Posticipata la scadenza del bando per il rinnovo dei Panel e del comitato scientifico EFSA

logo-efsaSi avvisano gli esperti con competenze scientifiche rilevanti e motivazione a contribuire alla tutela della salute umana e animale e dell’ambiente in Europa che la scadenza del bando dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) per il rinnovo dei gruppi di esperti scientifici e del comitato scientifico nel 2024 (Rif. EFSA/E/2023/01) è stata posticipata al 17 aprile 2023.

Il bando e il modulo di domanda online sono disponibili sul sito dell’EFSA.

Per eventuali informazioni l’EFSA invita a contattare il seguente indirizzo mail: selection.experts@efsa.europa.eu.

Per saperne di più

Fonte: Ministero della Salute




Le micro-nanoplastiche come veicoli di Toxoplasma gondii e di altri protozoi nei mari e negli oceani

Sono oramai trascorsi sei anni da quando il Dr James T. Carlton ed i suoi collaboratori descrissero sulla prestigiosa Rivista Science l’inedita dispersione nell’Oceano Pacifico di decine di organismi acquatici, in larga misura invertebrati, per effetto dello tsunami occorso in seguito al sisma del Marzo 2011 lungo le coste orientali giapponesi. Ad amplificare notevolmente tale fenomeno intervennero le micro-nanoplastiche, che operarono in qualità di “zattere” nei confronti dei succitati organismi (1).

Nella complessa ed articolata disamina dell’interazione di questi ultimi con gli innumerevoli frammenti di materiale plastico presenti in mare, particolare attenzione andrebbe prestata ai microorganismi patogeni, numerosi dei quali sarebbero in grado di esercitare un consistente impatto sulla salute e sulla conservazione dei Cetacei (2), sempre più minacciati peraltro dalle attività antropiche.

Un esempio paradigmatico è rappresentato, a tal proposito, da Toxoplasma gondii, un agente protozoario dotato di comprovata capacità zoonosica (3) e la cui infezione sarebbe in grado di determinare la comparsa di gravi ed estese lesioni encefalitiche nei delfini della specie “stenella striata” (Stenella coeruleoalba) – un comune abitante delle acque mediterranee, così come di quelle temperate e tropicali di tutti i mari e gli oceani del pianeta -, con conseguente spiaggiamento e morte degli esemplari colpiti (4). Sebbene vi sia un sostanziale accordo fra i membri della comunità scientifica in merito alla possibilità che un “flusso terra-mare” costituisca il meccanismo biologicamente più plausibile attraverso cui le oocisti di T. gondii riescano a trasferirsi dall’ambiente terrestre a quello marino ed oceanico (analogamente a molti altri microorganismi, protozoari e non, a trasmissione oro-fecale), rimane tuttavia da spiegare come le stesse possano raggiungere ed essere pertanto acquisite dalle stenelle striate, così come da tutte le altre specie cetologiche T. gondii-sensibili che vivono in mare aperto, a fronte della più che comprensibile azione diluente esercitata dal mezzo acquatico nei loro confronti (5).

In altre parole, se appare facile intuire, da un lato, come una specie “costiera” quale il “tursiope” (Tursiops truncatus) – il delfino comunemente ospitato nei delfinari, così come negli oceanari e nei parchi acquatici – possa sviluppare l’infezione da T. gondii, la comprensione di una siffatta evenienza risulta assai meno agevole, dall’altro lato, in presenza di una specie “pelagica” quale S. coeruleoalba. Varie le ipotesi formulate per spiegare tale fenomeno, ivi compresa l’esistenza di un ciclo biologico “marino”, esclusivo o complementare rispetto a quello terrestre di T. gondii (5). A onor del vero, tuttavia, non essendo mai stata dimostrata l’esistenza in natura di cicli vitali del parassita alternativi o comunque differenti da quello terrestre, sarebbe davvero interessante studiare in dettaglio se gli tsunami, gli eventi sismici sottomarini e, più in generale, il moto delle correnti acquatiche possano rendersi responsabili del trasferimento, anche a lunghe distanze, di T. gondii così come di altri microorganismi patogeni a trasmissione oro-fecale. Degna di nota è, in un siffatto contesto, la segnalazione relativa alla presenza in più specie ittiche d’interesse commerciale di T. gondii, che potrebbe esser stato veicolato alle medesime dai frammenti di materiale plastico ingeriti in mare (6). Ciò fa il paio con la recente descrizione, in mare aperto, di T. gondii e di altri due importanti agenti protozoari – Cryptosporidium parvumGiardia enterica -, che sono stati giustappunto rilevati in stretta associazione con microsfere di polietilene e, soprattutto, con microfibre di poliestere (7).

Alla luce di quanto sin qui esposto, mentre il presunto “sinergismo di azione patogena” fra T. gondii e micro-nanoplastiche appare meritevole di ulteriori studi ed approfondimenti, non vi è dubbio al contempo che un approccio “integrato”, basato sul salutare principio/concetto della “One Health” – la salute unica di uomo, animali ed ambiente -, rappresenti la conditio sine qua non per investigare al meglio i complessi quanto affascinanti rapporti intercorrenti fra il parassita ed i suoi ospiti nell’ambito delle catene trofiche e degli ecosistemi marini.

Bibliografia di riferimento

1) J.T. Carlton, J.W. Chapman, J.B. Geller, et al. Tsunami-driven rafting: Transoceanic species dispersal and implications for marine biogeography. Science 357, 1402-1406. DOI: 10.1126/science.aao1498 (2017).

2) M.-F. Van Bressem, J.-A. Raga, G. Di Guardo, et al. Emerging infectious diseases in cetaceans worldwide and the possible role of environmental stressors. Dis. Aquat. Organ. 86, 143-157. DOI: 10.3354/dao02101 (2009).

3) J.G. Montoya, O. Liesenfeld. Toxoplasmosis. Lancet 363, 1965-1976. DOI: 10.1016/S0140-6736(04)16412-X (2004).

4) G. Di Guardo, U. Proietto, C.E. Di Francesco, et al. Cerebral toxoplasmosis in striped dolphins (Stenella coeruleoalba) stranded along the Ligurian Sea coast of Italy. Vet. Pathol. 47, 245-253. DOI: 10.1177/0300985809358036 (2010).

5) G. Di Guardo, S. Mazzariol. Toxoplasma gondii: Clues from stranded dolphins. Vet. Pathol. 50, 737. DOI: 10.1177/0300985813486816 (2013).

6) A.M.F. Marino, R.P. Giunta, A. Salvaggio, et al. Toxoplasma gondii in edible fishes captured in the Mediterranean basin. Zoonoses Public Health 66, 826-834 (2019).

7) E. Zhang, M. Kim, L. Rueda, et al. Association of zoonotic protozoan parasites with microplastics in seawater and implications for human and wildlife health. Sci. Rep12, 6532. https://doi.org/10.1038/s41598-022-10485-5 (2022).

 

Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 

 

 




Microplastiche nei mari: il livello di contaminazione nelle carni di pesce spada e tonno rosso del Mediterraneo

microplastichePer la prima volta, microplastiche, polimeri e additivi sono stati rilevati nel tessuto muscolare dei pesci, proprio la parte che finisce nel piatto dei consumatori.

Le microplastiche sono un serio problema ambientale che sta colpendo gli ecosistemi marini in tutto il mondo. Particelle di dimensioni ridotte, comprese tra 0,1 e 5000 micron, che possono adsorbire sostanze tossiche presenti nell’ambiente circostante rappresentando un’ulteriore via di esposizione alle stesse per la fauna marina. Essendo oramai presenti nella catena alimentare acquatica, i consumatori possono rischiare la loro ingestione. E proprio nel Mediterraneo la contaminazione da plastiche, assieme agli additivi usati per i trattamenti a cui sono sottoposte, è una delle più elevate a livello globale.

Una ricerca condotta dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo in collaborazione con il Croatian Veterinary Institute di Spalato e l’Università Politecnica delle Marche, pubblicata sulla rivista scientifica Journal of Sea Research, ha permesso ora di rivelare il livello di contaminazione da microplastiche in due specie di pesce comuni nel Mediterraneo: il pesce spada (Xiphias gladius), pescato nel Mare Ionio, e il tonno rosso (Thunnus thynnus), proveniente dall’Adriatico. La particolarità dello studio è che i contaminanti sono stati rilevati anche mediante metodologie mai applicate prima nei muscoli dei pesci, quindi nella parte che effettivamente finisce nei nostri piatti.

“Molti studi precedenti – dice Federica Di Giacinto, ricercatrice del Centro per la Biologia delle acque dell’IZS Teramo – erano incentrati sul contenuto delle sole microplastiche esclusivamente nell’apparato digerente dei pesci. La nostra ricerca, invece, ha potuto evidenziare la contaminazione a livello muscolare non solo da microplastiche, ma anche da polimeri e additivi usati per la loro produzione. Le microplastiche che abbiamo rilevato nei muscoli molto probabilmente sono state ingerite dai pesci e poi sono traslocate dall’apparato gastro-intestinale ai tessuti circostanti”.

Mediante l’utilizzo della stereomicroscopia, della microspettroscopia Raman e della cromatografia liquida con spettrometria di massa, lo studio, condotto con il supporto finanziario dell’Unione Nazionale Cooperative Italiane (UNCI), ha riguardato microplastiche di dimensioni inferiori ai 10 micron e polimeri, come polietilentereftalato (PET) e policarbonato (PC), oltre a pigmenti e additivi come il bisfenolo A (BPA) e l’acido p-ftalico (PTA). Alcune di queste sostanze, ampiamente utilizzate per la produzione di beni di plastica di largo consumo, sono sotto osservazione per valutare se abbiano effetti sulla salute. È il caso del BPA, considerato capace di interferire con la funzionalità del sistema endocrino.

“Questo lavoro – continua Di Giacinto – punta a contribuire a una conoscenza più approfondita di queste particolari categorie di inquinanti, sia dal punto di vista dell’estensione del fenomeno, sia applicando nuove metodologie per la loro quantificazione. I prossimi passi del nostro laboratorio, ora, saranno di valutare quale sia il livello di contaminazione in ulteriori animali acquatici, arrivando ad una valutazione dell’effettiva esposizione alla quale sono esposti i consumatori”.

 Fonte: IZS Teramo



Insetti, un manifesto per la salute pubblica

Gli insetti sono di gran lunga gli animali più comuni sul nostro pianeta, con oltre 1,5 milioni di specie conosciute. Oltre ad essere attori fondamentali per la salute e l’equilibrio del pianeta, gli insetti sono anche di interesse crescente per la sanità pubblica, sia umana che veterinaria. Siano essi vettori di malattie o alimento del futuro, la stretta e talvolta forzata convivenza tra insetti e uomo sottolinea l’importanza di affrontare tutti gli aspetti di questa relazione, nella prospettiva della sanità pubblica.

Per ridurre la distanza fra questi due mondi, un gruppo di ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) ha recentemente pubblicato un articolo sulla rivista scientifica Insects che fornisce una panoramica delle tematiche-ponte tra insetti e salute pubblica. Si tratta di una sorta di “manifesto” che si rivolge ai professionisti della sanità con obiettivi molto ambiziosi:

  • delineare e rafforzare il ruolo dell’autorità sanitaria pubblica nei diversi settori che coinvolgono gli insetti;
  • incrementare le conoscenze per il migliorare l’allevamento, la sua gestione e il benessere degli insetti;
  • potenziare le attività di ricerca dell’interfaccia insetti-salute pubblica.

Leggi la pubblicazione scientifica su Insects »

Il gruppo di lavoro “Insetti”

Nel 2021 la Direzione sanitaria dell’IZSVe ha costituito il Gruppo di lavoro “Insetti” con l’intenzione di promuovere un approccio di ricerca One health, includendo ricercatori IZSVe con variegati interessi di ricerca, ma accomunati da un unico denominatore: l’entomologia applicata a zootecnia e sanità pubblica. Il primo atto del Gruppo è stato la pubblicazione dell’articolo “Insects and Public health: an overview, che fornisce una panoramica delle tematiche-ponte tra insetti e salute pubblica.

Nel 2021 la Direzione sanitaria dell’IZSVe ha costituito il Gruppo di lavoro “Insetti” proprio con l’intenzione di promuovere un approccio di ricerca One health, includendo ricercatori IZSVe con variegati interessi di ricerca, ma accomunati da un unico denominatore: l’entomologia applicata a zootecnia e sanità pubblica. Il primo atto di questo Gruppo è stato appunto la pubblicazione dell’articolo “Insects and Public health: an overview” che costituisce un esempio di collaborazione trasversale fra i diversi laboratori dell’IZSVe.

Più in generale il Gruppo di lavoro si propone di studiare gli impatti positivi e negativi degli insetti sulla salute, perseguendo i seguenti obiettivi:

  • condividere le attività analitiche e di ricerca effettuate sugli insetti, evitando sovrapposizioni e incentivando collaborazioni;
  • trovare sinergie e idee innovative per la presentazione di progetti di ricerca;
  • seguire l’evoluzione della legislazione nei vari ambiti;
  • definire strategie innovative di ricerca.

Va ricordato che la salute pubblica si occupa da decenni di insetti come vettori di malattia e infestanti, in quanto le malattie trasmesse da vettori costituiscono più del 17% delle malattie infettive. Ma in campo alimentare umano, l’interesse verso gli insetti come alimenti e/o mangimi è emerso solo di recente. Tale utilizzo, sebbene esista fin dai tempi antichi, si sta riaffermando a livello mondiale anche attraverso il consolidarsi di pratiche di allevamento zootecnico d’avanguardia. Inoltre, negli ultimi anni gli insetti sono stati utilizzati nell’ambito della ricerca come potenziali bioindicatori di inquinamento ambientale o come modello animale alternativo ai vertebrati.

Il crescente utilizzo degli insetti in ambito zootecnico e il conseguente aumento delle strutture di allevamento a livello europeo comporta la necessità di sviluppo di sistemi e procedure in grado di tutelare la salute del consumatore e dell’insetto stesso, attraverso la definizione di standard di benessere e buone pratiche di allevamento, nonché l’applicazione di misure di biosicurezza per preservarne lo stato sanitario.

Insettari e laboratori

Ad oggi in IZSVe sono operativi due insettari a fini sperimentali: nel primo vengono allevate diverse specie di insetti vettori (zanzare delle specie: Aedes albopictusAedes koreicus, Aedes aegypti), nel secondo delle specie di insetti per uso alimentare e di ricerca (Acheta domesticusTenebrio molitor e Galleria mellonella).

Ad oggi in Istituto sono operativi due insettari a fini sperimentali: nel primo vengono allevate diverse specie di insetti vettori (zanzare delle specie: Aedes albopictusAedes koreicusAedes aegypti), nel secondo delle specie di insetti per uso alimentare e di ricerca (Acheta domesticusTenebrio molitor e Galleria mellonella).

Strutture dell’IZSVe che si occupano di insetti:

  • Centro di referenza nazionale per l’apicoltura e Centro regionale per l’apicoltura (CRA) della Regione Veneto. Le attività si concentrano prevalentemente sulla diagnosi e controllo delle malattie dell’alveare, controllo della qualità e dei residui nei prodotti dell’alveare, utilizzo delle api e dei suoi prodotti come bioindicatori dell’inquinamento ambientale. Attività di monitoraggio della mortalità delle api e dello spopolamento degli alveari attraverso diversi progetti nazionali ed internazionali.
    Referente “Gruppo insetti”: Anna Granato
  • Laboratorio parassitologia, micologia ed entomologia sanitaria (SCS3). Si occupa di identificazione tassonomica degli artropodi e di analisi diagnostiche per la rilevazione di patogeni negli insetti. Numerosi laboratori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie sono coinvolti nella diagnosi, ricerca e sorveglianza di artropodi parassiti e vettori. Le attività di sorveglianza entomologica vengono condotte principalmente con catture attive di vettori in tutto il territorio del Triveneto.
    Referenti “Gruppo insetti”: Fabrizio Montarsi, Michela Bertola
  • Laboratorio qualità e sicurezza delle filiere alimentari (SCS8). Si occupa di effettuare analisi microbiologiche e chimiche volte ad identificare e quantificare possibili rischi derivanti dal consumo di insetti. Il Laboratorio offre inoltre consulenza alle aziende alimentari nell’ambito di questi novel food, contribuendo anche allo sviluppo dei dossier autorizzativi necessari per l’immissione in commercio ai sensi della normativa comunitaria.
    Referente “Gruppo insetti”: Simone Belluco
  • Laboratorio ecologia microbica e genomica dei microrganismi (SCS1). Si occupa di effettuare analisi metagenomiche sugli insetti e i prodotti derivati.
    Referente “Gruppo insetti”: Carmen Losasso
  • Laboratori SCS2 – Chimica. Si occupano dello studio di contaminanti ambientali o contaminati di processo che possono interessare gli insetti e i prodotti derivati, nonché della caratterizzazione di peptidi antimicrobici e proteine allergeniche.
    Referenti “Gruppo insetti”: Albino Gallina, Roberto Stella
  • Laboratorio benessere animale e sanità pubblica veterinaria (SCS4). Si occupa di approfondire i temi relativi all’oggettivazione dell’adattamento dell’animale nelle diverse fasi di allevamento, con definizione di indicatori standardizzati di benessere.
    Referente “Gruppo insetti”: Guido di Martino

Fonte: IZS Venezie




Casi di Equine Herpes Virus-1 nel circuito delle competizioni internazionali

In due concorsi internazionali organizzati ad Oliva (Spagna) e Lier (Belgio) sono stati riscontrati casi di EHV-1 (Rinopneumonite). Non sono stati osservati sintomi neurologici, a differenza del focolaio, sempre in ambito competitivo, a Valencia, nel 2021.

La notizia è stata riportata dalla stampa nazionale locale e anche dalla FEI (Federazione Equestre Internazionale), ed è possibile reperirla ai seguenti link:

https://inside.fei.org/media-updates/update-confirmed-ehv-1-cases-lier-bel-and-oliva-esp

https://www.cavallomagazine.it/apertura/ehv-1-oliva-annulla-lultimo-concorso-del-tour

La FISE ha inoltre diffuso i seguenti  comunicati:

https://www.fise.it/attivita-federazione/veterinaria/news-veterinaria/archivio-news-veterinaria/18379-casi-di-ehv-1-nei-concorsi-di-oliva-esp-e-lier-bel.html 

https://www.fise.it/attivita-federazione/veterinaria/news-veterinaria/archivio-news-veterinaria/18381-aggiornamento-sui-casi-confermati-di-ehv-1-a-lier-bel-e-oliva-esp.html  

Tramite i quali viene raccomandato in modo particolare che i cavalli che abbiano avuto contatti con equini che abbiano partecipato agli eventi sopra riportati siano sottoposti a rilievi termometrici per verificare un eventuale sviluppo di rinopneumonite o forme neurologiche, tipiche di questo virus.

Informazioni sulle misure di biosicurezza da adottare possono essere reperite sul sito del Centro di Referenza per la Malattie degli Equidi e sul sito della FEI ai seguenti link:

https://www.izslt.it/cerme/wp-content/uploads/sites/7/2021/03/FACTSHEET-EHV.pdf

https://inside.fei.org/system/files/Annex%201%20-%20EHV-1%20Factsheet_1.pdf

In caso di sospetto clinico si raccomanda di eseguire sempre dei tamponi nasali profondi, uno per narice e di inviarli alla UOC Virologia di Roma per gli esami diagnostici (per eseguire il prelievo seguire le istruzioni al seguente link

Fonte: IZS Lazio Toscana




Mammalian Orthoreovirus (MRV), un nuovo studio coinvolge anche cani e gatti

animali d'affezioneDei Mammalian Orthoreovirus (MRV) si conosce ancora poco, solo da una decina d’anni si è cominciato a studiarne le dinamiche di circolazione nel serbatoio animale e a cercare di capire il loro potenziale zoonotico.

I MRV sono stati scoperti per la prima volta negli anni ’50, in seguito ad isolamento virale da campioni enterici umani. Il loro genoma è segmentato e consente fenomeni di riassortimento, favorendo l’evoluzione virale e la generazione di nuove varianti. Negli ultimi anni sono aumentate le segnalazioni di casi umani di infezione da MRV, i cui ceppi sono stati definiti come “riassortanti” e derivanti da spillover (animale-uomo). Nell’uomo questi virus possono causare gravi enteriti, infezioni respiratorie acute ed encefaliti.

Recentemente alcuni ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) hanno raccolto informazioni interessanti sulla circolazione di MRV in popolazioni di pipistrelli e suini. Oggi, questa ricerca si estende anche a cani e gatti, grazie a uno studio che mira ad indagare i rischi emergenti per l’uomo derivanti dalla circolazione interspecifica di Orthoreovirus in animali da compagnia.

I Mammalian Orthoreovirus (MRV) sono virus di cui si conosce ancora poco, che nell’uomo questi virus possono causare gravi enteriti, infezioni respiratorie acute ed encefaliti. Una ricerca dell’IZSVe finanziata dal Ministero della Salute mira ad indagare i rischi emergenti per l’uomo derivanti dalla circolazione interspecifica di Orthoreovirus in cani e gatti. Per svolgere il progetto l’IZSVe chiederà la collaborazione di alcune strutture veterinarie distribuite sul territorio di competenza per la raccolta e l’analisi di campioni di feci prelevati da cani e gatti di proprietà, asintomatici o con sintomatologia gastroenterica.

Il progetto si chiama ”Mammalian Orthoreovirus (MRV): in-deep study of a One Health strategy to counter the emerging risk of animal-human spillover and transmission” e contribuirà ad approfondire le evidenze finora emerse in animali domestici a più stretto contatto con l’uomo, ovvero cani e gatti.

A guidare il progetto è la ricercatrice Mery Campalto, biotecnologa del Laboratorio di virologia diagnostica, che ha ricevuto un finanziamento Starting Grant di 130 mila euro nell’ambito bando della Ricerca Finalizzata 2021 messo a disposizione dal Ministero della Salute.

Gli obiettivi dello studio

Lo studio avrà una durata complessiva di 36 mesi e si concentrerà sull’analisi di campioni di feci prelevati da cani e gatti di proprietà, asintomatici o con sintomatologia gastroenterica.

Il primo obiettivo sarà di valutare la circolazione di MRV nei cani e nei gatti del Triveneto, escludendo la presenza di altri patogeni in diagnosi differenziale (test parassitologici, virologici e batteriologici rivolti a patogeni di rilevanza sanitaria umana e animale).

Il secondo obiettivo sarà la caratterizzazione genetica di MRV rilevati attraverso saggi molecolari, isolamento su linee cellulari e sequenziamento. L’analisi filogenetica permetterà di valutare la diversità genetica di MRV isolati nella popolazione di studio e di compararli con gli isolati umani già pubblicati e condivisi a livello nazionale o internazionale.

Il confronto di isolati virali da animale con quelli di origine umana consentirà di realizzare il terzo obiettivo, ovvero la valutazione epidemiologica del possibile legame uomo-animale.

Cliniche veterinarie

L’IZSVe chiederà la collaborazione di alcune strutture veterinarie distribuite sul territorio di competenza per la raccolta e l’analisi dei campioni.

Al momento del campionamento, il medico veterinario compilerà un questionario per la raccolta di informazioni epidemiologiche; i campioni biologici saranno raccolti a seguito di adesione spontanea alla ricerca da parte del proprietario dell’animale e non sono previste indagini mediche invasive. Conformemente allo scopo del progetto, non è previsto l’uso di protocolli terapeutici sugli animali coinvolti. I risultati saranno condivisi con i professionisti partecipanti al progetto e divulgati in forma aggregata.

MRV negli animali

Studi recenti hanno evidenziato la notevole diversità genetica dei ceppi virali circolanti in tutto il mondo tra diverse specie di mammiferi. A causa dell’apparente mancanza di barriere di specie e del possibile riassortimento tra ceppi animali e umani, l’identificazione precoce di focolai di zoonosi e spillover ha un’importanza cruciale, nel contesto dell’attuale scenario pandemico di COVID-19.

Ad oggi le conoscenze sulla circolazione di MRV nei cani e nei gatti e sul potenziale zoonotico di questi virus sono scarse. Un’indagine preliminare su MRV è stata eseguita su campioni di feci di cane e di gatto prelevati da animali asintomatici nel Nord-Est Italia nel 2021. Lo screening molecolare ha dato esito positivo nel 7,7% dei campioni di gatto (5 campioni positivi su 65 analizzati) e nello 0,8% dei campioni di cane (1 campione dubbio su 129 analisi effettuate).

Alla luce degli studi sempre più numerosi che descrivono casi umani di infezione da MRV, è importante comprendere il possibile rischio di infezione dovuta all’interazione animale-uomo (o viceversa), soprattutto in riferimento alla crescente presenza di cani e gatti nelle famiglie e all’interesse per gli Interventi Assistiti con Animali (IAA) rivolti a bambini e persone vulnerabili.

Fonte: IZS venezie




Iter autorizzativo per l’immissione sul mercato di alimenti contenenti derivati da insetti

Farina di insettiL’attuale regolamentazione per la produzione e l’immissione sul mercato di alimenti contenenti materie prime derivanti dagli insetti rientra nel più ampio contesto delle norme che disciplinano i cosiddetti “nuovi alimenti” (novel food), la cui norma principale è il Regolamento (UE) n. 2015/2283.

Per “nuovo alimento” si intende qualunque prodotto alimentare che non fosse consuetudine consumare nei territori dell’Unione Europea prima del 1997, ricomprendendo quindi sia i prodotti “innovativi” (frutto di nuove ricerche e/o di nuove tecnologie), sia i prodotti “tradizionali” (in uso presso culture e/o territori extra-europei).

Il consumo di insetti rappresenta un argomento di stretta attualità, per via delle recenti autorizzazioni emanate dalla Commissione Europea e per il conseguente acceso dibattito che ha coinvolto media e istituzioni, vedendo polarizzare l’opinione pubblica in correnti a favore o contro tale innovazione.

Al netto degli argomenti dibattuti, il consumo di insetti ha destato l’interesse del mondo produttivo sotto la spinta di due tendenze molto attuali:

  • il generale orientamento delle politiche governative, e di conseguenza industriali, verso processi produttivi più sostenibili sotto il profilo ambientale;
  • la peculiare tendenza di mercato che sta vedendo aumentare la domanda e l’offerta di prodotti alimentari ad alto contenuto proteico.

Per tale motivo, il CeIRSA ha elaborato un documento che riassume alcune fasi del processo autorizzativo cui un “nuovo alimento” (in questo caso farine o altri derivati degli insetti) deve essere sottoposto prima dell’immissione sul mercato.

Leggi il documento del CeIRSA

Fonte: CeIRSA.org




Zanzara tigre asiatica Aedes albopictus: implicazioni per il controllo biologico

Aedes albopictus è una zanzara originaria del sud est Asiatico. Estremamente diffusa a livello globale, rappresenta  non solo una  fonte di fastidio durante gran parte dell’anno, ma anche  una seria minaccia per la salute umana, essendo un vettore competente di molti virus come dengue, Zika e chikungunya. Arrivata in Italia negli anni ’90, questa specie è oramai diffusa in tutto il nostro paese; le larve riescono a svilupparsi sfruttando piccole raccolte d’acqua presenti in ambiente peridomestico (es., sottovasi, tombini, secchi, ecc.). Per cercare di ridurre la popolazione della zanzara tigre e mitigarne gli impatti negativi, sono in corso numerose ricerche focalizzate sull’utilizzo di organismi o sostanze naturali che siano al contempo efficaci e rispettosi dell’ambiente.

Tra le sette specie appartenenti al genere Utricularia (fam. Lentibulariaceae)   presenti in Italia, la pianta acquatica Utricularia australis, nota come erba vescica delle risaie, è la più diffusa. Oltre a trarre nutrimento dal processo di fotosintesi, queste piante sono dotate di foglie modificate – vere e proprio trappole – che consentono di catturare e digerire piccoli organismi acquatici, come crostacei e larve di insetti. Questa particolare caratteristica le potrebbe rendere un efficace strumento di controllo biologico per la lotta contro le zanzare.

L’efficacia di predazione della pianta, su larve di zanzara tigre di diverse dimensioni, è stata testata in laboratorio utilizzando filamenti di U. australis inseriti in piccoli recipienti insieme a un numero noto di larve di Ae. albopictus, per un periodo di 7 giorni. Il numero di larve catturate e di individui che raggiungevano lo stadio adulto è stato registrato quotidianamente. I risultati hanno indicato che U. australis riesce a ridurre del 72% il numero di larve di piccole, mentre è meno efficace contro quelle di più grandi dimensioni (39%). Anche quando una piccola porzione di corpo viene intrappolata, la larva, che non riesce a raggiungere la superficie dell’acqua per respirare, muore per asfissia.

In questo primo studio pilota, i ricercatori hanno  dimostrato come la pianta carnivora acquatica U. australis,  abbia le potenzialità per essere utilizzata come agente di biocontrollo contro la zanzara tigre, riuscendo a ridurre drasticamente il numero di larve se utilizzata in piccole raccolte d’acqua. L’efficacia di questa specie in ambiente naturale resta ancora un argomento da esaminare.

Fonte: IZS Lazio Toscana




Aviaria: «L’arrivo della primavera non aumenterà i contagi tra i selvatici». Intervista al Presidente Sorice

«L’arrivo della primavera non aumenterà il rischio di diffusione dell’aviaria e, soprattutto, non incrementerà i contagi tra i selvatici». Ad assicurarlo, in un’intervista a Sanità Informazione, è Antonio Sorice, presidente SIMeVeP, la Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva. L’innalzamento generale delle temperature ed il cambiamento climatico in generale hanno mitigato la stagione invernale. «Il clima decisamente meno rigido ha cambiato e diminuito l’intensità dei flussi migratori – aggiunge il medico veterinario -. Motivo per cui, durante la primavera in corso, il numero di volatili selvatici migratori in circolazione in Italia non subirà un’impennata e, di conseguenza, anche il numero di casi di aviaria dovrebbe restare stabile».

L’andamento stagionale dell’aviaria

«Fino al 2021, l’arrivo della stagione estiva non era caratterizzato da un incremento della diffusione dell’influenza aviaria. Tuttavia – dice Sorice – nel 2022, da giugno a settembre, si è verificata la più grande diffusione della patologia in Europa, sia nei volatili in cattività, che in quelli selvatici. Inoltre, nell’autunno del 2021 il virus dell’influenza aviaria ha raggiunto per la prima volta il Nord America lungo le rotte migratorie, causando una grave epidemia nel pollame in diverse province canadesi e degli Stati Uniti, oltre ad un’alta mortalità tra gli uccelli selvatici».

Gli effetti del clima

Il cambiamento climatico degli ultimi decenni ha causato un innalzamento generale delle temperature e mitigato la stagione invernale. «Il clima decisamente meno rigido ha modificato l’intensità dei flussi migratori, soprattutto per le specie a migrazione continentale – aggiunge il medico veterinario -. Queste tendono ad anticipare maggiormente le loro attività proprio laddove le temperature sono aumentate con maggiore intensità. Per questo motivo rimane alta la sorveglianza dei Servizi Veterinari delle ASL per intercettare ed isolare tempestivamente animali selvatici positivi ed impedire la diffusione del virus agli animali d’allevamento».

Passeggiate di primavera: attenzione alle carcasse

Tra i fattori di rischio, che aumentano le possibilità che la contaminazione arrivi all’uomo, ci sono anche i nostri comportamenti. «Durante la primavera, con l’arrivo dei primi tepori, tendiamo a trascorrere molto più tempo all’aria aperta, anche fuori città. Per questo – sottolinea Sorice – invito chiunque, durante una passeggiata nel bosco o per le strade di campagna, nei pressi delle rive dei fiumi o dei laghi, a non avvicinarsi ad eventuali carcasse di animali rinvenute durante il percorso. L’unica cosa da fare, mantenendosi sempre ad un’adeguata distanza dall’animale morto, è allertare i servizi veterinari di competenza, che provvederanno a rimuovere ed sottoporre la carcassa a tutti gli accertamenti ed esami del caso».

Aviaria: nessun salto di specie

È solo con il contatto diretto con un animale infetto che l’essere umano può contrarre il virus dell’aviaria. Dopo gli ultimi casi rilevati tra i mammiferi, in diversi Paesi europei, è cresciuto il timore di un salto di specie, di un contagio interumano. Paura alimentata anche dagli ultimi casi umani di influenza aviaria: una bimba deceduta in Cambogia (anche il papà era stato contagiato, ma asintomatico), una donna nella provincia dello Jiangsu in Cina e il caso in Ecuador, in situazioni di particolare promiscuità uomo/animali in situazioni igieniche particolari.

Lo studio italiano

Fortunatamente, la possibilità di uno spillover è stata ulteriormente smentita da uno studio italiano in fase di pubblicazione su “Pathogen and Global Health”, condotto dai ricercatori delle Università di Sassari, del Campus Bio-Medico e della Sapienza di Roma. Gli studiosi hanno evidenziato che, almeno per ora, l’H5N1 non mostra nessuna delle caratteristiche necessarie al verificarsi di uno spillover. Naturalmente che il salto di specie non sia avvenuto non significa che non possa mai verificarsi. Per questo, l’attenzione resta alta e le attività di monitoraggio assidue. L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), l’Ente sanitario di controllo, ricerca e servizi per la salute animale e la sicurezza alimentare, ha aggiornato il suo ultimo bollettino il primo giorno di primavera, lo scorso 21 marzo.

L’aviaria negli allevamenti

L’ultimo focolaio è stato confermato il 16 marzo a Forlì Cesena, in Emilia-Romagna, in un allevamento di tacchini da carne. Il caso precedente risale a 9 giorni prima, in Veneto, a Verona, ugualmente in un allevamento di tacchini. Erano quasi tre mesi che i servizi competenti non ne rilevavano tra gli animali allevati: l’ultimo caso risaliva al 23 dicembre del 2022 in Veneto, a Verona, in un allevamento di tacchini da carne. Dall’inizio delle attività di sorveglianza della stagione in corso, inaugurata il 22 settembre del 2022 e aggiornata al 21 marzo 2023, sono 32 i focolai accertati negli allevamenti italiani.

L’aviaria tra i selvatici

Tra selvatici gli ultimi casi sono stati individuati il 17 marzo: le carcasse infette, tra gabbiani e falchi pellegrini, sono state rinvenute a Brescia, in Lombardia. Il giorno prima 4 casi a Verona, in Veneto, e un altro a Padova. Durante i primi 21 giorni del mese di marzo sono stati quasi 230 i volatici selvatici risultati positivi al virus dell’aviaria. Il rilevamento più significativo risale al 10 marzo con 78 gabbiani a Brescia. «Guardando la mappa della penisola italiana i casi restano concentrati tra l’Emilia-Romagna, il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e la Lombardia, con qualche caso sporadico in altre Regioni – sottolinea Sorice – . Nella maggior parte dei casi si tratta di animali selvatici. I casi riscontrati negli allevamenti industriali sono nettamente minori e – conclude il presidente SIMeVeP – il riscontro negli allevamenti rurali risulta ancora più esiguo».




EFSA: stabulare i vitelli in piccoli gruppi per migliorarne il benessere

Secondo gli scienziati dell’EFSA, i mangimi fibrosi a taglio lungo, come il fieno, dovrebbero essere somministrati ai vitelli non prima delle due settimane di età e aumentati gradualmente nel tempo. Per coprire il fabbisogno di ruminazione e ferro è necessario un elevato apporto di fibre.

Le evidenze scientifiche comprovano che i vitelli che hanno un contatto limitato con la madre soffrono spesso di stress da isolamento e incapacità di poppare. Per migliorare il loro benessere, i giovani animali dovrebbero essere tenuti con la madre per un minimo di un giorno, anche se si raccomanda un contatto più prolungato per favorire il benessere sia del vitello che della madre.

Consulenza su base scientifica a supporto dei legislatori

I nostri esperti hanno valutato i sistemi di allevamento dei vitelli utilizzati nell’Unione europea e hanno individuato i pericoli a cui gli animali sono esposti nonché le relative conseguenze sul loro benessere. Tale valutazione fungerà da base scientifica per i legislatori che stanno lavorando alla revisione della legislazione dell’Unione Europea in materia di benessere degli animali. La relativa proposta legislativa della Commissione è attesa per la seconda metà del 2023.

La Commissione europea ha richiesto all’EFSA diversi pareri scientifici sul benessere degli animali d’allevamento nell’ambito della strategia Farm to Fork (F2F)(dal produttore al consumatore). L’EFSA ha già pubblicato valutazioni sul benessere dei suini d’allevamentodei polli da carne e delle galline ovaiole nonché degli animali durante il trasporto. I nostri scienziati stanno inoltre ultimando le valutazioni sul benessere delle bovine da latte, delle anatre, delle oche e delle quaglie.

Fonte: EFSA