Malattia X da causa X in Congo, la storia si ripete!

La “nuova” malattia insorta nella Repubblica Democratica del Congo, già messa a dura prova dall’epidemia di “Monkeypox”, avrebbe sin qui provocato almeno 450 casi e oltre 30 decessi, soprattutto fra i bambini al di sotto dei 5 anni.

A dispetto della recentissima notizia relativa alla presenza di una “coinfezione” da Plasmodium falciparum/vivax/malariae – agenti della malaria, malattia endemica nel Continente Africano – nell’80% dei pazienti colpiti dalla “nuova” malattia congolese, fattispecie quest’ultima che renderebbe oltremodo di plausibile e giustificata la frequente coesistenza di quadri anemici negli stessi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e le più importanti Istituzioni planetarie coinvolte nella lotta, nel controllo e nella profilassi delle malattie infettive (quali i prestigiosi “Centers for Disease Control and Prevention”/CDC di Atlanta, negli USA) brancolano ancora nel buio.

A tal proposito, infatti, andrebbe parimenti sottolineato che i succitati quadri anemici si rinvenirebbero comunemente associati ad altre manifestazioni cliniche comprendenti tosse, disturbi respiratori, cefalea ed ipertermia febbrile, elementi dai quali trarrebbe sostegno l’ipotesi di un coinvolgimento di uno o più patogeni respiratori, ai quali potrebbe essere altresì ascritto il ruolo di agente/agenti primario/primari.

Mutatis mutandis, ben prima che il virus responsabile dell’AIDS (Human Immunodeficiency Virus/HIV) venisse contemporaneamente e definitivamente identificato da Luc Montagnier (in Francia) e da Robert Gallo (in USA) nel lontano 1983, i sospetti iniziali si erano indirizzati, per oltre due anni, su Pneumocystis carinii (successivamente ribattezzato P. jirovecii), un protozoo di frequente riscontro nei pazienti affetti da AIDS e che “col senno di poi” avrebbe rappresentato la “punta dell’iceberg” dell’infezione da HIV, costituendo al tempo stesso uno degli svariati agenti opportunisti responsabili di infezioni secondarie in tali individui.

In effetti, si potrebbero citare molteplici esempi di infezioni secondarie sostenute da protozoi sia in persone che in animali primariamente infetti ad opera di agenti immunodeprimenti/immunodepressivi, virali e non, quali Toxoplasma gondii sempre in pazienti con AIDS nonché in cani affetti da cimurro (malattia causata da “Canine Distemper Virus”/CDV, un Morbillivirus) e in delfini con infezione da “Cetacean Morbillivirus” (CeMV, un altro Morbillivirus).

E, poiché di agenti protozoari anche nel caso di Plasmodium falciparum, P. vivax e P. malariae si tratta, l’ipotesi di un coinvolgimento secondario degli stessi nell’eziologia della misteriosa malattia congolese potrebbe risultare plausibile, tanto più in ragione del fatto che i disturbi respiratori osservati nei bambini affetti da siffatta “sindrome X” non rientrerebbero fra i reperti clinico-sintomatologici tipici della malaria.

Se poi andiamo a scavare, neppure più di tanto, nell’affascinante storia delle malattie infettive, fatto salvo il succitato eloquente esempio dell’AIDS, ci accorgiamo che l’identificazione di SARS-CoV, il betacoronavirus responsabile della SARS – malattia riconosciuta per la prima volta nel 2002 dal medico italiano Carlo Urbani, poi deceduto a causa della stessa – è stata preceduta dall’attribuzione, ad opera di ricercatori cinesi, di una responsabilità causale non gia’ ad un agente virale, ma bensi’ a batteri del genere Chlamydia.

Nel mondo animale poi, tanto per citare un ulteriore, eloquente esempio, prima che si addivenisse alla scoperta di una serie di nuovi membri del genere Morbillivirus quali responsabili di devastanti epidemie fra i mammiferi marini (Pinnipedi e Cetacei), la cui salute e conservazione appaiono sempre più minacciate per mano dell’uomo, altri agenti erano stati indiziati quali noxae causali, primo fra tutti Herpesvirus, rivelatosi in seguito un patogeno frequentemente coinvolto in infezioni secondarie. Illuminanti esempi di questo tipo non mancano neppure tra gli ospiti animali invertebrati, come chiaramente ci mostrano i ripetuti episodi di mortalità collettiva che in anni recenti hanno interessato le popolazioni di nacchere (Pinna nobilis) in più aree del Mediterraneo. Si tratta del più grande mollusco bivalve lamellibranco presente nella regione, i cui eventi di mortalità collettiva erano stati ricondotti all’azione di un protozoo (Haplosporidium pinnae) e di batteri (Mycobacterium sherrisii, Vibrio mediterranei) prima che si addivenisse a definirne l’eziologia primaria, ascrivibile ad un piccolo virus a RNA facente parte dell’ordine Picornavirales, rispetto al quale il parassita e i due batteri anzidetti andrebbero considerati come agenti opportunisti d’irruzione secondaria.

Alla luce di quanto sopra, verrebbe da dire che la “malattia X” recentemente identificata in Congo non rappresenti un’eccezione alla regola secondo cui l’identificazione certa di qualsivoglia agente causale di qualsivoglia nuova malattia infettiva (e non) sia anticipata, giocoforza, da “errori” grazie ai quali l’accertamento della responsabilità eziologica primaria emergera’ a tempo debito e a coronamento degli sforzi profusi dalla Comunità Scientifica, in una sana ottica di collaborazione intersettoriale e multidisciplinare e, nondimeno, nel segno della “One Health”, la salute unica di uomo, animali ed ambiente.

Historia Magistra Vitae!

 

Giovanni Di Guardo,

DVM, Dipl. ECVP,

Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo

 

 




Focus sull’uso del farmaco negli animali d’affezione

La SIMeVeP in collaborazione con ADMV, Associazione Donne Medico Veterinario, ha organizzato per il 18 dicembre il Webinar dal titolo “Focus sull’uso del farmaco negli animali d’affezione” tenuto dalla dottoressa Silvia Fiorina e dal dottor Marco Cecchetto del Gruppo di lavoro SIMeVeP “Farmaco veterinario e Antibioticoresistenza”.

L’incontro, rivolto esclusivamente ai medici veterinari, è stato organizzato per rispondere a domande pratiche e prevenire errori che potrebbero causare sanzioni. Verranno affrontate le problematiche legate alla gestione delle prescrizioni, all’uso di farmaci generici e alla complessa situazione del mercato, dove la scarsità di farmaci veterinari specifici spesso costringe i professionisti a scelte difficili.

Il convegno rappresenta un’occasione unica per acquisire chiarezza sulle novità normative e per ricevere linee guida operative da massimi esperti del settore.

Info sull’evento




Ferri: PSA tra fattori di rischio e di protezione

L’EFSA in un rapporto scientifico del 4 Dicembre 2024 dal titolo ‘Fattori di rischio e di protezione per la Peste suina africana nei suini domestici e nei cinghiali nell’UE e misure di mitigazione per la gestione della malattia nei cinghiali’, utilizzando revisioni delle pubblicazioni scientifiche, studi sul campo, questionari e modelli matematici, individua e valuta cinque aspetti epidemiologici della PSA.

In primo luogo i risultati della revisione della letteratura e di uno studio caso-controllo negli allevamenti di suini commerciali, sottolineano l’importanza dei fattori di rischio legati alla biosicurezza e pratiche agricole, compresa la diffusione del letame intorno agli allevamenti e l’uso di materiale da lettiera, mentre l’uso di reti anti-insetti svolge una azione protettiva. Per quanto riguarda la densità dei cinghiali, ritenuto essere un fattore rilevante dal punto di vista epidemiologico, i modelli statistici e meccanicistici utilizzati non hanno evidenziato un effetto chiaro e coerente sull’epidemiologia della PSA negli scenari selezionati, diversamente da altri fattori ambientali, come vegetazione, altitudine, clima e barriere che influenzando la connettività della popolazione, svolgono un ruolo epidemiologico chiave per la PSA nei cinghiali.

Riguardo alla presenza e sorveglianza di Ornithodoros erraticus sembra che questa zecca non abbia avuto alcun ruolo nell’attuale epidemia di PSA nelle aree colpite dell’UE. Le prove scientifiche disponibili suggeriscono invece che le mosche delle stalle e i tafani sono esposti alla PSA, hanno la capacità di introdurre l’infezione negli allevamenti e trasmetterla ai suini, anche se non è chiaro se ciò si verifichi e, in caso affermativo, in che misura.

Molto si è parlato delle recinzioni, ricordiamo quelle costruite in Danimarca lungo i confini con la Germania, dopo i primi focolai in quest’ultimo paese nel 2020 nei cinghiali nelle zone immediatamente adiacenti al confine con la Polonia. Ebbene la ricerca e l’esperienza sul campo dei paesi colpiti nell’UE dimostrano che il loro uso, potenzialmente abbinato alle infrastrutture stradali esistenti, insieme ad altri metodi di controllo come l’abbattimento e la rimozione delle carcasse di cinghiali, può ridurre efficacemente i movimenti dei cinghiali contribuendo alla gestione della PSA in natura. Le recinzioni possono contribuire a controllare l’infezione in entrambi gli scenari di introduzioni focali e diffusione a onde. In ultimo, i vaccini. Si è dimostrato che l’uso dell’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH) come contraccettivo immunitario, ha il potenziale, come strumento complementare, di ridurre e controllare le popolazioni di cinghiali. Tuttavia, lo sviluppo di un vaccino orale GnRH per i cinghiali richiede ulteriori studi scientifici.

Dott. Maurizio Ferri, Coordinatore scientifico della SIMeVeP

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I numeri dei grandi carnivori in Europa

In Europa vivono sei specie di grandi carnivori: orso, lupo, lince eurasiatica, lince iberica, ghiottone e sciacallo dorato. La maggior parte delle popolazioni di questi predatori ha mostrato negli ultimi sei anni un complessivo trend di crescita sia numerica che di distribuzione, come dimostra il report realizzato per l’Unione europea dal Large Carnivore Initiative for Europe (LCIE), gruppo specialistico dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) che si occupa della conservazione e gestione dei grandi carnivori in Europa. Studiare gli andamenti numerici e distributivi di una popolazione animale è fondamentale per capire l’evoluzione e lo “stato di salute” di una popolazione e di conseguenza per indirizzare le scelte gestionali e di conservazione. Lo è per qualsiasi specie, e nel caso dei grandi predatori è cruciale per ricondurre il discorso, che è spesso fortemente polarizzato, su dati oggettivi.

Il report della LCIE, a firma di oltre 200 esperti europei, ha proprio lo scopo di fornire un quadro di sintesi basato sui migliori dati disponibili raccolti tra il 2017 e il 2022. L’area investigata comprende 34 stati: oltre a quelli che fanno arte dell’UE, anche Svizzera, Norvegia e parte dell’Ucraina e della Turchia. La distribuzione delle specie è stata valutata mappando tutti i dati di presenza, classificati in base all’affidabilità del dato (una valutazione basata su una serie di criteri rigorosi), e sovrapponendo alla carta una griglia con quadrati di 10 Km di lato, un metodo utilizzato per fare la valutazione di tutte le specie animali e vegetali protette dalla Direttiva habitat. Le mappe prodotte distinguono per ogni quadrato se si tratta di una presenza stabile della specie o occasionale. Per tutte, è stato fatto un confronto con le stime ottenute nel report analogo pubblicato nel 2016.

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Fonte:scienzainrete.it




Encefalopatie spongiformi trasmissibili (TSE): il rapporto EFSA sulla situazione nell’UE

La presente relazione presenta i risultati della sorveglianza sulle encefalopatie spongiformi trasmissibili nei bovini, negli ovini, nei caprini, nei cervidi e in altre specie e della genotipizzazione negli ovini e nei caprini, effettuata nel 2023 da 27 Stati membri (SM, UE-27), dal Regno Unito (rispetto all’Irlanda del Nord (XI)) e da altri otto paesi dichiaranti non appartenenti all’UE: Bosnia-Erzegovina, Islanda, Montenegro, Macedonia del Nord, Norvegia, Serbia, Svizzera (i dati comunicati dalla Svizzera comprendono quelli del Liechtenstein) e Turchia.

In totale, 948 165 bovini sono stati sottoposti a test nell’UE-27 e nell’UE XI (-3 % rispetto al 2022), con cinque casi atipici di BSE segnalati (quattro di tipo H: due in Spagna, uno in Francia e uno in Irlanda; un tipo L nei Paesi Bassi); e 46.096 bovini da otto paesi non UE dichiaranti con due casi atipici di BSE segnalati dalla Svizzera. Altri tre casi atipici di BSE sono stati segnalati da Regno Unito (1), Stati Uniti (1) e Brasile (1). In totale, 284.686 ovini e 102.646 caprini sono stati sottoposti a test nell’UE-27 e nell’UE XI (rispettivamente -3,5 % e -5,9 %, rispetto al 2022).

Negli altri paesi dichiaranti non appartenenti all’UE sono stati sottoposti a test 26.047 ovini e 589 caprini. Negli ovini sono stati segnalati 538 casi di scrapie da 14 SM e XI: 462 casi di scrapie classica (CS) per 4 SM (104 casi indice (IC) con genotipi di gruppi sensibili nel 93,4% dei casi), 76 casi di scrapie atipica (AS) (76 IC) per 12 SM. Negli altri paesi dichiaranti non appartenenti all’UE, l’Islanda ha segnalato 70 casi di CS, mentre la Norvegia ha segnalato 7 casi di AS ovino. La genotipizzazione casuale degli ovini è stata riportata da sei SM e i genotipi dei gruppi sensibili rappresentavano il 6,9%. Nei caprini sono stati segnalati 183 casi di scrapie, tutti provenienti da Stati membri dell’UE: 176 SC (47 CI) da sette SM e 7 SA (7 CI) da cinque SM. Tre casi a Cipro e uno in Spagna sono stati segnalati in capre portatrici di alleli eterozigoti al codone 146 e 222, rispettivamente. In totale, 2096 cervidi sono stati testati per la malattia del deperimento cronico da dieci SM, nessuno è risultato positivo. La Norvegia ha testato 14.224 cervidi con un alce europeo positivo.

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Fonte: EFSA




Le etichette degli alimenti possono trarre in inganno i consumatori dell’UE

I consumatori possono facilmente perdersi in un labirinto di etichette degli alimenti, avverte la Corte dei conti europea in una relazione pubblicata in data odierna. L’etichettatura degli alimenti dovrebbe aiutare le persone a prendere decisioni consapevoli al momento dell’acquisto. I consumatori dell’UE sono però esposti ad un numero crescente di indicazioni, loghi, slogan, etichette e punteggi che possono non solo creare confusione, ma anche risultare fuorvianti.

Le etichette forniscono informazioni sul contenuto e sulle proprietà degli alimenti. Spesso sono utilizzate anche per rendere i prodotti più attraenti, sottolineandone presunti benefici, come il fatto di essere salutari, biologici o senza glutine. Le norme dell’UE prevedono che le etichette forniscano ai consumatori alcune informazioni di base, il che è certo un buon punto di partenza. La Corte ha però rilevato una serie di lacune preoccupanti nella normativa, nonché problemi per quanto riguarda i controlli e le sanzioni pecuniarie.

Invece di fare chiarezza, le etichette degli alimenti creano spesso confusione: esistono centinaia di regimi, loghi e indicazioni che il consumatore deve saper decifrare”, ha dichiarato Keit Pentus-Rosimannus, il Membro della Corte dei conti europea responsabile dell’audit. “Le imprese sanno essere molto creative su cosa riportare sugli imballaggi e le norme dell’UE non stanno al passo con un mercato in continua evoluzione: circa 450 milioni di consumatori dell’UE sono quindi indifesi di fronte a messaggi volontariamente o involontariamente fuorvianti”.

Il problema è che le lacune della normativa UE possono lasciare i consumatori in balia di informazioni ingannevoli. Ad esempio, le norme dell’UE permettono l’utilizzo di indicazioni nutrizionali e sulla salute anche per prodotti ad alto contenuto di grassi, zuccheri e/o sale, il che fa sì che alimenti dolci, come le barrette energetiche, possono essere pubblicizzate evidenziando l’“alto contenuto di proteine”. Analogamente, i consumatori sono sempre più esposti a indicazioni sulla salute non regolamentate relative a sostanze vegetali o “botaniche” (come “contribuisce al recupero energetico” o “migliora le prestazioni fisiche”) anche se non sono suffragate da prove scientifiche.

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Fonte: eca.europa.eu




Microplastiche e salute: l’indagine è aperta

microplasticheVent’anni fa un articolo apparso su Science indicava con il termine “microplastiche” alcuni detriti di materiale plastico di dimensioni molto piccole ritrovate nell’ambiente. A partire da quella data, la ricerca delle microplastiche in vari ambienti (compreso il corpo umano) e del loro effetto sugli esseri viventi si è espansa in differenti ambiti scientifici.

La plastica è un materiale molto diffuso grazie alle sue proprietà di leggerezza, all’eccellente durata, alle caratteristiche meccaniche e al prezzo accessibile. Tuttavia, queste stesse caratteristiche possono rappresentare un possibile rischio per l’uomo e l’ambiente.

Di recente, sia Nature sia Science hanno dato largo spazio ai problemi legati alla plastica e ai suoi rifiuti, considerando i risultati della ricerca, le sfide ancora da superare e le decisioni politiche scaturite dagli studi.

La plastica intorno a noi

I dati raccolti da Lampitt nel 2023 parlano chiaro: la nostra produzione di rifiuti plastici oggi si attesta intorno alle 400 milioni di tonnellate l’anno. Finora, si stima siano state prodotte sette miliardi di tonnellate di plastiche a livello globale.

L’80 per cento di questi rifiuti sono dispersi nell’ambiente, mentre solo il 10% è riciclato (dati Oecd). Gli occhi di ricercatori, politici e ambientalisti sono puntati sui rifiuti plastici perché fonte di un secondo prodotto che può creare danni all’ambiente e agli organismi viventi: le microplastiche, se diametro inferiore ai cinque millimetri, mentre quelle inferiori a un micron sono dette nanoplastiche.

Le sorgenti dirette che danno origine a microplastiche sono molteplici: pneumatici, tessuti, cosmetici, vernici etc. Però le microplastiche si formano anche in modo indiretto dalla frammentazione di oggetti di grandi dimensioni, come i rifiuti plastici, sottoposti a radiazioni UV e alla degradazione meccanica e biologica.

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Fonte: abouthpharma.com




Plancton a rischio. È allarme per oceani e pesca

zoo planctonUn nuovo studio condotto dall’Università di Bristol, pubblicato su Nature, lancia un segnale d’allarme: se il riscaldamento globale di origine antropica non verrà contenuto, molte forme di vita marina rischiano l’estinzione entro la fine del secolo. La ricerca si concentra sul plancton, minuscoli organismi oceanici fondamentali per l’ecosistema marino, analizzando come hanno risposto a significativi aumenti di temperatura in passato e confrontandoli con le proiezioni future.

Il ruolo cruciale del plancton negli oceani

Il plancton rappresenta il fulcro della catena alimentare marina e svolge un ruolo essenziale nel ciclo del carbonio. Tuttavia, i risultati della ricerca mostrano che questi organismi non riescono a tenere il passo con la velocità dei cambiamenti climatici attuali. Questo mette a rischio non solo la loro sopravvivenza, ma anche quella di molte specie marine che dipendono da essi per il cibo, inclusi numerosi pesci di interesse commerciale.

Lo studio rivela che anche con scenari più ottimistici, come un aumento di temperatura di 2°C, il plankton non sarebbe in grado di adattarsi rapidamente. Il tasso di riscaldamento attuale supera di gran lunga quello osservato durante eventi climatici estremi del passato, come l’ultima Era Glaciale, rendendo impossibile una migrazione o un adattamento sufficiente.

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Fonte: pesceinrete.com




Concretizzare l’One Health nell’UE: la veterinaria può essere trainante

La salute degli esseri umani, degli animali e degli ecosistemi non può essere considerata come un insieme di realtà separate, ma emerge, come già osservato da tempo, da un’interdipendenza intrinseca. In un mondo che si fa sempre più interconnesso, non può più esistere una scienza separata dalle altre: diventa imprescindibile un dialogo tra i saperi. È in questa prospettiva che si colloca il concetto di One Health, una visione olistica e integrata della salute che riconosce l’unità del vivente e la necessità di una collaborazione interdisciplinare per affrontare le sfide del nostro tempo.
Alcuni giorni fa la Commissione Europea ha reso pubblico un importante e corposo documento (oltre cento pagine) su come sviluppare e concretizzare il concetto One health a livello della UE. Si tratta di un documento redatto dal “Gruppo dei consulenti scientifici principali” (Group of chief scientific advisors), dal titolo “One Health Governance in the European Union”.

Perché l’One Health è fondamentale

È ormai innegabile che l’umanità intera, insieme agli ecosistemi, al clima e al pianeta stesso, si trovi a vivere un’epoca di trasformazioni profonde e drammatiche. Tali cambiamenti non solo ridefiniscono l’idea stessa di salute — umana, animale e vegetale — ma sollevano questioni epocali che intersecano scienza, politica, etica e società.

Non è un caso che si parli di zoonosi ( malattie che si trasmettono tra uomini e animali ), panzoozie (pandemie degli animali come la Peste Suina Africana) e panfitopatie (pandemie delle piante, come Xylella fastidiosa) come fenomeni speculari di un’unica realtà patologica planetaria. La recente pandemia di Covid-19 ha dimostrato come un virus originatosi in una nicchia ecologica possa, in pochi mesi, trasformarsi in una calamità globale, sfruttando la rete dei trasporti, degli scambi commerciali e degli stili di vita. Ma Covid-19 è solo l’ultimo capitolo di una storia più ampia: si pensi al ritorno inquietante di malattie che si credevano archiviate, come la tubercolosi, o all’emergere di patologie inedite, quali il vaiolo delle scimmie, che gettano ombre inquietanti su un futuro sanitario incerto.

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Fonte: co-scienza.vet




Rete degli IZS Italiani. Dieci sedi centrali e 90 sezioni diagnostiche periferiche, oltre 5mila collaboratori

zoonosi viraleDieci sedi centrali e 90 sezioni diagnostiche periferiche, oltre 5mila collaboratori tra ricercatori veterinari, chimici, biologi, agronomi, tecnologi alimentari, tecnici di laboratorio biomedico, ingegneri, statistici e personale amministrativo, una media di 25 milioni di analisi di laboratorio effettuate annualmente. Questi sono i numeri presentati dalla Rete degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali Italiani (IIZZSS) alla 19° edizione del “Forum risk management” in corso ad Arezzo. L’evento si pone l’ambizioso obiettivo di parlare della “sanità di domani” con dibattiti e confronti finalizzati al rilancio e alla riforma del sistema sanitario.

“In questo contesto, la Rete degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali Italiani rappresenta un unicum che altri Paesi prendono quale modello. Con i propri collaboratori rappresentano un vero e proprio tesoro per la salute pubblica italiana”, ha ricordato il Dr. Stefano Palomba, Commissario Straordinario dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana e rappresentante, per competenza territoriale, della Rete degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali. La Rete degli IIZZSS è lo strumento di cui dispone il Servizio Sanitario Nazionale per assicurare la sorveglianza epidemiologica, la ricerca sperimentale, la formazione del personale, il supporto di laboratorio e la diagnostica nell’ambito della sanità pubblica e della sicurezza alimentare. Dalla Valle D’Aosta alla Sicilia questa rete costituisce una capacità sanitaria in grado di assicurare, con un approccio integrato multidisciplinare, tutti i servizi indispensabili a garantire la salute pubblica: dalla sicurezza degli alimenti, la salute e il benessere animale, alla tutela della salute umana e dell’ambiente.

Fonte: quotidianosanita.it