Monitoraggio della malattia da deperimento cronico (CWD)

La Commissione europea ha richiesto un’analisi del programma di monitoraggio della malattia da deperimento cronico (CWD) in Norvegia, Svezia, Finlandia, Islanda, Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia (9 gennaio 2017-28 febbraio 2022).

Sono stati riscontrati 13 casi nelle renne, 15 nell’alce e 3 nei cervi rossi. Gli animali esaminati hanno mostrato due fenotipi, distinti per la presenza o l’assenza della normale proteina prionica cellulare (PrP) associata alla malattia, rilevabile nei tessuti linforeticolari.

La CWD è stata rilevata per la prima volta in Finlandia, Svezia e in altre zone della Norvegia. Nei paesi in cui la malattia non è stata rilevata, le prove erano insufficienti per escluderne del tutto la presenza. Laddove sono stati rilevati casi, la prevalenza era inferiore all’1%.

I dati suggeriscono inoltre che i gruppi di animali target ad alto rischio sui quali si concentra la sorveglianza dovrebbero essere rivisti, e che gli animali morti per “incidente stradale” non dovrebbero essere più testati per CWD.

I dati rivelano che, oltre alle differenze per età e sesso, la proteina prionica (PRNP)differisce anche tra le renne selvatiche positive e negative.

Per quanto riguarda la sorveglianza è stato proposto un sistema graduale basato su un’attività minima di base da attuare in tutti i paesi europei dove vivono popolazioni di cervidi sensibili che può essere poi ampliata con indagini ad hoc rivolte al raggiungimento di obbiettivi specifici, e sulla base della presenza o meno di casi. Queste indagini, sostenute nel tempo, si avvalgono di test in parallelo di obex e linfonodi provenienti da popolazioni di cervidi target ad alto rischio e si basano su unità di campionamento e prevalenza stimata sui dati disponibili.

Valutare la probabilità di presenza della malattia sarà possibile grazie ai seguenti criteri appositamente delineati: definizione dell’area geografica, valutazione annuale del rischio di introduzione, sorveglianza di base, formazione e coinvolgimento delle parti interessate e attuazione di un programma di sorveglianza basato su parametri stabiliti a partire dai dati presenti in letteratura.

Tutti i casi positivi devono essere genotipizzati. Sono state proposte le dimensioni del campione per rilevare e stimare la frequenza dei polimorfismi PRNP. Il sequenziamento a doppio filamento dell’intero quadro di lettura aperto del gene PRNP dovrebbe essere effettuato per tutti i campioni selezionati e successivamente i dati andrebbero raccolti in un sistema centralizzato a livello dell’UE.

Fonte: IZS Teramo

 

 




Cosa abbiamo imparato dalla pandemia?

imparareL’Agenzia Europea ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control ) risponde alla domanda con una pubblicazione Lessons from the COVID-19 pandemic – May 2023

Il documento mira a raccogliere e presentare le lezioni identificate dagli stakeholders della salute pubblica che hanno risposto alla pandemia di COVID-19. È destinato a servire come input per i paesi per rivedere i loro piani di preparazione alle pandemie o alle emergenze.

Al ciclo di preparazione continua, di anticipazione, di risposta e ripresa di un evento critico dovrebbe essere sempre essere integrata la revisione strutturata della risposta al fine di trarre insegnamenti per il futuro.

La pandemia di COVID-19 rappresenta un esempio unico di risposta della sanità pubblica a un grave episodio critico e gli insegnamenti conse/nguenti dovrebbero essere rapidamente identificati e utilizzati per l’aggiornamento dei piani di preparazione alla pandemia. Le revisioni post-azione (RAA) e le revisioni in azione (IAR), per le quali l’ECDC ha sviluppato una guida, sono strumenti preziosi per assistere i paesi in questo processo.

Durante il 2021 e il 2022, l’ECDC ha svolto una serie di attività per identificare insegnamenti e raccogliere approfondimenti dalla risposta alla pandemia di COVID-19. Queste attività hanno assunto la forma di un esercizio interno con esperti dell’ECDC; una revisione dei resoconti delle lezioni nazionali; discussioni con gli Stati membri e due sessioni di consultazione: una consultazione di esperti sulla valutazione e l’attuazione di interventi non farmaceutici (NPI) e una riunione di esperti sugli insegnamenti tratti dalla pandemia di COVID-19.

  • Gli insegnamenti tratti da queste attività sono stati raccolti sistematicamente, inizialmente in nove aree tematiche. Le informazioni sono state poi ulteriormente raccolte in quattro aree di lezione, ognuna delle quali rappresenta una componente critica della risposta a una minaccia per la salute:
  • Area della lezione 1: Investimenti nella forza lavoro della sanità pubblica
  • Area della lezione 2: Prepararsi alla prossima crisi di salute pubblica
  • Area della lezione 3: Comunicazione del rischio e coinvolgimento della comunità
  • Area della lezione 4: Raccolta e analisi di dati e prove.

 

La pubblicazione presenta gli insegnamenti individuati in ciascuna delle aree, insieme alle attività e alle azioni future in cui l’ECDC può contribuire.

Fonte: IZS Lombardia ed Emilia Romagna




ISS pubblicate le linee guida al Regolamento (CE) 2023/2006

issNell’ambito del Progetto CAST (Contatto Alimentare Sicurezza e Tecnologia) sono state sviluppate linee guida per l’applicazione del Regolamento (CE) 2023/2006 sulle buone pratiche di fabbricazione nella filiera di produzione dei materiali e oggetti destinati a venire in contatto con gli alimenti.

Le linee guida sono strutturate in una parte di applicazione generale e in una parte di applicazione specifica, distinta per le filiere dei materiali e oggetti in alluminio, carta e cartone, imballaggi flessibili, legno, materie plastiche, metalli e leghe metalliche rivestiti e non rivestiti, sughero, vetro, prodotti verniciati su metalli (coating), adesivi sigillanti, inchiostri da stampa.

Scarica il rapporto

Fonte: Istituto Superiore di Sanità




Zoonosi, il white paper della quadripartita

Della quadripartita (FAO, OMS, WOAH e UNEP) si parla spesso, specialmente in chiave One Health. L’impegno delle quattro organizzazioni, con il supporto del loro organo consultivo OHHLEP, ha di recente portato alla pubblicazione di un White Paper dedicato alle zoonosi e all’impegno che ogni Paese dovrebbe assumersi in forma condivisa, in nome di un benessere generale.

Il documento sostiene la necessità di ridurre il rischio di malattie zoonotiche partendo dalla fonte e adottando migliori misure di prevenzione e un approccio più efficiente. Non basta attivarsi, insomma, come si è fatto fino ad oggi, dopo che un patogeno ha già fatto il salto dagli animali all’uomo (descritto come un evento di spillover), consentendo il riemergere di una data malattia o l’emergere di nuove. Serve piuttosto distinguere le attività di contenimento dei focolai da quelle mirate alla prevenzione delle ricadute.

Per questo ‘OHHLEP propone la seguente definizione: “Prevenire la diffusione dei patogeni dagli animali agli esseri umani significa spostare il paradigma del controllo delle malattie infettive da reattivo a proattivo (prevenzione primaria). La prevenzione include l’affrontare i driver dell’emergenza della malattia, vale a dire i fattori e le attività ecologici, meteorologici e antropogenici che aumentano il rischio di spillover, al fine di ridurre il rischio di infezione umana. Tra le altre azioni, occorre puntare con forza sulla  biosorveglianza negli ospiti naturali, nelle persone e nell’ambiente, comprendendo le dinamiche di infezione dei patogeni e attuando attività di intervento”.

Un’impostazione proattiva richiede approcci diversi, che tengano conto dei cambiamenti  del suolo legati allo sviluppo delle infrastrutture, dell’industria o all’espansione agricola. E poi si devono prendere in considerazione anche fattori generali come il cambiamento climatico, la povertà e le disuguaglianze socioeconomiche e le pratiche di base per la salute animale e umana e il benessere degli animali.

E l’impatto economico di questo approccio?

Non può essere un deterrente. Anzi, il documento dimostra che la prevenzione intelligente costerebbe ben meno degli interventi ex post. I costi di prevenzione variano da circa 10 miliardi di dollari a 31 miliardi di dollari all’anno a livello globale, mentre la risposta alle recenti crisi di malattie infettive come le epidemie di Ebola e Mpox costa più tempo e denaro di quanto sarebbe necessario per avviare approcci di prevenzione. Basti pensare, per esempio, che le perdite economiche previste dalla pandemia di COVID-19 sono stimate in quasi 14 trilioni di dollari fino al 2024. L’OHHLEP sottolinea che l’approccio One Health non solo aiuterebbe a prevenire nuove epidemie e pandemie, ma fornirebbe anche significativi benefici economici, sociali e ambientali come la riduzione delle emissioni di gas serra.

Fonte: Vet33.it




Allevamenti a basso impatto con il life cycle assessment

muccaNegli ultimi anni le smart technology hanno trovato il loro posto negli allevamenti – in Italia come in altri Paesi – e hanno contribuito ad aumentare l’efficienza e la sostenibilità dei processi zootecnici.

In un’ottica One Health è fondamentale misurare l’impatto non solo sulla produttività, ma anche sull’ambiente, sulla salute animale e sui lavoratori delle tecnologie innovative che si stanno diffondendo, per identificare quelle più utili. Uno strumento riconosciuto e usato allo scopo è la valutazione del ciclo di vita o life cycle assessment (Lca). Una metodologia, standardizzata a livello internazionale, che permette di valutare e quantificare i carichi ambientali e gli impatti potenziali associati a un prodotto, a un processo o a un’attività lungo l’intero ciclo di vita: a partire dall’acquisizione delle materie prime fino al “fine vita”.

Lice cycle assessment: una realtà anche nella zootecnia

La metodologia, applicabile a tantissimi ambiti diversi, viene impiegata in agricoltura da circa 20-25 anni e più di recente anche in zootecnia.

Marcella Guarino, professore ordinario all’Università degli Studi di Milano (Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali) studia le smart technology usate negli allevamenti intensivi in Italia. E dal 2017, insieme al collega Jacopo Bacenetti, usa il life cycle assessment per cercare di capire l’impatto dell’innovazione in zootecnia sull’ambiente e sulla società.

“I prodotti di zootecnia di precisione oggi sono ampiamente diffusi e permettono agli allevatori di gestire un allevamento con più tecnologia, più controllo e con la possibilità di ridurre l’intervento umano: il tutto nell’ottica del One Health – racconta Guarino -. Nei nostri studi cerchiamo di paragonare un’attività prima e dopo l’introduzione di una particolare tecnologia, per capire se, in che misura e in che modo questa migliora l’impatto ambientale e la salute animale”.

Usare la metodologia Lca, spiega Bacenetti, consiste nel definire i flussi di massa ed energia tra sistema (un allevamento intensivo ad esempio) e ambiente. “Prendiamo in considerazione tutto ciò che viene consumato, come i mangimi, il gasolio, i prodotti per la pulizia, e le emissioni nell’ambiente, quindi l’emissione di inquinanti legati ai gas di scarico dei trattori, oppure emessi all’animale o i reflui da loro prodotti. Tutti questi dati vengono inventariati e convertiti in indicatori di impatto ambientale usando un fattore di conversione”.

In questo modo i ricercatori possono stimare l’impatto sul cambiamento climatico o la produzione di particolato, per esempio.

Come ridurre l’ammoniaca in suinicoltura

Bacenetti e Guarino stanno concludendo un progetto sull’efficienza di diverse soluzioni (in parte appositamente sviluppate) per l’abbattimento di polvere e ammoniaca negli allevamenti intensivi di suini.

L’Italia è tra i principali paesi produttori di carne suina nell’Unione europea, con circa nove milioni di capi (di cui il 50 per cento in Lombardia). Gli allevamenti di suini generano emissioni di ammoniaca (NH3), che contribuiscono ai fenomeni di acidificazione ed eutrofizzazione. L’ammoniaca è un precursore del particolato fine (PM 2,5), a cui si giunge attraverso reazioni chimiche con il biossido di zolfo (SO2) e ossidi di azoto (NOx). Con significativi effetti negativi sulla salute umana.

“L’Italia ha la particolarità di produrre il prosciutto di Parma, per cui alleviamo animali che arrivano a pesare anche 180 chili. In questi allevamenti vengono prodotte importanti quantità di ammoniaca. Per questo abbiamo pensato di installare uno scrubber che, usando l’acido citrico, catturi l’ammoniaca sottraendola cosi all’ambiente”, spiega Guarino.

La macchina è uno scrubber a umido costituito da due serbatoi: il primo contenente solo acqua per catturare il particolato ed il secondo acqua in soluzione con acido citrico, per catturare l’ammoniaca. L’aria, prelevata all’interno dei ricoveri grazie ad una pompa di aspirazione, passa attraverso i due serbatoi ed è poi reimmessa nella stanza.

“I nostri sono solo prototipi, ma le grandi aziende hanno colto il vantaggio e stanno riadattando dei sistemi per garantire all’interno degli allevamenti una qualità dell’aria appropriata”, nota Guarino.

Le tecnologie più diffuse

Sulla base degli studi condotti da Guarino e dai suoi colleghi, in particolare in Lombardia, sono diverse le tecnologie che permettono di aumentare l’efficienza degli allevamenti e di ridurre l’impatto ambientale delle attività.

“Prima di tutto sono importantissimi i sistemi di early warning, che permettono il monitoraggio della salute animale 24 ore su 24, 7 giorni su 7, come i rilevatori della tosse dei suini che permettono di identificare immediatamente un problema di salute e di prevenirlo. Sono poi utili tutte le tecnologie di gestione e ottimizzazione che consentono di sfruttare al massimo il ciclo di vita degli animali. Esistono oggi macchine che permettono di allattare il vitello più volte al giorno o di distribuire l’alimento agli animali in mungitura in modo automatizzato più volte al giorno e in base alle necessità dell’animale. Sono poi molto interessanti tutti gli scrubber che permettono di pulire l’aria”, racconta l’esperta.

Contrasto alla formazione di biogas

Dalle ricerche, nota Bacenetti, è anche emerso che la maggior parte dell’impatto ambientale degli allevamenti è legato all’alimentazione degli animali.

“Nell’ultimo anno molti allevatori di bovini da carne hanno cercato di modificare la dieta degli animali: sostituendo i prodotti ad alto impatto con sottoprodotti dell’industria agroalimentare”, commenta l’esperto. “Abbiamo anche osservato che, tra le soluzioni di mitigazione dell’impatto in zootecnia, una delle più efficaci è la realizzazione di impianti di biogas grazie ai quali, nel caso di allevamenti di bovini da carne, è possibile ridurre l’impatto ambientale di un allevamento mediamente del 10 per cento”.

La certificazione sarà richiesta dalla Gdo

Secondo Guarino sempre più aziende – e in particolare un numero sempre maggiore all’interno della grande distribuzione organizzata – richiederà nei prossimi anni una certificazione Lca.

“L’Europa si è data un obiettivo di neutralità climatica entro il 2050 e il mercato sta andando in questa direzione: sono gruppi di distribuzione che stanno portando avanti politiche per acquisire solo prodotti a impatto zero”.

Zootecnia smart a beneficio dei lavoratori

I ricercatori hanno notato che una zootecnia smart va anche a beneficio di coloro che lavorano negli allevamenti. “Abbiamo visitato un allevamento di vacche da latte in provincia di Cremona, il più evoluto in Italia dal punto di vista tecnologico – racconta la ricercatrice – e ci siamo resi conto che, oltre ad essere particolarmente efficiente, l’azienda è anche un luogo di lavoro molto ambito perché il lavoro più pesante da un punto di vista fisico viene fatto dalle macchine”.

I ricercatori hanno allora intrapreso degli studi per valutare l’impatto sociale degli allevamenti intensivi suini, usando il Social life cycle assessment (S-Lca): una metodologia ancora poco esplorata in ambito zootecnico. “Intendiamo scoprire come i lavoratori degli allevamenti vivono l’uso delle tecnologie”, dice Guarino.

L’uso del social life cycle Assessment in ambito zootecnico si è però rivelato più complesso del previsto. L’approccio è molto più qualitativo rispetto all’Lca classico e si basa sulla disponibilità dei lavoratori a rispondere a una serie di domande sul salario, sulla regolarità dei pagamenti, sulla percentuale di lavoratori con regolare contratto di lavoro, sulle ore di formazione, sulle ore lavorative settimanali, sugli straordinari, gli infortuni e sulle malattie correlate al lavoro.

La reticenza degli allevatori

Domande a cui non sempre è stata data una risposta volentieri.

“Abbiamo cercato di intervistare i lavoratori degli allevamenti di suini in Italia e in Catalogna – racconta Bacenetti – ma i risultati non sono stati sempre soddisfacenti. Non perché abbiamo rilevato situazioni di bassa sostenibilità sociale ma perché gli allevatori non condividono volentieri queste informazioni. Nessun allevamento della Catalogna ci ha concesso i colloqui dopo che avevamo anticipato loro le domande, mentre in Italia siamo riusciti a effettuare interviste in un numero limitato di allevamenti. C’è poi un’altra criticità: il metodo si basa non solo sulla disponibilità degli intervistati, ma anche sulla loro sincerità. C’è quindi il rischio che a partecipare alla valutazione siano le aziende più virtuose e attente al benessere degli animali e dei lavori nonché più propensi a collaborare con le comunità locali”.

La rilevazione del benessere animale

Il S-Lca è quindi uno strumento da migliorare per riuscire ad ottenere un quadro realistico delle condizioni dei lavoratori negli allevamenti in Italia e all’estero.

Bacenetti nota che intanto alcuni ricercatori stanno cercando di implementare un Lca che permetta la valutazione del benessere animale. “Potrebbe essere interessante, ma bisognerà considerare indicatori diversi per ogni specie”.

In ogni caso al momento risulta evidente che una zootecnia attenta alla sostenibilità ambientale e al benessere animale che fa uso delle tecnologie disponibili per migliorare l’efficienza e l’impatto delle attività è nell’interesse dell’allevatore e dei lavoratori.

Secondo Guarino però non è chiaro chi e come dovrebbe sostenere l’aumento dei costi dovuto all’introduzione dell’innovazione. “Dobbiamo riflettere sugli allevamenti intensivi e chiederci se il consumatore sia disposto a pagare di più per dei prodotti che impattino meno sull’ambiente”.

Fonte: aboutpharma.it




Linee guida IUCN su conflitto e coesistenza Uomo-Fauna Selvatica

I conflitti tra uomo e fauna selvatica stanno diventando sempre più frequenti, seri e diffusi in tutto il mondo, difficili da risolvere e, dunque, si stanno cercando possibili soluzioni.

L’IUCN Species Survival Commission (SSC) ha pubblicato il volume IUCN SSC guidelines on human wildlife conflict and coexistence che fornisce indirizzi essenziali per comprendere e risolvere tali conflitti.

Il manuale mira a fornire fondamenti e principi per le buone pratiche, con una guida chiara e pratica su come affrontare al meglio i conflitti e consentire la coesistenza tra e uomo e fauna selvatica.

Le linee guida sono state redatte per essere utilizzate da professionisti della conservazione, leader di comunità, decisori politici, ricercatori, funzionari governativi e altre figure coinvolte.

Concentrandosi su approcci e strumenti per l’analisi e il processo decisionale, non si focalizzano su singole specie o regioni del mondo in particolare.

 

Fonte: Reticula  – Rivista quadrimestrale ISPRA




Contributo dei prodotti di origine animale per una dieta salutare – Sintesi del documento FAO 2023

FAOQuesto interessante documento della FAO arriva in un momento assai agitato del dibattito italiano circa la dieta alimentare più adeguata per tutti noi, soprattutto per i suoi numerosi risvolti sulla salute. In Italia, come è noto internazionalmente, “si mangia bene” e di questo, personalmente, ne sono molto convinto; diversa è la posizione di ciascuno di noi quando si affronta il problema di cosa faccia bene o male o di quale sia la scelta alimentare più giusta sul piano dell’impatto sulle risorse planetarie da parte di una popolazione globale che ha superato gli 8 miliardi e che è tutt’ora in crescita, ma che, necessariamente deve alimentarsi tutti i giorni.
Nella Prefazione al documento si sottolinea come il nostro pianeta sia segnato da profonde contraddizioni; ad esempio, un decimo della popolazione soffre la fame e ben tre miliardi di nostri “fratelli” soffrono per non potersi alimentare con una dieta sana, ma, allo stesso tempo, ben una persona su tre è sovrappeso o addirittura obeso, mentre poco meno del 25% dei bambini mostrano una crescita rachitica e oltre mezzo miliardo di donne soffre di anemia. Tutti questi guai derivano da malnutrizione che può essere risolta solo con una dieta alimentare sana.
Risulta semplice constatare come gli alimenti che possiamo ottenere da molti animali terrestri, siano in grado di provvedere ai nostri bisogni di energia e di principi nutritivi essenziali come proteine, lipidi, vitamine e elementi minerali, in modo molto più efficace rispetto ad altre sorgenti alimentari.

Leggi l’articolo integrale su gergofili.it




In commercio un latte con il prolungamento della shelf-life di oltre il 60%

scadenza latte frescoMolto e da sempre si parla di eliminare gli sprechi, o perlomeno di ridurli sempre più significativamente per poter risparmiare risorse che quindi potranno essere meglio impiegate in altri ambiti.

Gli sprechi in ambito alimentare, sia nelle fasi di produzione primaria sia in tutte quelle della successiva trasformazione e commercializzazione/distribuzione, sono certamente tra quelli più odiosi ancor più perché, in un mondo globalizzato, gli squilibri dovuti agli sprechi assumono connotazioni sempre più drammatiche: basti pensare che buona parte dei flussi immigratori incontrollati sono determinati dalla mancanza di sicurezza alimentare, da intendersi come impossibilità di avere cibo a sufficienza.

L’argomento è affrontato dal dott. Vitantonio Perrone, con particolare riferimento alla scadenza del latte fresco, in un contributo pubblicato da La Settimana Veterinaria




Lyssavirus nei pipistrelli, la trasmissibilità del virus raddoppia dopo il parto

Lo studio dell’IZS delle Venezie su due colonie in Alto Adige, nessun rischio di rabbia per l’uomo.

Otto anni. Tanto è durato lo studio su due colonie altoatesine di due specie sorelle di pipistrelli vespertilionidi, per valutare le dinamiche di trasmissione dei lyssavirus. I ricercatori del Centro di referenza nazionale per la rabbia presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) hanno osservato che le due colonie, localizzate in edifici frequentati dall’uomo, raggiungono un’elevata numerosità di qualche migliaio di individui, che raddoppia dopo il parto sincrono all’inizio dell’estate. Lo studio è stato condotto in collaborazione con Università del Sussex, Imperial College London, Università di Bologna e Cooperativa Sterna di Forlì, e pubblicato sulla rivista scientifica Proceedings of the Royal Society B.

Le colonie residenti nel territorio della provincia di Bolzano sono state monitorate in più momenti dell’anno durante la stagione riproduttiva, dal 2015 al 2022, per un totale di 27 osservazioni. Sono stati raccolti e generati dati sierologici, virologici, demografici ed ecologici che hanno quindi permesso di valutare i fattori alla base della trasmissione di European bat lyssavirus 1 (EBLV1) in questi animali e le differenze osservate all’interno di una stessa stagione riproduttiva, e di anno in anno.

I lyssavirus sono una famiglia che conta 17 specie di virus, tra cui anche il virus della rabbia, la maggior parte di essi presenti nei chirotteri. Tuttavia, il virus EBLV1 non è da confondere con il virus della rabbia, che invece non circola sul territorio italiano: infatti, l’Italia è indenne da rabbia dal 2013.

modelli elaborati indicano che le due colonie vanno incontro ad epidemie stagionali guidate da diversi fattori.

“La trasmissione del virus in queste colonie è favorita inizialmente dalla presenza di individui, con scarsa memoria immunitaria, in seguito all’ibernazione, che si ammassano assieme nei sottotetti degli edifici scelti dalla colonia”, spiega Paola De Benedictis, direttrice del CRN rabbia e coautore dell’articolo. “La trasmissione aumenta eccezionalmente dopo il parto sincrono poiché al raddoppiamento della densità della colonia (numero di individui nello stesso spazio) si unisce anche la presenza di neonati caratterizzati da un sistema immunitario immaturo.”

Finora i ricercatori non hanno mai trovato il virus EBLV1 in modo diretto ma soltanto tracce del suo passaggio:

“Al momento, a fronte di una evidenza di circolazione virale che osserviamo indirettamente grazie alla presenza di anticorpi, non abbiamo mai rinvenuto soggetti positivi – continua De Benedictis – L’ipotesi è dunque che il virus EBLV1 si trasmetta solo all’interno delle popolazioni di pipistrelli, senza che questo rappresenti peraltro un pericolo imminente per altri animali e per l’uomo”.

I risultati ottenuti evidenziano il notevole impegno profuso dal Centro di referenza nazionale per la rabbia per comprendere i fattori ecologici alla base della circolazione dei patogeni, al fine di elaborare valutazioni più solide sul rischio di spillover dagli ospiti serbatoio a quelli occasionali, incluso l’uomo. I Lyssavirus sono potenzialmente in grado di causare rabbia nei mammiferi, per questo motivo i pipistrelli sono sorvegliati speciali.

“Le attività di sorveglianza e di ricerca scientifica sono fondamentali per la prevenzione e il controllo delle malattie infettive – afferma la Direttrice generale Antonia Ricci – L’IZSVe con la locale sezione di Bolzano ha avviato nel corso degli anni numerosi progetti di collaborazione con il Servizio veterinario della Provincia Autonoma di Bolzano e il Servizio veterinario dell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige, per la tutela e la salute delle specie d’allevamento delle zone alpine e la conservazione della fauna selvatica.”

I dati sono stati raccolti e prodotti grazie ai fondi erogati dal Ministero della Salute, mediante i bandi di Ricerca Finalizzata (WFR GR-2011-023505919) e di Ricerca Corrente (RC IZSVe 08/18 e RC IZSVe 06/19). La collaborazione con i ricercatori inglesi è stata resa possibile con fondi ERA-NET ICRAD nell’ambito del progetto ConVErgence (BBSRC concessione n. BB/V019945/1).

Fonte: IZS Venezie




Pesticidi negli alimenti: pubblicati gli ultimi dati

Nel 2021 è stato raccolto nell’Unione europea un insieme di 87 863 campioni di prodotti alimentari. Sottoposti ad analisi, il 96,1% di essi è risultato nei limiti di legge. Quanto al sottoinsieme di 13 845 campioni analizzati in base allo specifico programma di controllo coordinato dall’UE (EUCP) si è riscontrato che rientrava nei limiti di legge il 97,9% di essi.

Il programma EUCP dell’UE analizza campioni prelevati a caso da 12 prodotti alimentari. Per il 2021 questi erano: melanzane, banane, broccoli, funghi coltivati, pompelmi, meloni, peperoni, uva da tavola, olio vergine d’oliva, grano, grasso bovino e uova di gallina.

Dei campioni analizzati nell’ambito del programma coordinato:

  • 8 043, ovvero il 58,1%, sono risultati privi di residui quantificabili;
  • 5 507, ovvero il 39,8%, contenevano uno o più residui in concentrazioni inferiori o pari ai limiti ammessi (noti come livelli massimi di residui o LMR);
  • 295, ovvero il 2,1%, conteneva residui superiori ai livelli consentiti.

Il programma coordinato utilizza a rotazione triennale panieri degli stessi prodotti in modo da poter individuare tendenze in aumento o diminuzione.

Il tasso complessivo di sforamento degli LMR da parte dei residui di pesticidi è passato dall’1,4% nel 2018 al 2,1% nel 2021. Se si escludono i pompelmi, nel 2021 il tasso

medio di sforamento degli LMR risulta dell’1,4%, lo stesso del 2018.  Nel 2021 quindi gli Stati membri hanno richiamato l’attenzione sulla maggior presenza di residui di pesticidi nei pompelmi importati da Paesi extraeuropei e la Commissione europea ha aumentato i controlli alle frontiere.

L’EFSA ha tradotto le risultanze del programma coordinato in grafici e diagrammi disponibili sul proprio sito web, rendendo così i dati più accessibili al pubblico non specialista.

Oltre ai dati armonizzati e confrontabili raccolti nell’ambito del suddetto programma UE, il rapporto annuale dell’EFSA utilizza anche i dati provenienti dalle attività di controllo nazionali dei singoli Stati membri dell’UE[1], più Norvegia e Islanda.

I risultati dei programmi di monitoraggio sono la fonte essenziale di informazioni per stimare l’esposizione dei consumatori europei ai residui di pesticidi tramite l’alimentazione.

Nell’ambito dell’analisi dei risultati l’EFSA ha prodotto anche una valutazione dei rischi alimentari. È stata introdotta quest’anno anche una valutazione probabilistica pilota su un sottoinsieme di sostanze.

Il rapporto conclude che è improbabile che i prodotti alimentari analizzati nel 2021 rappresentino un problema per la salute dei consumatori. Con tutto ciò il rapporto comprende una serie di raccomandazioni per aumentare l’efficienza dei sistemi europei di controllo sui residui di pesticidi.

Fonte: EFSA