Quanti cinghiali abitano qui?

cinghialeRicercatori dell’Istituto dei sistemi complessi del Cnr e dell’Istituto per la ricerca e la protezione ambientale hanno rivisto le metodiche utilizzabili per il monitoraggio delle popolazioni di cinghiali, dimostrando che l’applicazione del Distance Sampling mediante visori termici consente una stima precisa ed accurata. Si aprono così nuove strade per una gestione sostenibile della specie e per la protezione delle colture e degli allevamenti. Il lavoro è pubblicato sulla rivista Wildlife Biology

Contrariamente a ciò che si può pensare, censire le popolazioni di animali selvatici non è banale, tanto più se la specie vive in foresta ed ha abitudini notturne come il Cinghiale. Ricercatori dell’Istituto dei sistemi complessi del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isc) e dell’Istituto per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra) hanno effettuato una serie di censimenti utilizzando il metodo del “distance sampling” e visori termici notturni in diverse aree protette italiane, dimostrando che stimare le popolazioni di cinghiale in maniera precisa ed accurata è possibile. Lo studio – pubblicato sulla rivista Wildlife Biology – è stato condotto in condizioni ambientali molto diverse, che vanno dai boschi mediterranei del Monte Arcosu (Sardegna) alle aree agricole di gran pregio nei Colli Euganei (Veneto), fino alle quote maggiori della montagna appenninica (Foreste Casentinesi, Toscana ed Emilia Romagna): tutti ambienti fortemente influenzati dalla presenza del Cinghiale.
“La disponibilità di stime delle popolazioni può permettere di programmare efficacemente le azioni di controllo necessarie al contenimento della specie e di valutare quanto tali azioni siano state efficaci”, spiega Stefano Focardi del Cnr-Isc, responsabile della ricerca. Infatti la ricerca dimostra che negli ambienti studiati, con uno sforzo accettabile, si possono ottenere stime precise al 20%, un notevole salto di qualità visto che in Europa oggi nessuno riesce a stimare le popolazioni di Cinghiale. “L’articolo presenta un’estesa discussione dei metodi che possono essere usati per il monitoraggio. Visto l’impatto negativo che la specie ha sulle colture e i costi che questo comporta”, aggiunge Barbara Franzetti dell’Ispra, “la possibilità di impostare una gestione adattativa su dati precisi e affidabili rappresenterebbe uno strumento operativo particolarmente utile”. “Un problema potenzialmente molto serio determinato dalla presenza del Cinghiale è la diffusione della peste suina africana, che può severamente impattare negativamente la suinicoltura europea”, conclude Focardi, “e la disponibilità di metodi precisi per la stima delle popolazioni può essere estremamente rilevante per la formulazione delle mappe di rischio”.

Fonte: CNR




ISS: uno studio dimostra che i coronavirus dei ricci possono acquisire i geni dell’ospite

coronavirusUn recente studio condotto da ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), dell’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca la Ambientale (ISPRA), dell’Università di Bologna (UNIBO), e dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna (IZLER) ha dimostrato la capacità di acquisire geni dell’ospite, da parte di Coronavirus (CoV) del riccio comune (Erinaceus europaeus).

Lo studio, pubblicato su Viruses descrive l’acquisizione del gene CD200 del riccio da parte di un gruppo di CoV identificati in una popolazione di ricci selvatici, campionati in nord Italia. Tali virus appartengono allo stesso gruppo dei CoV responsabili di COVID-19 e MERS, con i quali hanno una stretta somiglianza genetica.

Nei mammiferi, il CD200 ed il suo recettore agiscono come importanti checkpoint della risposta immunitaria che regolano negativamente al fine di prevenire l’eccessivo stimolo infiammatorio che si osserva talvolta nei confronti degli agenti infettivi, compreso SARS-CoV-2, il coronavirus responsabile di COVID-19.

La capacità dei virus di acquisire geni dell’ospite è un fenomeno noto, tuttavia è la prima volta che viene descritto nei CoV. Sebbene il ruolo del CD200 non sia lo stesso in ogni virus, è stato dimostrato che la sua integrazione nel genoma di alcuni virus (Herpesvirus 8 dell’uomo, Rhesus rhadinovirus R15 e Myxoma Virus), ne aumenta la fitness rispetto alla risposta immunitaria dell’ospite.

Il risultato dello studio è di grande rilevanza poiché dimostra l’esistenza, tra i CoV, di un meccanismo evolutivo estremamente raffinato, potenzialmente in grado di conferire proprietà patogenetiche nuove e più vantaggiose a tali agenti infettivi e indica il valore dello studio delle malattie degli animali quali insostituibili modelli di comprensione della patologia nell’uomo.

Fonte: ISS




Trovate le varianti di SARS-CoV-2 nelle acque di scarico: la ricerca dell’ISS

“CS n°13/2021 – Trovate le varianti di SARS-CoV-2 nelle acque di scarico: la ricerca dell’ISS”

Lucentini: risultati importanti per esplorare la variabilità genetica del virus

Bonadonna: le potenzialità della sorveglianza sui reflui riconosciute nel Piano europeo contro le varianti

Le varianti del virus SARS-CoV-2 inglese e brasiliana sono state individuate per la prima volta nelle acque di scarico italiane.

La ricerca, prima in assoluto sulle varianti in reflui urbani in Italia e tra le prime al mondo, è stata condotta dal gruppo di lavoro coordinato da Giuseppina La Rosa* del Dipartimento Ambiente e Salute e da Elisabetta Suffredini del Dipartimento di Sicurezza Alimentare, Nutrizione e Sanità pubblica Veterinaria dell’ISS, in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico della Puglia e della Basilicata.   I risultati dello studio dimostrano che le acque di scarico posso essere un utile strumento per valutare la circolazione delle varianti di SARS-CoV-2 nei centri urbani.

Per consentire uno screening rapido, pratico e semplice delle varianti circolanti nella popolazione italiana è stato sviluppato, infatti, un metodo che prevede l’amplificazione e il sequenziamento di una parte del gene S contenente specifiche mutazioni in grado di caratterizzarle. Il metodo, testato inizialmente su campioni clinici (tamponi naso-faringei), è stato successivamente applicato all’analisi delle acque di scarico raccolte in fognatura prima dei trattamenti di depurazione. L’esame di questa matrice ha individuato, per la prima volta in campioni ambientali, la presenza di mutazioni caratteristiche delle varianti UK e brasiliana in alcune aree del nostro paese dove la circolazione di tali varianti era stata accertata in campioni clinici di pazienti CoViD-19.

In particolare sono state individuate sequenze con mutazioni tipiche di variante brasiliana e inglese in reflui raccolti a Perugia dal 5 all’8 febbraio e mutazioni tipiche della variante spagnola in campioni raccolti da impianti di depurazione a Guardiagrele, in Abruzzo dal 21 al 26 gennaio 2021.

“I nostri risultati – sottolinea Luca Lucentini, direttore del Reparto Qualità dell’Acqua e Salute – confermano le potenzialità della wastewater based epidemiology, non solo per lo studio dei trend epidemici, come già dimostrato in precedenti nostre ricerche e ormai consolidato nella letteratura scientifica, ma anche per esplorare la variabilità genetica del virus”.

“Le prospettive sono promettenti – dice Lucia Bonadonna, direttore del Dipartimento Ambiente e Salute dell’ISS – in particolare se pensiamo che la sorveglianza sui reflui è applicata in diversi paesi europei, anche se non ancora per la ricerca delle varianti. L’importanza della sorveglianza ambientale è stata riconosciuta, grazie anche al contributo dei risultati italiani, nel Piano europeo contro le varianti del COVID-19 (Hera incubator), che mira a rafforzare le difese dell’Unione davanti al crescente numero di mutazioni del virus”.

*gruppo di lavoro: Marcello Iaconelli, Giusy Bonanno Ferraro, Pamela Mancini e Carolina Veneri

Fonte: ISS




Il COVID-19 nella filiera produttiva della carne. Descrizione di un cluster in Trentino

coronavirusA cavallo tra fine agosto ed inizio settembre 2020  in provincia di Trento si è verificato un focolaio in alcune aziende appartenenti alla filiera della carne.

L’origine del focolaio è da ricondurre ad una delle 5 aziende coinvolte, molto carente dal punto di vista dell’implementazione delle misure
anticovid. Da questa azienda il contagio ha potuto diffondersi alle altre aziende a causa della condivisione della manodopera precaria fornita da diverse agenzie intermediarie. Nell’azienda che ha dato origine al focolaio la manodopera precaria interinale (“avventizia”19), rappresenta il 71% dei lavoratori. L’unica azienda rimasta indenne dal contagio aveva realizzato ottimali ed efficaci protocolli anticovid e non aveva lavoratori in comune con le altre aziende.

Durante una prima campagna di screening nelle prime settimane di settembre, dei 591 lavoratori testati 161 (27%) sono risultati positivi, una percentuale significativa, anche in considerazione della bassa prevalenza della positività nella popolazione generale all’epoca (percentuale di positività attorno al 2%). Nelle 3 aziende risultate carenti rispetto alle misure anticovid queste percentuali hanno raggiunto punte del 70-77%.

Considerato che la dinamica e le caratteristiche del focolaio COVID-19 nelle aziende della filiera della carne del Trentino, confermano alcuni aspetti generali della propagazione della pandemia e danno preziose indicazioni di prevenzione e controllo della pandemia nei settori lavorativi, anche oltre a quello specifico della carne, il personale del Dipartimento di Prevenzione APSS, Trento ha descritto gli interventi messi in atto, partendo dal contesto generale e proponendo spunti per l’azione futura.

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AMR: relazione sullo stato di avanzamento del piano d’azione dell’UE

Antibioticoresistenza

La Commissione europea ha pubblicato la sua quinta relazione sullo stato di avanzamento dell’attuazione del piano d’azione europeo One Health contro la resistenza agli antimicrobici, adottato nel giugno 2017. Gli obiettivi chiave di questo piano si basano su tre pilastri principali: rendere l’UE una regione esempio delle best practice; stimolare la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione, nonché dare forma all’agenda globale. Affrontare la resistenza antimicrobica attraverso un approccio One Health è una delle priorità per questa Commissione, come indicato nella lettera d’incarico del Commissario Kyriakides a novembre 2019.

La relazione sullo stato di avanzamento mostra che negli ultimi mesi è stata messa in atto una serie di iniziative in materia di resistenza antimicrobica. Ad esempio, la Commissione ha adottato nella strategia Farm to Fork un obiettivo volto a ridurre del 50% entro il 2030 le vendite complessive di antimicrobici per animali da allevamento e in acquacoltura dell’UE. Questo obiettivo sarà supportato dall’attuazione dei recenti regolamenti sui farmaci ad uso veterinario e mangimi medicati per i quali sono attualmente in fase di elaborazione atti delegati e di attuazione.

Un altro dei principali aggiornamenti del piano d’azione include la nuova decisione di esecuzione (UE) 2020/1729 della Commissione sul monitoraggio e la comunicazione dell’antibiotico resistenza nei batteri responsabili delle zoonosi e in quelli commensali. Anche la Strategia farmaceutica per l’Europa adottata di recente ha indicato la lotta contro la resistenza antimicrobica come un obiettivo chiave. La prossima relazione sullo stato di avanzamento dovrebbe essere pubblicata a metà del 2021.

Il testo della relazione (in inglese)

Fonte: DG Health and Food Safety




Casi di Campylobacter e Salmonella stabili nell’UE

In Europa il numero di casi di malattia provocata nell’uomo dai batteri Campylobacter e Salmonella sembra essersi stabilizzato negli ultimi cinque anni. È quanto emerge dall’ultima relazione sulle malattie zoonotiche dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC).

La campilobatteriosi, dal 2005 la malattia gastrointestinale più diffusa nell’Unione europea (UE), ha colpito oltre 220 000 persone nel 2019. La seconda malattia zoonotica segnalata con maggior frequenza nell’UE è stata la salmonellosi, che ha interessato circa 88 000 persone.

Dall’esame di 66 113 campioni di alimenti pronti al consumo, ossia alimenti che non necessitano di cottura prima di essere consumati, lo 0,3 % è risultato positivo a Salmonella, mentre su 191 181 campioni di alimenti non pronti al consumo è risultato positivo l’1,5 %. Diciotto dei 26 Stati membri che comunicano dati sui programmi di controllo di Salmonella nelle popolazioni di pollame hanno centrato tutti gli obiettivi di riduzione rispetto a quanto hanno fatto 14 Stati membri nel 2018.

Le altre malattie maggiormente segnalate sono state le infezioni da Escherichia coli produttore di tossine Shiga (STEC), yersiniosi e listeriosi. Dopo una lunga fase di incremento, i casi conclamati di listeriosi nell’uomo si sono stabilizzati nel periodo 2015-2019. Nel 2019 i casi segnalati sono stati 2 621 e hanno riguardato perlopiù soggetti di oltre 64 anni di età. A causa degli elevati tassi di ospedalizzazione (92 %) e di mortalità (17,6 %), si è rivelata la malattia zoonotica più grave.

Mediante la relazione vengono monitorati anche i focolai di malattie di origine alimentare nell’UE, ossia casi in cui almeno due persone contraggono la stessa malattia dopo aver consumato lo stesso cibo contaminato. Benché Salmonella sia rimasto l’agente riscontrato con maggior frequenza, responsabile di 926 focolai, il numero dei focolai dovuti a S. Enteritidis è diminuito. Le più comuni fonti di infezione da Salmonella sono state rappresentate da uova e ovoprodotti. I norovirus nel pesce e nei prodotti della pesca hanno provocato il più elevato numero di focolai (145) per i quali sono state riscontrate “solide evidenze” a sostegno di un’origine alimentare.

Nel 2019 sono stati registrati complessivamente 5 175 casi di focolai infettivi di origine alimentare, in calo del 12,3 % rispetto al 2018.

La relazione contiene dati riguardanti anche Mycobacterium bovis/capraeBrucellaYersiniaTrichinellaEchinococcusToxoplasma gondii, rabbia, febbre Q, virus della Valle del Nilo e tularemia.

Fonte: EFSA




Giornata mondiale per le Malattie Tropicali Neglette: presentata la road map dell’OMS con gli obiettivi 2021-2030

logo ISSL’ISS, da anni impegnato nella lotta contro l’echinococcosi cistica ed alveolare, aderisce al programma di prevenzione e controllo delle NTDs

Ridurre il numero di persone che necessitano di interventi contro le Malattie Tropicali Neglette (NTDs) e diminuirne gli anni di vita persi per disabilità (DALYs), eliminarne almeno una in 100 Paesi ed eradicarne totalmente almeno due nel mondo. Sono questi gli obiettivi globali fissati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nella road map per le NTDs 2021-2030 lanciata oggi, in occasione della Giornata Mondiale del 30 gennaio, con l’invito a tutti i governi ad aderire al piano programmatico.

L’ISS con il Centro di Collaborazione OMS ITA-107 ed il Reparto di Parassitosi alimentari e Neglette presso il Dipartimento di Malattie infettive è da tempo impegnato in prima linea, in un contesto di sanità pubblica internazionale, nel combattere due NTDs di rilevanza sia europea che globale, l’echinococcosi cistica ed alveolare.

“Anche l’Istituto aderisce alla road map dell’OMS – dice Adriano Casulli, parassitologo dell’ISS e direttore del WHO Collaborating Centre for the Epidemiology, Detection and Control of Cystic and Alveolar Echinococcosis – con l’obiettivo di aumentare la prevenzione ed il controllo di queste malattie infettive neglette per troppo tempo dimenticate. L’istituto ha condotto la più grande indagine ecografica di popolazione al mondo sull’echinococcosi cistica e avviato un sistema di sorveglianza per la creazione di un Registro clinico Internazionale, ERCE”.

Le NTDs sono un insieme diversificato di 20 malattie causate da virus, batteri, parassiti, funghi e tossine. Le NTDs hanno in comune il fatto di essere un gruppo di malattie tendenzialmente croniche e disabilitanti, molte delle quali prevenibili e curabili, ma che infettano in maniera sproporzionata le popolazioni povere e marginalizzate, specialmente se lontane dai sistemi sanitari. Colpiscono più di 1 miliardo di persone e causano più di mezzo milione di morti l’anno con conseguenze devastanti per la salute, ma anche con un profondo impatto sociale ed economico.

La nuova road map dell’OMS è stata elaborata attraverso un’ampia consultazione globale iniziata nel 2018 e culminata con l’approvazione del documento da parte degli Stati membri alla 73° Assemblea Mondiale della Sanità (WHA) nel novembre 2020.

Dal 2010 sono stati compiuti progressi significativi. Oggi, 500 milioni di persone non necessitano più di interventi contro diverse NTDs e 40 paesi hanno eliminato almeno una di queste malattie. La dracunculiasi è sull’orlo dell’eradicazione, con 54 casi umani segnalati in quattro paesi nel 2019; la filariosi linfatica e il tracoma sono stati eliminati come problema di salute pubblica rispettivamente in 16 e 9 paesi; l’oncocercosi è stata eliminata in quattro paesi nella regione delle Americhe; il numero annuale di casi di tripanosomiasi africana umana è sceso da oltre 7.000 nel 2012 a meno di 1.000 nel 2018, eclissando l’obiettivo originario di 2.000 casi entro il 2020; e il numero di nuovi casi di lebbra segnalati a livello globale ha continuato a diminuire dal 2010 a una media dell’1% all’anno dopo che la maggior parte dei paesi endemici ha raggiunto l’eliminazione come problema di salute pubblica (meno di un caso in cura per 10.000 abitanti).

“È necessaria un’azione programmatica continua – afferma l’OMS nel documento – in particolare nelle aree più povere. Serve pertanto uno stretto coordinamento e un’azione multisettoriale all’interno e al di fuori del settore sanitario, che comprende non solo il controllo dei vettori, come l’acqua e i servizi igienico-sanitari, ma anche, ad esempio, l’istruzione e la consapevolezza della salute pubblica”.

Durante la settimana del 30 gennaio in 35 paesi diversi, tra cui l’Italia, inclusi 23 paesi endemici per le NTDs, sono stati organizzati più di 90 eventi. Per tutte le informazioni si possono consultare i siti web

https://worldntdday.org/

https://www.who.int/news/item/11-01-2021-neglected-tropical-diseases-who-to-formally-launch-new-road-map-for-next-decade

L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) insieme alla Società Italiana di Parassitologia (SoIPa), la Società Italiana di Medicina Tropicale e Salute Globale (SIMET), la Società Italiana di Malattie Infettive e  Tropicali (SIMIT), la Fondazione Ivo De Carneri, l’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”, Sightsavers Italia Onlus, l’Associazione italiana amici di Raoul Follereau (AIFO), l’Università degli Studi di Milano (UniMI) ed il suo Centre for Multidisciplinary Research in Health Science (MACH) sono uniti nel riconoscere la rilevanza globale di queste malattie neglette e nel celebrarne, il 30 gennaio, la giornata mondiale.

#BeatNTDs #WorldNTDDay

 

Fonte: ISS




La proposta italiana per la sorveglianza viro-immunologica del COVID-19

Una rete di monitoraggio che costituirà la proposta italiana per la sorveglianza delle mutazioni responsabili delle infezioni emergenti e la valutazione dell’efficacia e della durata della vaccinazione. Oggi al Ministero della Salute è stata annunciata la nascita del Consorzio Italiano per la genotipizzazione e fenotipizzazione di SARS-CoV-2 e per il monitoraggio della risposta immunitaria alla vaccinazione. L’iniziativa è stata presentata nell’ambito del Tavolo Tecnico per la sorveglianza viro-immunologica di infezioni emergenti, istituito al Ministero della Salute lo scorso 19 gennaio su input del Vice Ministro della Salute Pierpaolo Sileri e con il coordinamento e la supervisione dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Il progetto vede il patrocinio dalla Società Italiana di Virologia che si farà parte attiva per riunire le competenze virologiche cliniche, di base, veterinarie e bioinformatiche presenti in Italia.

Alla conferenza stampa sono intervenuti Silvio Brusaferro, Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Giorgio Palù, Presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco, Giovanni Rezza, Direttore Generale della Prevenzione del Ministero della Salute, Arnaldo Caruso, Presidente Società Italiana di Virologia, Paola Stefanelli, Direttrice del Reparto Malattie Prevenibili da vaccino del Dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, e lo stesso Vice Ministro della Salute, Pierpaolo Sileri, che ha spiegato: “Il Consorzio sarà utile non solo per la pandemia attuale ma per il gruppo di ricerca che continuerà a lavorare sugli aspetti epidemiologici di eventuali nuove epidemie. Ne vivremo altre e bisogna esser pronti, come ha già spiegato più volte l’Organizzazione Mondiale della Sanità“.

L’efficacia dell’attuale campagna di vaccinazione per COVID-19 dipenderà dalle risposte immunitarie che il vaccino riuscirà a indurre nei soggetti vaccinati, dalla loro durata e dalla sensibilità delle varianti di SARS-CoV-2 circolanti alla neutralizzazione. Sono informazioni di grande importanza per le implicazioni nella protezione da infezioni contro le diverse varianti del virus e nel potenziale futuro decorso della pandemia. In aggiunta alle verifiche sulla sicurezza dei vaccini e sulla loro corretta conservazione e somministrazione messe in atto dall’AIFA, sarà necessario affrontare tutti i problemi legati ad un corretto e puntuale monitoraggio viro-immunologico.
Il Consorzio, promosso e sostenuto dal Ministero della Salute, sarà coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) con il compito di supervisione gli aspetti relativi ai controlli di qualità, alle elaborazioni dei dati epidemiologici-clinici, alla banca biologica.
Sarà costituito da una rete di laboratori identificati sull’intero territorio nazionale che provvederà a fornire su larga scala e rapidamente le sequenze del genoma SARS-CoV-2 circolanti in Italia, permettendo all’Istituto Superiore di Sanità di monitorare l’evoluzione genetica del virus e la durata dell’immunità indotta dai vaccini.

I dati ottenuti dai laboratori di riferimento saranno inviati all’ISS mediante opportuni report a flusso continuo e posti al vaglio di uno specifico Comitato Tecnico-Scientifico a supporto dell’ISS e dell’AIFA e facente capo al Ministero della Salute.
Tutti i dati ottenuti forniranno indicazioni sull’andamento della immunità conseguita in seguito alla somministrazione di vaccini a diversa formulazione e saranno fondamentali per monitorare e prevenire la diffusione sul territorio Nazionale di mutanti e/o varianti virali in grado di sfuggire alla risposta anticorpale evocata dai vaccini.
IL TAVOLO TECNICO
Il tavolo tecnico per la sorveglianza viro-immunologica di infezioni emergenti esamina ed individua risposte all’attuale emergenza epidemiologica da COVID-19 e ad eventuali future emergenze microbiche. Costituisce una core-facility, come già avviene in altri Paesi, per favorire l’approfondimento dell’evoluzione molecolare di SARS-CoV-2, il monitoraggio dell’insorgenza di mutazioni nel genoma virale, il loro impatto sulla struttura, patogenesi, virulenza e risposta immunitaria anticorpo e cellulo-mediata nei confronti del virus, soprattutto in considerazione dell’introduzione della vaccinazione di massa per COVID-19
Fonte: Ministero della Salute



Insetti commestibili e valutazione scientifica dei nuovi alimenti

 

Insetti

L’EFSA pubblica quest’oggi un insieme di pareri scientifici in esito a richieste di valutazione di nuovi alimenti. Tra i pareri compare la prima valutazione completa di un prodotto proposto come alimento derivato da insetti. Le valutazioni EFSA in termini di sicurezza sono una tappa necessaria per la regolamentazione dei nuovi alimenti in quanto la sua consulenza scientifica affianca il lavoro degli enti europei e nazionali che autorizzano tali prodotti per il mercato europeo.

Dall’entrata in vigore del regolamento sui nuovi alimenti il 1° gennaio 2018 l’EFSA ha ricevuto un gran numero di richieste di valutazione in merito a un’ampia varietà di fonti di alimenti sia tradizionali che inedite. Le richieste di valutazione includono prodotti erboristici derivati da piante, alimenti a base di alghe e frutti non autoctoni, oltre a diverse varietà di insetti commestibili.

La dott.ssa Helle Knutsen, biologa molecolare e tossicologa, è membro del gruppo di esperti dell’EFSA sulla nutrizione umana e presidente del gruppo di lavoro sui nuovi alimenti. Dichiara: “Le richieste di valutazione di nuovi alimenti sono talmente varie che abbiamo bisogno di competenze scientifiche diversificate per valutarle. Tanto per citarne alcune: nutrizione umana, tossicologia, chimica e microbiologia. La composizione del gruppo di lavoro le riflette e, insieme, i nostri scienziati formano un gruppo multidisciplinare di grande esperienza”.

Insetti commestibili

Ermolaos Ververis, chimico ed esperto EFSA in scienza degli alimenti che ha coordinato l’elaborazione del primo parere adottato su insetti usati come nuovi alimenti, ha dichiarato: “Gli insetti sono organismi complessi, e ciò rende problematica la caratterizzazione della composizione dei prodotti alimentari da essi derivati. Comprenderne la microbiologia è di fondamentale importanza, considerato anche che si consuma l’insetto intero.

Vari cibi derivati da insetti vengono spesso dichiarati fonte di proteine per l’alimentazione.

“Le formule a base di insetti possono essere ad elevato contenuto proteico, benché i livelli proteici utili possono risultare sovrastimati quando sia presente la chitina, una delle principali sostanze che compongono l’esoscheletro degli insetti. Un nodo fondamentale della valutazione è che molte allergie alimentari sono connesse alle proteine, per cui dobbiamo valutare anche se il consumo di insetti possa scatenare reazioni allergiche. Tali reazioni possono essere provocate dalla sensibilità individuale alle proteine di insetti, dalla reazione crociata con altri allergeni o da allergeni residuati da mangimi per insetti, ad esempio il glutine.

È un lavoro impegnativo perché la qualità e la disponibilità dei dati varia, e c’è molta diversità tra una specie di insetti e l’altra”.

Ci sono anche ragioni non di natura scientifica che rendono impegnativo lo studio dei nuovi alimenti.

“La marea di richieste di valutazione comporta una notevole mole di lavoro e i termini di scadenza delle valutazioni sono talvolta troppo ravvicinati, soprattutto se le richieste mancano di dati scientifici essenziali”, ha aggiunto la dott.ssa Helle.

“Ma la collaborazione tra esperti è stimolante, ed è gratificante sapere di contribuire a salvaguardare la sicurezza dei nostri cibi”.

Al di là della valutazione dei rischi scientifici

La novità di usare insetti nei cibi ha suscitato grande interesse da parte del pubblico e dei media, per cui le valutazioni scientifiche dell’EFSA sono cruciali per i responsabili politici che debbono decidere se autorizzare o meno tali prodotti prima della loro immissione sul mercato dell’UE.

Giovanni Sogari, ricercatore in ambito sociale e consumeristico all’Università di Parma, ha commentato: “Ci sono ragioni derivanti dalle nostre esperienze sociali e culturali, il cosiddetto ‘fattore disgusto’, che rendono il pensiero di mangiare insetti repellente per molti Europei. Con il tempo e l’esposizione tali atteggiamenti potranno mutare”.

Mario Mazzocchi, esperto di statistica economica e docente presso l’Università di Bologna, ha affermato: “Ci sono chiari vantaggi ambientali ed economici nel sostituire le fonti tradizionali di proteine animali con quelle che richiedono meno mangime, producono meno rifiuti e provocano meno emissioni di gas serra. L’abbassamento di costi e prezzi potrebbe migliorare la disponibilità di alimenti, mentre la nuova domanda creerà nuove opportunità economiche, che potrebbero però interferire con i settori esistenti”.

Gli scienziati EFSA continueranno a inserire le numerose richieste di valutazione di nuovi alimenti nella loro agenda, mentre i responsabili delle decisioni a Bruxelles e nelle capitali nazionali decideranno se tali alimenti debbano essere autorizzati per finire nei piatti europei. In definitiva i consumatori potranno scegliere con fiducia ciò che mangiano, ben sapendo che la relativa sicurezza è stata accuratamente verificata.

Fonte: EFSA

Insetti




Influenza suina, un nuovo virus cinese sotto la lente dei veterinari

In tempo di pandemia la soglia di attenzione dei media e dell’opinione pubblica verso tutto ciò che è “virale” e di provenienza “asiatica” è molto alta. In questi giorni è stato pubblicato e diffuso uno studio di ricercatori cinesi sulla circolazione di un nuovo virus influenzale nei suini, che per le sue capacità diffusive viene tenuto sotto controllo dai veterinari e dai virologi di tutto il mondo. Attualmente non ci sono evidenze della possibile presenza del virus nelle carni o nei prodotti derivati dei suini, se non come contaminazione superficiale. I laboratori dell’Istituto zooprofilattico seguono l’evoluzione della malattia per scoprire se e quando il virus potrebbe giungere in Italia.

Diversi virus influenzali tipo A, appartenenti generalmente ai sottotipi H1N1, H3N2 e H1N2, circolano nella popolazione suina mondiale, provocando frequentemente forme respiratorie in questa specie, senza per questo trasmettersi all’uomo.

Il virus recentemente isolato (virus G4), come altri virus influenzali suini, possiede la capacità di legarsi ai recettori alpha 2-6 che sono presenti nelle vie respiratorie dell’uomo e del suino. Uno studio condotto in furetti ha rilevato che il virus G4 presenta una capacità di trasmissione tramite aerosol superiore agli altri virus suini e simile al virus pandemico del 2009. Il centro di Riferimento OIE per l’influenza suina della sede territoriale di Parma ed il laboratorio di Virologia della Sede Centrale dell’Istituto Zooprofilattico (IZSLER), procedono sistematicamente all’isolamento dei virus provenienti dal territorio analizzandone anche le caratteristiche e confrontandole con i ceppi isolati nel resto del mondo. Dati del laboratorio OIE di riferimento per l’influenza suina dell’IZSLER, ottenuti dal sequenziamento di 347 ceppi H1N1 isolati dal suino nel periodo 2017-2020 in Italia, escludono che tra questi siano compresi stipiti appartenenti al nuovo H1N1 descritto dai ricercatori cinesi.

Non ci sono per altro evidenze che questo nuovo ceppo virale H1N1 si comporti diversamente dagli altri virus influenzali circolanti nella popolazione suina, dove l’infezione è esclusivamente respiratoria, senza viremia (quindi senza la presenza di particelle virali nel circolo ematico) o diffusione del virus ai muscoli o agli organi commestibili. La contaminazione occasionale di carne o organi attraverso le secrezioni respiratorie di animali infetti al momento della macellazione, con modeste quantità di virus, è comunque possibile. Occorre anche sottolineare che la possibilità di avere animali che eliminano il virus all’età di macellazione, in particolare nella realtà Italiana dove si produce prevalentemente il suino pesante, con età non inferiore a 9 mesi, è evenienza non frequente.

In ogni caso, se ingerito con il cibo, il virus deve superare diversi ostacoli come il PH acido dello stomaco e sali biliari nel duodeno, che sono dannosi per il virus stesso. Non ci sono prove che i tessuti del tratto gastrointestinale umano possano servire da porta di accesso o organo bersaglio per i virus influenzali di questo tipo.

Quando il cibo o i prodotti alimentari vengono riscaldati si verifica una rapida inattivazione del virus e a 70°C il virus viene inattivato in pochi secondi. Le evidenze poc’anzi riportate e descritte nel parere EFSA pubblicato nel 2010 proprio sul tema della sicurezza alimentare in relazione alla circolazione del virus H1N1 pandemico del 2009, sottolineano come la trasmissione dei virus influenzali del suino riconosca prevalentemente la via respiratoria tramite aerosol contenente particelle virali, mentre, anche se non può essere escluso nel caso di consumo di carne cruda, non è dimostrata la trasmissione dei virus dell’influenza suina attraverso il consumo di carne di maiale trasformata e altri prodotti derivati.

Allo stato attuale non ci sono evidenze della circolazione del virus G4 nella popolazione suina e nell’uomo al di fuori della Cina. L’evoluzione dei virus influenzali nelle specie animali viene seguita attentamente dai veterinari e dai virologi di tutto il mondo.

Fonte: IZS Lombardia ed Emilia-Romagna