Influenza aviaria: in aumento i casi negli uccelli selvatici, cresce l’attenzione anche verso i mammiferi

Dopo gli eventi di spillover in visoni allevati cresce l’attenzione delle autorità sanitarie verso mutazioni del virus H5N1 che potrebbero favorirne il passaggio ai mammiferi e all’uomo.

L’evoluzione della situazione dell’influenza aviaria a livello globale negli ultimi mesi ha sollevato una certa preoccupazione fra la comunità scientifica internazionale. Dopo i casi confermati di trasmissione del virus H5N1 ad alta patogenicità (HPAI) dagli uccelli in alcune specie di mammiferi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale (Woah) hanno invitato tutti i paesi ad innalzare il livello di allerta sull’arrivo di una nuova pandemia di influenza nella popolazione umana sostenuta da un virus di origine aviare.

Secondo i dati epidemiologici del Centro di referenza nazionale ed europeo per l’influenza aviaria presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), in Italia la circolazione del virus H5N1 fra gli uccelli selvatici è in aumento, con il rischio che questi possano trasmettere il virus agli allevamenti avicoli. Il ministero della Salute ha diramato pochi giorni fa una nota, indirizzata a tutti i Servizi veterinari regionali e agli Istituti Zooprofilattici italiani, in cui ravvisa la necessità di rafforzare la sorveglianza dei volatili selvatici e l’applicazione delle misure di biosicurezza negli allevamenti avicoli.

“La diffusione del ceppo H5N1 HPAI fra gli uccelli selvatici è in aumento, in Italia come nel resto del mondo – dichiara Calogero Terregino, direttore del Centro di referenza per l’influenza aviaria – Nel nostro paese, i casi di H5N1 HPAI nell’avifauna interessano principalmente Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia. Il ministero della Salute ha evidenziato come tale situazione costituisca un rischio costante per gli allevamenti di volatili domestici, considerato che alcune zone ad elevata densità avicola coincidono con le aree dove attualmente si rilevano casi di HPAI nei selvatici. Come Centro di referenza stiamo monitorando l’evoluzione dell’epidemia su tutto il territorio nazionale con estrema attenzione, per evitare che si verifichi una situazione come nell’inverno 2021-2022.”

La situazione in Italia

Negli uccelli selvatici a partire da settembre 2022 sono stati ufficialmente confermati 79 casi di positività fra gabbiani (19), alzavole (13), germani (10) e in altri esemplari di rapaci e anatidi. Molti altri casi sospetti nei gabbiani sono in corso di conferma presso l’IZSVe. Il persistere di casi nei selvatici evidenzia la continua circolazione di H5N1 sul territorio italiano in linea con quanto sta avvenendo in altri paesi europei ed extra europei in cui si registra un aumento di casi anche nel pollame e nei mammiferi selvatici, e in cui sono stati segnalati anche sporadici casi in mammiferi domestici.

Negli uccelli domestici la situazione è più favorevole, dopo la drammatica ondata epidemica di H5N1 HPAI che ha investito prevalentemente il nordest nell’inverno 2021-2022, con 317 focolai negli allevamenti. L’ultimo focolaio nel pollame risale infatti al 23 dicembre 2022, portando a 30 il numero dei casi confermati da settembre 2022. I focolai sono stati riscontrati principalmente in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna.

“La situazione negli allevamenti è migliorata rispetto a un anno fa – afferma il dott. Terregino – grazie anche all’intenso lavoro portato avanti dal ministero della Salute in collaborazione con le Regioni e le Asl coinvolte, il Centro di referenza nazionale per l’influenza aviaria e i rappresentanti del mondo produttivo. La collaborazione fra le parti ha permesso di affrontare e migliorare le principali criticità riscontrate, rafforzando in particolare la sorveglianza negli uccelli selvatici e rendendo più efficaci le strategie di prevenzione e la gestione dei focolai negli allevamenti.”

Il rischio di trasmissione nei mammiferi

In Italia non sono stati registrati casi tra i mammiferi, tuttavia sono previste attività di monitoraggio anche in queste specie, in particolare nelle aree umide frequentate da uccelli selvatici potenzialmente infetti.

Il virus H5N1, come molti altri i virus respiratori, è molto plastico e il suo tasso di mutazione genetica è piuttosto elevato. Alcuni ceppi del virus H5N1 (clade 2.3.4.4b) attualmente circolanti fra gli uccelli hanno mostrato mutazioni considerate segni di adattamento ai mammiferi. Alcuni animali, come i visoni, potrebbero consentire il riassortimento genetico di diversi virus influenzali, da cui possono emergere varianti virali più pericolose per gli animali e l’uomo. Sono attualmente in corso presso i laboratori del Centro di referenza per l’influenza aviaria dell’IZSVe studi per approfondire le caratteristiche genetiche e biologiche del ceppo identificato nei visoni in Spagna.

La sorveglianza genetica consente non solo di identificare correttamente il virus ma anche di studiarne le mutazioni. Gli studi finora condotti dall’IZSVe indicano un’evoluzione solo parziale del virus che, per il momento, non è in grado di causare un contagio inter-umano. Non si può escludere però che il virus in futuro possa acquisire caratteristiche tali da renderlo trasmissibile da uomo a uomo. Una delle armi più efficaci per individuare tempestivamente questa eventualità è la condivisione delle sequenze genetiche fra i membri della comunità scientifica, in modo da seguire l’evoluzione del virus nel tempo e nello spazio e capire se si verificano mutazioni che favoriscono la replicazione nei mammiferi.

I rischi per l’uomo

Sebbene colpisca principalmente il pollame e gli uccelli selvatici, l’influenza aviaria può anche se solo occasionalmente essere trasmessa ai mammiferi, compreso l’uomo. Dalla sua comparsa nel 1996 in un allevamento di oche in Cina, il virus H5N1 ha provocato casi di infezione anche tra gli esseri umani in diversi Paesi del mondo, ma con una frequenza sporadica e in particolari condizioni. Ad oggi non sono stati rilevati casi di trasmissione inter-umana del virus H5N1.

I virus aviari non sono in grado di contagiare con facilità l’uomo, nella maggior parte dei casi le infezioni da H5N1 sono avvenute in persone a stretto contatto con volatili infetti in aree molto povere, in condizioni di forte pro­miscuità e scarsa igiene, senza un’opportuna consapevolezza della presenza del­la malattia e dei rischi ad essa associati. Esistono categorie professionali più esposte al rischio, come allevatori avicoli, veterinari, macellatori, trasportatori. Per questi soggetti, che potrebbero venire in contatto più frequentemente con uccelli infetti o morti di influenza aviaria, è previsto un monitoraggio sanitario in caso di epidemia ed è raccomandabile la vaccinazione contro l’influenza umana, come misura per prevenire fenomeni di ricombinazione genetica tra il virus stagionale umano e il virus dell’influenza aviaria.

Fonte: IZS Venezie




Intervista al Presidente SIMeVeP sull’ influenza aviaria nei mammiferi

Presidente Sorice, in Gran Bretagna è allarme aviaria: qual è la situazione in Italia?

«Attualmente, in Italia, i focolai di influenza aviaria sono limitati ad alcune Regioni, come il Veneto, l’Emilia-Romagna e la Lombardia. Questa tipologia di influenza può colpire sia gli animali selvatici, che quelli di allevamento. Ma è tra i primi che, in questo momento, i sistemi di sorveglianza, disposti dai servizi veterinari di tutta Italia, riscontrano il maggior numero di positività».

C’è chi teme un salto di specie, che l’aviaria possa essere trasmessa da uomo a uomo come accaduto per il Sars-CoV-2. È una paura legittima?

«È piuttosto normale che ci si ponga questa domanda dopo quanto accaduto con il virus Sars- CoV2, che ci si interroghi sulla possibilità che le patologie che si originano nel mondo animale possano avere un impatto sanitario sull’uomo. Il virus dell’influenza aviaria rilevato nel corso degli ultimi due anni è definito ad alta patogenicità. E per questo specifico virus è già avvenuto un primo salto di specie: sono diversi i casi riscontrati tra gli esseri umani. Ma in nessuna parte del mondo è stata mai segnalata una trasmissione da uomo a uomo, ovvero quel passaggio che nel caso del Covid-19 ha scatenato la pandemia globale. Ma, nonostante l’aviaria venga attualmente trasmessa solo dall’animale all’uomo e non da un uomo all’altro, è necessario mantenere alto il livello di sorveglianza, così da poter intercettare precocemente eventuali mutazioni del virus».

Quali sono le strategie adottate in Italia per monitorare la diffusione dell’aviaria?

«Attualmente il virus dell’aviaria è diffuso sia in Italia che in Europa, con una presenza più marcata in Francia, Germania e nei Paesi dell’Est. Nel nostro Paese giunge tendenzialmente attraverso le rotte migratorie degli animali selvatici che scendono dalla Russia e dal Nord Europa verso l’Italia e i paesi più caldi. Questi volatili possono trasportare il virus senza ammalarsi. Di conseguenza, particolari attività di sorveglianza vengono svolte in prossimità di tali rotte migratorie e monitoraggi più generali, invece, sono attuati negli allevamenti dal nord al sud della Penisola».

In che modo si monitora e sorveglia?

«Le azioni svolte sono molteplici: si va dalla raccolta e l’analisi dei selvatici rinvenuti morti, ai tamponi sugli animali presenti negli allevamenti. Questi esami consentono di intercettare il prima possibile l’eventuale presenza del virus, sia negli animali selvatici che allevati, adottando in modo altrettanto tempestivo misure di messa in sicurezza e contenimento della diffusione del virus in ambito veterinario».

Quali misure vengono adottate in presenza di un focolaio di aviaria

«Esistono in tutte le regioni d’Italia, sulla base di indicazioni dettate dal Ministero della Salute, dei piani specifici di contrasto alle emergenze epidemiche in ambito veterinario. Le misure che possono essere messe in atto sono di vario grado, adottate in base alla gravità della singola situazione. È possibile disporre il divieto di movimentazione degli animali, quello di trasferimento degli stessi presso impianti di macellazione, così come viene proibita la commercializzazione dei sottoprodotti, le uova ne sono un esempio, che derivano dalle zone focolaio. Tutti gli animali contagiati vengono isolati e abbattuti per evitare il propagarsi del virus».

Sono previste anche delle azioni di prevenzione?

«Certo. Oltre alle già citate azioni di sorveglianza effettuata dai veterinari dalle Asl italiane, tutte le filiere produttive adottano delle specifiche misure di bio-sicurezza, la cui validità è dimostrata dai dati raccolti negli ultimi anni sul calo d’incidenza di casi di aviaria negli allevamenti italiani. Oltre a mettere in atto tutte le misure di sorveglianza necessarie ad intercettare il virus tempestivamente, è fondamentale pure vaccinarsi contro l’influenza stagionale. Il vaccino antinfluenzale allena il nostro sistema immunitario a reagire anche nei confronti di virus influenzali diversi da quelli per cui ci si è vaccinati, compresa l’aviaria. Pur non evitando il contagio consente di tenere sotto controllo la patologia che, di solito, si manista con sintomi di minore gravità».

Quanto è elevato il rischio per un essere umano di contrarre l’aviaria?

«Le persone che lavorano a contatto diretto con le specie avicole corrono, ovviamente, un maggiore rischio di contrarre l’aviaria, in presenza di focolaio. Proprio per questo, il Ministero della Salute, già da alcuni anni, consiglia fortemente alla categoria di sottoporsi, ogni anni, alla vaccinazione contro l’influenza stagionale. Per le persone che non frequentano questi ambienti, invece, la possibilità di contrarre l’avaria è molto molto remota»

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Fonte: Sanità Informazione




LRRC15, un nuovo determinante di suscettibilità/resistenza a SARS-CoV-2

Giovanni Di GuardoRisale a pochi giorni fa, ad opera di un team di ricercatori australiani dell’Università di Sydney, la notizia relativa all’identificazione di un ulteriore recettore nei confronti di SARS-CoV-2 – il famigerato betacoronavirus responsabile della drammatica pandemia da COVID-19 -, localizzato in ambito polmonare nonché a livello delle prime vie aeree e di altri distretti tissutali dell’ospite, ivi compresa la cute.

La molecola in questione, la cui esistenza e’ stata resa nota attraverso un articolo pubblicato sulla prestigiosa Rivista “PLoS Biology”, è denominata “leucine-rich repeat containing protein 15” (LRRC15) e farebbe il paio con il recettore ACE-2, la ben nota porta attraverso cui SARS-CoV-2 sarebbe in grado di penetrare alll’interno delle nostre cellule, così come di quelle delle numerose specie animali naturalmente e/o sperimentalmente suscettibili nei confronti dell’infezione.

Ciononostante, a dispetto di un’elevata affinita’ di legame del virus con entrambi i recettori sopra citati, la pregressa interazione di SARS-CoV-2 con la molecola LRRC15 inibirebbe il successivo legame dello stesso con ACE-2, sequestrando per così dire il virus ed impedendone di fatto l’ingresso nelle cellule ospiti. Inoltre, in concomitanza con la diffusione dell’infezione in ambito polmonare, si assisterebbe ad una contestuale, accresciuta espressione del recettore LRRC15, che ostacolerebbe pertanto l’ulteriore colonizzazione del parenchima e, di conseguenza, il progressivo sviluppo della reazione sclero-fibrotica che frequentemente accompagna l’evoluzione in senso cronico dell’infezione.

Ne deriva che LRRC15 costituirebbe un fondamentale determinante di suscettibilità/resistenza nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2, caratterizzandosi in tal modo come una molecola attraverso i cui livelli di espressione in ambito sia polmonare sia delle prime vie aeree, oltre che dei vari distretti tissutali dell’ospite esprimenti la stessa, passerebbe la differente gravità dei quadri clinico-patologici associati alla COVID-19.

Ai livelli di espressione della molecola LRRC15, congiuntamente al grado di omologia del recettore virale ACE-2 (e, possibilmente, anche della “neuropilina-1”), potrebbe infine risultare correlata la maggiore o minore suscettibilità delle diverse specie animali nei confronti dell’infezione naturale e/o sperimentalmente indotta da SARS-CoV-2, nell’imprescindibile ottica della “One Health”, la salute unica di uomo, animali ed ambiente.

Giovanni Di Guardo

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 




Ambiente, nuove specie protette dalla Convenzione Cites

Entreranno in vigore il 23 febbraio le modifiche alle Appendici della Convenzione sul Commercio internazionale delle specie animali e vegetali selvatiche minacciate d’estinzione (CITES) adottate dalla 19a Conferenza delle Parti CITES che si è tenuta a Panama dal 14 al 25 novembre 2022.

Le circa 38.000 specie animali e vegetali tutelate dalla CITES, sono riportate nelle Appendici della Convenzione e negli Allegati del Regolamento UE n. 338/97 con il quale viene attuata la CITES nell’Unione europea.

Al fine di agevolare la corretta applicazione della Convenzione e del Regolamento UE, è stata diffusa un’informativa alle Associazioni di categoria maggiormente interessate ed è stato pubblicato sul sito internet del Ministero un comunicato ai possessori ed ai commercianti di esemplari di specie selvatiche animali e vegetali.

Tra le novità più rilevanti si segnala l’inclusione nell’Appendice I (Allegato A del Regolamento UE) delle specie: Tiliqua adelaidensis (scinco pigmeo), Kinosternon cora (tartaruga di fango Cora) e Kinosternon vogti (tartaruga di fango Vallarta) e l’inclusione nell’Appendice II (Allegato B del Regolamento UE) di numerose essenze arboree e specie di sauri, testuggini, anuri, squali e razze.

Il possesso di esemplari di specie incluse nell’Allegato A del Regolamento UE dovrà essere denunciato ai Nuclei CITES dell’Arma dei Carabinieri entro novanta giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – seconda serie speciale – del regolamento che modificherà i sopracitati allegati del Reg.(CE) n. 338/97.

Si ricorda che per le importazioni e le esportazioni di esemplari di specie CITES è necessaria una licenza rilasciata dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale; le riesportazioni e la commercializzazione intra-UE richiedono un certificato rilasciato dai Nuclei CITES dell’Arma dei Carabinieri.

Fonte: Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica




Incidenti con animali 2022: il Report dell’Osservatorio ASAPS

Assume sempre più rilevanza la casistica degli incidenti della strada con il coinvolgimento di animali.

Per questo ASAPS fornisce alcuni dati del suo Osservatorio sugli incidenti con animali.

L’Osservatorio ovviamente registra i soli dati riferiti a quei sinistri nei quali sono le persone a subire lesioni e in alcuni casi a riportare lesioni mortali. In realtà gli incidenti con impatto contro animali nei quali si registrano solo danni ai veicoli sono migliaia e per l’associazione è impossibile raccogliere questi dati.

Nel 2022 l’Osservatorio ASAPS ha registrato 179 incidenti significativi (il report considera solo ed esclusivamente quelli con persone ferite o decedute) col coinvolgimento di animali. Negli incidenti del 2022 16 persone sono morte, erano state 13 nel 2021, 16 nel 2020 e 15 nel 2019.  Inoltre 227 sono rimaste ferite, erano state 261 nel 2021 e 215 nel 2020 e 221 nel 2019. Le segnalazioni pervengono dai  600 referenti sul territorio e cronache della stampa.
In 163 casi l’incidente è avvenuto con un animale selvatico (91,1% ) e in 16 con un animale domestico (8,9%).
148 incidenti sono avvenuti di giorno e 31 di notte. 160  incidenti sono avvenuti sulla rete ordinaria e 19 nelle autostrade e extraurbane principali.
In 152 casi il veicolo impattante contro l’animale è stato una autovettura, in 48 casi un motociclo, in 3 incidenti l’impatto è avvenuto contro autocarri o pullman e in 7 incidenti coinvolti dei velocipedi. Il totale è superiore al numero degli eventi perché in alcuni sinistri sono rimasti coinvolti veicoli diversi.

Al primo posto negli incidenti gravi con investimenti di animali la Toscana con 20 sinistri, segue il Piemonte con 16, Lombardia, Lazio e Marche  con 15, l’Emilia-Romagna e la Campania con con 14, Liguria, Abruzzo e Sardegna con 9, Calabria 8, Molise e Puglia 6, Veneto, Friuli V.G. Trentino A.A., Sicilia 5, Valle D’Aosta e Umbria e Basilicata 1.

E’ evidente che gli incidenti nei quali muore o rimane ferito solo l’animale con danni ai soli mezzi e non alle persone sono parecchie migliaia ogni anno ed è difficile fare un calcolo perché in molti casi gli automobilisti coinvolti non denunciano il sinistro sapendo che difficilmente verranno poi rimborsati i danni.
Secondo ASAPS quello degli incidenti col coinvolgimento di animali, in particolare selvatici, specie in alcune zone ad alta frequenza per questo tipo di sinistri, richiede l’adozione di ulteriori e più efficaci  strumenti difensivi per la sicurezza della circolazione.

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Fonte: ASAPS




Metodi alternativi all’utilizzo di animali, dove stiamo andando

laboratorio di ricercaSi è parlato dello stato dell’arte dell’utilizzo di animali nella ricerca e di metodi alternativi ad un convegno svoltosi il 25 ottobre 2022 (Science in dialogue The future of Life Science research in Europe – how animal and non-animal approaches can contribute) e del quale è stato diffuso recentemente il report finale. (allegato).

Sono in corso diversi progetti di sviluppo che stanno contribuendo alla riduzione e alla sostituzione delle procedure sugli animali. In tossicologia in particolare, si stanno facendo grandi sforzi per far progredire i metodi non basati sull’utilizzo di animali. Tra i sistemi più promettenti ci sono le colture cellulari e sofisticati metodi informatici. A tale proposito, sono in fase di sviluppo piattaforme informatiche che applicano l’apprendimento automatico ai dati provenienti da studi clinici ed epidemiologici utili a prevedere in modo affidabile la tossicità di nuove molecole.

I metodi informatici e le colture cellulari sono fondamentali per compiere progressi verso la visione delle procedure di valutazione del rischio e della sicurezza dei farmaci basate su dati umani.

I progressi sono meno avanzati quando si tratta di terapie biologiche, una classe di farmaci sempre più importante, in cui le alternative agli studi sugli animali sono in una fase molto iniziale di sviluppo.

I più recenti sviluppi nel settore delle colture cellulare sono gli organoidi, che possono aumentare le conoscenze di base sullo sviluppo degli organi e studiare i fattori di crescita.

La produzione di organoidi del cervello può, ad esempio, consentire lo studio del processo di crescita del tessuto cerebrale umano in vitro, in modo da riprodurre parte della naturale complessità strutturale dell’organo stesso. Ciò include le relazioni tra diversi tipi di cellule nel cervello e alcune delle connessioni che si formano nelle prime fasi dello sviluppo.

Tuttavia, questi sistemi non sono adatti per studiare le fasi tardive dello sviluppo cerebrale, infatti non riproducono le funzioni specifiche dei cervelli umani o animali completamente sviluppati. Infine, non sono in grado di mimare funzioni complesse legate, ad esempio, alla coscienza.

Ciò rappresenta una limitazione per gli studi che mirano a sostituire gli studi sugli animali, che restano ancora necessari se i ricercatori hanno bisogno di mettere in relazione la struttura e la segnalazione del cervello con la cognizione e il comportamento, o per testare potenziali terapie prima che sia eticamente accettabile passare agli studi sull’uomo.

Inoltre, gli organoidi sono stati messi a punto anche per i tessuti del rene, del cuore e dell’occhio, con limitazioni simili per quanto riguarda la struttura e la funzione. Pertanto, ad oggi le ricerche che prevedono l’impiego di animali, sono ancora necessari al fine di garantire un corretto approccio metodologico e scientifico nei diversi campi.

L’uso di modelli in vitro derivati dal tessuto del paziente è la prospettiva futura, anche se molto impegnativa, come medicina personalizzata.

Fonte: IZS Lombardia ed Emilia Romagna




Approvato il nuovo Piano nazionale di contrasto all’antibiotico-resistenza

AntibioticoresistenzaApprovato in Conferenza Stato-Regioni, nella seduta del 30 novembre 2022, il Piano Nazionale di Contrasto all’Antibiotico-Resistenza (PNCAR) 2022-2025.

Il documento fa seguito al precedente PNCAR 2017-2020, prorogato fino al dicembre 2021, e nasce con l’obiettivo di fornire al Paese le linee strategiche e le indicazioni operative per affrontare l’emergenza dell’antibiotico-resistenza (ABR) nei prossimi anni, seguendo un approccio multidisciplinare e una visione One Health, promuovendo un costante confronto in ambito internazionale e facendo al contempo tesoro dei successi e delle criticità del precedente piano nazionale.

La resistenza agli antimicrobici (AMR), di cui l’antibiotico-resistenza rappresenta certamente il fattore di maggiore rilevanza, è un fenomeno che avviene naturalmente nei microrganismi, come forma di adattamento all’ambiente, ed è dovuto alla capacità di questi ultimi di mutare e acquisire la capacità di resistere a molecole potenzialmente in grado di ucciderli o arrestarne la crescita. A causa dell’enorme pressione selettiva esercitata da un uso eccessivo e spesso improprio degli antibiotici in ambito umano, veterinario e zootecnico, nel tempo questo fenomeno ha assunto i caratteri di una delle principali emergenze sanitarie globali.

L’ECDC ha stimato che il numero di infezioni causate da batteri resistenti agli antibiotici nell’UE/SEE è stato

  • 685.433 nel 2016
  • 865.767 nel 2019
  • 801.517 nel 2020.

Queste infezioni hanno determinato un numero annuo stimato di decessi attribuibili, che è aumentato da 30.730 nel 2016 a 38.710 nel 2019, con una lieve diminuzione nel 2020 (35.813 decessi).

Ma l’impatto dell’ABR non si limita alla sola mortalità, includendo anche ricoveri prolungati, ritardi nella somministrazione di terapie o nell’effettuazione di interventi, un aumento delle infezioni postchirurgiche e/o post-chemioterapia, a causa dell’inefficacia dei protocolli di profilassi comunemente impiegati.

Inoltre nel settore veterinario, l’ABR, oltre a comportare un aumento del potenziale rischio sanitario per i professionisti e proprietari degli animali, può essere responsabile della riduzione sia dell’efficienza degli allevamenti sia delle produzioni.

Per preservare il valore degli antibiotici e tutelare la salute delle persone, degli animali e dell’ambiente, è fondamentale che, non solo gli operatori sanitari e le istituzioni, ma anche i cittadini prendano piena coscienza della portata di questo fenomeno: solo collaborando si può sperare di porre un freno allo sviluppo e alla diffusione della resistenza agli antibiotici.

Fonte: Ministero della salute




Aperte le iscrizioni per VetNeve 2023 – La prevenzione nel mondo che cambia

Sono aperte le iscrizioni ai corsi ECM di Folgaria!

Vetneve 2023 – La prevenzione nel mondo che cambia vi aspetta come sempre a Folgaria (TN) dal 13 al 18 marzo.

I corsi saranno 2 e si svolgeranno i giorni 13/14 marzo e 16/17 marzo. Ad ogni evento sono stati attribuiti 7 crediti ECM.

Sono rivolti a Medici Veterinari e  Dirigenti Medici (igiene degli alimenti e della nutrizione; igiene, epidemiologia e sanità pubblica).

 

Schede iscrizione ai corsi e programmi

Scheda prenotazione alberghiera




Influenza aviaria H5N1/HPAI in un allevamento di visoni in Spagna

I ricercatori del Laboratorio di referenza europeo per l’influenza aviaria presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), in collaborazione con i colleghi del Laboratorio di referenza nazionale per l’influenza aviaria spagnolo di Madrid (Spagna) e le autorità sanitarie spagnole, hanno identificato un virus influenzale aviario H5N1 ad alta patogenicità (HPAI) in un allevamento di visoni da pelliccia nel nord ovest della Spagna. I risultati delle indagini epidemiologiche, cliniche e genetiche sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Eurosurveillance.

I ricercatori del Laboratorio di referenza europeo per l’influenza aviaria (presso l’IZSVe), in collaborazione con i colleghi del Laboratorio di referenza nazionale per l’influenza aviaria spagnolo di Madrid (Spagna) e le autorità sanitarie spagnole, hanno identificato un virus influenzale aviario H5N1 ad alta patogenicità (HPAI) in un allevamento di visoni da pelliccia nel nord ovest della Spagna.

I fatti risalgono ad ottobre 2022 quando a seguito di un aumento improvviso della mortalità registrato in un allevamento di visoni, alcuni campioni prelevati da animali sintomatici sono stati inviati ai laboratori spagnoli per gli accertamenti analitici. Le analisi hanno permesso di rilevare la presenza del virus H5N1/HPAI.

Al momento è ignoto il meccanismo di introduzione e diffusione del virus in azienda. Tuttavia, considerate le mortalità riscontrate nei volatili selvatici marini nelle settimane precedenti nella stessa regione, causate dal virus H5N1/HPAI, i ricercatori ipotizzano che il virus sia stato introdotto dagli uccelli selvatici. Restano da approfondire i meccanismi di diffusione del virus in azienda e le modalità di trasmissione tra i visoni. Ulteriori studi sono in corso per caratterizzare la virulenza e la trasmissibilità del virus.

Le analisi genetiche hanno consentito di stabilire che il virus appartiene ad un gruppo virale ben conosciuto, responsabile della grave epidemia di influenza aviaria in atto da oltre due anni nei volatili domestici e selvatici in Europa e nel mondo. Sebbene il virus identificato nei visoni si distingua dai ceppi finora descritti nei volatili europei per alcune mutazioni presenti nel suo genoma, si sottolinea che nessuna delle mutazioni rilevate è fra quelle note per rendere un virus H5N1/HPAI trasmissibile efficacemente da uomo a uomo. Gli autori hanno inoltre evidenziato che nessun caso di infezione è stato riscontrato dalle indagini diagnostiche specifiche effettuate dalle autorità sanitarie spagnole negli operatori dell’azienda potenzialmente esposti.

La suscettibilità dei visoni all’infezione con i virus influenzali tipo A umani ed aviari è già stata documentata in diversi studi precedenti. Tuttavia, il caso descritto ricorda l’importanza di implementare adeguati piani di sorveglianza per i virus influenzali in questo settore produttivo e l’assoluta necessità di rafforzare le misure di biosicurezza per prevenire il contatto con i volatili selvatici ed evitare il verificarsi di eventi di trasmissione di virus influenzali dal visone all’uomo e viceversa.

“Questo evento ci ricorda che il virus influenzale aviario ad alta patogenicità H5N1 non è un problema solo dei volatili – sottolinea Isabella Monne, veterinario del Laboratorio di referenza europeo per l’influenza aviaria presso l’IZSVe e coautrice dello studio – È in atto un’emergenza epidemica globale, senza precedenti, che non sconvolge solo la produzione avicola ma che sta colpendo gravemente molte specie di volatili selvatici e sporadicamente anche di mammiferi selvatici, minacciando gravemente la biodiversità del nostro pianeta. La continua circolazione del virus nella popolazione selvatica e le mortalità massive causate dal diffondersi dell’infezione in alcune specie rischia di sbilanciare ulteriormente gli ecosistemi con conseguenze ignote anche sulle dinamiche evolutive del virus. Anche questa emergenza va affrontata con un approccio One Health, globale e multidisciplinare, con la massima attenzione e prontezza, come abbiamo cominciato a capire grazie alla lezione della pandemia da Covid-19. Un virus influenzale capace di causare lo spillover nei mammiferi va fermato prima di diventare un problema per la sanità pubblica”.

Fonte: IZS Venezie




Pescato pesce palla nelle acque del salernitano

In data 8 gennaio 2023, nelle acque antistanti il litorale tra i comuni di Salerno e Cetara, è stata segnalata, da pescatori locali, la cattura all’amo di un raro pesce palla adulto, della lunghezza di 60 cm. L’esemplare è stato identificato come Lagocephalus lagocephalus, specie bentopelagica ben distribuita in acque tropicali e subtropicali, a profondità comprese tra i 10 e 100 metri, piuttosto rara nel Mediterraneo e comunemente conosciuto come capolepre.
Tuttavia non è la rarità della cattura ad aver destato scalpore, quanto la tossicità dei tessuti di tale specie. Infatti il capolepre, appartenente alla famiglia Tetraodontidae, deve la sua pericolosità alla tetradotossina (TTX), una neurotossina termostabile (non inattivata dalla cottura) contenuta principalmente nel tessuto epatico. La TTX se ingerita, infatti, può comportare effetti particolarmente gravi sulla salute dei consumatori, quali vomito, diarrea e alterazioni della conduzione nervosa come convulsioni e paralisi, fino al blocco cardio-respiratorio. La Comunità Europea, per tale motivo, con il Regolamento di esecuzione 627/2019, vieta l’immissione in commercio di prodotti della pesca ottenuti da specie appartenenti alla famiglia Tetraodontidae.

Attualmente, l’esemplare di capolepre è custodito presso la sede della Direzione Operativa C.Ri.S.Sa.P. (Centro di Riferimento Regionale per la Sicurezza Sanitaria del Pescato) dell’ASL Salerno, dove, dopo essere stato correttamente identificato, è stato crioconservato insieme ad altri esemplari di specie tossiche rinvenute nel corso degli anni.

Il rinvenimento è avvenuto in concomitanza con l’avvio di una campagna di sensibilizzazione promossa dal C.Ri.S.Sa.P. rivolta a pescatori professionali, subacquei e operatori del settore, ai quali si chiede di segnalare alle Autorità Sanitarie competenti la cattura accidentale, l’avvistamento o il rinvenimento nei circuiti commerciali di pesci velenosi e specie ittiche aliene. Tale intervento è finalizzato principalmente alla tutela della salute dei consumatori nonché all’acquisizione di informazioni relative alla presenza e diffusione nei nostri mari di tali specie, sensibilmente aumentate negli ultimi anni, di pari passo con il continuo riscaldamento delle acque del Mediterraneo.

Fonte: Sede operativa ASL Salerno C.Ri.S.Sa.P. (Centro di Riferimento Regionale per la Sicurezza Sanitaria del Pescato)