Basso rischio di infezione parassitaria in gran parte delle specie ittiche allevate nelle acque europee

pesciBuone notizie per i consumatori di pesce europei: c’è un parassita di cui non si devono preoccupare quando consumano pesce d’allevamento prodotto dalla maricoltura d’Europa. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista «Eurosurveillance», il rischio correlato a questo parassita, chiamato Anisakidae, è trascurabile per il pesce di mare allevato in Europa. L’aumento della domanda di prodotti ittici in Europa e le nuove tendenze alimentari che prevedono il consumo di pesce crudo o poco cotto potrebbero avere aumentato la nostra esposizione ai parassiti dei pesci. Il diritto europeo richiede pertanto l’applicazione di un trattamento di congelamento ai prodotti ittici destinati a essere consumati crudi o poco cotti. L’unica specie esente da tale trattamento è il salmone atlantico per il quale, come dimostrato dagli studi precedenti, il rischio che contenga parassiti è molto basso. Con il sostegno del progetto ParaFishControl, finanziato dall’UE, lo studio in questione si è dunque concentrato sulla presenza di parassiti di Anisakidae zoonotici, ovvero trasmessi dagli animali agli esseri umani, nelle specie ittiche marine più allevate in Europa, ad esclusione del salmone atlantico. L’Anisakidae è una famiglia di vermi nematodi parassiti presenti nell’intestino degli animali. Se questi vermi vengono ingeriti da una persona tramite il consumo di pesce crudo o poco cotto, le loro larve possono provocare una malattia chiamata anisachiasi. Identificata per la prima volta negli esseri umani nel 1960, questa malattia è considerata una grave minaccia per la salute umana ed è la causa di migliaia di sindromi invasive e allergiche correlate in tutto il mondo, come affermato dallo studio.

Le specie ittiche studiate

I ricercatori hanno valutato il rischio di presenza del parassita Anisakidae zoonotico in orate, branzini, rombi chiodati e trote iridee marine allevati nei mari europei. Da marzo 2016 a novembre 2018 sono stati analizzati in totale 6 549 pesci marini: 2 753 orate, 2 761 branzini e 1 035 rombi chiodati. I campioni sono stati raccolti da 14 allevamenti in Grecia, Spagna e Italia. In aggiunta, sono stati esaminate 200 trote iridee provenienti dalla Danimarca, oltre a 290 branzini e 352 orate importati in Spagna e in Italia da Croazia, Grecia e Turchia. Secondo lo studio, l’orata, il branzino e il rombo chiodato «rappresentano il 95 % della produzione della maricoltura dell’UE, escludendo il salmone atlantico, e vengono allevati quasi interamente in 19 paesi mediterranei, tra cui Grecia, Spagna e Italia sono i più importanti produttori dell’UE». Data l’assenza di vermi di Anisakidae zoonotici nel pesce esaminato, il gruppo di ricerca ha scoperto che il rischio di infezione è trascurabile per la gran parte delle specie ittiche prodotte dalle attività della maricoltura europea. Gli autori dello studio concludono: «Orate, branzini, rombi chiodati e trote iridee marine allevati dovrebbero pertanto essere considerati adatti, al pari del salmone atlantico, a beneficiare dell’esenzione dal trattamento di congelamento previsto dal regolamento UE 1276/2011 per i prodotti di itticoltura, nella forma di “prodotti della pesca che vanno consumati crudi o praticamente crudi; oppure i prodotti della pesca marinati, salati e qualunque altro prodotto della pesca trattato, se il trattamento praticato non garantisce l’uccisione del parassita vivo”». Il progetto ParaFishControl (Advanced Tools and Research Strategies for Parasite Control in European farmed fish) si è concluso a marzo 2020. Il suo obiettivo generale è stato rendere il settore dell’acquacoltura europea più sostenibile e competitivo. Per raggiungerlo, il progetto ha migliorato la comprensione scientifica delle interazioni tra pesci e parassiti, trovando modi per evitare, controllare e mitigare la presenza dei parassiti più pericolosi che interessano le specie ittiche maggiormente allevate in Europa.

Per ulteriori informazioni, consultare: sito web del progetto ParaFishControl

Fonte: Commissione Europea




Influenza Aviaria – EFSA: 25 paesi UE/SEE interessati

Circa 1 000 rilevamenti di influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) sono stati segnalati in 25 Paesi UE/SEE e nel Regno Unito tra l’8 dicembre 2020 e il 23 febbraio 2021, si segnala in un recente rapporto sull’HPAI in Europa.

La maggior parte dei 1 022 rilevamenti – 592 – sono stati segnalati negli allevamenti di pollame, il resto in uccelli selvatici e uccelli in cattività. La maggior parte dei rilevamenti sono stati segnalati dalla Francia tra le anatre.

A causa della continua presenza di virus HPAI negli uccelli selvatici e nell’ambiente, c’è tuttora rischio di ulteriore diffusione, principalmente nelle aree ad alta densità di pollame.

In Russia sono stati segnalati nell’uomo sette casi di infezione da virus A(H5N8) HPAI, con sintomi lievi o nulli, tra addetti del settore pollame.

Il rischio di infezione legato al virus dell’influenza aviaria A(H5N8) rimane molto basso per la popolazione dell’UE/SEE in genere e basso per le persone esposte al virus per motivi professionali.

Rimane la possibilità che emergano nuovi ceppi con un maggiore potenziale di infettare gli esseri umani, ma a oggi non c’è evidenza di alcuna mutazione nota per il suo potenziale zoonotico.

Maggiori informazioni sulla situazione in Russia si possono reperire nel rapporto pubblicato questa settimana dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie.

Fonte: EFSA




Casi di Campylobacter e Salmonella stabili nell’UE

In Europa il numero di casi di malattia provocata nell’uomo dai batteri Campylobacter e Salmonella sembra essersi stabilizzato negli ultimi cinque anni. È quanto emerge dall’ultima relazione sulle malattie zoonotiche dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC).

La campilobatteriosi, dal 2005 la malattia gastrointestinale più diffusa nell’Unione europea (UE), ha colpito oltre 220 000 persone nel 2019. La seconda malattia zoonotica segnalata con maggior frequenza nell’UE è stata la salmonellosi, che ha interessato circa 88 000 persone.

Dall’esame di 66 113 campioni di alimenti pronti al consumo, ossia alimenti che non necessitano di cottura prima di essere consumati, lo 0,3 % è risultato positivo a Salmonella, mentre su 191 181 campioni di alimenti non pronti al consumo è risultato positivo l’1,5 %. Diciotto dei 26 Stati membri che comunicano dati sui programmi di controllo di Salmonella nelle popolazioni di pollame hanno centrato tutti gli obiettivi di riduzione rispetto a quanto hanno fatto 14 Stati membri nel 2018.

Le altre malattie maggiormente segnalate sono state le infezioni da Escherichia coli produttore di tossine Shiga (STEC), yersiniosi e listeriosi. Dopo una lunga fase di incremento, i casi conclamati di listeriosi nell’uomo si sono stabilizzati nel periodo 2015-2019. Nel 2019 i casi segnalati sono stati 2 621 e hanno riguardato perlopiù soggetti di oltre 64 anni di età. A causa degli elevati tassi di ospedalizzazione (92 %) e di mortalità (17,6 %), si è rivelata la malattia zoonotica più grave.

Mediante la relazione vengono monitorati anche i focolai di malattie di origine alimentare nell’UE, ossia casi in cui almeno due persone contraggono la stessa malattia dopo aver consumato lo stesso cibo contaminato. Benché Salmonella sia rimasto l’agente riscontrato con maggior frequenza, responsabile di 926 focolai, il numero dei focolai dovuti a S. Enteritidis è diminuito. Le più comuni fonti di infezione da Salmonella sono state rappresentate da uova e ovoprodotti. I norovirus nel pesce e nei prodotti della pesca hanno provocato il più elevato numero di focolai (145) per i quali sono state riscontrate “solide evidenze” a sostegno di un’origine alimentare.

Nel 2019 sono stati registrati complessivamente 5 175 casi di focolai infettivi di origine alimentare, in calo del 12,3 % rispetto al 2018.

La relazione contiene dati riguardanti anche Mycobacterium bovis/capraeBrucellaYersiniaTrichinellaEchinococcusToxoplasma gondii, rabbia, febbre Q, virus della Valle del Nilo e tularemia.

Fonte: EFSA




Trovate le varianti di SARS-CoV-2 nelle acque di scarico: la ricerca dell’ISS

“CS n°13/2021 – Trovate le varianti di SARS-CoV-2 nelle acque di scarico: la ricerca dell’ISS”

Lucentini: risultati importanti per esplorare la variabilità genetica del virus

Bonadonna: le potenzialità della sorveglianza sui reflui riconosciute nel Piano europeo contro le varianti

Le varianti del virus SARS-CoV-2 inglese e brasiliana sono state individuate per la prima volta nelle acque di scarico italiane.

La ricerca, prima in assoluto sulle varianti in reflui urbani in Italia e tra le prime al mondo, è stata condotta dal gruppo di lavoro coordinato da Giuseppina La Rosa* del Dipartimento Ambiente e Salute e da Elisabetta Suffredini del Dipartimento di Sicurezza Alimentare, Nutrizione e Sanità pubblica Veterinaria dell’ISS, in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico della Puglia e della Basilicata.   I risultati dello studio dimostrano che le acque di scarico posso essere un utile strumento per valutare la circolazione delle varianti di SARS-CoV-2 nei centri urbani.

Per consentire uno screening rapido, pratico e semplice delle varianti circolanti nella popolazione italiana è stato sviluppato, infatti, un metodo che prevede l’amplificazione e il sequenziamento di una parte del gene S contenente specifiche mutazioni in grado di caratterizzarle. Il metodo, testato inizialmente su campioni clinici (tamponi naso-faringei), è stato successivamente applicato all’analisi delle acque di scarico raccolte in fognatura prima dei trattamenti di depurazione. L’esame di questa matrice ha individuato, per la prima volta in campioni ambientali, la presenza di mutazioni caratteristiche delle varianti UK e brasiliana in alcune aree del nostro paese dove la circolazione di tali varianti era stata accertata in campioni clinici di pazienti CoViD-19.

In particolare sono state individuate sequenze con mutazioni tipiche di variante brasiliana e inglese in reflui raccolti a Perugia dal 5 all’8 febbraio e mutazioni tipiche della variante spagnola in campioni raccolti da impianti di depurazione a Guardiagrele, in Abruzzo dal 21 al 26 gennaio 2021.

“I nostri risultati – sottolinea Luca Lucentini, direttore del Reparto Qualità dell’Acqua e Salute – confermano le potenzialità della wastewater based epidemiology, non solo per lo studio dei trend epidemici, come già dimostrato in precedenti nostre ricerche e ormai consolidato nella letteratura scientifica, ma anche per esplorare la variabilità genetica del virus”.

“Le prospettive sono promettenti – dice Lucia Bonadonna, direttore del Dipartimento Ambiente e Salute dell’ISS – in particolare se pensiamo che la sorveglianza sui reflui è applicata in diversi paesi europei, anche se non ancora per la ricerca delle varianti. L’importanza della sorveglianza ambientale è stata riconosciuta, grazie anche al contributo dei risultati italiani, nel Piano europeo contro le varianti del COVID-19 (Hera incubator), che mira a rafforzare le difese dell’Unione davanti al crescente numero di mutazioni del virus”.

*gruppo di lavoro: Marcello Iaconelli, Giusy Bonanno Ferraro, Pamela Mancini e Carolina Veneri

Fonte: ISS




SARS-CoV-2 nei visoni: raccomandazioni per migliorare il monitoraggio

logo-efsaIn un nuovo rapporto si raccomanda il rilevamento precoce di SARS-CoV-2 (coronavirus) negli allevamenti di visoni dell’Unione europea come obiettivo prioritario delle attività di monitoraggio.

Il rapporto, redatto dall’EFSA e dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), propone alcune strategie di monitoraggio che contribuiranno a prevenire e controllare la diffusione della malattia.  Vi si conclude che tutti gli allevamenti di visoni vanno considerati a rischio di SARS-CoV-2 e che il monitoraggio dovrebbe comprendere, oltre alla sorveglianza passiva da parte di allevatori e veterinari, misure attive come test sugli animali e sul personale.

Il rapporto è stato richiesto dalla Commissione europea in seguito ai focolai epidemici di SARS-CoV-2 verificatisi negli allevamenti di visoni in vare parti d’Europa nel 2020.

Al gennaio 2021 il virus era stato rilevato in 400 allevamenti di visoni in otto Paesi dell’UE/SEE, di cui 290 in Danimarca, 69 nei Paesi Bassi, 21 in Grecia, 13 in Svezia, 3 in Spagna, 2 in Lituania, 1 in Francia e in Italia.

Fonte: EFSA




Cambiamenti climatici, trasmessa a Bruxelles la strategia nazionale di lungo periodo

Bandiera Unione EuropeaIl documento individua le azioni per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Costa: “Italia in prima linea per raggiungere i target di Parigi”

Riduzione della domanda di energia, grazie soprattutto al calo della mobilità privata e dei consumi in ambito civile. Decisa accelerazione delle rinnovabili e della produzione di idrogeno. Potenziamento e miglioramento delle superfici verdi, per aumentare la capacità di assorbimento di CO2. Sono le tre direttrici fondamentali della Strategia Nazionale di lungo periodo, che il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare ha trasmesso alla Commissione Europea.

La strategia è stata elaborata nell’ambito degli impegni dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici che invita i Paesi firmatari a comunicare entro il 2020 le proprie “Strategie di sviluppo a basse emissioni di gas serra di lungo periodo” al 2050.

“L’Italia – ha commentato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa – con l’elaborazione di questa Strategia si conferma fra i paesi più attivi e motivati per il raggiungimento del target della Cop 21, che è quello di mantenere il riscaldamento globale entro il limite di 1,5/2 gradi. Siamo consapevoli che per raggiungere la cosiddetta neutralità climatica entro 30 anni saranno necessarie scelte coraggiose e profondi cambiamenti nel tessuto socio-economico come nei nostri stili di vita. Ma la sfida climatica è la sfida strategica per il futuro dell’umanità e non possiamo permetterci di perderla”.

La Strategia nazionale di lungo termine individua i possibili percorsi per raggiungere, nel nostro Paese, al 2050, una condizione di “neutralità climatica”, nella quale le residue emissioni di gas a effetto serra sono compensate dagli assorbimenti di CO2. Un obiettivo in linea con quello indicato dalla Presidente della Commissione UE Commissione Ursula Von der Leyen, nella sua Comunicazione sul Green Deal europeo, ha tracciato una strategia di crescita verso “un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva che nel 2050 non genererà emissioni nette di gas a effetto serra”.

La strategia prende le mosse dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), che indica il percorso fino al 2030, “trascinando” fino al 2050 le conseguenti tendenze energetico-ambientali virtuose. Vengono quindi individuate le tipologie di leve attivabili per raggiungere al 2050 la neutralità climatica: una riduzione spinta della domanda di energia, legata in particolare ad un calo dei consumi per la mobilità privata e dei consumi del settore civile; un cambio radicale nel mix energetico a favore delle rinnovabili (FER), coniugato ad una profonda elettrificazione degli usi finali e alla produzione di idrogeno; un aumento degli assorbimenti garantiti dalle superfici forestali (compresi i suoli forestali) ottenuti attraverso la gestione sostenibile, il ripristino delle superfici degradate e interventi di rimboschimento.

L’intervento, incisivo, su queste tre leve si renderà necessario perché il mero “trascinamento” delle tendenze attuali, per quanto virtuoso, sarebbe insufficiente a centrare il target fissato per il 2050.

È necessario, perciò, prevedere un sostanziale cambio del “paradigma energetico italiano” che, inevitabilmente, passa per investimenti e scelte che incidono sulle tecnologie da applicare, sulle infrastrutture ma anche sugli stili di vita dei cittadini. E’ una trasformazione importante e radicale come quella prospettata dalla Strategia di lungo periodo che dovrà permeare tutte le politiche pubbliche, in un percorso di ampia condivisione. Primi passi in tal senso sono stati effettuati con la trasformazione del CIPE, Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica, in CIPESS, Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e lo Sviluppo Sostenibile e con l’avvio del Green Deal.

Per chiudere il gap emissivo e arrivare alla neutralità climatica saranno necessarie scelte politiche a elevato impatto sociale ed economico, tecnologie ancora non pronte in parte perseguibili solo su base europea, nonché una condivisione a livello internazionale del processo di decarbonizzazione. Per tenere conto degli sviluppi su tutti questi fronti, ferme restando le tendenze di fondo individuate, la Strategia, elaborata in linea con il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) deve essere considerata uno strumento “dinamico”, che avremo modo di aggiornare e integrare, anche per tenere pienamente conto dei processi di revisione degli obbiettivi energetico-ambientali nazionali attualmente in corso a livello europeo, e delle scelte conseguenti che si faranno per un rilancio economico in chiave sostenibile con il Piano per la Ripresa e la Resilienza.

La Strategia Nazionale di lungo periodo è consultabile al seguente link. Sono inoltre consultabili i seguenti allegati: Allegato 1 – Dettagli della Consultazione PubblicaAllegato 2 – Dettagli sulle tecnologie di decarbonizzazione.

Fonte: Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare




Il cambiamento climatico ha modificato la distribuzione dei pipistrelli favorendo la comparsa del virus SarsCov2

Il riscaldamento globale potrebbe avere favorito l’emergere del virus SarsCoV2. Lo indica la ricerca dell’università di Cambridge pubblicata sulla rivista Science of the total environment, che per la prima volta stabilisce un collegamento fra le condizioni climatiche delle foreste nel Sud della Cina e la comparsa di nuovi coronavirus veicolati dai pipistrelli.

La ricerca ha studiato i cambiamenti su larga scala avvenuti nella vegetazione della provincia meridionale cinese dello Yunnan, nel Myanmar e in Laos. Con l’aumento delle temperature, della luce solare e dell’anidride carbonica nell’atmosfera, il cambiamento climatico ha modificato gli habitat naturali, dalla savana tropicale alle foreste decidue, che sono così diventati gli ambienti adatti per molte specie delle specie di pipistrelli che vivono nelle foreste.

I ricercatori hanno infatti riscontrato che, rispetto alla media, sono aumentate del 40% le specie di pipistrelli che nell’utimo secolo si sono spostate nel Sud della Cina, dove sono stati isolati più di 100 tipi di coronavirus che hanno origine nei pipistrelli. Questa zona è inoltre quella in cui i dati genetici suggeriscono che possa essere nato il coronavirus SarsCoV2.

Il cambiamento climatico degli ultimi 100 anni ha reso la provincia dello Yunnan l’habitat ideale per più specie di pipistrelli“, commenta Robert Beyer, primo autore dello studio. Poiché il clima ha modificato gli habitat, le specie hanno lasciato delle aree spostandosi in altre, portandosi i virus con sé. “Sono cambiate così le regioni dove erano presenti i virus e – osserva . sono diventate possibili nuove interazioni tra gli animali e i patogeni, facendo evolvere alcuni virus in modo da rendendoli più dannosi nel trasmettersi“.

Nel mondo ci sono circa 3.000 i tipi di coronavirus veicolati dai pipistrelli finora noti e ogni specie di questi mammiferi ne ospita in media 2,7, senza quasi mai mostrare sintomi. Il cambiamento climatico ha inoltre aumentato il numero di specie di pipistrelli in Africa Centrale, Centro e Sud America. “Servono limiti all’espansione delle aree urbane e agricole – dicono i ricercatori – e bisogna cercare spazi negli habitat naturali per ridurre il contatto tra umani e animali che veicolano malattie“.

Fonte: ANSA




Consulenza scientifica EFSA base per futura etichettatura armonizzata su parte anteriore confezioni alimentari

Gli esperti EFSA in materia di nutrizione umana forniranno consulenza scientifica su cui si baserà l’elaborazione di un futuro sistema a dimensione UE per l’etichettatura nutrizionale sulla parte anteriore delle confezioni per alimenti. La loro consulenza fungerà inoltre da base scientifica per l’introduzione di condizioni particolari per l’impiego di indicazioni nutrizionali e sulla salute da apporre sui prodotti alimentari.

In base al piano d’azione per la strategia UE dal produttore al consumatore, la Commissione europea intende presentare, entro la fine del 2022, una proposta di etichettatura nutrizionale armonizzata e obbligatoria, destinata alla parte anteriore delle confezioni alimentari, e di definizione di profili nutrizionali onde limitare la promozione di alimenti ad alto tenore di sostanze come ad esempio sale, zuccheri e/o grassi.

La Commissione europea ha chiesto all’EFSA di fornire consulenza scientifica in materia di:

Nel mandato non viene chiesto all’EFSA di sviluppare un modello per la definizione di profili nutrizionali né consulenza sugli attuali modelli di profilazione già in uso per scopi diversi.

Per lo studio gli esperti EFSA si avvarranno di informazioni scientifiche recenti, tra cui anche:

L’EFSA dovrà consegnare il proprio parere scientifico entro marzo del 2022. Entro la fine del 2021 verrà indetta una consultazione pubblica sul parere in bozza.

Fonte: EFSA




Covid: studio, seconda ondata inevitabile per effetti climatici

Cambiamenti climaticiLa “seconda ondata” della pandemia potrebbe non avere nulla a che vedere con la mancanza di prudenza o di adeguate misure di controllo. Secondo uno studio condotto da Talib Dbouk e Dimitris Drikakis, ricercatori dell’Università di Nicosia a Cipro, avere due focolai all’anno durante una pandemia è praticamente inevitabile, a causa dell’impatto delle temperature, dell’umidità e del vento.

I risultati, pubblicati sulla rivista Physics of Fluids, evidenziano che sebbene le mascherine, le restrizioni dei viaggi e le linee guida per il distanziamento sociale aiutino a rallentare la crescita dei nuovi contagi a breve termine, a giocare un ruolo chiave a lungo termine sono soprattutto gli effetti climatici.

Per questo, gli studiosi sostengono che bisognerebbe incorporarli nei modelli epidemiologici.

Attualmente i modelli per prevedere il comportamento di un’epidemia contengono solo due parametri di base: la velocità di trasmissione e la velocità di recupero. Questi tassi tendono a essere trattati come costanti, ma Dbouk e Drikakis pensano che in realtà non sia così. Secondo gli studiosi, temperatura, umidità relativa e velocità del vento giocano tutti un ruolo significativo.

Per questo, gli studiosi suggeriscono di modificare i modelli in modo che tengano conto anche di queste condizioni climatiche.

I ricercatori hanno chiamato questa nuova variabile Indice del tasso di infezione nell’aria (Air). Quando hanno applicato l’indice AIR ai modelli di Parigi, New York City e Rio de Janeiro, hanno scoperto che prediceva accuratamente il momento della seconda epidemia in ciascuna città, suggerendo che due focolai all’anno sono un fenomeno naturale.

Inoltre, il comportamento del virus a Rio de Janeiro è risultato nettamente diverso dal comportamento del virus a Parigi e New York, a causa delle variazioni stagionali negli emisferi settentrionale e meridionale, coerenti con i dati reali. Gli autori sottolineano l’importanza di tenere conto di queste variazioni stagionali quando si progettano misure per la gestione della pandemia.

“Proponiamo che i modelli epidemiologici debbano incorporare gli effetti climatici attraverso l’indice AIR”, dice Drikakis. “I lockdown nazionali o i lockdown su larga scala non dovrebbero essere basati su modelli di previsione a breve termine che escludono gli effetti della stagionalità meteorologica“, aggiunge. “In caso di pandemia, dove non è disponibile una vaccinazione massiccia ed efficace, la pianificazione del governo dovrebbe essere a lungo termine, considerando gli effetti meteorologici e progettando di conseguenza le linee guida per la salute e la sicurezza pubblica“, sottolinea Dbouk. Man mano che la temperatura aumenta e l’umidità diminuisce, Drikakis e Dbouk si aspettano un altro miglioramento nel numero di infezioni, sebbene notino che le linee guida su uso mascherine e su distanziamento sociale dovrebbero continuare a essere seguite con le opportune modifiche basate sul clima.

Fonte: AGI




Il COVID-19 nella filiera produttiva della carne. Descrizione di un cluster in Trentino

coronavirusA cavallo tra fine agosto ed inizio settembre 2020  in provincia di Trento si è verificato un focolaio in alcune aziende appartenenti alla filiera della carne.

L’origine del focolaio è da ricondurre ad una delle 5 aziende coinvolte, molto carente dal punto di vista dell’implementazione delle misure
anticovid. Da questa azienda il contagio ha potuto diffondersi alle altre aziende a causa della condivisione della manodopera precaria fornita da diverse agenzie intermediarie. Nell’azienda che ha dato origine al focolaio la manodopera precaria interinale (“avventizia”19), rappresenta il 71% dei lavoratori. L’unica azienda rimasta indenne dal contagio aveva realizzato ottimali ed efficaci protocolli anticovid e non aveva lavoratori in comune con le altre aziende.

Durante una prima campagna di screening nelle prime settimane di settembre, dei 591 lavoratori testati 161 (27%) sono risultati positivi, una percentuale significativa, anche in considerazione della bassa prevalenza della positività nella popolazione generale all’epoca (percentuale di positività attorno al 2%). Nelle 3 aziende risultate carenti rispetto alle misure anticovid queste percentuali hanno raggiunto punte del 70-77%.

Considerato che la dinamica e le caratteristiche del focolaio COVID-19 nelle aziende della filiera della carne del Trentino, confermano alcuni aspetti generali della propagazione della pandemia e danno preziose indicazioni di prevenzione e controllo della pandemia nei settori lavorativi, anche oltre a quello specifico della carne, il personale del Dipartimento di Prevenzione APSS, Trento ha descritto gli interventi messi in atto, partendo dal contesto generale e proponendo spunti per l’azione futura.

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