La Vespa orientalis arriva in Toscana

Il calabrone orientale, Vespa orientalis, ha raggiunto anche il territorio toscano, proseguendo l’espansione del suo areale nella risalita della penisola. La presenza della specie è segnalata in tutto il sud Italia, oltre che nel Friuli Venezia Giulia, dove sembra essersi insediata nella città di Trieste già a partire dall’estate del 2018, e a Genova, dove un individuo è stato segnalato nel 2018 e una nuova segnalazione è stata effettuata a fine agosto.

La segnalazione toscana riguarda il centro della città di Grosseto.

Tutte le informazione sul ritrovamento sul sito stopvelutina.it, la rete italiana nata dal progetto Mipaaf  “VELUTINA”, conclusosi nel 2016 e avente scopo la messa a punto a punto di strategie di contenimento della vespa esotica.  Dal 2016 StopVelutina continua a lavorare come gruppo non finanziato: i suoi soggetti si sono impegnati a realizzare, anche con risorse proprie, progetti comuni e concordati con gli altri membri per arginare e gestire la presenza del calabrone asiatico in Italia.




Che fine fanno le zanzare d’inverno? Un’app può aiutare a scoprirlo

Si chiama Mosquito Alert ed è una app per smartphone che permette di tracciare la diffusione delle zanzare in Europa e di contrastare la diffusione di malattie virali trasmesse da questi insetti vettori.

Dietro la app c’è un network di ricerca internazionale coordinato per l’Italia dall’Università La Sapienza di Roma, a cui partecipa anche il Laboratorio parassitologia, micologia ed entomologia sanitaria dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe). I ricercatori dell’IZSVe faranno infatti parte del team di esperti internazionali che si occuperà del riconoscimento delle specie di zanzare, a partire dalle foto scattate dai cittadini e inviate con la app.

Zanzare esotiche ormai di casa

Mosquito Alert ed è una app gratuita  per smartphone che permette di tracciare la diffusione delle zanzare in Europa attraverso segnalazioni e fotografie inviate dai cittadini. L’app permette inoltre di segnalare le punture ricevute e potenziali siti di riproduzione delle zanzare. Queste informazioni sono utili per contrastare la diffusione di malattie virali trasmesse da questi insetti vettori. I cittadini possono quindi contribuire con un piccolo sforzo individuale a questo grande obiettivo collettivo.

Le zanzare non sono più quelle “di una volta”. Negli ultimi decenni, la globalizzazione e i cambiamenti climatici hanno portato alla diffusione in Italia ed in Europa di specie di zanzare esotiche, un tempo confinate alle regione tropicali, prima di tutte la famosa zanzara tigre (Aedes albopictus), ma anche altre specie meno note, come la zanzara giapponese (Aedes japonicus) e quella coreana (Aedes koreicus).

Queste specie non solo hanno cambiato la vita di tutti noi a causa del loro comportamento di puntura aggressivo e diurno, ma hanno creato le condizioni per la trasmissione di virus esotici capaci di causare gravi patologie all’uomo. Nel 2017 un’epidemia del virus chikungunya, sostenuta dalla zanzara tigre, ha causato centinaia di infezioni nel Lazio e in Calabria, e nelle scorse settimane si sono registrati nel Vicentino i primi 10 casi autoctoni del più temibile virus della dengue. La trasmissione di questi virus a partire da viaggiatori infetti provenienti da regioni tropicali endemiche è diventata ormai una regola in molto paesi europei.

Questi casi si sommano a quelli di un virus endemico nel nostro territorio – il virus del Nilo Occidentale – trasmesso dalla zanzara notturna nostrana (Culex pipiens), per il quale negli ultimi anni si è osservato un preoccupante aumento, probabilmente legato a un clima particolarmente favorevole al vettore. Secondo i dati del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle malattie (ECDC), nel 2020 ci sono stati 29 casi di virus del Nilo Occidentale in Italia e 1.688 casi in Europa, con 13 decessi.


Mosquito alert, un esempio di citizen science europea

Sebbene questi numeri non impressionino in questo periodo in cui ci siamo abituati a contare i casi ed i decessi da Covid-19 nell’ordine delle migliaia e delle decine al giorno, non va abbassata la guardia su altri pericolosi agenti patogeni. Per questo un gruppo di esperti internazionali nel campo della prevenzione e del controllo delle malattie trasmesse da vettore sta collaborando insieme per sviluppare ed implementare in Europa un sistema di monitoraggio delle zanzare attraverso Mosquito Alert, un’applicazione gratuita per telefoni cellulari, attraverso la quale ogni cittadino può inviare segnalazioni e fotografie di zanzare.

Mosquito Alert è attiva in Spagna dal 2014 dove ha permesso di rilevare rapidamente l’espansione della zanzara tigre a regioni settentrionali fino a poco fa ancora esenti e la presenza di nuove specie invasive, grazie ad oltre 18.000 avvistamenti inviati da un’ampia rete di volontari. Mosquito Alert ha da oggi una dimensione internazionale grazie a due progetti finanziati dalla Comunità Europea – la Aedes Invasive Mosquito COST ACTION (AIM-COST) e Versatile Emerging Infectious Disease Observatory (VEO) – che riuniscono 46 paesi in Europa ed in regioni limitrofe. È stata già tradotta in 17 lingue, Italiano incluso, e aggiornata rispetto alla versione del 2014.

La nuova versione consente non solo l’invio di foto delle zanzare (aliene e non), ma anche segnalazioni delle punture ricevute. Attraverso una task force di oltre 50 esperti entomologi, le immagini inviate vengono identificate e archiviate per consentire e una valutazione su larga scala della diffusione e stagionalità delle diverse specie, impossibile da ottenere con strumenti entomologici convenzionali isolato per isolato in tutti i centri abitati dei paesi interessati.

I cittadini sono quindi chiamati a contribuire con un piccolo sforzo individuale a questo grande obiettivo collettivo. Mosquito Alert fornisce tutte le informazioni ed i trucchetti necessari per fotografare gli esemplari avvistati o catturati nella maniera migliore.

Fonte: IZS Venezie




ISS: Indicazioni ad interim sulla gestione e smaltimento di mascherine e guanti monouso provenienti da utilizzo domestico e non domestico

L’Istituto Superiore di sanità ha pubblicato il “Rapporto ISS COVID-19 n. 26/2020 – Indicazioni ad interim sulla gestione e smaltimento di mascherine e guanti monouso provenienti da utilizzo domestico e non domestico. Versione del 18 maggio 2020”

Il documento fornisce raccomandazioni per la gestione di mascherine e guanti monouso come rifiuti prodotti da utilizzo domestico e non domestico, compresi Enti pubblici e privati, attività commerciali e produttive, diverse dalle attività sanitarie e sociosanitarie. Vengono fornite raccomandazioni anche sulle caratteristiche, posizionamento e movimentazione dei contenitori per la raccolta di tali rifiuti.

Scarica il rapporto
Scarica il poster su smaltimento di guanti e mascherine




Prima identificazione del parassita Sulcascaris sulcata in capesante nel Nord Adriatico

Alcune larve del parassita Sulcascaris sulcata sono state trovate in capesante (Pecten jacobaeus) e canestrelli freschi (Aequipecten opercularis) pescati nell’Alto Adriatico. Si tratta della prima identificazione di ospiti intermedi del parassita in questa zona. I campioni sono stati inviati e analizzati nei laboratori del Centro specialistico ittico (CSI) dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), a seguito di regolari ispezioni da parte dei Servizi sanitari territoriali.

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Ocratossina A negli alimenti: valutati i rischi per la salute pubblica

logo-efsaL’EFSA ha pubblicato un parere scientifico sui rischi per la salute pubblica connessi alla presenza negli alimenti di ocratossina A (OTA), una micotossina prodotta naturalmente da alcune muffe, che può essere presente in una serie di alimenti tra cui cereali, carne conservata, frutta fresca e secca, e formaggi.

 

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ISS: malattia di Kawasaki e sindrome infiammatoria acuta, bambini sorvegliati speciali

Sulla base delle evidenze scientifiche disponibili ad oggi non è dimostrato che i pazienti pediatrici che in passato hanno avuto diagnosi di malattia di Kawasaki siano esposti ad un rischio maggiore rispetto agli altri bambini di contrarre SARS-CoV-2, né di presentare una recidiva di malattia di Kawasaki. Tuttavia, recenti pubblicazioni scientifiche descrivono una sindrome infiammatoria acuta multisistemica in età pediatrica e adolescenziale, associata a positività per il SARS-CoV-2 o presenza di anticorpi anti SARS-CoV-2. Questa sindrome sembrerebbe condividere alcune caratteristiche cliniche con la malattia di Kawasaki ma, secondo le indicazioni dell’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) e della World Health Organization (WHO), si tratta di una forma clinica che va differenziata dalla malattia di Kawasaki e che è ancora in via di definizione.

L’ISS, al riguardo, ha pubblicato il RAPPORTO COVID-19 “Indicazioni ad interim su malattia di Kawasaki e sindrome infiammatoria acuta multisistemica in età pediatrica e adolescenziale nell’attuale scenario emergenziale da infezione da SARS-CoV-2” , elaborato da un gruppo interdisciplinare di esperti, coordinato da Domenica Taruscio. Il Rapporto è un documento operativo di sanità pubblica che fornisce indicazioni essenziali e raccomandazioni per affrontare e gestire questa sindrome pediatrica e adolescenziale ancora in via di completa definizione.

“Si tratta di un evento grave, ancorché raro, che merita tutta l’attenzione dei pediatri, degli infettivologi, dei reumatologi, dei cardiologici e degli altri professionisti della salute, soprattutto considerando l’associazione con la pandemia da COVID-19 tuttora in corso – afferma Domenica Taruscio, Direttore del Centro Nazionale Malattie Rare (ISS) e coordinatrice del Gruppo di lavoro “COVID-19 e Malattie rare” – E’ infatti importante identificare precocemente i pazienti, ricoverarli tempestivamente ed effettuare l’accertamento diagnostico accurato per avviarli al trattamento appropriato”.

La malattia di Kawasaki

La malattia di Kawasaki è una vasculite sistemica che colpisce prevalentemente i bambini di età inferiore a 5 anni e la cui prognosi dipende essenzialmente dal coinvolgimento delle arterie coronarie. Ha un’incidenza in Italia di circa 14 su 100.000/anno in bambini sotto i 5 anni, con un numero di casi di circa 450/anno calcolato sulla base delle dimissioni ospedaliere. I sintomi sono febbre (≥38°C), congiuntivite bilaterale senza secrezioni, arrossamento delle labbra e della mucosa orale, eruzione cutanea e linfoadenopatia cervicale monolaterale, che possono anche non essere tutti presenti contemporaneamente. E’importante che il bambino con questi sintomi venga rapidamente valutato dal pediatra e portato in ospedale per effettuare gli accertamenti clinici e laboratoristici. Se la diagnosi viene confermata, si deve iniziare la terapia farmacologia appropriata nei tempi previsti dalle linee guida. Pertanto, l’appropriatezza e la tempestività della diagnosi incidono in modo considerevole sulla prognosi. Non ci sono al momento evidenze che il trattamento della malattia di Kawasaki debba essere modificato in epoca di pandemia COVID-19 rispetto alle linee guida esistenti.

I dati epidemiologici della malattia di Kawasaki suggeriscono un’eziologia infettiva, sebbene l’agente causale non sia ancora stato identificato. Non è stabilita, al momento, un’associazione con l’infezione da SARS-CoV-2. In particolare non è possibile al momento attuale verificare se il numero dei soggetti affetti sia aumentato quest’anno, in concomitanza con l’epidemia da COVID-19.

La sindrome infiammatoria acuta multisistemica

L’ECDC ha pubblicato, lo scorso 15 maggio, un Rapid Risk Assessement sulla sindrome infiammatoria multisistemica pediatrica e adolescenziale e l’infezione da SARS-CoV-2, in cui vengono riportati 230 casi sospetti nell’Unione Europea e nel Regno Unito, con due decessi. I soggetti colpiti hanno un’età media di 7-8 anni, fino 16 anni, e hanno presentato interessamento multisistemico grave, a volte con necessità di ricovero in terapia intensiva. Il reale numero di questi soggetti è ancora in fase di valutazione, così come il preciso inquadramento nosologico di questa condizione, attualmente chiamata “sindrome infiammatoria acuta multisistemica”. Dati sia italiani che inglesi dimostrano che lo sviluppo di questa sindrome segue di 2-4 settimane il picco di infezione da SARS-CoV-2, per cui si ipotizza una patogenesi immunomediata e non legata ad un’infezione diretta del virus. Le caratteristiche della sindrome comprendono un’aberrante risposta infiammatoria, con febbre elevata, shock e prevalente interessamento miocardico e/o gastrointestinale. Le opzioni terapeutiche comprendono immunoglobuline, steroidi, farmaci anticitochinici.

Il documento evidenzia che, al momento, pur in assenza di una definizione di caso condivisa a livello europeo, è plausibile una correlazione fra infezione da SARS-CoV-2 e insorgenza della sindrome, pur in presenza di evidenze limitate del nesso di

causalità. “L’esistenza della sindrome è una realtà clinica riconosciuta – va avanti l’esperta – tuttavia è indispensabile una definizione condivisa dei criteri diagnostici, questo permetterà una registrazione sistematica dei casi per valutare la reale incidenza”.

L’infezione da SARS -CoV-2 nei bambini

La reale prevalenza di SARS-CoV-2 nella popolazione pediatrica, così come in quella adulta, non è conosciuta, tuttavia le evidenze scientifiche disponibili ad oggi indicano che l’infezione da SARS-CoV-2 si manifesta nei pazienti pediatrici con un andamento clinico più benigno rispetto all’adulto e con una letalità molto bassa (0,06% nella fascia di età 0-15 anni).

Gli studi effettuati

Un’analisi pubblicata su Pediatrics è stata realizzata in Cina su 2135 bambini con infezione da SARS-CoV-2, diagnosticata o sospetta, segnalati al Chinese Center for Disease Control and Prevention nel periodo tra il 16 gennaio e l’8 febbraio 2020. Di tutti i casi esaminati, 112 (5,2%) hanno sviluppato una forma grave della malattia con una rapida insorgenza di dispnea, ipossia, febbre, tosse e sintomi gastrointestinali, inclusa diarrea. Altri 13 bambini (0,6%) erano in condizioni critiche e hanno manifestato in breve tempo una sindrome da difficoltà respiratoria acuta o insufficienza respiratoria; in questi casi si è potuto anche osservare shock, encefalopatia, danno miocardico o insufficienza cardiaca, coagulopatia e danno renale acuto.

Nell’aprile 2020, i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) degli USA hanno pubblicato uno studio sul Morbidity and Mortality Weekly Report, nel quale sono stati analizzati, 149.760 casi risultati positivi per SARS-CoV-2 di cui 2.572 (1,7%) casi avevano un’età inferiore ai 18 anni nel periodo compreso tra il 12 febbraio e il 2 aprile. Nel 73% dei bambini SARS-CoV-2 positivi, era presente almeno uno dei sintomi clinici che sono alla base del sospetto diagnostico (febbre, tosse e dispnea) mentre negli adulti tale percentuale era il 93% (3). Lo stesso documento riportava un tasso di ospedalizzazione in un intervallo stimato tra il 5,7% e il 20%, e di ricovero in terapia intensiva in un range tra lo 0,6% e il 2%. Il tasso di ospedalizzazione era molto maggiore fra i bambini al di sotto di un anno di età (range stimato 15%-62%) mentre nella fascia superiore di età il range stimato era del 4,1-14%. Per 295 casi pediatrici erano disponibili informazioni sanitarie sia sull’ospedalizzazione sia sulle patologie concomitanti. Circa il 77% (28 su 37 casi) dei pazienti ospedalizzati presentavano una o più patologie concomitanti, mentre dei restanti 258 pazienti che non necessitarono di ricovero, 30 (12%) presentavano altre patologie.

In Italia, i dati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) riportano che al 14 maggio 2020 fra i 29.692 deceduti positivi all’infezione SARS-CoV-2 sono stati rilevati 3 casi relativi alla fascia di età 0-19 anni.

In una casistica, pubblicata su Jama Pediatrics, di 41 pazienti pediatrici spagnoli con confermata infezione da SARS-CoV-2 il 60% (25 casi) ha avuto la necessità di essere ospedalizzato: di questi 4 casi sono stati ricoverati in terapia intensiva e altri 4 hanno avuto necessità di ventilazione assistita.

Secondo il sistema di sorveglianza europeo (The European Surveillance System, TESSy), al 13 maggio 2020, i bambini rappresentano una percentuale molto bassa dei 193.351 casi COVID-19 confermati in Italia; nell’intervallo di età tra i 0-10 anni i casi segnalati sono stati 1,1% e 1% tra 10-19 anni. L’indice di letalità del COVID-19 è quindi pari a 0,06% nella fascia di età 0-15 anni, rispetto al 16,9% nel gruppo di ultra-quindicenni. I 3 bambini deceduti in Italia erano affetti da importanti e gravi patologie (malattia metabolica, cardiopatia, neoplasia).

In una casistica di 100 bambini con tampone positivo al SARS-CoV-2 che hanno fatto accesso al Pronto Soccorso di 17 ospedali italiani, solo il 52% dei pazienti con febbre presentava gli altri due sintomi indicativi di COVID-19 (tosse e dispnea). Il 38% dei bambini, secondo uno studio italiano pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha necessitato di ricovero, 9 dei quali hanno avuto bisogno di supporto respiratorio (6 con patologie preesistenti). Tutti i 100 bambini della casistica risultano guariti.

Questi dati sembrano tranquillizzanti riguardo al COVID-19 pediatrico. Va comunque posta molta attenzione quando a manifestare i sintomi dell’infezione sono i bambini con meno di un anno. Studi eseguiti da scienziati cinesi e pubblicati su Jama su madri in gravidanza con infezione da SARS-CoV-2 hanno indagato la relazione fra immunità materna e protezione del neonato dall’infezione, senza giungere però a risultati conclusivi. Il riscontro quindi, in neonati figli di madre SARS-CoV-2 positive, di sintomi indicativi come febbre, difficoltà respiratoria, tosse, sintomi gastrointestinali e tendenza al sopore, deve allertare i genitori e il pediatra.

Fonte: ISS




Antonio Sorice racconta la sua esperienza di veterinario durante l’emergenza COVID-19

Antonio SoriceUn medico veterinario dal 30 marzo ha la responsabilità di coordinare i dipartimenti di area medico sanitaria dell’ATS di Bergamo. Sono state affidate le funzioni di coordinamento organizzativo dei dipartimenti afferenti alla direzione sanitaria, in sostituzione del Direttore Sanitario.

 

Leggi l’intervista di 30 giorni




Emergenza Covid-19 e contenimento dell’infezione. Dov’è finita la Medicina unica?

coronavirusA giugno era previsto a Edimburgo lo svolgimento del 6° “World One Health Congress”, ma l’epidemia da Covid-19 ha reso inevitabile il suo spostamento, pertanto ora è previsto il prossimo novembre, quando si auspica che, con tutte le precauzioni del caso, anche gli eventi sociali e culturali – oltre all’economia – possano riprendere con la necessaria gradualità. Quindi, seppur simbolicamente, la pandemia ha così segnato un altro punto a suo favore.

Questo l’incipit dell’articolo del dott. Vitantonio Perrone, Vicepresidente SIMeVeP,  pubblicato su La Settimana Veterinaria.




Come condizioni meteorologiche e inquinamento possono influenzare la diffusione della pandemia

coronavirusUno studio pubblicato sulla rivista Nature Research – Scientific Report condotto da ricercatori dell’Istituto di metodologie per l’analisi ambientale (Cnr-Imaa) ha evidenziato come le differenti condizioni meteorologiche e qualità dell’aria possono influenzare la diffusione della pandemia da Covid-19.

I risultati sottolineano che parametri quali temperatura e umidità risultano correlati negativamente con il numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva, figura di merito usata nel lavoro per valutare la diffusione della pandemia sul territorio nazionale. Una ulteriore correlazione, debolmente positiva, è stata riscontrata con la presenza di polveri sottili in atmosfera. In sostanza, questo significa che il virus si propaga più facilmente in ambienti umidi e freschi, in particolare con un maggior livello di inquinamento dell’aria. Inoltre, vale la pena sottolineare che i risultati dello studio non implicano necessariamente una relazione diretta causa-effetto tra il virus e fattori quali temperatura e umidità, ma, per esempio, che le condizioni climatiche potrebbero influenzare il comportamento umano, favorendo l’aggregazione in spazi chiusi.

Onde evitare possibili correlazioni spurie, il risultato ottenuto è confermato attraverso un’analisi eseguita su due differenti aree metropolitane italiane quali Milano e Firenze e la provincia autonoma di Trento. Lo studio eseguito è particolarmente innovativo perché, rispetto ad altri studi simili, per la prima volta i parametri meteorologici e di qualità dell’aria sono stati correlati non con il numero di positivi giornalieri, variabile condizionata in modo non banale ad esempio dal numero di tamponi eseguiti, ma con il numero di malati ricoverati in terapia intensiva. In particolare, il modello epidemiologico è stato stimato a partire dalle evidenze statistiche a disposizione, e compensato in modo da epurare le correlazioni calcolate da effetti principali quali l’attuazione di misure di distanziamento sociale forzato atte alla riduzione della diffusione pandemica. L’approccio proposto rende, così, i risultati indipendenti dal numero di tamponi giornalieri eseguiti e, soprattutto, dal naturale decorso di un’epidemia.

 

Fonte: CNR




Vaccini: Iss, test in vitro alternativo a quello su animali

logo ISS

Un metodo in vitro per controllare i lotti di vaccino, affinché siano sicuri prima del loro rilascio in commercio, può costituire una valida alternativa al controllo condotto attualmente sugli animali. In particolare, si tratta del saggio di attivazione monocitaria (MAT) che serve ad identificare l’eventuale presenza di molecole – definite pirogeni – che possono indurre indesiderati processi febbrili. La messa a punto e ottimizzazione del saggio sono frutto dell’attività di ricerca di un gruppo di ricercatori dell’ISS, pubblicata sulla rivista ALTEX e finanziata dall’Innovative Medicine Initiative nell’ambito del progetto “Vaccine batch to vaccine batch comparison by consistency testing” VAC2VAC. “Questo metodo costituisce una valida alternativa al saggio dei pirogeni attualmente condotto nei conigli – dichiara Eliana M. Coccia, primo ricercatore del Reparto di Immunologia nel Dipartimento di Malattie Infettive (ISS) a capo del team di ricerca – ed è perciò in linea con la Direttiva 2010/63/EU sulla protezione degli animali utilizzati ai fini scientifici. In particolare, nel saggio MAT i vaccini sono testati direttamente sui monociti umani presenti nel sangue periferico, che rappresentano le principali cellule in grado di attivarsi in presenza di pirogeni. Queste cellule rilasciano sostanze che inducono l’infiammazione, provocando quindi la febbre, come l’interleuchina 6 (IL-6), IL-1β e il tumor necrosis factor alpha (TNF-α). Rilevandone l’eventuale presenza è possibile quindi stabilire se ci sono pirogeni nel vaccino da testare”. Nello studio, “il MAT è stato ottimizzato per determinare il contenuto di pirogeni del vaccino umano contro l’encefalite da zecca – continua l’esperta con cui hanno collaborato anche Christina von Hunolstein e Andrea Gaggioli del Centro Nazionale per il Controllo e la Valutazione dei Farmaci (ISS) – ma la sua applicazione può potenzialmente essere estesa a molti altri vaccini per uso umano”. “Il valore aggiunto di questo saggio – aggiunge Marilena P. Etna, ricercatore del team ISS – consiste anche nel potere eseguire le rilevazioni dei pirogeni in vaccini destinati all’uomo su una piattaforma basata su cellule umane che possiedono una sensibilità più adeguata rispetto a quanto rilevabile nel coniglio”. “In questo contesto – conclude Eliana Coccia – grazie all’esperienza acquisita con la messa a punto del saggio MAT, l’Istituto Superiore di Sanità si posiziona tra i pochi laboratori ufficiali di controllo europei che al momento sono in grado di eseguire questo saggio, promuovendo e contribuendo in maniera fattiva alla messa a punto di strategie alternative all’utilizzo degli animali”.