Covid 19, strategica la collaborazione medici e veterinari in un’ottica “One Health”
Dalle pagine della Rivista statunitense “Emerging Infectious Diseases” apprendiamo la notizia relativa ad un singolare caso d’infezione da Sars-CoV-2 – il betacoronavirus responsabile della Covid-19 -, che una collega veterinaria tailandese avrebbe acquisito ad opera di un gatto infetto. Il felino in questione, i cui proprietari risultavano affetti da Covid-19, avrebbe a sua volta contratto l’infezione dagli stessi, sviluppando quindi una sintomatologia respiratoria in seguito alla cui insorgenza sarebbe stato condotto a visita dalla succitata collega, alla quale avrebbe infine trasmesso il virus.
Il gatto – la cui suscettibilità nei confronti dell’infezione naturale e sperimentale era già nota da tempo – si aggiungerebbe pertanto al crescente novero delle specie animali da cui il virus Sars-CoV-2 sarebbe stato trasferito all’uomo, un elenco già comprendente visoni (Paesi Bassi, Danimarca, USA), criceti (Hong Kong) e cervi a coda bianca (Canada).
E, per quanto il contagio interumano continui a rappresentare la modalità di gran lunga più frequente attraverso cui Sars-CoV-2 si diffonde in Italia, così come in Europa e nel resto del mondo – come le varianti e le sottovarianti “omicron” chiaramente testimoniano -, i reiterati “scambi” dell’agente virale fra l’uomo e gli animali, nonché fra gli animali stessi e fra gli animali e l’uomo, andrebbero attentamente monitorati in relazione (anche e soprattutto) alla comparsa di nuove, particolarmente contagiose e/o patogene varianti.
Giovanni Di Guardo
Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo