienti da lì, anche se è difficile stabilire se trasportati accidentalmente dall’uomo o arrivati da soli per espansione naturale della specie.

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Fonte: agronotizie.it




I coleotteri che spaventano l’Europa: 12 specie aliene dannose per le nostre foreste

Per l’Europa alcuni sono innocui come il coleottero dei chicchi di caffè, un parassita che attacca piante che in Europa crescono solo in un paio di campi sperimentali in Sicilia. Altri insetti della stessa famiglia sono, al contrario, molto più pericolosi. Ad esempio quelli del genere Euwallacea, appartenenti al gruppo dei coleotteri dell’ambrosia, colonizzano il legno sotto la corteccia degli alberi e per sopravvivere coltivano funghi che poi conducono la pianta al capolinea.

Nel 2021 ai giardini Trauttsmandorf in provincia di Bolzano è stato necessario bruciare tutte le piante della serra tropicale, comprese 500 orchidee, per l’introduzione accidentale di uno di insetti originari del sudest asiatico, sbarcato in Europa una volta sola, per sbaglio, in Polonia nel 2017.

Ora l’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha identificato 12 specie aliene di questi coleotteri ad alto rischio di introduzione nei paesi dell’Unione. Sono tutti scolitidi, una famiglia che comprende 6.495 specie delle quali circa 350 native, e innocue, del nostro continente. Colpiscono in particolare le latifoglie, un genere che include tanti alberi importanti sia per la biodiversità forestale come il faggio o il frassino, e altri di valore economico come il noce, il ciliegio e il castagno.

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Fonte: repubblica.it




Pfas. Da Commissione Ue nuovi restrizioni all’uso

Bandiera Unione EuropeaLa Commissione Ue ha adottato nuove misure a norma del regolamento REACH – la legislazione dell’UE in materia di sostanze chimiche – per proteggere la salute umana e l’ambiente limitando l’uso dell’acido perfluoroesanoico (PFHxA) e delle sostanze affini al PFHxA. “Questi sottogruppi di sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS) sono molto persistenti e mobili nell’acqua e il loro uso in alcuni prodotti presenta un rischio inaccettabile per la salute umana e l’ambiente”, evidenzia una nota della commissione che annuncia le misure.

La restrizione adottata si concentra sugli usi per i quali il rischio non è adeguatamente controllato, per i quali sono disponibili alternative e per i quali i costi socioeconomici sarebbero limitati rispetto ai benefici per la salute umana e l’ambiente.

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Fonte: quotidianosanita.it