«Rabbia: una salute, zero decessi». 16ᵃ Giornata mondiale contro la rabbia

workshop rabbia

Il 28 settembre 2022 ricorre la 16ᵃ Giornata Mondiale contro la Rabbia. Il tema di quest’anno “Rabies: One Health, Zero Deaths” (Rabbia: una salute, zero decessi) mette in evidenza la connessione tra la salute dell’ambiente e quella delle persone e degli animali.

Una salute
La pandemia di COVID-19 ha mostrato le forti vulnerabilità dei sistemi sanitari, ma ha anche dimostrato cosa può ottenere la collaborazione tra i vari settori.

I programmi di controllo della rabbia offrono un ottimo esempio per l’attuazione di One Health e le strutture e la fiducia che le sostengono sono cruciali per altre malattie zoonotiche, comprese quelle soggette a pandemia.

Zero morti
Il mondo ha i vaccini, le medicine, gli strumenti e le tecnologie per interrompere il ciclo di una delle malattie più antiche.

Zero entro il 30: il piano strategico globale per l’eliminazione delle morti per rabbia umana mediate dai cani entro il 2030 è un documento ambizioso con obiettivi raggiungibili. È allineato con il nuovoRoad map NTD che dà priorità agli interventi integrati e al mainstreaming dei programmi NTD all’interno dei sistemi sanitari nazionali.

Gli approcci integrati sostenuti sia nel Piano strategico globale per la rabbia che nella tabella di marcia sono rilevanti, poiché mostrano l’importanza di lavorare insieme in modo ottimale e collaborativo di fronte a numerose sfide, come sperimentato durante l’attuale pandemia di COVID-19.

È quindi fondamentale lavorare con le parti interessate, i campioni e le persone a livello comunitario, locale, nazionale e globale per ricostruire e rafforzare i sistemi sanitari e i programmi di controllo della rabbia.

Collaborando e unendo le forze, stimolando le comunità e impegnandosi a sostenere la vaccinazione dei cani, la rabbia può essere eliminata.

Fonte: WHO




Stop all’import in Ue di alimenti con residui di pesticidi nocivi per api

apicolturaL’Ue va verso il divieto di importare alimenti con residui di pesticidi nocivi per le api. È la prima volta che l’Unione Europea – e più in generale un membro Wto – impone limitazioni all’import di alimenti sulla base di una questione ambientale e non per motivi di salute dei consumatori.

L’uso all’aperto dei due insetticidi, appartenenti alla classe dei neonicotinoidi, è vietato nell’Ue dal 2018. «Dato il loro impatto negativo sugli impollinatori di tutto il mondo, comprese le api, l’uso di questi due neonicotinoidi è già stato vietato nell’Ue – ha spiegato la commissaria competente Stella Kyriakides –. Oggi facciamo un ulteriore passo avanti, contribuendo alla transizione verso sistemi alimentari sostenibili anche a livello mondiale».

Secondo il regolamento proposto dalla Commissione europea e approvato oggi dagli Stati membri, per queste sostanze si applicheranno limiti massimi di residui al livello più basso misurabile, non solo sui prodotti alimentari made in Ue ma anche su quelli importati.
La Commissione aveva notificato la misura al Wto nei mesi scorsi e dieci grandi partner commerciali, dal Giappone agli Usa, dal Brasile al Sudafrica, hanno pubblicamente bocciato l’iniziativa.
Il regolamento sarà sottoposto al Consiglio e al Parlamento, che hanno due mesi di tempo per reagire. Se le due istituzioni non si opporranno, sarà adottato all’inizio del 2023.




Nuova funzionalita’ VETINFO – Allevamenti Autorizzati alle movimentazioni

portale VetinfoE’ attiva nella Banca Dati Nazionale la nuova funzionalità per gli allevamenti autorizzati alle movimentazioni.

Le autorizzazioni si riferiscono agli animali delle specie indicate, detenuti per ingrasso, transumanza, pascolo, monticazione, vita e riproduzione, movimentati tra territori nazionali con differente status sanitario per la prevenzione della diffusione di infezioni da Brucella abortus, Brucella melitensis, Brucella suis, da complesso MTBC e da Leucosi bovina enzootica.
La funzionalità è attiva al percorso <Anagrafiche -> Allevamenti autorizzati alle movimentazioni> all’interno della Banca Dati Nazionale.

Il Manuale descrive la funzionalità per i Servizi Veterinari per l’inserimento e la consultazione degli allevamenti autorizzati.

Scarica il Manuale

Fonte: Ministero della Salute




Kyriakides, allineare etichette nutrizionali e di origine

E’ arrivato il momento di “allineare” i diversi sistemi di etichettatura in Europa, tenendo conto sia del “parere dell’Efsa che sottolinea il ruolo della dieta mediterranea”, sia del fatto che i consumatori preferiscono etichette nutrizionali “semplici e colorate”.

Lo ha detto la Commissaria Ue alla salute Stella Kyriakides durante il pranzo dei ministri dell’agricoltura Ue, in cui si è discusso in particolare del Nutriscore.

“Molti di voi hanno introdotto raccomandazioni o leggi nazionali sull’etichettatura nutrizionale sulla parte anteriore della confezione, l’origine di determinati alimenti e l’etichettatura delle bevande alcoliche – ha sottolineato Kyriakides – tuttavia, questi sistemi non sono allineati” e “possono creare confusione nei consumatori, ostacoli alla libera circolazione delle merci e costi aziendali aggiuntivi”.

“Sarete quindi d’accordo sul fatto che è giunto il momento di una soluzione europea”, ha aggiunto.

“Stiamo attualmente finalizzando un’approfondita valutazione d’impatto” per “la “futura proposta di revisione delle norme”, ha spiegato Kyriakides, tenendo conto del “parere dell’Efsa che sottolinea il ruolo della dieta mediterranea” e degli studi del Centro comune di ricerca della Commissione “che dimostrano come i consumatori generalmente apprezzino le etichette nutrizionali sulla parte anteriore della confezione e utilizzino in modo più efficace quelle semplici e colorate”.

Fonte: ansa.it




Casi di Listeriosi alimentare segnalati in diverse regioni

Listeria monocytogenesResta alta l’attenzione del Ministero della salute a seguito dell’aumento di casi clinici di listeriosi alimentare registrati in diverse regioni italiane, dovuti alla contaminazione di alimenti da parte del batterio Listeria monocytogenes. Le verifiche, effettuate dal gruppo di lavoro istituito dal Ministero della Salute per fronteggiare la diffusione del batterio, hanno rilevato una correlazione tra alcuni dei casi clinici e la presenza del ceppo di Listeria ST 155 in wϋrstel a base di carni avicole prodotti dalla ditta Agricola Tre Valli – IT 04 M CE. La presenza è stata confermata anche da campionamenti effettuati presso lo stabilimento.

Ritiro dei prodotti alimentari da parte degli operatori

L’azienda ha avviato tutte le misure a tutela del consumatore con il ritiro dei lotti risultati positivi (1785417 e 01810919) e, in applicazione del principio di massima precauzione, di tutti quelli prodotti prima del 12 settembre 2022. Ha inoltre messo in atto una comunicazione rafforzativa di quanto già indicato sui prodotti direttamente nei punti vendita.

Al momento sono in atto ulteriori indagini anche su altre matrici e su altri tipi di prodotti che potrebbero essere correlati ai casi umani di listeriosi.

Che cos’è e dove si trova il batterio Listeria

Listeria monocytogenes, responsabile della listeriosi, è un batterio ubiquitario che può essere presente nel suolo, nell’acqua e nella vegetazione e può contaminare diversi alimenti come, latte, verdura, formaggi molli, carni poco cotte, insaccati poco stagionati. La principale via di trasmissione per l’uomo è quella alimentare. Bambini e adulti sani possono essere occasionalmente infettati, ma raramente sviluppano una malattia grave a differenza di soggetti debilitati, immunodepressi e nelle donne in gravidanza in cui la malattia è più grave.

La gravità della sintomatologia varia sensibilmente in funzione della dose infettante e dello stato di salute dell’individuo colpito. Si va da forme simil-influenzali o gastroenteriche, accompagnate a volte da febbre elevata fino, nei soggetti a rischio, a forme setticemiche, meningiti o aborto.

Listeria monocytogenes resiste molto bene alle basse temperature e all’essiccamento, in alimenti conservati a temperatura di refrigerazione (4°C). È invece molto sensibile alle usuali temperature di cottura domestica degli alimenti.

Cosa fare: igiene in cucina e cottura degli alimenti

Il Ministero della Salute invita i consumatori a prestare massima attenzione alle corrette modalità di conservazione, preparazione e consumo degli alimenti, nel caso specifico dei würstel, indicate in modo preciso nell’etichetta presente sulla confezione, che normalmente comportano la cottura prima del consumo.

L’adozione di semplici regole di igiene nella manipolazione degli alimenti, anche a livello domestico, riduce infatti il rischio di contrarre la malattia.

In particolare:

  • lavarsi spesso le mani, pulire frequentemente tutte le superfici e i materiali che vengono a contatto con gli alimenti (utensili, piccoli elettrodomestici, frigorifero, strofinacci e spugnette);
  • conservare in frigorifero gli alimenti crudi, cotti e pronti al consumo in modo separato e all’interno di contenitori chiusi;
  • cuocere bene gli alimenti seguendo le indicazioni del produttore riportate in etichetta;
  • non preparare con troppo anticipo gli alimenti da consumarsi previa cottura (in caso contrario conservarli in frigo e riscaldarli prima del consumo);
  • non lasciare i cibi deperibili a temperatura ambiente e rispettare la temperatura di conservazione riportata in etichetta.

Fonte: Ministero della Salute




Uova sostenibili ed economiche? Sono oggi possibili, grazie alle larve di mosca soldato nera

uova

Abbattere le emissioni di gas serra derivate dalla filiera avicola e offrire ai consumatori uova più sostenibili è oggi possibile e può essere persino conveniente, sia per i produttori che per i consumatori. Uno strumento particolarmente promettente per ottenere questo risultato è l’allevamento delle mosche soldato nere. Questi insetti, infatti, consentono di fornire alle galline ovaiole mangimi proteici senza nessun dispendio energetico, impiegando solo rifiuti organici. Lo dimostra la startup innovativa di Cambridge (UK) Better Origin che, come racconta il notiziario Great Italian Food Trade, negli ultimi mesi ha fornito alla catena di supermercati Morrisons, la quinta nel Regno Unito, mangime destinato alle galline ovaiole tramite micro allevamenti di mosche soldato nutrite con scarti alimentari.

La mosca soldato nera (Hermetia illucens), di cui abbiamo già parlato, è diversa dalla mosca domestica ed è tra le pochissime specie non autoctone di insetti che è possibile allevare in Ue. Nell’ultimo decennio l’interesse nei suoi confronti è cresciuto notevolmente, perché si è scoperto che la sua larva è capace di convertire gli scarti organici, inclusi i sottoprodotti di origine vegetale e animale (compreso il letame), in materie prime per mangimi, fertilizzanti, biodiesel, cosmetici.

I vantaggi di quest’operazione sono importanti. In primo luogo 1.500 tonnellate all’anno di rifiuti vengono trasformati in proteine. Inoltre la sostituzione della soia con le larve autoprodotte evita l’emissione di 5.737 tonnellate all’anno di anidride carbonica, riduzione che arriverebbe a 33 mila tonnellate l’anno se Morrisons estendesse quest’approccio a tutti i fornitori di uova con il suo marchio. L’eliminazione dell’uso di soia proveniente dal Brasile, poi, comporta anche una riduzione delle deforestazioni, visto che le proteine offerte dai 10 box di Better Origin corrispondono a circa 56 ettari di terra coltivata a soia in Sud America.

Si tratta insomma di un progetto molto efficiente, che sarebbe raccomandabile esportare, anche in considerazione del fatto che la stessa Fao indica il settore avicolo come la prima fonte al mondo di proteine animali, con un consumo che negli ultimi 60 anni è quintuplicato e per il quale prevede un aumento ulteriore. Gli insetti, da sempre nella dieta di queste specie, hanno un ruolo essenziale nello sviluppo di una zootecnia più sostenibile da tutti i punti di vista, anche quello del prezzo pagato a scaffale dai consumatori, visto che i prodotti in questione sono venduti a meno. Come abbiamo raccontato in un precedente articolo, una sperimentazione di questo tipo di alimentazione è stata condotta lo scorso anno anche in Italia, dall’Università di Torino.

In prospettiva, poi, nel rispetto di appositi disciplinari a garanzia della sicurezza alimentare, queste larve potranno anche venire autorizzate come novel food ed essere quindi ammesse nell’alimentazione umana. Su tale fronte, reso in Europa certamente più complesso dalla mancanza di una tradizione legata al consumo umano di insetti, le prime specie sono già state autorizzate (larva della farina, grillo domestico e locusta migratoria).  La scorsa estate la Commissione Ue si è espressa sul suo profilo Twitter promuovendo gli insetti come cibo nutriente e salutare, utile in una dieta sana e sostenibile, mentre in Italia sottosegretario alle Politiche agricole Gian Marco Centinaio ha commentato le dichiarazioni della Commissione contrapponendo i nuovi alimenti ai prodotti della tradizione made in Italy.

Non c’è però alcuna competizione. I novel food si possono tranquillamente affiancare agli alimenti classici della tradizione. Lo conferma anche la scelta della prima azienda autorizzata a commercializzare in Italia alimenti contenenti ingredienti derivati dagli insetti. Fucibo, questo il nome dell’azienda, ha infatti scelto di introdurre la polvere di larva della farina miscelandola come arricchimento proteico in alimenti diffusi e conosciuti. Il primo passo è stato il lancio degli snack avvenuto lo scorso aprile. Quest’estate sono invece stati proposti dall’azienda i primi biscotti: una ricetta a base di farina di mais, con un contenuto di farina di larve tra il 6% nella versione classica e il 5% in quella al cacao.

Fonte: ilfattoalimentare.it




Tutto si tiene in Sanità

Il Presidente Onorario SIMeVeP, Dott. Aldo Grasselli, è intervenuto nella giornata del 21 settembre alla SESSIONE MONDO SANITÀ della Summer School 2022.
Partendo dal tema One Health, ormai inseparabile dal concetto di One World come ci ha insegnato la Pandemia Covid-19, il dott. Grasselli ha poi toccato temi molto caldi per il futuro del nostro pianeta; dai cambiamenti climatici alla trasformazione degli habitat; dalle città rifugio per animali infestanti all’antibiotico resistenza; dalla diminuzione delle scorte idriche di acqua dolce data anche dall’uso necessario negli allevamenti intensivi alla tutela della biodiversità. Il dott. Grasselli ha concluso affermando che è necessario far convergere le azioni sanitarie della medicina umana e veterinaria, esigendo da parte di tutti i paesi mondiali trasparenza nel segnalare tempestivamente le malattie umane e animali per intraprendere le necessarie azioni preventive e protettive.

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Non solo carne, arrivano anche i formaggi sintetizzati in laboratorio

Nei laboratori europei non si stanno sperimentando solo le alternative “sintetiche” alla carne, ma anche ai formaggi. Nel futuro prossimo dovremo dunque abituarci ad assaporare caciotte e yogurt il cui latte non proviene direttamente dalla mammelle di una mucca o di una pecora? La possibilità si sta facendo sempre più concreta, come spiega un articolo pubblicato dal quotidiano britannico Times che è andato a testare gli esperimenti in corso presso l’azienda Better Dairy, nella zona est di Londra. Nei suoi uffici un team di scienziati sta cercando di creare prodotti lattiero-caseari in condizioni di laboratorio.

Alternative vegane

L’idea alla base non è quella di offrire alimenti vegetariani o vegani alternativi, come il latte d’avena o hamburger a base di piselli e ceci, ma di realizzare cibi il cui gusto riproduca esattamente quello di origine animale, rendendolo indistinguibile al palato umano rispetto all’originale. A spingere per questa rivoluzione alimentare ci sarebbe la lotta al cambiamento climatico. Secondo le Nazioni Unite nel 2015 l’industria lattiero-casearia ha prodotto oltre 1.700 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Quasi quanto la Russia, il quarto Paese che inquina di più. Caposaldo di queste sperimentazioni è la biologia sintetica, che è l’ambito in cui si è specializzato Christopher Reynolds, co-fondatore di Better Dairy, con l’ex collega universitario Jevan Nagarajah.

Milioni di fondi

L’azienda, grazie ad un finanziamento di 22 milioni di dollari, ha potuto rapidamente ampliare il suo team da nove a venticinque persone trasferendosi anche in un laboratorio più spazioso dove si produce la caseina, la proteina che conferisce ai formaggi morbidezza ed elasticità. Gli scienziati dapprima hanno osservato il genoma delle mucche per vedere come la producono, in seguito hanno riprogrammato geneticamente i microbi del lievito per ricrearla sinteticamente. “Se si pensa a un microrganismo come a un codice, si può iniziare a tagliare il codice e a spostarlo dentro e fuori”, ha spiegato Nagarajah.

Fermentazione di precisione

Come funziona questa riprogrammazione? Gli scienziati parlano di fermentazione di precisione: ossigenano i microrganismi e li alimentano con zucchero, affinché sia stimolati a produrre determinate molecole. In sostanza vengono fatti fermentare proprio come avviene con le colture per produrre birra. Dalla miscela zuccherina che si crea vanno ad estrarre la caseina. Alle proteine del latte vengono poi aggiunti altri due ingredienti: zuccheri e grassi. Infine si fa stagionare il tutto proprio come succede nella produzione di un normale formaggio. Nel laboratorio di Better Dairy, in corso d’opera, hanno apportato una correzione, sostituendo il lattosio, a cui molte persone sono intolleranti, con zuccheri di origine vegetale al fine di ampliare il proprio pubblico. “Questo non fa alcuna differenza per il prodotto finale, ma significa che possiamo abbassare il livello di colesterolo. L’idea che sta alla base del nome Better Dairy è che, facendo quello che stiamo facendo, si potrebbe ottenere un prodotto migliore dei latticini” sostiene il co-fondatore.

Assaggi insoddisfacenti

Secondo il giornalista del Times, però, “l’azienda non è ancora all’altezza del suo nome”. Sia la loro versione di cheddar che di gouda non avrebbero “un gran sapore”. Secondo il responsabile, l’assenza di gusto deriverebbe da una stagionatura troppo breve pari a un solo un mese. Solo la terza tipologia assaggiata avrebbe avuto, secondo l’autore dell’articolo, una consistenza ed un gusto che si avvicinano ad un cheddar di fascia economica. L’azienda starebbe tentando di imitare anche formaggi tipici italiani come il gorgonzola e la mozzarella, uno dei latticini più esportati dall’Italia, spesso imitato male nel nostro Paese anche quando prodotto con latte vero. Prima di poter essere commercializzati nel Regno Unito, questi alimenti dovranno essere approvati dalla Food Standards Agency e da enti equivalenti in altri Paesi, che però a livello Ue potrebbero impedirne la diffusione sotto la dicitura di “formaggi”.

Dovrebbe invece essere più semplice il via libera negli Stati Uniti, dove “diverse aziende hanno già immesso sul mercato prodotti che utilizzano la fermentazione di precisione, che si tratti di proteine del latte, proteine dell’uovo o gelatina” come dichiara l’imprenditore britannico. Secondo i calcoli, questi formaggi sintetici costerebbero all’inizio circa il doppio rispetto ai loro equivalenti naturali, ma ci sarebbe già una nicchia di clienti disposti a spendere di più. L’obiettivo è quello nel tempo di abbassare i costi e di estendere la propria fetta di mercato. Se questo avvenisse per le varie start-up che stanno realizzando esperimenti analoghi a livello globale, gli scossoni per l’industria lattiero-casearia, accusata in questi anni di sfruttare eccessivamente gli animali con allevamenti intensivi e ritmi produttivi folli, potrebbero essere notevoli e profondi. Secondo studi sul settore alimentare sono circa 600 milioni le persone nel mondo che lavorano in queste aziende, mentre altri 400 milioni sono connesse economicamente a questo settore. Lo sconvolgimento sociale potrebbe essere enorme.
Fonte: Agrifoodtoday.it



Etichettatura degli alimenti, la discussione in Europa

Etichettatura alimentiVolontaria o obbligatoria? Per tutti gli step della filiera o solo per alcune fasi? Univoca o declinata sulle esigenze dei singoli Paesi? Prosegue il confronto europeo sull’etichettatura degli alimenti.

Come quella delle uova, i consumatori europei concordano: ci vuole un’etichettatura anche per tutti gli altri alimenti.

Perché si possa scegliere con consapevolezza un prodotto, conoscendone l’impatto sul benessere e sulla saluta degli animali. Alla luce di questa richiesta di maggior chiarezza da parte dei consumatori, l’intergruppo europeo ha discusso le varie opzioni disponibili per un sistema armonizzato con l’UE, in modo che i consumatori comprendano e distinguano tra le varie indicazioni proposte.

Una discussione propedeutica, che anticipa strategicamente la proposta legislativa per un regolamento sull’etichettatura che la Commissione dovrebbe pubblicare alla fine del 2023, anticipata da una valutazione d’impatto prevista per la fine del 2022.  Claudia Salzborn, esperta presso l’Accademia per la protezione degli animali, Deutscher Tierschutzbund, ha chiaramente dichiarato la sua preferenza per un’etichettatura obbligatoria, realizzata per livelli (sulla base di standard ben precisi, da quelli minimi a quelli premium) e che ‘racconti’ tutta la filiera, senza escludere trasporto e macellazione (due fasi che invece non vengono valutate nella proposta di etichettatura tedesca). Per Salzborn, inoltre l’etichettatura, dovrebbe riguardare tutti i prodotti (compresi quelli dell’acquacoltura e quelli importati). Nel corso del dibattito, l’eurodeputata Anja Hazekamp (La Sinistra, NL) avanza un ulteriore dubbio: gli allevamenti intensivi devono essere inclusi in questa etichettatura?  Il dubbio è che i consumatori, vedendoli etichettati, potrebbero erroneamente concludere che queste aziende stiano agendo nel pieno rispetto del benessere animale (benché la loro etichettatura sia al livello più basso, quello che indica soltanto il rispetto degli standard minimi di legge). Per l’eurodeputata Manuela Ripa, infine, è giusto sottolineare ancora l’esigenza di un sistema univoco a livello europeo, per non confondere i consumatori. Tanti i temi sul tappeto: per questo Sarah Wiener (The Greens, AT) ha proposto la creazione di un gruppo di lavoro per dare una risposta a dubbi richieste avanzati.

Fonte: Vet33.it




Per sfamare il pianeta dovremmo allevare roditori?

 Per sfamare una popolazione mondiale in continua crescita in maniera sostenibile dovremmo allevare i roditori? Ne parla un articolo di Giovanni Ballarini su Georgofili.info, notiziario di informazione a cura dell’Accademia dei Georgofili

Cutty Sark è il nome di uno delle più famose navi a vela veloci adibite al trasporto delle merci sulle rotte oceaniche (da New York a San Francisco via Capo Horn), utilizzate fin sul finire del XIX secolo prima della ferrovia transcontinentale americana e l’apertura del Canale di Panama. Una leggenda su questa nave racconta che l’equipaggio non soffriva di scorbuto, perché durante la navigazione il cibo a bordo veniva  integrato con i ratti, le cui carni contengono vitamina C. Secondo la leggenda, si tratta di un’abitudine  dei marinai di origine africana, che seguivano antiche abitudini alimentari delle terre d’origine, dove i topi e i ratti sono denominati ‘quaglie dei poveri’.

Mangiare piccoli animali non è comunque una cosa così strana. Ad esempio nel Medioevo europeo l’alimentazione a base di carne comprendeva: cervi, caprioli, daini e altri grandi ruminanti destinati ai signori, mentre cinghiali e maiali erano per commercianti e artigiani. Il popolo si accontentava delle carni minute di una miriade di piccoli animali che comprendevano conigli e altri roditori, uccelli di ogni taglia dai colombi ai passeri, gatti e altre bestiole catturate con i più diversi mezzi. Oggi il solo pensiero di mangiare un topo o un ratto innesca una forte reazione di disgusto nella maggior parte degli occidentali, ma per molte persone nel mondo un roditore è una delizia culinaria come ha fatto notare anche Karl Gruber (*).

Cibarsi di roditori non è quindi una nuova tendenza: le cavie sono i primi roditori addomesticati e allevati in Perù nel 2.500 a. C. In Cina, durante la dinastia Tang (618-907 d.C.), i ratti sono denominati cervi domestici e si mangiano anche appena nati ripieni di miele, in una maniera che ricorda i ghiri al miele degli antichi romani. Roditori di piccola taglia non sono quindi sgraditi ma ricercati anche dai ricchi. I ratti sono un alimento anche in alcuni Paesi dell’Indocina. In Sud e Centro America diverse specie di roditori sono molto apprezzate in cucina anche in preparazioni gastronomiche e alcune sono allevate in modo simile agli animali domestici.

I ratti della canna da zucchero (Thryonomys swinderianus), presenti in tutta l’Africa occidentale e centrale, sono roditori che raggiungono i sessanta centimetri di lunghezza e un peso di dieci chilogrammi. Sono cacciati come altri animali selvatici o allevati in Benin, Togo, Camerun, Costa d’Avorio, Gabon, Ghana, Nigeria, Senegal e altri paesi. Per i curiosi, sono già serviti in alcuni ristoranti africani in Europa, a Londra come a Parigi.  L’agouti (Dasyprocta punctata), il capibara (Hydrochoerus hydrochoerus) e la nutria (Myocastor coypus) sono trasformati in piatti in diversi paesi dell’America Latina. In Perù il cuy, cavia o porcellino d’India (Cavia porcellus), è una prelibatezza gastronomica. In Italia istrici e scoiattoli sono stati a lungo tempo considerati cibo. In molti paesi e regioni, la carne di roditori è quindi una componente della dieta delle persone, non solo dei poveri, ed è apprezzata per il suo gusto.

I roditori sono l’ordine di mammiferi più numeroso in termini di specie (probabilmente non in termini di biomassa), comprendente circa il 43% delle specie totali attualmente esistenti. Il loro successo è dovuto alla piccola taglia, al breve ciclo riproduttivo e all’abilità di rosicchiare e mangiare un’ampia varietà di cibo. L’uso alimentare dei roditori da parte dell’uomo è quasi esclusivamente un fenomeno culturale e per questo, almeno nelle molte aree del mondo dove questi animali già da tempo immemorabile sono consumati come cibo, alcuni esperti suggeriscono che allevare e mangiare roditori potrebbe essere una soluzione per alleviare i problemi di fame e malnutrizione. Un’idea non nuova, perché secondo un rapporto della Fao, almeno undici specie di roditori sono utilizzate in tutto il Centro e Sud America come fonti di carne, e un numero simile di specie viene consumato in Africa, creando allevamenti di animali di piccola taglia, ma di grande produttività e con la capacità di usare alimenti di scarto e sottoprodotti non competitivi con l’alimentazione umana.

Secondo le stime della Fao, la popolazione sulla Terra dovrebbe raggiungere i nove miliardi entro il 2050, richiedendo un aumento del 50% della produttività alimentare, soprattutto di carne. I roditori potrebbero essere un modo per contribuire ad affrontare il problema di un pianeta che non può sostenere la prevista domanda di proteine della carne. Questi animali potrebbero essere trasformati in cibo, in modo analogo a quanto sta avvenendo per gli insetti. Tutto questo considerando gli importanti se non determinanti aspetti culturali , sapendo che per una parte della popolazione mondiale mangiare roditori non sarebbe una novità, ma un ‘ritorno al futuro’.

Fonte: ilfattoalimentare.it